giovedì 31 marzo 2022

Fabolous Stack of Comics: Perramus - L'Isola del Guano


Dopo il crollo della dittatura dei Colonnelli nel 1983, in Argentina inizia un periodo di profonda instabilità politica e sociale. La nazione, reduce da anni tormentati che hanno portato alla scomparsa di molte persone, incluso lo sceneggiatore Héctor Germán Oesterheld, deve riprendersi dalle macerie reali e umane, che sono quelle che rischiano di durare più a lungo.
In questo clima ancora incerto viene pubblicata nel 1986 la terza parte di Perramus, L'Isola del Guano (La Isla del Guano). Gli autori sono come sempre Juan Sasturain ai testi e Alberto Breccia ai disegni.
Dopo aver ricevuto il Premio Nobel per la Letteratura (mai accaduto nella realtà, ma questo è un mondo particolare), Jorge Luis Borges viene considerato ancor di più un elemento scomodo per la dittatura dei Marescialli e Santa Maria diviene una nazione pericolosa a cui tornare.
In cerca di una soluzione, il Nemico suggerisce di rifugiarsi in via temporanea presso l'isola di Mr. Whitesnow, dove un tempo risiedeva. Giunti lì, però, Perramus e Borges vengono prelevati dalle autorità, mentre Canelones e il Nemico fanno la conoscenza degli insoliti movimenti di resistenza del posto, camuffati da artisti circensi.
Dopo la riconquista dell'identità de Il Pastrano dell'Oblio e la preservazione della memoria de L'Anima della Città, si passa alla difesa dei valori di libertà di questo nuovo capitolo.
Può essere riferito alla dittatura come ai grandi partiti politici regolarmente eletti che creano scompiglio e poi si sfaldano, lasciando un paese nella rovina. Ebbene, in questo caso ci sono tantissime persone che dichiarano di non aver mai votato quel partito... eppure aveva tanto consenso, come mai quando sparisce nella disgrazia non si trova più nessun suo passato sostenitore (non è una cosa solo italiana, se può essere di consolazione)?
E così si sale sul carro del nuovo vincitore, senza avere una vera e propria guida, che peraltro non era presente neanche in precedenza. Mr. Whitesnow - e con lui il suo entourage - più che il candore della neve ha un'ingenuità totale, rappresenta una nave senza remi che si fa trascinare dalla marea più forte. Ovvero l'Argentina che naviga nelle acque del post-periodo dittatoriale.
Una dittatura, una nazione con mentalità imprenditoriale, un qualsiasi altro leader che arrivi a convincerli che qualcosa ha un valore, persino la merda: l'importante è che Whitesnow e soci abbiano qualcosa cui aggrapparsi, non avendo essi stessi un'identità. Non avendo degli ideali. Quindi come parassiti si attaccano a quello che percepiscono come un vincente.
Dall'altro lato, invece, vi sono coloro che lottano perché sia affermata un qualche tipo di identità ed è la parte verso cui Perramus e soci si sentono più affini in principio. Ma quando infine i ribelli rovesciano l'ordine costituito e prendono il potere, Perramus e gli altri si allontanano.
Poiché loro non si sentono parte di una sola nazione, sono l'incarnazione di ideali che non possono rimanere confinati in una piccola isola. La loro destinazione finale sarà altrove.

mercoledì 30 marzo 2022

Prime Video Original 11: Senza Rimorso


Tom Clancy ha contribuito - temo anche suo malgrado - in maniera significativa a dare una svolta a un certo cinema d'azione e spionistico che prima di lui rischiava di fossilizzarsi su atmosfere alla James Bond.
Il principale motore di questo cambiamento è stato il ciclo che vede protagonista l'analista della CIA che diventa Presidente degli Stati Uniti, Jack Ryan. Personaggio che è comparso per la prima volta sul grande schermo nel 1990, interpretato da Alec Baldwin in Caccia a Ottobre Rosso (The Hunt For Red October).
Uno dei protagonisti di questa saga letteraria è John Clark, agente Navy Seal che diventerà col tempo il capo di un'unità internazionale di antiterrorismo denominata Rainbow. Nei film incentrati su Jack Ryan è comparso per la prima volta nel 1994 in Sotto il Segno del Pericolo (Clear and Present Danger), interpretato da Willem Dafoe.
La Paramount, titolare dei diritti su molti dei libri di Tom Clancy, mette in produzione nel 2017 un adattamento di Senza Rimorso (Without Remorse), il romanzo del 1993 che dettaglia le origini del personaggio. Programmato per un'uscita nel 2020, causa epidemia di COVID-19 viene infine acquisito da Amazon Prime Video, che lo distribuisce a partire dal 30 aprile 2021.
La pellicola è stata diretta da Stefano Sollima, mentre la sceneggiatura è stata scritta da Taylor Sheridan e Will Staples.
A seguito di una missione di estrazione di un ostaggio in Siria, i componenti della squadra di Navy Seal di cui fa parte John Kelly (Michael B. Jordan) divengono oggetto di attacchi di rivalsa da parte di mercenari sovietici, un tempo agenti del FSB (il servizio segreto russo).
Quando la moglie incinta di John Kelly rimane uccisa a seguito di uno di questi attacchi, il soldato si imbarca in una missione di vendetta che lo porterà direttamente in territorio russo, ma ben presto capirà che il confine tra alleati e nemici è molto labile.
Il romanzo di riferimento si svolge durante la Guerra del Vietnam, mentre il film sposta la vicenda al tempo presente. Entrambe le opere, però, sottopongono il personaggio di John Kelly - che alla fine per vie traverse assumerà il nuovo nome di John Clark - a un drammatico processo di cambiamento dovuto a un conflitto sporco, sia in territorio amico che nemico.
Il romanzo di Tom Clancy, pur se ambientato nel passato, è stato pubblicato in un periodo in cui la Guerra Fredda si era conclusa e gli Stati Uniti si trovavano in quella situazione per cui i vecchi nemici erano diventati - se non amici - alleati, scomodi o meno che fossero, mentre nuovi nemici si affacciavano all'orizzonte (nello stesso anno di pubblicazione, avveniva il primo attentato al World Trade Center).
Decenni dopo, la guerra fredda tra Stati Uniti e Russia non si è del tutto scongelata, ma la lotta ai nuovi nemici della democrazia ha generato anche molti nemici interni alla società americana, quali agenti CIA prevaricatori dei diritti umani, politici corrotti che traggono profitti economici dai conflitti contro i terroristi e potenti lobby delle armi intenzionati a spargere benzina sul fuoco di questi conflitti.
John Kelly/John Clark si ritrova dunque coinvolto nel mezzo di queste due barricate, divenendo un'insolita bussola morale quando in realtà vuole solo vendetta per sé stesso e sua moglie, e il cambiamento nel suo nome nonché nel suo modo di intendere le minacce - sia interne che esterne - è conseguenza di questa sua nuova visione del mondo che si ritrova costretto ad affrontare.
Tuttavia, suddetto cambiamento è percepibile solo verso la fine, poiché la trama del film invece è quasi del tutto incentrata sulle scene d'azione, le quali si susseguono a un ritmo frenetico come se ci trovassimo in un videogioco.
Ecco sì, la fondazione di Rainbow è ciò che potrebbe essere sviluppato in almeno un'altra pellicola e Rainbow Six, un altro romanzo che vede protagonista John Clark, è noto al grande pubblico per una fortunata serie videoludica che continua ancora oggi.
Michael B. Jordan ha ritagliato per sé anche il ruolo di produttore di questo film, quindi crede molto nel progetto. Resta solo da vedere se le condizioni avverse che l'uscita del film ha dovuto affrontare e il fatto che l'attore sia molto richiesto altrove permetteranno lo sviluppo di questo sequel.

martedì 29 marzo 2022

Fabolous Stack of Comics: Kamandi Challenge


Durante il suo secondo periodo alla DC Comics, dal 1971 al 1975, Jack Kirby si rese responsabile della creazione di numerosi nuovi personaggi e persino di un'intera saga, composta da testate interconnesse tra loro, nota come il Quarto Mondo.
Tra queste creazioni vi è anche Kamandi, l'ultimo ragazzo sulla Terra in un mondo dominato da animali senzienti a seguito di un ignoto Grande Disastro. Con una serie durata 61 numeri, di cui però solo 40 realizzati da Kirby, per la sua natura di mondo privo di supereroi è rimasto volutamente defilato dal DC Universe, tanto che - a differenza di altre creazioni di Jack Kirby di quel periodo - il personaggio di Kamandi e il suo lontano futuro verranno ripresi solo poche volte nei decenni successivi dopo la chiusura della testata.
Eppure, quella distopia così particolare, quel mondo insolito partorito da una grande mente creativa rimangono nei cuori di molti lettori. Alcuni di questi lettori diventano poi sceneggiatori e disegnatori di fumetti. E per celebrare quest'opera, nonché il centenario della nascita di Jack Kirby, nel 2017 viene pubblicata la maxiserie di dodici numeri Kamandi Challenge.
La storia ha un impianto narrativo molto particolare. Dodici numeri per dodici, differenti team creativi, con un cliffhanger presente a ogni fine episodio che deve essere risolto dal team creativo dell'episodio successivo.
Gli sceneggiatori coinvolti sono: Dan Abnett, Marguerite Bennett, Dan Didio, Keith Giffen, Tom King, Paul Levitz, Steve Orlando, Greg Pak, Jimmy Palmiotti, Gail Simone, Peter J. Tomasi, James Tynion IV, Rob Williams, Bill Willingham. Mentre la parte grafica è affidata a: Neal Adams, Amanda Conner, Carlos D'Anda, Shane Davis, Dale Eaglesham, Kevin Eastman, José Luis García-López, Dan Jurgens, Ivan Reis, Steve Rude, Walter Simonson, Ryan Sook, Philip Tan, Freddie Williams II.
L'ordinaria e tranquilla vita di un ragazzo in un'anonima città di provincia viene sconvolta quando scopre che tutti i suoi concittadini, compresa la sua cara nonna, sono dei robot e, prima che venga proiettato tramite un portale in un'altra dimensione, gli viene detto che deve rintracciare i suoi genitori per salvare la Terra.
Il ragazzo si ritrova così in un mondo dove l'essere umano è quasi estinto e ridotto in schiavitù, mentre gli animali dominano il pianeta, contendendosi i vari territori, cosa che complicherà la sua missione, destinata a chiudersi con una sconvolgente rivelazione.
Questa maxiserie non vuole e non intende essere una continuazione della serie di Jack Kirby, piuttosto si pone come una sorta di rivisitazione e riverito omaggio alla saga dell'Ultimo Ragazzo sulla Terra. Per chi questa saga già la conosce, sarà dunque un piacere rivedere certi personaggi così legati a quel mondo, mentre per i nuovi lettori la storia è comunque godibile a sé stante.
Tra l'altro, in un'epoca di saghe cinematografiche dove gli animali senzienti la fanno da padrone (si veda ad esempio Harry Potter, per citare uno dei più recenti e celebri), non sarà male per un lettore moderno scoprire che, dopo il creatore di Narnia, altri autori avevano già sviluppato questa tematica in maniera ampia e stratificata.
La cosa che forse alla fine non riesce nel migliore dei modi in questa storia è proprio il suo aspetto più particolare, ovvero un differente team creativo a ogni numero.
Poiché se è pur vero che ognuno di questi team riprende i fili in sospeso del numero precedente e li porta a compimento, è anche vero che ogni sceneggiatore vuole raccontare la propria storia, quindi ogni seme narrativo che viene gettato dallo scrittore di turno nel 90% delle volte viene abbandonato in fretta e non più ripreso dallo scrittore successivo, lasciando un vago senso di incompletezza (ci sono anche un paio di incongruenze, qua e là).
Rimane alla fine solo lo spunto generale, la ricerca dei genitori di Kamandi. E il padre non può essere che lui, Jack Kirby in persona, il creatore di mondi già comparso in un numero di Fantastic Four. A degno completamento della sua celebrazione, come autore sì, ma anche come persona. Così importante da divenire egli stesso un personaggio inserito nei mondi da lui stesso creati: un cerchio perfetto che si chiude.

lunedì 28 marzo 2022

Netflix Original 35: Tramps


La ricerca di una valigetta può portare a dei problemi che generano a loro volta altri problemi. Lo sanno bene Vincent Vega e Jules Winnfield di Pulp Fiction. Ma a volte il contenuto della valigetta è - in ultima analisi - insignificante, poiché il focus della trama è concentrato altrove: questo è il cosiddetto MacGuffin reso celebre da Alfred Hitchcock.
Un'espediente cinematografico che si ritrova anche in Tramps, film scritto e diretto da Adam Leon e distribuito su Netflix a partire dal 21 aprile 2017.
I protagonisti sono due giovani ragazzi che non si conoscono di nome Ellie (Grace Van Patten) e Danny (Callum Turner), i quali ricevono l'incarico da parte di alcuni piccoli criminali di recuperare una valigetta e consegnarla a un'altra persona, in cambio di una generosa somma di denaro.
Per una svista, però, la valigetta viene lasciata alla persona sbagliata e da quel momento in poi Ellie e Danny si imbarcheranno in una lunga ricerca volta a ritrovare, prima ancora che la valigetta, loro stessi.
Il film inizia delineando la trama della valigetta, la quale però man mano che la storia prosegue viene messa da parte fino quasi a essere dimenticata per concentrarsi invece sulle dinamiche interpersonali tra i due protagonisti - due discreti attori che cercano di dare il meglio - e l'evolversi della loro relazione, che passa dalla conoscenza iniziale sino a giungere a un reciproco amore e affetto.
Ci troviamo dunque di fronte a una vera e propria commedia romantica, con qualche venatura di dramma lungo la via. Una commedia che - se si vuole anche pensarla così - coinvolge due ragazzi di due culture diverse (Danny è figlio di immigrati polacchi, ma da quanto par di capire ha sempre vissuto negli Stati Uniti), cosa che però non va a inficiare il loro legame.
Non ci sono, né con ogni probabilità sono stati cercati, clamorosi colpi di scena. La storia tra i due ragazzi si sviluppa in maniera ordinaria, per certi versi anche prevedibile, con inevitabile lieto fine dove riescono a mettere da parte la loro vecchia vita per iniziarne una nuova insieme.
Ma cosa c'era di così importante nella valigetta? Viene detto? Sì, questo particolare viene infine rivelato, tuttavia... per noi spettatori apprenderlo non è poi così significativo. Diventa solo un elemento narrativo che viene portato a compimento, pur avendo dato il via a tutta questa vicenda senza la quale Ellie e Danny non si sarebbero mai incontrati.
Però a noi interessa in ultima analisi sapere di loro e non della valigetta. Il perfetto MacGuffin.

domenica 27 marzo 2022

A scuola di cinema: Guardia del Corpo (1992)

1975: Lawrence Kasdan lavora da cinque anni in un'agenzia pubblicitaria di Detroit come copywriter, ma sogna di diventare sceneggiatore cinematografico. Per questo, di notte scrive alcune sceneggiature, nella speranza che una di esse venga opzionata da uno studio cinematografico. Questo infine accade, ma occorrono ben diciassette anni prima che questa sceneggiatura diventi un lungometraggio.


Una sceneggiatura di Kasdan, intitolata The Bodyguard, cattura l'attenzione di un agente, Norman Kurland, il quale la opziona e inizia a proporla alle varie case di produzione, senza riscontrare alcun particolare interesse e ricevendo ben 67 rifiuti.
Nel frattempo, Lawrence Kasdan si trasferisce a Los Angeles, trovando lavoro presso un'altra agenzia pubblicitaria e accettando piccoli incarichi come sceneggiatore o revisore.
Nel 1977, infine, la sceneggiatura viene acquistata dalla Warner Bros., che contatta Steve McQueen e Diana Ross per le parti principali. Tuttavia, per vari motivi, il progetto non si concretizza.
Viene riesumato, tuttavia, già l'anno successivo, quando viene individuato il regista in John Boorman e, al posto di Steve McQueen, viene scelto come interprete principale Ryan O'Neal, il quale all'epoca ha una relazione con la cantante.
Diana Ross, però, chiede svariate revisioni della sceneggiatura che O'Neal ritiene superflue, tanto da far sì che nel 1979 il progetto venga messo da parte a tempo indeterminato.
Negli anni successivi, Lawrence Kasdan riesce a farsi un nome a Hollywood sia come sceneggiatore che come regista, grazie a film quali L'Impero Colpisce Ancora (The Empire Strikes Back), I Predatori dell'Arca Perduta (Raiders of the Lost Ark) e Silverado.
Sul set di quest'ultimo film, Kasdan incontra nuovamente un attore con cui aveva collaborato in precedenza per Il Grande Freddo (The Big Chill): Kevin Costner. Costui aveva infatti una piccola parte nella pellicola, che però venne tagliata in fase di montaggio.
Durante la lavorazione di Silverado, Kasdan mostra la sceneggiatura di The Bodyguard a Kevin Costner, il quale ne rimane intrigato e promette a Kasdan che un giorno ne diverranno i produttori.
Pochi anni dopo, Kevin Costner diviene una star di primo piano dopo l'incetta di Oscar per Balla Coi Lupi (Dances With Wolves), avendo dunque potere contrattuale per far sì che la sceneggiatura di Kasdan venga opzionata una seconda volta dalla Warner Bros.
Viene proposto a Kasdan di essere il regista della pellicola, ma lui preferisce ritagliare per sé solo il ruolo di produttore, lasciando la direzione a Mick Jackson.
Se per Kevin Costner è assodato il ruolo del protagonista, Frank Farmer, per quanto riguarda la protagonista femminile - Rachel Marron - l'attore si convince, con l'approvazione di Kasdan, che la scelta più adatta sia Whitney Houston.
Per via di impegni pregressi, la cantante non può partecipare al progetto per circa un anno, ma Costner è disposto ad attendere e respinge tutte le richieste della Warner Bros. di mettere sotto contratto invece una rinomata attrice poiché non ritenuta la scelta più adatta.
Quando infine Whitney Houston è libera da impegni, Costner deve vincere le sue resistenze in quanto questo film rappresenterebbe il suo debutto cinematografico e - pur avendo la cantante già considerato una possibile carriera da attrice - avrebbe voluto iniziare con piccole parti, non direttamente con un ruolo da protagonista, cosa che la esporrà anche a critiche. Costner tuttavia la rassicura: la aiuterà e non permetterà che qualcuno si faccia beffe di lei. Le chiede inoltre di non prendere lezioni di recitazione, per apparire più spontanea possibile. Whitney Houston infine accetta.
Con la presenza nella storia di una coppia interrazziale - ancora una potenziale materia di scandalo per l'epoca - la Warner Bros. chiede che sia inserita nel film almeno una frase che sottolinei la cosa. Sia Kasdan che Costner respingono la richiesta: per loro, il colore della pelle dei due protagonisti non è una cosa rilevante, il loro rapporto amoroso è ordinario come quello di qualsiasi altra coppia.
Le riprese iniziano in via ufficiale il 25 novembre 1991, tenendosi in California e in Florida.
In principio, è previsto che Whitney Houston canti una cover di What Becomes of the Brokenhearted, di Jimmy Ruffin, la quale tuttavia viene utilizzata da Paul Young per la colonna sonora di Pomodori Verdi Fritti alla Fermata del Treno (Fried Green Tomatoes). Maureen Crowe, supervisore della colonna sonora, suggerisce allora I Will Always Love You, di Dolly Parton, anche se lei la conosce solo attraverso una cover di Linda Ronstadt.
Kevin Costner la ritiene una buona idea e suggerisce anche che l'incipit del brano sia eseguito a cappella da Whitney Houston. Alla fine, la cantante contribuisce in maniera attiva alla colonna sonora del film, incidendo sei pezzi, alcuni dei quali inediti.
Durante la lavorazione, Whitney Houston è incinta, ma ha un aborto spontaneo che causa la perdita del nascituro. Dopo qualche giorno passato a riprendersi fisicamente, ma soprattutto emotivamente, la cantante torna sul set.
Un'altra tragedia avviene il 3 gennaio 1992. L'autista Bill Vitagliano, infatti, rimane ucciso dopo essere stato schiacciato da due gru che trasportano degli impianti di illuminazione, le quali crollano dopo essere entrate in contatto tra loro. A nulla purtroppo serve un rapido trasporto in ospedale.
Un altro incidente, questo per fortuna senza conseguenze, si verifica durante le riprese della scena finale, con il bacio d'addio tra Frank Farmer e Rachel Marron all'aeroporto. Per questa scena, la telecamera viene piazzata su un carrello che segue Whitney Houston mentre si avvicina a Kevin Costner, per poi girare attorno ai due attori.
Le riprese partono, ma al primo ciak il cameraman inciampa dalla piattaforma e perde la presa, mentre la telecamera continua il suo percorso sul carrello. Con prontezza il cameraman, che per fortuna non ha riportato conseguenze dalla caduta, riprende la telecamera e conclude la ripresa. Ed è proprio questa che viene infine inclusa nel montaggio finale.
Le riprese si concludono il 27 marzo 1992.
Guardia del Corpo (The Bodyguard) viene distribuito nei cinema americani a partire dal 25 novembre 1992. A fronte di un budget di 25 milioni di dollari, la pellicola arriva infine a incassare a livello internazionale 411 milioni di dollari.
Visto il grande successo, si pensa di mettere in produzione un sequel. Un sequel che avrebbe visto protagonista nientemeno che la Principessa Diana Spencer, con cui Kevin Costner è in buoni rapporti di amicizia e per cui la principessa del Galles dichiara la sua disponibilità a parlarne.
Costner riceve anche una prima bozza di sceneggiatura, che prevede il ritorno di Frank Farmer per proteggere la principessa da stalker e paparazzi salvo farsi poi coinvolgere da una relazione romantica con lei. La riceve il 30 agosto 1997. Il giorno dopo avviene il tragico incidente che causa la morte di Diana Spencer, che interrompe ogni discussione su questo sequel.
Anche Whitney Houston muore in tragiche circostanze l'undici febbraio 2012 e il rapporto di stima e amicizia tra lei e Kevin Costner è divenuto così forte che all'attore viene richiesto dalla famiglia della cantante di pronunciare un elogio funebre.
E questa è la fine della storia.

sabato 26 marzo 2022

A scuola di cinema: A 30 Secondi dalla Fine (1985)

1965: Akira Kurosawa è un rinomato regista nella madre patria, Giappone, grazie a capolavori quali ad esempio I Sette Samurai, La Sfida del Samurai o Barbarossa. Capolavori della cinematografia che, nonostante le differenze linguistiche e culturali, sono riusciti anche a oltrepassare l'oceano, arrivando ed essendo apprezzati negli Stati Uniti.
Akira Kurosawa pensa allora di ideare un progetto che possa poi sviluppare negli Stati Uniti. Ma solo venti anni dopo, pur tra molte difficoltà, e senza il suo contributo come regista, quest'idea si concretizzerà in un lungometraggio.


Akira Kurosawa trae ispirazione da un articolo comparso sulla rivista Life nel marzo 1963, a firma di Warren R. Young. L'articolo - intitolato The Runaway Train - è incentrato su Jim Gerace, un operaio che, in una notte del 1962, per una serie di sfortunate circostanze si ritrova bloccato su quattro locomotive senza conducente che iniziano ad acquistare velocità sui binari.
Non potendo scendere dal mezzo, considerata la forte velocità, Jim Gerace con fortuna e costanza capisce alla fine come spegnere i motori, riuscendo miracolosamente a uscire indenne dalla pericolosa situazione.
Kurosawa entra in contatto con l'editor capo di Life, Hedley Donovan, il quale gli fornisce informazioni utili non comparse nell'articolo. Basandosi su quanto da lui raccolto, il regista giapponese, insieme ai fedeli collaboratori Hideo Oguni e Ryuzo Kikushima, scrive una sceneggiatura che passa poi al produttore Joseph Levine, il quale si dimostra interessato a finanziare la pellicola.
Mentre la sceneggiatura viene passata allo scrittore Sidney Carroll, perché possa meglio adattarla al parlato americano e alla struttura cinematografica di questa nazione, vengono già schedulate le riprese per l'autunno del 1966 e programmato un budget.
Ma questi piani si rivelano troppo prematuri. Quando, infatti, Sidney Carroll contatta Kurosawa per avere più dettagli sulla storia, al fine di adattarla, il regista giapponese - anche a causa della barriera linguistica e culturale - afferma che non intende per il momento condividere troppe informazioni, alcune delle quali potranno essere più chiare solo quando si inizierà a girare.
La problematica si rivela insolitamente insormontabile, tanto che causa uno slittamento dell'inizio delle riprese. Slittamento che diviene eterno quando Akira Kurosawa, dopo un fallimentare coinvolgimento in un altro progetto americano, Tora! Tora! Tora!, abbandona ogni velleità di girare un film negli Stati Uniti, compreso quello da lui già sceneggiato.
Per oltre dieci anni, dunque, questa sceneggiatura rimane nel limbo, fino a quando non viene opzionata da Menahem Golan e Yoram Globus della Cannon Films. Come regista viene scelto il russo Andrey Konchalovsky, da poco trasferitosi negli Stati Uniti, il quale è stato raccomandato per questo incarico da Francis Ford Coppola e ha avuto anche il benestare da parte di Akira Kurosawa, la cui sceneggiatura viene revisionata da Edward Bunker, Paul Zindel e Djordje Milicevic.
Per il ruolo di Oscar "Manny" Manheim, la scelta di Andrey Konchalovsky ricade su Jon Voight. Costui in principio esita ad accettare, poiché prima di allora ha interpretato più che altro ruoli positivi e ritiene sia sbagliato affidare la parte a lui, ma il regista russo lo convince affermando che i migliori cattivi del grande schermo sono quelli interpretati da attori che vanno contro i ruoli prestabiliti.
Jon Voight modifica il suo aspetto fisico piazzando dei baffi e una dentiera con denti danneggiati davanti a quelli veri e inserendo piccole ostruzioni nel naso, di modo da dilatare le narici facendolo così apparire come rotto. Inoltre, l'attore frequenta per qualche tempo dei detenuti della prigione di San Quintino.
Per il ruolo di Buck McGeehy, dopo il rifiuto di Tom Berenger che deve partecipare alle riprese di Platoon, viene scelto Eric Roberts. Costui - che ha vissuto per molto tempo in un quartiere abitato da ex detenuti - si allena per mesi per aumentare la sua massa muscolare di circa tredici chili.
A completare il cast principale, nel ruolo di Sara, vi è Rebecca De Mornay, che sostituisce la prima attrice prescelta, Karen Allen. 
Le riprese si tengono nei primi mesi del 1985, svolgendosi in Alaska e nel Montana.
Le difficoltà che si presentano nel dover girare con quattro locomotive in corsa vengono complicate anche dal fatto che la Alaska Railroad Corporation, oltre a non autorizzare l'uso del suo logo, richiede espressamente che le riprese non interrompano la normale circolazione degli altri treni. Al contempo, però, viene in aiuto della produzione mettendo in atto le necessarie procedure di sicurezza per proteggere la troupe e il cast durante le riprese delle locomotive in corsa.
Sul set, venuto a trovare un amico che lavora nella produzione, si presenta una persona che lo sceneggiatore Edward Bunker riconosce, avendo scontato entrambi una pena detentiva presso la prigione di San Quintino. Bunker raccomanda costui come insegnante di boxe per Eric Roberts e Andrey Konchalovsky poco dopo gli offre anche una piccola parte come il contendente sul ring dell'attore.
Costui rimane impressionato in maniera favorevole dal lavoro e dalla paga ricevuta, 320 dollari a giornata, molto più vantaggiosa delle rapine che faceva un tempo e che al contempo comporta anche meno rischi: decide così di dedicarsi a una carriera cinematografica. Il nome di questa persona è Danny Trejo.
Una tragedia si verifica il 9 marzo 1985. Mentre si sta dirigendo verso il luogo delle riprese con un elicottero, il pilota Richard Holley colpisce col mezzo un palo della linea elettrica, con la conseguenza che l'elicottero precipita con violenza al suolo. Per Richard Holley purtroppo non c'è scampo. Il film è dedicato alla sua memoria.
A 30 Secondi dalla Fine (Runaway Train) viene distribuito nei cinema americani a partire dal 15 novembre 1985. A fronte di un budget di 9 milioni di dollari, la pellicola arriva a incassare sul territorio americano poco meno di 8 milioni di dollari.
Nonostante il film non si sia rivelato un successo, sia Jon Voight che Eric Roberts ricevono due nomination al Premio Oscar, rispettivamente nella categoria Miglior Attore Protagonista e Miglior Attore Non Protagonista.
Andrey Konchalovsky, invece, continuerà ancora per qualche tempo la sua esperienza americana con altri film tra cui il celeberrimo Tango & Cash... ma questa è un'altra storia.

venerdì 25 marzo 2022

Fabolous Stack of Comics: Carnage - La Vita è Meravigliosa


Ritorna Cletus Kasady, il serial killer fumettistico più odiato/amato dai lettori, in un nuovo one-shot a lui intitolato dopo Bomba Mentale. Si tratta di Carnage: La Vita è Meravigliosa (Carnage: It's a Wonderful Life), pubblicato nel 1996, scritto da David Quinn e disegnato da Kyle Hotz.
Un one-shot i cui eventi derivano proprio dalla storia ideata da Warren Ellis. A seguito dei tragici fatti che hanno coinvolto Matthew Kurtz, il Ravencroft Institute viene ritenuto inadatto a curare pazienti affetti da turbe psichiche ed è destinato a chiudere i battenti entro pochi giorni.
Rimane alla fine un unico paziente da portare via: Carnage. Prima che venga sottratto loro, però, Ashley Kafka e John Jameson vogliono tentare un'ultima volta a provare a separare il simbionte da Cletus Kasady. Sfruttando dunque le tecniche di Matthew Kurtz, cercano di riuscire dove lui ha fallito, ma come risultato ottengono solo di legarsi a livello simbiotico con Carnage e di essere proiettati nel particolare mondo presente nella sua mente.
Un mondo da cui potrebbero non fuggire mai più.
David Quinn - sceneggiatore a me poco noto, lo confesso - prende spunto da Warren Ellis, ma adotta poi un approccio diverso. Se lo sceneggiatore britannico utilizzava il personaggio di Carnage per mettere alla berlina l'orrore della società moderna, Quinn sfrutta un approccio più "intimista", anche perché rifare quanto già realizzato da Ennis sarebbe stato alquanto inutile.
La storia, dunque, stavolta si svolge nella mente di Carnage, rivelandocene parte del background. Non ci si allontana molto in questo caso da uno schema di base, per cui un assassino è influenzato anche dall'ambiente che lo circonda quando cresce. E può cedere ai propri demoni, di cui il simbionte diviene un catalizzatore.
Così come è successo in passato a John Jameson, quando la Pietra Lunare lo ha tramutato in un Uomo Lupo. O volendo anche alla dottoressa Kafka, che dai demoni altrui rischia di farsi travolgere ogni giorno nel suo lavoro e che in questa storia diviene uno scarafaggio, in una sorta di strano omaggio allo scrittore boemo con cui condivide il cognome.
Ma, a differenza di Cletus Kasady, John Jameson e Ashley Kafka sono riusciti a venire a patti con questi demoni ed è per questo che alla fine riescono a interrompere il collegamento simbiotico. Dimostrando che non è solo l'ambiente a formare una persona, vi è anche la sua storia personale e come questa reagisce alle avversità.
La via del male e della prevaricazione verso gli altri rimane sempre la più facile da perseguire, ma allo stesso tempo anche quella che intraprendono i codardi.
Questo albo vede anche un piccolo, importante evento per il Marvel Universe con la chiusura del suo Arkham Asylum, comparso per la prima volta in Il Bambino Dentro. Ritornerà comunque sotto altre forme in storie future.
Onore al merito a Kyle Hotz, per questo one-shot e il precedente, per aver reso al meglio con la sua arte grafica la pazzia di Carnage, esemplificata nelle possibilità che il simbionte e le sue capacità possono offrire a un disegnatore. Hotz le sfrutta al meglio, rendendo Carnage una vera e propria creatura uscita dall'inferno, che quando compare domina la tavola.
Poiché, come già detto, a volte si rimane affascinati dal male assoluto.

giovedì 24 marzo 2022

Prime Video Original 10: 7500


Dei drammatici fatti accaduti l'undici settembre 2001, ve ne è stato uno che ha avuto un risvolto diverso - ma non meno tragico - rispetto agli eventi che hanno portato alla caduta delle Torri Gemelle di New York.
Un quarto aereo, Volo United Airlines 93, venne infatti come gli altri dirottato dai terroristi, avendo forse come obiettivo il Campidoglio, ma fallì nel suo intento grazie a una rivolta dei passeggeri, che portò l'aereo a schiantarsi in maniera fatale lontano da un centro abitato.
Un'eco e rivisitazione di quegli eventi, ritratti nel film United 93 del 2006, si ha in 7500, scritto e diretto da Patrick Vollrath e distribuito su Amazon Prime Video a partire dal 19 giugno 2020.
Il protagonista è Tobias Ellis (Joseph Gordon-Levitt), copilota di un aereo della tratta Berlino-Parigi che viene conquistato da dei terroristi. Col pilota ucciso, Tobias Ellis rimane barricato nella cabina di pilotaggio, preda delle minacce dei terroristi ai danni dei passeggeri e delle hostess - tra cui la sua fidanzata - e sopraffatto dall'incapacità di poter intervenire.
Ma l'aiuto più insperato potrebbe arrivare proprio da uno degli assalitori.
La pellicola cerca di mantenere il più possibile un approccio realistico/documentaristico, soprattutto nei primi minuti, con riprese da telecamere di sicurezza prive di audio e la spiegazione passo per passo delle procedure di partenza. Un approccio che va poi man mano a scemare, mentre invece la tensione cresce, lasciando così più spazio alle classiche atmosfere dei thriller ambientati su un aereo.
Se è vero che è difficile costruire tensione in uno spazio limitato, rischiando di ripetere in maniera involontaria le stesse inquadrature, provate a pensare che il 90% di questa pellicola si svolge in un'unica ambientazione, ovvero la cabina di pilotaggio.
Eppure, la tensione è sempre palpabile man mano che la storia prosegue, tramite sapienti stratagemmi - voci fuori campo, telecamere interne di sicurezza, eventi che accadono dietro le quinte, rumori all'esterno - e il fatto che dei due protagonisti principali arriviamo ad apprendere il minimo indispensabile, cosa che porta a concentrarci di più sulla trama.
Sia Tobias Ellis che Vedat (Omid Memar), il terrorista che si ribella, sono stranieri in terra straniera e prigionieri di una gabbia che hanno in parte anche costruito con le proprie mani. Una gabbia mentale che diviene drammaticamente reale e consistente per entrambi durante il dirottamento, portandoli a mettere in discussione le loro relative certezze e a costruire uno strano legame.
Uno di loro, però, non riuscirà a evadere da questa gabbia - che fisicamente è la cabina di pilotaggio, concentrato anche dei loro demoni - segnando così la sua fine.
Non credo proprio che questo film volesse essere una denuncia sociale, quindi non c'è nessun malizioso tentativo di stereotipo ai danni di una religione o di un gruppo di persone, semplicemente ha voluto adattare a questi drammatici tempi moderni eventi che - nel bene e nel male - hanno segnato la società di inizio millennio. Una sorta di Airport cinquant'anni dopo e di natura più cerebrale.

mercoledì 23 marzo 2022

Fabolous Stack of Comics: Giovani Titani - Titans Hunt


Non è il primo supergruppo della storia composto dagli "aiutanti" dei supereroi, ma di certo è tra i più importanti, se non il più importante. I Giovani Titani sono stati creati nel 1964 da Bob Haney e Bruno Premiani su The Brave and the Bold 54 e la loro prima incarnazione era composta da Robin, Kid Flash e Aqualad.
Con gli anni molti sono stati i cambiamenti di formazione e i nuovi ingressi, tra cui Wonder Girl, Falco & Colomba, Speedy. I primi Titani sono cresciuti e molti di loro hanno cambiato alias, altri eroi hanno preso il loro posto, ma i Giovani Titani ci sono sempre stati.
Fino a quando nel 2011, col New 52, vi è l'esordio di una nuova formazione dei Giovani Titani che non ha alcun legame con le precedenti incarnazioni. Non solo, gli originali Titani si comportano come se non si fossero mai conosciuti prima!
Un incubo logistico e narrativo causato, come rivelato in Universo DC: Rinascita, dalle modificazioni alla realtà del DC Universe apportate dal Dr. Manhattan. Ma che ha avuto una prima risoluzione nella miniserie di otto numeri, pubblicata tra il 2015 e il 2016, Titans Hunt, scritta da Dan Abnett e disegnata da Paulo Siqueira, Stephen Segovia, Paul Pelletier e Geraldo Borges.
Alcuni componenti della prima formazione dei Giovani Titani hanno modo di reincontrarsi e iniziano a ricordare di aver vissuto delle avventure insieme. Da una parte Nightwing, Donna Troy e Tempest si alleano dopo aver ritrovato il loro vecchio covo, dall'altro Speedy, Gnaark, Falco & Colomba scoprono la responsabile delle loro perdite di memoria.
Una loro vecchia compagna di squadra che ha agito per un bene superiore e impedire a un demone di invadere il piano terrestre. Un demone che ora sta per tornare.
In retrospettiva, possiamo considerare questa miniserie come il primo passo verso la "ricostruzione" del DC Universe, culminata infine in Doomsday Clock. Si cerca di recuperare quello spirito originario andato perduto per (legittime) nuove soluzioni narrative. Anche la scelta del nemico, una versione aggiornata di una delle prime minacce affrontate dal gruppo, va verso quella direzione.
Pur essendoci la possibilità e la tentazione di dare spazio agli eroi più celebri, Dan Abnett compie un buon lavoro dando a ognuno dei (non pochi) protagonisti di questa storia - alla fine saranno dieci - il suo giusto ruolo, non mettendo nessuno nelle retrovie.
Non è una storia che si affida molto ai dilemmi interiori degli eroi, anzi, è praticamente tutta incentrata sull'azione e i colpi di scena, rivolgendosi a un certo tipo di pubblico che vuole un ripristino dello status quo. E viene accontentato.
In definitiva, i Titani (i lettori) si riappropriano delle loro vere identità (le storie passate) e dei vecchi legami (i ricordi che ognuno di noi può avere in merito ai vecchi albi e a quelli che ha apprezzato di più). Il tutto sacrificando magari qualche necessario approfondimento, ma l'obiettivo viene infine raggiunto.
Rimane un solo Giovane Titano fuori dai giochi in questa storia: Wally West. Ma per lui gli sviluppi si vedranno a partire da Universo DC: Rinascita.

martedì 22 marzo 2022

Netflix Original 34: Sandy Wexler


In questi ultimi anni, Adam Sandler ha stretto un sodalizio con Netflix, per la quale - tramite la sua società Happy Madison Productions - ha girato alcune pellicole, sin dal 2015 con The Ridicolous 6.
La carriera dell'attore, tuttavia, è iniziata un paio di decenni prima, esplodendo proprio negli anni '90 del ventesimo secolo con film quali Waterboy o Big Daddy. Per Adam Sandler una sorta di decennio magico, nonché lo sfondo del film Sandy Wexler, diretto da Steven Brill, scritto da Dan Bulla, Paul Sado e dallo stesso Sandler e distribuito su Netflix a partire dal 14 aprile 2017.
La storia si svolge a Los Angeles, tra il 1994 e il 1996, con un epilogo nel presente. Il Sandy Wexler del titolo (Adam Sandler) è un manager di piccole star, perlopiù poco significativi artisti circensi o teatrali, ma a cui è affezionato come se fossero una famiglia. Per questo loro non fanno troppo caso ai suoi tic, quali una parlata insolita e una risata sguaiata.
Un giorno, Sandy Wexler incontra una giovane cantante di nome Courtney Clarke (Jennifer Hudson) e, notandone il potenziale, ne diventa l'agente riuscendo a farle produrre un disco. L'insperata celebrità di lei erigerà però un muro tra i due, rischiando di distruggere la loro amicizia.
Questa sorta di remake moderno, comico, e non dichiarato, di È Nata una Stella, risulta da parte di Adam Sandler una sorta di (ir)riverente omaggio al suo manager degli anni '90, Sandy Wernick, che lanciò la sua carriera e di cui imita movenze e peculiarità.
Sandler non rinuncia alle consuete gag fuori dagli schemi, surreali e che rischiano di divenire ripetitive, ma diversamente dallo stile di altre pellicole a cui ci ha abituato, Sandy Wexler è anche venata di malinconia. Se non addirittura di tristezza.
Sì, perché il film rappresenta anche uno sguardo (nostalgico?) a un mondo dello spettacolo che non esiste più. Quel mondo dello spettacolo precedente ai social, a Youtube e ai divi provenienti dai reality show.
Di certo, un mondo più artigianale, in cui anche figure come Sandy Wernick potevano emergere e far emergere star, quali Adam Sandler, che altrimenti avrebbero avuto difficoltà a imporsi. Quello stesso mondo che oggi non vede di buon occhio figure simili, celebrando invece divi che rischiano di scomparire da un momento all'altro e imponendo produzioni con costi che rischiano di minare la creatività.
In tal senso, la scena finale dove sono presenti tutti i presunti assistiti di Sandy Wexler quali Weird Al Jankovic, Henry Winkler, Chris Rock e molti altri - in realtà amici di Adam Sandler ben volenterosi di fare un cameo nella parte di loro stessi - è l'emblema e l'incarnazione di quel periodo. La malinconia lascia allora il posto alla celebrazione.
E alla gioia per essere stati parte attiva di quel decennio. E anche se molti film saranno dimenticati o non celebrati, almeno chi vi ha partecipato ha ricevuto gioia e divertimento nelle proprie vite, grazie anche a persone come Sandy Wernick/Wexler.

lunedì 21 marzo 2022

Fabolous Stack of Comics: Godzilla - Cataclisma


I film (e i fumetti) di Godzilla sono caratterizzati da considerevoli scene di distruzione ai danni di Tokyo e altre grandi città (ne sanno qualcosa i protagonisti di Giganti e Gangster). Ma, essendo questi danni cinematografici, per così dire, le macerie che ne derivano vengono rapidamente portate via e nuovi edifici sorgono laddove prima c'era solo il nulla. Sempre o... quasi sempre.
A volte, infatti, può accadere che il disastro invece sia totale e irreparabile, dando così vita a uno scenario post-apocalittico. Come quello che si può trovare nella miniserie di cinque numeri, pubblicata nel 2014, Cataclisma (Cataclysm), scritta da Cullen Bunn e disegnata da Dave Wachter.
A seguito di un non meglio precisato evento catastrofico, le grandi metropoli sono scomparse e con esse la vegetazione e ora l'umanità vive in delle baraccopoli. E sono scomparsi anche i mostri che devastavano in passato quelle metropoli, compreso il loro re Godzilla, come fossero svaniti nel nulla.
Ma le cose sono destinate a cambiare quando due giovani di nome Shiori e Arata si imbattono in quella che sembra essere una pianta senziente, che si rivela essere Biollante. Col suo ritorno, ricompaiono sulla scena anche Godzilla e gli altri mostri, pronti a dare nuovamente battaglia contro l'umanità.
Una battaglia sulle cui motivazioni l'anziano nonno di Shiori e Arata potrebbe sapere qualcosa, poiché è uno dei pochi umani ancora in vita che ricorda benissimo cosa ha causato l'evento catastrofico e la scomparsa dei mostri. E chi ne è stato la causa.
Cullen Bunn dimostra che una storia con protagonista Godzilla può benissimo ambientarsi in scenari diversi da quelli consueti, come in un certo senso si è visto anche in un'altra miniserie, Oblio. Lo scenario post-distruzione qui presente in sé non è nulla di originale, si è già visto molte altre volte, quello che conta è come si sia arrivati ad esso.
In tal senso lo sceneggiatore non manca di sottolineare - con quel giusto pizzico di retorica - come l'animale più pericoloso per la natura e la Terra non sia Godzilla o gli altri mostri, bensì l'essere umano, anche quando motivato da buone intenzioni. Quindi i veri "cattivi" risultano essere le persone appartenenti alle vecchie generazioni, che hanno depredato le risorse naturali del pianeta fino a consumarlo.
E quando Godzilla ha reagito, in una sorta di legittima difesa, l'essere umano è riuscito a fare solo ciò che gli riusciva meglio, in apparenza: distruggere. Distruggere tutto.
Non vi è comunque un messaggio del tutto negativo, dopotutto questa è un'opera mainstream. Chi deve riscattarsi a tutti i costi in questa storia, lo fa, e chi deve compiere un processo di maturazione lo compie. Il tutto portato avanti e realizzato con gli schemi consueti di questo tipo di prodotti, ma almeno fatto bene.
Come nelle due precedenti miniserie dedicate a Godzilla, si tratta di una lettura veloce e agevole. Di quelle che a volte servono per essere rassicurati, prima di riaffacciarsi al mondo esterno. Ancora con tutti gli edifici al loro posto.

domenica 20 marzo 2022

A scuola di cinema: I Predatori dell'Arca Perduta (1981)

1973: Dopo aver completato le riprese di American Graffiti, George Lucas ha in mente due nuovi progetti da portare avanti. Il primo è una space opera che in principio doveva essere un rifacimento moderno dei serial di Flash Gordon degli anni '30 del ventesimo secolo, ma su cui non è riuscito a ottenere i diritti. Tale space opera diverrà pochi anni dopo Star Wars.
Il secondo è invece qualcosa di non ancora definito, anch'esso un rifacimento moderno dei serial d'avventura - in particolare quelli prodotti dalla Republic Pictures - che venivano proiettati a puntate nei cinema in quello stesso decennio, in special modo negli spettacoli mattutini che Lucas vedeva da bambino. Il regista e produttore vorrebbe ricreare quelle atmosfere nel suo tempo, creando un B movie che possa incontrare i suoi gusti.
Scrive così un breve trattamento intitolato The Adventures of Indiana Smith, dando all'eroe il nome del suo cane. Indiana Smith è un professore universitario che si divide tra le sue esotiche avventure in paesi esteri e le notti nei club con al suo fianco sempre delle belle ragazze dai capelli biondi. Da questa idea nascerà qualche anno dopo la saga di Indiana Jones.


George Lucas continua a sviluppare il progetto incentrato su Star Wars, ma due anni dopo, nel 1975, ha un incontro col regista e sceneggiatore Philip Kaufman durante il quale parlano di The Adventures of Indiana Smith.
I due lavorano al trattamento per circa due settimane, eliminando l'ambientazione del nightclub e le ragazze bionde. Kaufman suggerisce inoltre di collocare la storia nel 1936 e far sì che l'eroe sia contattato dal Governo Americano per recuperare l'Arca dell'Alleanza, contesa coi nazisti. L'idea dell'Arca viene a Kaufman dalle storie che, quando era un bambino, gli raccontava il suo dentista, il quale gli rivelò anche l'interesse dei nazisti per i manufatti mistici.
Lucas chiede a Kaufman se sia interessato a dirigere il film, ma costui è impegnato con la produzione de Il Texano dagli Occhi di Ghiaccio (The Outlaw Josey Wales) e deve declinare.
Due anni dopo ancora, a seguito della conclusione delle riprese di Star Wars Episodio IV - Una Nuova Speranza (Star Wars Episode IV - A New Hope), George Lucas si reca in vacanza alle Hawaii una settimana prima dell'uscita del film nei cinema, in quanto teme che ci sarà una reazione negativa del pubblico.
Lì si incontra col suo amico Steven Spielberg e, mentre i due si rilassano su una spiaggia costruendo un castello di sabbia, discutono di nuovi, possibili progetti. A Spielberg piacerebbe dirigere un film sulla falsariga di quelli con protagonista James Bond e, in risposta, Lucas gli sottopone il trattamento di Indiana Smith. Spielberg - anche lui un grande appassionato dei serial cinematografici di un tempo - rimane subito intrigato dalle premesse e dall'eroe.
George Lucas, tuttavia, era rimasto in parola con Philip Kaufman e quindi lo ricontatta per chiedergli se sia ancora interessato. Quando capisce che Kaufman non potrà seguire questo progetto, Lucas ricontatta qualche mese dopo Spielberg per proporlo a lui in maniera ufficiale. Dopo essersi assicurato che Lucas non intende essere il regista del film, Spielberg accetta.
Il trattamento va rifinito e ampliato e, per questo, Steven Spielberg suggerisce il nome di uno sceneggiatore che ha conosciuto di recente, di nome Lawrence Kasdan, una cui sceneggiatura intitolata Chiamami Aquila (Continental Divide) è stata di recente acquistata dalla Universal.
Così, a partire dall'inizio del 1978, Lucas, Spielberg e Kasdan si incontrano per nove ore al giorno in un arco temporale tra i tre e i cinque giorni, durante i quali vengono definiti gli elementi portanti della trama, mentre altre idee (quale quella di Spielberg che vorrebbe Indiana dedito all'alcool) vengono messe da parte. In questa sede, il cognome Smith viene scartato in quanto ritenuto poco efficace e sostituito con Jones.
Mentre Steven Spielberg è impegnato con la lavorazione di 1941 - Allarme a Hollywood (1941), Lawrence Kasdan utilizza il suo ufficio per scrivere la prima bozza di sceneggiatura. Lavoro che completa in un arco di circa cinque mesi, consegnando il tutto nell'agosto 1978. Lucas ne rimane impressionato in maniera così favorevole da offrire a Kasdan la revisione della sceneggiatura di L'Impero Colpisce Ancora (The Empire Strikes Back).
Dopodiché, la bozza viene revisionata sia da Lucas che da Spielberg, i quali vi tolgono alcuni elementi narrativi (quale quello sottintendente un sottotesto amoroso tra Marion Ravenwood e René Belloq), in quanto ritenuta troppo lunga. La sceneggiatura viene completata verso la fine del 1979.
Non potendo George Lucas autofinanziare la pellicola per mancanza di adeguati fondi, la sceneggiatura inizia a circolare per le varie case di produzione. Molti dimostrano un concreto interesse, ma Lucas propone condizioni contrattuali ritenute inaccettabili: oltre a questioni di budget, lo studio dovrebbe finanziare per intero la pellicola e avere scarso o nullo apporto creativo sulle scelte di sceneggiatura, mentre Lucas alla fine avrebbe potere unico di decisione su eventuali sequel mantenendo per sé i diritti e riceverebbe la maggior parte del denaro ricavante dal merchandising.
Il presidente della Paramount Pictures, Michael Eisner, è tuttavia determinato a trovare un accordo poiché la sceneggiatura è una delle migliori di sempre capitata tra le sue mani.
Contatta dunque George Lucas e offre una proposta alternativa: diritti esclusivi sui sequel (da concordare comunque con Lucas) e forti penali in caso il film superasse il budget e le tempistiche previste, mentre le altre condizioni sono accettabili. Lucas dice sì solo quando si ritrova di fronte un contratto da firmare dove le condizioni vengono messe nero su bianco.
La Paramount preferirebbe che un altro regista si occupasse del progetto, poiché Steven Spielberg è noto nell'ambiente per aver consegnato film come Lo Squalo (Jaws) e 1941 ben oltre i tempi e il budget previsti. Ma Lucas è irremovibile su questo punto: il film non verrà realizzato senza il suo apporto. Alla fine, Steven Spielberg ottiene un ingaggio di 1 milione di dollari e altrettanto ottiene Lucas nel suo ruolo di produttore esecutivo.
Per far sì che le tempistiche concordate vengano rispettate e il budget rimanga nei limiti, Spielberg fa assumere come produttore Frank Marshall, proveniente da piccole produzioni e in grado di gestire un simile compito.
Per il ruolo del protagonista, George Lucas commissiona a Jim Steranko 4 sketch che possano fungere da riferimento. La sua idea è che Indiana Jones sia interpretato da un attore sconosciuto o poco noto, perché tutta l'attenzione del pubblico sia concentrata sull'eroe, piuttosto che su colui che lo interpreta.
Dopo aver considerato svariati attori, la scelta finale ricade su Tom Selleck. Costui ha partecipato al pilot di un telefilm intitolato Magnum P.I. e, per impegni contrattuali, nel caso venga opzionata una serie televisiva, è obbligato a parteciparvi essendone il protagonista. Tuttavia, il pilot non è ancora stato mandato in onda, la conferma della serie non è ancora arrivata e mancano tre settimane all'inizio delle riprese del film di Indiana Jones.
George Lucas contatta dunque la CBS, produttrice del pilot, e chiede di lasciar scadere l'opzione, che peraltro si sta per esaurire. In risposta, la CBS dà infine il via libera alla serie Magnum P.I. e Selleck deve rinunciare al ruolo di Indiana Jones.
In cerca di una rapida soluzione, Spielberg e il produttore Howard Kazanjian suggeriscono il nome di Harrison Ford. Non è esattamente il volto sconosciuto che Lucas voleva, ma non ci sono altre opzioni praticabili.
L'attore viene subito convocato e, senza troppe esitazioni, decide di accettare la parte dopo aver notato l'entusiasmo per il progetto in Steven Spielberg mentre i due giocano a flipper e ai videogiochi. Harrison Ford non ha inoltre problemi a concordare un'opzione contrattuale che lo vincola a girare due eventuali sequel.
Prima di accettare, però, ottiene la possibilità che i dialoghi che coinvolgono il suo personaggio siano da lui stesso supervisionati e, se richiesto, riscritti, in quanto sia questo script che quello di L'Impero Colpisce Ancora condividono lo stesso sceneggiatore e Ford vede Han Solo e Indiana Jones come due personaggi dalla personalità differente.
Per prepararsi alla parte, oltre a sottoporsi a un rigido allenamento per potenziare il suo fisico, Harrison Ford si fa insegnare dallo stuntman Glenn Randall come maneggiare al meglio una frusta. Nonostante il poco tempo a sua disposizione, l'attore diviene abbastanza abile nell'utilizzare l'arma prima che inizino le riprese.
Per il ruolo di Marion Ravenwood, Spielberg suggerisce il nome di Amy Irving, sua compagna dell'epoca, ma avendo altri impegni ci si rivolge a Debra Winger, che però non si dimostra interessata. La parte viene infine affidata a Karen Allen, che convince il regista durante la sua audizione.
Per il ruolo di René Belloq, esso sembra appannaggio di Giancarlo Giannini, che arriva a un passo dalla firma, prima che venga dato a Paul Freeman.
Per il ruolo di Arnold Toth, viene contattato Klaus Kinski, ma costui rifiuta per partecipare alle riprese di Venom, per il semplice motivo che per quest'ultimo film gli è stato promesso un ingaggio migliore. La parte viene allora affidata a Ronald Lacey, un attore inglese che a Spielberg ricorda molto Peter Lorre.
La parte di Sallah viene offerta a Danny DeVito, ma il suo agente richiede un ingaggio ritenuto troppo alto e viene così scelto John Rhys-Davies.
Le riprese iniziano in via ufficiale il 23 giugno 1980, iniziando dalla città di La Rochelle, in Francia, per poi trasferirsi una settimana dopo presso gli Elstree Studios di Londra. Qui viene girata la scena riguardante l'idolo del tempio in Sud America, che coincide anche col debutto cinematografico di Alfred Molina nel ruolo di Satipo.
Harrison Ford avanza la prima di molte richieste per cui intende girare di persona anche le scene più pericolose, in questo caso quella in cui deve evitare di essere travolto da una sfera rocciosa (del peso di 136 chili e composta nella realtà da gesso, legno e fibra di vetro). Siccome la scena deve essere ripresa da differenti angolazioni, Ford alla fine evita la trappola per ben dieci volte. A un certo punto inciampa per davvero prima di riprendere a correre e la cosa viene mantenuta per dare più realismo al tutto.
Va un po' peggio a Molina, la cui schiena deve essere ricoperta di tarantule. In principio rimangono tutte immobili, fino a quando ci si accorge che sono tutte di sesso maschile. Quando viene aggiunta una femmina, iniziano infine a muoversi.
Sempre negli Studios viene realizzata la scena del Pozzo delle Anime, con tanto di serpenti. In principio ne sono disponibili circa duemila, ma Spielberg ne richiede almeno altri quattromila. Alla fine sono più o meno settemila. Molti di questi, come i pitoni, non sono velenosi, altri come i cobra sì. I serpenti velenosi vengono dunque posti dietro una lastra di vetro per proteggere gli attori e la troupe.
Prima però che la scena sia girata, vi sono alcuni problemi che ritardano l'inizio delle riprese. In primo luogo il siero anti-veleno che non è presente sul set a causa di un disguido. Successivamente, il sopraggiungere sul set di Vivian Kubrick - figlia di Stanley Kubrick, che in quegli stessi studi ha girato Shining - la quale si lamenta di come i serpenti vengano trattati, con alcuni di essi schiacciati sotto i piedi dei componenti della troupe. Nonostante le rassicurazioni di Spielberg, Vivian Kubrick contatta la Protezione Animali e la lavorazione viene fermata per un giorno intero.
Prima che sia dato il ciak, vi è un'ambulanza sempre pronta sul retro dei set, con due uomini pronti a somministrare il siero anti-veleno. A differenza del suo personaggio, Harrison Ford non ha paura dei serpenti e gira le sue scene senza troppi problemi. La stessa cosa non può dirsi per Karen Allen, tanto che ogni volta che vede un serpente avvicinarsi scappa via. Con la conseguenza che la stuntman Wendy Leach gira la maggior parte delle scene. Ma, per quelle più pericolose, a interpretare Marion Ravenwood (o meglio, le sue gambe) è in realtà lo scenografo Steve Edge, che si rasa per l'occasione.
Durante la ripresa, un piccolo pitone morde una mano dell'assistente regista David Tomblin e non molla la presa. Senza perdere la calma, Tomblin chiede a un assistente di afferrare il serpente per la coda e scuoterla. Così facendo, il pitone abbandona infine la presa e non rimane ferito, mentre Tomblin può essere oggetto di cure mediche.
Concluse le riprese presso gli Elstree Studios, ci si trasferisce in Tunisia. Paese notoriamente con alte temperature, ancor di più in estate (certe volte vengono superati i 50 gradi). George Lucas ne ricava una grave scottatura e il suo viso per qualche giorno rimane gonfio.
A complicare in maniera ulteriore le cose, vi è il fatto che circa 150 componenti della troupe e del cast contraggano una forma di dissenteria causata dal cibo e dall'acqua del posto. Uno dei pochi a scampare a questo è Steven Spielberg che - avendo sentito di altre persone sentitesi male durante le riprese di L'Impero Colpisce Ancora - si fa importare cibo in scatola e acqua proveniente dall'Inghilterra. La dissenteria colpisce così tanti stuntmen che a un certo punto persino Frank Marshall deve fare un cameo, nel ruolo di un pilota tedesco.
Harrison Ford non è invece stato previdente quanto Spielberg. Tanto che, quando si tratta di girare la scena del confronto con lo spadaccino (interpretato dallo stuntman Terry Richards, che si è allenato per settimane solo per questo), invece della lunga battaglia con la frusta prevista nella sceneggiatura, l'attore - ancora coi postumi della dissenteria e sotto un sole cocente - ottiene da Spielberg il permesso, usando la pistola per uccidere il suo avversario, di accorciare la scena, che diviene così involontariamente iconica.
Al contempo, Harrison Ford continua a voler girare il maggior numero di scene possibili senza uso della controfigura, anche se in alcuni casi ne ricava delle lievi ferite.
L'episodio più grave si verifica durante le riprese della lotta tra lui e un poderoso soldato tedesco (interpretato da Pat Roach) vicino a un aereo in moto: Ford viene colpito dal carrello di atterraggio del mezzo, ricavandone una ferita al crociato anteriore del ginocchio sinistro. Per fortuna, però, l'osso non viene intaccato. L'attore decide di non recarsi in un ospedale del luogo e continua a lavorare con del ghiaccio secco avvolto attorno al ginocchio ferito.
Per far sì che la scimmia mimi il saluto alla "Heil Hitler", vengono piazzati dei grappoli d'uva su una canna da pesca posta appena poco fuori dall'inquadratura, esortando la scimmia ad afferrarli. Occorrono 50 ciak prima che la ripresa sia ritenuta accettabile.
Le ultime scene vengono girate alle Hawaii e in California. Le riprese si concludono alla fine di settembre del 1980, dopo 73 giorni di lavorazione.
Un primo montaggio ad opera di Steven Spielberg dura tre ore, accorciato poi da Michael Kahn e George Lucas a poco meno di due ore. Marcia Lucas, moglie di George Lucas, fa però notare come non vi sia una vera e propria conclusione della storia tra Indiana Jones e Marion Ravenwood e così viene girata un'ultima scena risolutiva a San Francisco.
La colonna sonora viene composta da John Williams, inclusa anche la celebre The Raiders March.
I Predatori dell'Arca Perduta (Raiders of the Lost Ark) viene distribuito nei cinema americani a partire dal 12 giugno 1981. A fronte di un budget di 20 milioni di dollari, la pellicola arriva infine a incassare a livello internazionale 390 milioni di dollari. Ottiene anche undici nomination al Premio Oscar, tra cui quello come Miglior Film e Miglior Regia.
Uno strepitoso successo che dà vita a un nuovo, grande eroe cinematografico. E che pochi anni dopo diviene protagonista di un sequel... ma questa è un'altra storia.

sabato 19 marzo 2022

A scuola di cinema: Suspiria (1977)

1845: Viene pubblicato il saggio Suspiria De Profundis, di Thomas De Quincey. Basato in parte su esperienze personali dello scrittore, vi descrive nelle sue pagine - tra le altre cose - un sogno da lui fatto e che descrive l'incontro con la dea Levana, protettrice dei neonati, e le sue tre compagne, le Madri del Dolore.
Costoro sono Mater Sospiriorum (Madre dei Sospiri), Mater Lacrimarum (Madre delle Lacrime) e infine la più spietata, Mater Tenebrarum (Madre delle Tenebre).
Questo concetto onirico viene poi ampliato e approfondito in una nuova trilogia ideata da Dario Argento.


Dopo La Trilogia degli Animali e Profondo Rosso, Dario Argento intende allontanarsi dalle tematiche del giallo e del mystery che hanno sancito l'inizio della sua carriera per perseguire nuove strade. In cerca di ispirazione, il regista intraprende un viaggio lungo alcune città europee caratterizzate da un background storico ed esoterico, quali Torino, Lione e Praga, consultando testi mistici e visitando luoghi ritenuti magici.
Per recarsi infine in Svizzera, a visitare la Scuola di Waldorf voluta da Rudolf Steiner. Durante questo viaggio, Dario Argento rimane affascinato dalla figura delle streghe e decide dunque di raccontare una storia di stregoneria moderna, con streghe forti e inserite nel nuovo tessuto sociale.
Il regista inizia dunque a scrivere su questo una sceneggiatura, potendo contare anche sull'apporto di Daria Nicolodi, la quale vi aggiunge alcuni elementi derivanti dalle fiabe classiche dei Fratelli Grimm, che le aveva raccontato sua nonna. Per la principale ispirazione, Biancaneve e i Sette Nani, Dario Argento chiede al direttore della fotografia Luciano Tovoli di rifarsi al lungometraggio della Walt Disney e ai colori lì adottati.
Un'altra, originale, influenza che si riflette nella scena finale arriva da un sogno fatto da Daria Nicolodi, in cui si era ritrovata in una stanza insieme a una strega e a una pantera nera che esplodeva all'improvviso.
Nonostante questo suo fondamentale apporto, l'attrice non viene premiata con una parte rilevante nell'opera, non è chiaro se a causa di un infortunio o per volere dei finanziatori esteri (cosa che apparirebbe strana, visto che attrici e attori italiani con parti importanti sono presenti).
In principio, le ragazze della scuola di danza sono delle undicenni/dodicenni, ma il padre del regista - Salvatore Argento - si oppone in maniera netta a questa scelta, poiché coinvolgere delle bambine in scene con una forte carica di violenza farebbe sì che il film non venisse praticamente distribuito in alcuna nazione.
Dario Argento rende dunque le protagoniste delle ventenni, ma i dialoghi non vengono alterati più di tanto, lasciando dunque anche qualche scambio di natura infantile tra le ragazze. Un altro piccolo trucco utilizzato è quello di piazzare le maniglie delle porte all'altezza delle teste delle giovani attrici, di modo tale che debbano alzare le loro mani per aprirle.
Per il ruolo di Suzy Bannion, la scelta di Dario Argento ricade su Jessica Harper, che ha ammirato in Il Fantasma del Palcoscenico (Phantom of the Paradise) di Brian De Palma, e di cui rimane colpito dai suoi grandi occhi.
Per il ruolo di Madame Blanc, Dario Argento sceglie Joan Bennett, in una sorta di voluto omaggio al cinema di Fritz Lang, uno dei suoi registi preferiti. L'attrice, in principio esitante ad accettare per via del contenuto particolarmente violento della pellicola, viene infine convinta dal suo compagno David Wilde, il quale ha apprezzato L'Uccello dalle Piume di Cristallo. Questa pellicola è l'ultima a cui Joan Bennett abbia partecipato.
Non è mai stato reso noto il nome dell'anziana attrice che interpreta Helena Markos, alias Mater Suspiriorum. Essa viene trovata dalla produzione in un ospizio di Roma, poiché ogni tentativo di invecchiamento tramite trucco non è stato ritenuto soddisfacente, dunque si è andati in cerca di una persona dai tratti anziani e rugosi che potesse interpretare la strega, trovandola infine in questa signora ultranovantenne (anche se la voce del personaggio appartiene a Daria Nicolodi).
Le riprese iniziano in via ufficiale il 26 luglio 1976, tenendosi a Monaco, Torino e Roma. Essendo un film pensato per il mercato internazionale, da doppiare dunque in post-produzione aggiungendo gli effetti sonori, le voci non vengono quasi mai registrate e ai vari attori viene concesso di parlare nella loro lingua madre, che sia italiano, inglese o tedesco, creando così una curiosa Babele che confonde in particolar modo Jessica Harper.
E può anche capitare che, mentre gli attori stanno recitando, possano sentire in sottofondo dei lavori che si svolgono presso un altro set, con tanto di martelli all'opera.
Curiosi incidenti si verificano durante la lavorazione, come ad esempio orologi che si fermano all'improvviso o telecamere che smettono di funzionare.
Una potenziale, grande tragedia viene evitata quando Dario Argento, Luciano Tovoli e il produttore Lucio Trentini stanno ispezionando una possibile location per una ripresa. Poco dopo, tuttavia, Trentini nota un salone della Mercedes ed esorta il regista e il direttore della fotografia ad andare a dargli un'occhiata. Subito dopo, una bomba piazzata dalla R.A.F. (Rote Armee Fraktion) esplode nel punto in cui prima si trovavano i tre, che scampano per pura casualità a quest'attentato.
Per ricreare la scena della pioggia di larve, la troupe utilizza dei chicchi di riso, lanciandole dal soffitto verso le attrici.
Per la scena della morte di Sarah, interpretata da Stefania Casini, in cui precipita in un campo di filo spinato, l'attrice deve entrare in una stanza dove è presente un groviglio di fil di ferro. Non avendo ricevuto precise istruzioni su come fare, Stefania Casini si butta, ma rimane impigliata nel fil di ferro e occorrono delle cesoie per liberarla dalla sua insolita prigionia. Come conseguenza, ne ottiene anche lividi ed escoriazioni lungo il corpo.
Le riprese si concludono il 30 novembre 1976.
Suspiria viene distribuito nei cinema italiani a partire dal 1 febbraio 1977. La pellicola arriva infine a incassare sul territorio italiano quasi un miliardo e mezzo di lire, senza contare gli incassi internazionali. Diviene anche oggetto di un remake nel 2018, diretto da Luca Guadagnino.
Terminato dunque il primo capitolo della Trilogia delle Tre Madri, il secondo esce tre anni dopo ed è intitolato Inferno... ma questa è un'altra storia.

venerdì 18 marzo 2022

Netflix Original 33: Tutto o Niente


Anche il gioco d'azzardo, nelle sue varie declinazioni, è stato spesso oggetto di attenzione da parte del cinema. Non c'è mai stato un approccio univoco a questo delicato tema: a volte si sono utilizzati toni drammatici, come in Lo Spaccone (The Hustler) o Casinò di Martin Scorsese, ma non sono mancati approcci da commedia pura, come ad esempio nel nostrano Febbre da Cavallo.
E spesso il focus della pellicola si è concentrato non tanto sul gioco in sé, ma sul giocatore d'azzardo, sui suoi particolari demoni e il modo in cui li affronta. Come accade, utilizzando sia toni drammatici che da commedia, in Tutto o Niente (Win It All), diretto da Joe Swanberg, sceneggiato dallo stesso Swanberg e da Jake Johnson e distribuito su Netflix a partire dal 7 aprile 2017.
Eddie Garrett (Jake Johnson) è un giocatore d'azzardo incallito senza un lavoro fisso e che passa la maggior parte del proprio tempo in bar e locali coi suoi amici. Un giorno, un criminale gli affida - dietro un lauto compenso - un incarico semplice: conservare una borsa in casa sua, all'unica condizione di non aprirla mai.
Eddie, tuttavia, non resiste alla curiosità e quando apre la borsa vi trova dentro una ingente somma di denaro. E per un giocatore incallito come lui, questa può rappresentare la via verso la perdizione, che arriva nel momento peggiore quando sembra che abbia trovato la donna della sua vita, Eva (Aislinn Derbez).
Come in altri film del passato, non si va molto nel dettaglio in merito al gioco d'azzardo. Eddie Garrett perlopiù gioca a carte, ma in ultima analisi questo non è importante, potrebbe essere anche altro: il gioco è  in realtà il punto di partenza per analizzare un uomo che arriva, per sua stessa ammissione, al punto più basso della propria vita per poi provare a risalire, ritrovando lungo il percorso il rispetto da parte della sua famiglia - che gli offre un lavoro stabile - e l'amore di una donna.
Questa analisi, però, viene portata avanti non in maniera del tutto drammatica, ma introducendo lungo la via anche alcune scene comiche. Cosa che paradossalmente rende il tutto più credibile: anche in un momento difficile della nostra vita, difficilmente smettiamo di ridere del tutto, anzi, cerchiamo proprio un attimo di sollievo a tutti i costi.
L'epilogo non può che vedere il protagonista affrontare un'ultima volta i propri demoni interiori ed uscirne vincitore. Rinato e pronto a intraprendere una nuova vita, grazie sia alla sua forza di volontà che alla vicinanza delle persone a lui care.
Un azzardo ben giocato.

giovedì 17 marzo 2022

Fabolous Stack of Comics: Avengers - Standoff


Un tema ricorrente in quelle che sono le dinamiche dei racconti aventi come protagonisti supereroi e supercriminali è quello che riguarda le cosiddette superprigioni (appunto). Negli anni si sono viste molte di queste strutture, sia nel Marvel Universe che nel DC Universe: la Volta, Arkham Asylum, il Raft... solo per citarne alcune.
Eppure, se chiedete un parere a uno sceneggiatore come Kurt Busiek, vi dirà che questa è un'idea narrativa fiacca. Il motivo è presto detto: le superprigioni, in quanto tali, vengono presentate come in possesso dei più alti livelli di sicurezza e da esse è praticamente impossibile fuggire.
Solo che poi c'è necessità di raccontare nuove storie e quindi i supercriminali troveranno il modo di uscire da quelle superprigioni a prova di evasione più e più volte, fino a farle divenire come una prigione qualsiasi... e allora perché sono state costruite sperperando denaro pubblico?
Ecco, questa è una di quelle sospensioni di incredulità che più il lettore deve accettare e fare propria, per non farsi troppi patemi d'animo durante quella che rimane comunque una lettura spensierata.
Una particolare superprigione è presente anche nella miniserie di tre numeri, pubblicata nel 2016, Avengers: Standoff, scritta da Nick Spencer e disegnata da Mark Bagley, Jesus Saiz e Daniel Acuña.
All'apparenza, Pleasant Hill è una città come tante altre: vicini amorevoli, negozi con proprietari gentili e disponibili, una radio locale, campi verdi e villette che sembrano uscite fuori da un telefilm. Sembra un piccolo paradiso per uno sconosciuto che si risveglia all'improvviso in questa città, senza alcuna memoria del suo passato.
Nominato Jim dagli abitanti di Pleasant Hill, l'uomo cerca di integrarsi nel tessuto cittadino, ma avverte che qualcosa non va. E ci sono altri che, come lui, hanno intuito che dietro la facciata di Pleasant Hill si nasconde una sinistra verità. Gestita da qualcuno di impensabile. E qual è il ruolo degli Avengers in tutto questo?
Questa miniserie è la prima parte di un particolare dittico in cui Nick Spencer analizza quelli che possono essere gli abusi legalizzati del potere esecutivo, la cui seconda parte è Secret Empire. Abusi mascherati da atti dovuti, quale in questo caso il contenimento dei soggetti ritenuti più pericolosi.
Lo SHIELD, in una sorta di riflesso della CIA e dell'esercito americano e dei casi di tortura susseguiti agli attacchi dell'11 settembre 2001, decide infatti di cancellare le identità dei supercriminali effettuando loro un, in apparenza indolore, lavaggio del cervello tramite un Cubo Cosmico senziente (tranquilli, è stato fatto anche meglio di così, tipo creare un intero pianeta con frammenti di altri mondi).
Ma questa soluzione, oltre a rivelarsi contro la legge, dimostra anche ben presto la sua inefficacia. Spencer, utilizzando le parole di Maria Hill, sembra quasi fare satira sul concetto narrativo di superprigione, spiegando che per quanto possa essere ritenuta sicura la prigione, essa non si rivelerà mai efficace.
Ecco dunque che coloro che incarnano l'ordine (ovvero gli Avengers) devono intervenire per fermare un doppio tipo di caos. Da un lato la vendetta dei supercriminali (ordinaria amministrazione per loro), dall'altro la metodologia dello SHIELD dopo la scomparsa dell'originale Nick Fury, con la difficoltà in questo caso che la faccenda non si può risolvere coi pugni e va utilizzato un approccio diverso.
Ma siccome nel mondo dei supereroi ogni scelta ha delle conseguenze... quella adottata in quest'occasione non rappresenterà un'eccezione.
Pur essendo una miniserie intitolata agli Avengers, Spencer fa sì che i veri protagonisti - per motivi che saranno ovvi in un secondo momento - siano coloro che hanno adottato l'identità di Capitan America (ovvero Steve Rogers, Sam Wilson, Bucky Barnes).
Complice inoltre la presenza di Mark Bagley alla parte grafica, c'è l'incredibile ritorno della formazione originaria dei Thunderbolts capitanati dal Barone Zemo che, in ultima analisi, risulteranno molto più leali nei confronti degli eroi rispetto allo SHIELD. Almeno loro sono un male che si conosce.

mercoledì 16 marzo 2022

Prime Video Original 9: Il Ricevitore è la Spia


Davvero insolita e particolare la vita di Morris "Moe" Berg. Laureato con lode all'Università di Princeton, è in grado di parlare sette lingue (senza considerare l'inglese) quando inizia a giocare nella Major League di Baseball statunitense, perlopiù nel ruolo di Ricevitore, distinguendosi anche per la sua cultura generale e la quotidiana lettura di molti giornali.
Poco dopo che la sua carriera sportiva si è conclusa, gli Stati Uniti entrano in guerra a seguito dell'attacco di Pearl Harbor del 1941. Moe Berg diventa allora agente dell'Office Strategic Services (OSS), venendo impiegato più volte in missioni oltreoceano.
Al termine del secondo conflitto mondiale, Berg lavora per breve tempo per la CIA, prima che i suoi servizi non siano più richiesti e si ritiri perciò a vita privata, sino alla sua scomparsa avvenuta nel 1972.
La sua si è davvero rivelata un'esistenza fuori dagli schemi prestabiliti e di cui, causa segreti di stato e informazioni mai rivelate, non potremo mai sapere tutto. Un libro su di lui pubblicato nel 1994, intitolato The Catcher Was a Spy: The Mysterious Life of Moe Berg e scritto da Nicholas Dawidoff, cerca di fare un po' di luce su questo mistero e diviene anche oggetto di un adattamento cinematografico nel 2018, tramite una sceneggiatura di Robert Rodat e la regia di Ben Lewin.
In questo film, Il Ricevitore è la Spia (The Catcher Was a Spy), Moe Berg ha le fattezze di Paul Rudd. La storia copre il periodo dal 1936 al 1944, dagli ultimi anni come giocatore professionista di Berg sino al suo ingresso nel OSS e la missione - realmente avvenuta - durante la quale ha indagato sulle attività del fisico tedesco Werner Heisenberg (qui interpretato da Mark Strong), per capire se la Germania avesse le conoscenze e le risorse necessarie per sviluppare la bomba atomica.
Notevole anche il cast di "comprimari", termine quanto mai riduttivo in questo caso, che ricoprono i ruoli di vari personaggi storici: Jeff Daniels, Guy Pearce, Paul Giamatti, Tom Wilkinson e anche i nostrani Giancarlo Giannini e Pierfrancesco Favino. Notevole ancor di più se si pensa che questa è alla fine una piccola produzione.
Negli Stati Uniti, il baseball è come il calcio in Italia e gli atleti che vi partecipano sono considerati alla stregua di eroi nazionali. Ora aggiungete a questo il fatto che Moe Berg è stato anche un eroe di guerra, con tanto di riconoscimento ufficiale, e potrete capire il tenore generale del film, che rimane comunque perfettamente godibile anche per uno spettatore che non è a conoscenza della sua storia, tanto affascinante e insolita essa è.
In maniera inevitabile, la trama si prende alcune (svariate?) libertà rispetto alla realtà storica, mettendo anche sul piatto una sorta di confronto finale tra Moe Berg e Werner Heisenberg - col primo che surclassa il secondo sia a livello intellettuale che morale - che non è di certo mai avvenuto nella realtà. Ma come capita sempre con altri film biografici, questo deve essere accettato in partenza e non contestato.
Anche perché ci piace comunque pensare che alla fine i due siano riusciti a incontrarsi e a parlare tra loro, scoprendo di avere più punti in comune di quanto entrambi non immaginassero.