martedì 30 novembre 2021

Fabolous Stack of Comics: L'Ascesa di Apocalisse


En Sabah Nur. Apocalisse. Il primo mutante della storia e anche il più letale. Creato da Louise Simonson e Jackson Guice, per qualche tempo il suo passato (e il suo futuro) sono rimasti avvolti nel mistero, fino a quando alcune storie hanno cominciato a fare luce su questo aspetto.
E quella che va più indietro nel tempo, quella che racconta le origini del personaggio, è la miniserie di quattro numeri L'Ascesa di Apocalisse (Rise of Apocalypse), pubblicata tra il 1996 e il 1997, scritta da Terry Kavanagh e James Felder e disegnata da Adam Pollina.
Antico Egitto, 5.000 anni fa: un neonato abbandonato per via della sua pigmentazione e ritenuto un mostro, viene ritrovato da un banda di predoni capeggiata da Baal, il quale intravede nel bambino un futuro grande condottiero e lo prende così sotto la sua ala protettiva, insegnandogli nel corso degli anni tecniche di combattimento e l'ideologia della sopravvivenza del più forte.
L'Egitto è dominato in quell'epoca dal faraone Rama-Tut, alias Kang il Conquistatore, che dunque sa benissimo chi sia En Sabah Nur e cosa diventerà in futuro e intende averlo al suo fianco per i suoi piani di conquista. Con la morte di Baal causata da uno dei generali di Rama-Tut, Ozymandias, tuttavia, En Sabah Nur si imbarca in un percorso di vendetta destinato a plasmarlo nella minaccia mutante dei prossimi secoli.
Questa miniserie rappresenta un tassello importante del Marvel Universe, per ovvi motivi, ma di per sé offre la figura del villain che diventa tale poiché pian piano viene privato di ogni possibile contatto con l'umanità. I genitori che lo abbandonano, la perdita del suo mentore, la sua amata che lo ripudia: tutti elementi correlati al concetto di umanità e che Apocalisse scopre di non poter possedere a causa della sua natura, del suo essere considerato un reietto.
Bravo anche Adam Pollina a rendere la transizione di En Sabah Nur, che nei primi capitoli ha un aspetto umano, ma come progredisce la storia muta fino a divenire l'Apocalisse che tutti conosciamo, a ulteriore dimostrazione di come si sia allontanato da ciò che era in principio.
La miniserie, inoltre, si ricollega in modo intelligente agli eventi di Fantastic Four 19, dove vi è la prima apparizione di Rama-Tut/Kang, raccontando dunque alcuni fatti che accadono dietro le quinte della storia concepita da Stan Lee e Jack Kirby.
Insomma, questa storia delle origini di En Sabah Nur non offrirà particolari vette narrative, ma almeno offre un quadro ampio di come questo personaggio abbia iniziato a essere la minaccia che un giorno, su X-Factor 5, avrebbe sollevato il suo pugno in aria ed esclamato:"Così giura Apocalisse!".

domenica 28 novembre 2021

Libri a Caso: Il Canotto Insanguinato


Giunge la terza indagine per il Commissario Carlo De Vincenzi. O almeno così sembra. Augusto De Angelis, l'ideatore del personaggio, nel 1936 vede pubblicati infatti ben sei romanzi che vedono protagonista De Vincenzi e, come ogni buon scrittore che si rispetti, gioca un po' con la cronologia degli eventi.
Il Canotto Insanguinato, uno di questi sei romanzi, risulta la terza storia poiché vengono citati solo i due casi precedenti, quello de Il Banchiere Assassinato e l'omicidio del senatore avvenuto in Sei Donne e un Libro.
Aldilà comunque di futili questioni di continuità narrativa, torniamo all'epoca della dittatura fascista di Benito Mussolini. Siamo nel giugno 1930 e nei pressi di Sanremo viene ritrovato un canotto tutto macchiato di rosso sangue. A bordo di quel canotto vi era una giovane donna francese di nome Paulette Garat.
Del probabile omicidio viene accusato il suo amante, il russo Ivan Kiergine, il quale viene ritrovato a Milano e portato al cospetto di De Vincenzi per l'interrogatorio. Ha inizio da questo momento un lungo e intricato gioco di menzogne e segreti nascosti, che porterà il Commissario lontano dall'amata Milano per recarsi infine anche oltre il confine italiano, pur di giungere alla risoluzione del mistero.
Come si nota subito, questo romanzo non segue la scia dei suoi predecessori, poiché l'ambientazione milanese, così caratteristica e sentita dall'autore e dal commissario stesso, viene subito abbandonata in favore di altre località.
De Vincenzi infatti si fa un giro lungo quasi mezza Europa occidentale, arrivando a toccare, oltre Sanremo, anche le città di Nizza e Strasburgo. Il tutto tra hotel a cinque stelle, casinò e imbarcazioni di lusso... mondi distanti da un uomo che vive in un piccolo appartamento, circondato solo da libri e dalle sue riflessioni. Più che un indagine da romanzo giallo, infatti, ben presto la trama prende la piega di una spy-story ante-litteram.
Eppure, De Vincenzi riesce a non farsi sopraffare dal ritrovarsi lontano da casa e in contesti a lui ignoti, riponendo tutta la sua concentrazione sul carpire le necessarie informazioni da questi ambienti e utilizzarli per arrivare a risolvere il mistero dietro l'omicidio della donna, anche se in qualche occasione è più il caso/destino - plasmato dal caos - a guidarlo.
Questo romanzo si segnala inoltre per essere uno dei pochi che getta qualche luce sul passato di De Vincenzi, che scopriamo essere originario della Val d'Ossola e aver vissuto un infanzia felice insieme a sua madre (mentre il padre non viene menzionato).
La peculiare situazione politica italiana dell'epoca si riflette in quest'opera nel fatto che, eccetto gli agenti di polizia, tutti gli altri protagonisti sono stranieri, russi e francesi in particolar modo. Augusto De Angelis, tuttavia, non cade nel facile tranello di dipingerli come inferiori agli italiani, dando a ognuno una motivazione per il proprio agire. E inoltre, se escludiamo De Vincenzi, la cui fallibilità come essere umano è a volte evidenziata, nessuno degli altri italiani presenti spicca in maniera particolare.
Storie di umanità, dunque, non storie su presunte superiorità ideologiche. L'arte vince sempre su coloro che intendono dividere e conquistare.

venerdì 26 novembre 2021

Fabolous Stack of Comics: Savage Dragon - Battesimo del Fuoco


L'anno è il 1992, i celeberrimi "fuggiaschi" della Marvel (tra cui Jim Lee, Marc Silvestri e Todd McFarlane) fondano la Image Comics, pubblicando i primi titoli di successo di questa nuova casa editrice.
Tra questi fondatori vi è anche Erik Larsen, il quale sempre nel 1992 inizia a veder pubblicato il primo titolo incentrato su una sua creazione, Savage Dragon, un riadattamento di un suo precedente personaggio ideato nel 1986.
La prima apparizione di Savage Dragon avviene nella miniserie in tre numeri Battesimo del Fuoco (Baptism of Fire), realizzata da Larsen come autore completo.
Un essere dalla pelle verde e con una pinna in testa viene ritrovato dal tenente della polizia di Chicago Frank Darling in un campo, avvolto da fiamme da cui guarisce rapidamente. Non ha memoria del suo passato o del suo nome e poco dopo, convinto da Darling, entra a far parte del corpo di polizia, poiché ormai le superminacce sono sempre più pericolose e i supereroi del passato non sono più in grado di fronteggiarle, tantomeno gli agenti.
L'essere dal nome ignoto si ribattezza Dragon e inizia a portare legge e ordine a Chicago, ma è chiaro fin da subito che ci sono persone che non vedono di buon occhio questa cosa e faranno di tutto per complicargli la vita.
Questa miniserie introduttiva è un blockbuster d'azione sfrenata sotto forma di avventura a fumetti. Ho letteralmente perso il conto di quante battaglie Savage Dragon affronti in soli tre numeri, si passa da un confronto a un altro senza sosta e in un paio di occasioni si ha il dubbio di aver saltato qualche pagina.
E proprio perché è Erik Larsen a sceneggiare, non perde l'occasione di fare un po' di satira - o umorismo spicciolo, vedete voi - sugli scontri tra i supereroi della Marvel e sulla rivitalizzazione dei personaggi ad opera di John Byrne, notoriamente suo grandissimo amico.
Con queste premesse si potrebbe pensare che in questa storia di approfondimento non ce ne sia affatto, che i vari personaggi siano manichei nei loro atteggiamenti (ci sono i buoni buoni buoni e i cattivi cattivi cattivi)... e diciamo pure che è così.
È comunque interessante far notare come Larsen faccia coincidere l'esordio di Dragon con la sparizione/ritiro dei supereroi del passato, quelli della "Silver Age", dichiarando che non sono più in grado di gestire le minacce del presente. Che può apparire come una metafora della nuova realtà editoriale della Image: i vecchi supereroi di Marvel e DC Comics rappresentano il passato, mentre gli eroi della Image sono quelli più al passo coi tempi.
E sono inseriti nello stesso tessuto sociale cittadino, a contatto con l'uomo comune, almeno nel caso di Savage Dragon, il quale non indossa un colorato costume, bensì la divisa da poliziotto. E, nell'unico momento di riflessione di questa miniserie, Dragon cita il pestaggio di Rodney King - un evento di cui molti giovani, temo, non abbiano mai sentito parlare - e di come siano proprio gli eroi comuni come gli agenti di polizia i primi a dover dare l'esempio.
Retorica spicciola, certo, ma provateci voi a contraddire un colosso verde con una pinna in testa!

mercoledì 24 novembre 2021

Netflix Original 19: Spectral


Dopo il primo, incerto tentativo con ARQ, ritorna la fantascienza su Netflix grazie a Spectral, film diretto da Nic Mathieu, scritto dallo stesso Mathieu insieme a Ian Fried e George Nolfi e distribuito a partire dal 9 dicembre 2016.
Lo scienziato Mark Clyne (James Badge Dale) viene inviato in Moldavia per assistere l'esercito americano, per conto del quale ha ideato degli occhiali speciali. Tramite uno di questi, è stato catturato un insolito evento, l'apparizione di un essere spettrale che ha ucciso un soldato.
Indagando insieme a un'agente della CIA, Fran Madison (Emily Mortimer), e a un team della Delta Force capeggiato dal maggiore Sessions (Max Martini), Clyne scopre un'incredibile verità su un conflitto che sta affliggendo la popolazione del paese e le sue vittime e che può cambiare le carte in tavola nel contesto delle armi militari.
Alla prima visione di questa pellicola, sono rimasto colpito dalla resa delle ambientazioni e degli effetti speciali, di ben altro livello se paragonati a queste prime produzioni Netflix, ma l'arcano è stato presto scoperto.
Spectral è infatti stato girato nel 2014 ed è una produzione della Legendary Pictures (quella degli ultimi film di Godzilla, per intenderci) che doveva essere in origine distribuita nei cinema dalla Universal, la quale però infine vi ha rinunciato, vendendo i diritti della pellicola a Netflix.
Con ogni probabilità sarebbero stati necessari alcuni reshoot che la Universal non voleva fare, per approfondire alcuni personaggi, che invece in questo caso rimangono fissati in caratteristiche sicure e consolidate (lo scienziato con tutte le soluzioni a portata di mano, l'esercito americano invincibile), e del loro background si apprende davvero poco.
La trama è invece fantascienza allo stato puro: prende un elemento classico della narrativa gotica, quali sono gli spettri, inserendolo in un contesto del tutto particolare come quello di un paese in una situazione post-bellica e gli affibbia una spiegazione (fanta)scientifica che apre un interessante scenario narrativo.
La premessa, dunque, per quanto ovviamente poi estremizzata per ragioni narrative e confezionata per un pubblico generalista, ha una solida base scientifica che spingerà i più curiosi a volerne sapere di più.
Nel complesso è un film che segue certe regole classiche e ritmi dei film d'azione, quindi in certi momenti intuirete esattamente cosa sta per accadere, ma questo non costituisce un difetto nel contesto generale.

lunedì 22 novembre 2021

Fabolous Stack of Comics: Doomsday Clock


Nel 1985, il DC Universe viene sconvolto alle fondamenta da Crisi Sulle Terre Infinite, che azzera questo universo narrativo facendolo ripartire da capo. Il motore di questo cambiamento e nuovo inizio è Superman.
Nel 1986, il mondo del fumetto viene sconvolto alle fondamenta da Watchmen, di Alan Moore e Dave Gibbons, che dà vita a una fase di revisionismo dei fumetti di supereroi.
Più di trent'anni dopo, questi due mondi infine si incontrano e si scontrano nella maxiserie di dodici numeri Doomsday Clock, pubblicata dal 2017 al 2019, scritta da Geoff Johns e disegnata da Gary Frank. Questa storia conclude anche il cerchio narrativo della ricostruzione del DC Universe iniziata con Universo DC: Rinascita.
Nell'universo di Watchmen è il 1992 e il piano di Adrian Veidt/Ozymandias per salvare il mondo ma tramite l'uccisione di migliaia di innocenti è stato scoperto. Mentre Ozymandias è ricercato dalle autorità, il conflitto nucleare che lui voleva impedire è ormai imminente.
Come ultima carta, Veidt si trasferisce nel DC Universe insieme a un nuovo Rorschach e a due criminali, Mimo e Marionetta, i quali hanno un collegamento col Dr. Manhattan. E l'ultima carta di Ozymandias è proprio Jon Osterman, il quale si è recato nel DC Universe rimodellandolo, e che è l'unico in grado di fermare l'attacco nucleare.
Il loro arrivo, tuttavia, non passa inosservato in un mondo che sta affrontando crisi politiche e teorie del complotto sui superesseri. Soprattutto Batman e Superman cercano di capirne di più, mentre il mondo attorno a loro rischia di crollare e svanire. Come accadde nel 1985, in un altro universo.
Se Watchmen, pur ambientato in una distopia, era anche un riflesso della situazione politica dell'epoca, con la Guerra Fredda tra Stati Uniti e Russia ormai al capolinea, ma con la presenza anche di una incertezza globale diffusa, Doomsday Clock è uno specchio della situazione sociale di trentacinque anni dopo.
In questa storia vi è ancora quest'incertezza globale, ma presente in un mondo tecnologicamente avanzato. Ecco dunque gente che, sobillata da organi di stampa faziosi o in cerca di click e politici compiacenti che agiscono dietro le quinte, viene indirizzata - alimentata da una rabbia trasmessa per canali virtuali - a compiere atti di violenza senza alcun vero scopo. Generando così la sfiducia verso coloro che compiono il loro dovere fino in fondo (medici, tutori dell'ordine rispettosi della legge che in questo caso sono i supereroi) e proteggono gli innocenti.
Ma quegli stessi sobillatori dimostrano la loro viltà e inettitudine quando situazioni di tensione presenti ma risolvibili se affrontate e comunicate con chiarezza - nel suddetto caso i superesseri al servizio del governo - vengono ingigantite fino a divenire complotti globali e inesistenti. Aumentando dunque ancor di più la sfiducia del cittadino comune che, così manipolato due volte e non avendo più un appiglio morale, giunge infine ad attaccare le cattedrali del potere ormai private del loro significato.
Giusto precisare che l'ultimo capitolo di questa storia è stato pubblicato alla fine del 2019 e, per quanto ci piacerebbe affibbiare doti divinatorie a Geoff Johns, costui ha solo percepito e trasmesso con efficacia su carta alcuni problemi della società americana già presenti verso la fine del mandato di Barack Obama e che si sono ulteriormente aggravati durante la presidenza di Donald Trump (e di cui l'attacco a Capitol Hill del 6 gennaio 2021 rappresenta l'apice di un iceberg di sterco) e in via più generale nel mondo intero durante la pandemia di COVID-19.
Ed è anche questa la bravura di uno sceneggiatore: carpire queste tematiche, affrontarle in un racconto di supereroi traslandoli per il pubblico di riferimento, nella speranza che infine certi messaggi arrivino ai lettori.
Doomsday Clock non è solo questo, però, è anche la celebrazione della storia e del mito del supereroe, a partire dal primo fra tutti, Superman. Un mito così potente e iconico da risultare capace di adattarsi alle diverse ere storiche, ma mantenendo intatta la propria essenza. Come nell'antichità i racconti di dei ed epopee mitologiche sono giunte fino a noi, altrettanto accadrà ai supereroi. Un giorno, in un futuro che speriamo essere lontano, forse i racconti su di loro spariranno, ma la loro memoria collettiva sarà sempre presente. E preservata.
Superman rappresenta dunque il supereroe per eccellenza, il modello inarrivabile, e in quanto inarrivabile colui a cui tutti si ispirano. Qualcuno che non si fa piegare dalle avversità, si rialza sempre e continua a lottare per ciò che è giusto. Si potrebbe pensare che una persona del genere sia fuori contesto nella società attuale che premia la mediocrità e la falsità. E invece una persona del genere è proprio ciò di cui c'è bisogno nel mondo di oggi e in gran quantità.
Straordinaria l'arte di Gary Frank, che si trasforma col progredire della maxiserie. In principio, quando i riflettori sono puntati più sui personaggi e il mondo di Watchmen, omaggia molto Dave Gibbons e la sua griglia a nove tavole, ma mentre la trama diviene più ampia e pone al centro il DC Universe e Superman, Gary Frank inizia ad adottare tavole di più ampio respiro, splash page anche doppie, celebrando così come solo lui sa fare il mito del supereroe.
Si è voluto nel 2011 azzerare il DC Universe col New 52, cercando di reinventare tutti i supereroi in chiave moderna, e alcune cose viste erano buone. Ma la tradizione va sempre preservata: ecco perché il recupero di situazioni e gruppi storici come la JSA e la Legione dei Supereroi diventano benefici e funzionali in questo contesto, consentendo sviluppi narrativi più ampi che vanno a vantaggio di tutti, lettori e sceneggiatori.
E avrete visto che, in tutto questo, non ho minimamente accennato al discorso se valesse la pena andare a intaccare il mito di Watchmen, da un lato perché molti altri più bravi di me lo hanno già fatto, dall'altro perché - come Alan Moore ha ricreato con efficacia i supereroi della Charlton - Johns ha ripreso quel mondo e i suoi personaggi e li ha portati avanti, concludendo l'epopea per alcuni (Ozymandias, Dr. Manhattan) e introducendo nuovi sviluppi come il secondo Rorschach. Perché sì, davvero, nulla finisce e nulla ha mai fine.
Si potrebbe chiosare con retorica (ma è davvero retorica?) che ciò che conta davvero alla fine è leggere una bella storia. Come questa.

sabato 20 novembre 2021

A scuola di cinema: Essi Vivono (1988)

Novembre 1963: Viene pubblicato su The Magazine of Fantasy & Science Fiction un racconto breve intitolato Alle Otto del Mattino (Eight O'Clock in the Morning), scritto da Ray Nelson.
La storia si incentra su un uomo di nome George Nada che, a seguito di una seduta di ipnosi collettiva in un teatro, inizia a vedere alcuni esseri umani sotto una nuova forma, con volti alieni dalle fattezze rettiloidi, che vengono definiti Fascinators. Nada inoltre comincia a veder comparire, in televisione o lungo dei poster per strada, dei messaggi subliminali che lo invitano a ubbidire alle autorità, a sposarsi e a riprodursi e a cui cerca con fatica di sottrarsi.
Quando uno dei Fascinators lo avvisa che morirà per un infarto alle otto del mattino del giorno successivo, George Nada impazzisce e inizia a uccidere delle persone che lui vede come alieni, concludendo il tutto con una strage in una stazione televisiva, prima di morire per il previsto infarto e lasciando il dubbio se il tutto non sia stato solo frutto di una sua allucinazione.
La storia rimane impressa nelle menti dei lettori dell'epoca e, nel 1986, lo stesso Ray Nelson ne sviluppa un adattamento a fumetti, intitolato Nada e realizzato dall'artista Bill Wray, che compare sulla serie Alien Encounters della Eclipse Comics.
E vi è un grande fan di questa storia, che diventerà un regista di successo alcuni anni dopo la sua pubblicazione e ne produrrà un adattamento cinematografico. Il suo nome è John Carpenter.


John Carpenter scopre Eight O'Clock in the Morning grazie all'adattamento a fumetti e, dopo aver letto anche il racconto originario di Ray Nelson, acquisisce i diritti su entrambe le storie, ideando con lo pseudonimo di Frank Armitage (il protagonista di un racconto di H.P. Lovecraft, L'Orrore di Dunwich) una sceneggiatura che combina elementi da entrambe le fonti, introducendo di suo l'idea che gli alieni possano essere visti tramite degli occhiali speciali.
Nelle intenzioni del regista, il film deve essere una satira e allegoria della Presidenza Reagan e l'eccessiva crescita del capitalismo attraverso il mezzo televisivo (non a caso, gli alieni appaiono in bianco e nero attraverso gli occhiali, in contrasto con il mondo colorato proiettato dalla televisione).
Per il ruolo di Nada, Carpenter in principio pensa a Kurt Russell, ma giunge poi alla conclusione che ha già collaborato molte volte con lui in passato e dunque occorre un cambio. Gli viene in mente allora una sua passione di quando era bambino e che ha mantenuto crescendo, quella per il wrestling.
Dopo aver visto la terza edizione di Wrestlemania e incontrato in quella sede sia il wrestler che il suo manager, Carpenter giunge alla conclusione che Roderick George Toombs, alias "Rowdy" Roddy Piper, sia perfetto per la parte, poiché oltre alla sua robustezza ha anche presente sul volto e sul corpo l'aria da uomo vissuto.
Tuttavia Vince McMahon, il CEO della WWF/WWE, non vuole perdere la sua star e gli promette un ingaggio per un altro film con lo stesso salario. Piper rifiuta e abbandona così la WWE.
Questa pellicola rappresenta la prima occasione in cui un wrestler ottiene un ruolo da protagonista, cosa che diverrà poi abbastanza frequente negli anni successivi.
Il ruolo di Frank viene scritto dal regista avendo in mente Keith David, che ha già diretto in La Cosa (The Thing) e che ha molto apprezzato.
Le riprese, della durata di circa otto settimane, si tengono tra il marzo e l'aprile del 1988 nella città di Los Angeles.
Poiché la sceneggiatura prevede la presenza di alcuni senzatetto, Carpenter fa sì che veri homeless di Los Angeles siano assunti e, oltre a una regolare paga come comparse, viene anche offerto loro del cibo.
Durante le riprese, Roddy Piper è inflessibile e non si toglie mai il suo anello di matrimonio, che in certe scene risulta ben visibile, anche se poi non viene data alcuna spiegazione in merito.
La pellicola rimane soprattutto famosa per una lunga sequenza di lotta tra Nada e Frank, che dura quasi sei minuti. In principio viene concepita perché sia breve, tra i venti e i trenta secondi, ma poi Roddy Piper e Keith David, assistiti dallo stuntman Jeff Imada, iniziano a provarla e coreografarla nel cortile dell'ufficio di produzione di John Carpenter.
Le prove vanno avanti per circa tre settimane e i due aggiungono sempre nuove mosse. Carpenter ne rimane così favorevolmente impressionato da decidere infine di lasciarla intatta, senza alcun taglio.
La celebre frase "I have come here to chew bubble gum and kick ass. And I'm all out of bubble gum" (adattata in maniera differente in italiano) è tutta farina del sacco di Roddy Piper, che aveva scritto su un taccuino alcune frasi ad effetto da utilizzare durante i suoi promo come lottatore. Esaminando il taccuino, sia lui che Carpenter concordano che questa frase sia perfetta da utilizzare nel film.
Per risparmiare un po' sui costi di produzione, vengono prese in prestito alcune paia di occhiali utilizzati da Kurt Russell sul set di Grosso Guaio a Chinatown (Big Trouble in Little China) per impiegarli come quelli che rivelano la vera natura degli alieni. Roddy Piper, al termine delle riprese, decide di tenersene un paio per sé. I comunicatori utilizzati dagli alieni, invece, sono i rilevatori di fantasmi impiegati sul set di Ghostbusters, anch'essi noleggiati per l'occasione. 
Essi Vivono (They Live) viene distribuito nei cinema americani a partire dal 4 novembre 1988. A fronte di un budget tra i 3 e i 4 milioni di dollari, la pellicola arriva infine a incassare solo nel territorio statunitense 13 milioni di dollari.
Durante gli anni, il messaggio di fondo del film viene corrotto da altre categorie per i loro scopi o presunti tali. Alcuni gruppi neonazisti e suprematisti bianchi, infatti, lo interpretano come una sorta di metafora degli ebrei che vogliono controllare il mondo, ma John Carpenter in persona interviene, bollando il tutto come una baggianata e spiegando il suo intento originario.
Dopo il successo della pellicola, Roddy Piper ritorna alla WWE, con più carisma e popolarità di prima. John Carpenter invece da quel momento in poi incontrerà alcune difficoltà e i suoi successivi film non avranno più il successo di un tempo... ma questa è un'altra storia.

giovedì 18 novembre 2021

Fabolous Stack of Comics: Batman - Metal


Esisteva ed esiste ancora il Multiverso DC Comics, molto fiorente durante la Silver Age, spazzato via dopo Crisi Sulle Terre Infinite per poi tornare in auge e stabilizzarsi in Multiversity, che sancisce che vi sono altre 52 terre parallele inclusa quella principale, il DC Universe.
Batman: Metal (Dark Nights: Metal), miniserie di sei numeri scritta da Scott Snyder, disegnata da Greg Capullo e pubblicata tra il 2017 e il 2018, amplia questa tematica introducendo nuovi elementi in questo concetto narrativo. Oltre alla miniserie principale e ai due prologhi già trattati in precedenza, vi sono stati anche dei tie-in e un totale di 10 one-shot che hanno fatto da contorno alla saga.
La Justice League scopre l'esistenza del Multiverso Oscuro, dove risiede il demone Barbatos, che si risveglierà quando - secondo una profezia - Batman rimarrà esposto a cinque metalli. Purtroppo è ormai troppo tardi per intervenire, poiché il Cavaliere Oscuro è già entrato in contatto in passato con quattro di questi metalli in precedenti sue avventure e il quinto e ultimo gli viene somministrato dalla Corte dei Gufi.
Batman viene proiettato nel Multiverso Oscuro, mentre gli araldi di Barbatos - versioni distorte di Batman guidate dal Batman Che Ride - invadono il DC Universe rendendo loro schiavi sia eroi che criminali. Che la profezia oscura debba dunque compiersi?
Questa storia si prefigge due compiti: il principale è ampliare il concetto di Multiverso oltre a quello apparso su Multiversity e, in misura minore, su Universo DC: Rinascita. L'idea di versioni oscure di universi paralleli e di per sé affascinante e in Batman: Metal vediamo alcuni esempi di mondi precipitati nel caos, che in questo caso specifico hanno come comun denominatore Batman nel ruolo di araldo portatore di suddetto caos.
Oltre al Batman Che Ride, il quale oltre a essere un ibrido tra Batman e Joker omaggia nel suo nome anche il titolo del film che ispirò la creazione del personaggio del Pagliaccio del Crimine, L'Uomo Che Ride, le altre versioni oscure di Batman sono ibridi tra il Cavaliere Oscuro e un componente della Justice League.
Molto spesso è stato detto che Batman ha un piano per sconfiggere ogni singolo componente del gruppo: qui vediamo cosa accade quando questo piano viene messo in atto, lasciando alla fine un Batman privo di scopo in un mondo che solo lui ritiene essere perfetto.
L'altro obiettivo di questa miniserie è legato allo sceneggiatore, Scott Snyder, che qui tira le fila di alcune sue precedenti trame che aveva portato avanti sulle testate dedicate a Batman, coadiuvato come in questo caso da Greg Capullo. Quindi, se pur tutti gli eroi del DC Universe sono coinvolti nel cercare di sventare la minaccia di Barbatos, alla fine questa rimane una saga bat-centrica.
E mentre il nuovo sceneggiatore Tom King si sta occupando delle nuove avventure del Cavaliere Oscuro, Snyder amplia ulteriormente il mondo di Batman e della Justice League introducendo nuove, terribili minacce e dando vita alla prima parte di un'avventura che lascia un paio di punti in sospeso.
Punti in sospeso da risolvere in un'altra saga... per un'ulteriore espansione del concetto di Multiverso.

martedì 16 novembre 2021

Netflix Original 18: Mercy


Con ogni probabilità ricordate The Strangers, film del 2008 con Liv Tyler, in cui una coppia di fidanzati viene assediata e terrorizzata nella sua stessa casa da tre individui mascherati per nessun altro motivo se non quello di far loro del male.
Ecco, un nuovo assedio domiciliare, ma con differenti motivazioni, si ritrova in Mercy, film scritto e diretto da Chris Sparling e distribuito su Netflix a partire dal 22 novembre 2016.
In una casa di campagna di una città imprecisata, un uomo di nome George (Dan Ziskie) raduna attorno al capezzale di sua moglie Grace, malata e un tempo guida di un'organizzazione religiosa locale, i suoi quattro figli e la fidanzata di uno di loro per discutere di questioni ereditarie.
In realtà la donna potrebbe essere salvata tramite una cura sperimentale e non autorizzata concepita dal Dr. Turner (Dion Graham), un amico di Grace, ma George non intende rischiare. Quando cala la notte, tuttavia, un'inaspettata minaccia incombe sull'intera famiglia e in gioco ci sono le vite di tutti i suoi componenti.
La trama, come vedete, è semplice e immediata e anche l'ambientazione della storia, che si svolge praticamente in una sola location (la dimora di George e i suoi immediati dintorni), riflette tale immediatezza. Ora, aldilà dell'evidente punto che questo è stato fatto per ragioni di contenimento dei costi, questo necessariamente non deve inficiare il risultato finale.
Detto questo, però, il tutto non risulta così interessante. Se quando ti ritrovi di fronte una storia che hai già visto altrove, la cosa migliore per apprezzarla è vedere come viene intessuta questa storia, qui abbiamo una pellicola divisa in due parti, le quali appaiono come due mondi diversi.
La prima parte è incentrata sulla presentazione dei personaggi, presentazione poiché non si arriva ad alcun approfondimento: il tema dell'eredità e delle tensioni familiari viene a malapena accennato prima che venga spazzato via dagli eventi successivi.
La seconda parte è incentrata invece sull'attacco degli uomini incappucciati guidati dal Dr. Turner per salvare Grace, ma risulta un po' confusionaria. Personalmente non ho capito se il film voleva anche essere una condanna di certe organizzazioni religiose estremiste o semplicemente la malattia di Grace e la sua cura erano il MacGuffin di turno volto a far precipitare gli accadimenti.
Troviamo anche degli sbalzi temporali alla Quentin Tarantino... e non ho ben capito la motivazione per cui non si sia seguita invece la linea temporale ordinaria.
Insomma, Mercy è un thriller che voleva esplorare anche il tema dei conflitti familiari... ma di conflitti qui ci sono stati solo quelli tra la famiglia di Grace e degli uomini col passamontagna. Quando peraltro, se proprio dovessi fare il precisino della fungia, bastava fare quest'invasione domiciliare prima dell'arrivo dei figli di George e si sarebbe evitata la carneficina.

domenica 14 novembre 2021

A scuola di cinema: Il Fuggitivo (1993)

17 Settembre 1963: Va in onda sulla rete televisiva ABC il primo episodio de Il Fuggiasco (The Fugitive). Creato da Roy Huggins, il telefilm si incentra su Richard Kimble (interpretato da David Janssen), un medico ingiustamente accusato dell'omicidio di sua moglie, perpetrato invece da un uomo con un braccio solo.
Kimble rimane in fuga, inseguito dall'agente di polizia Philip Gerard (Barry Morse), per ben quattro stagioni e 120 episodi, fino all'episodio conclusivo andato in onda il 29 agosto 1967, con ascolti che sono sempre rimasti alti.
Il telefilm rimane dunque nella storia, venendo ricordato anche dopo la sua conclusione per svariati anni, fino a quando trent'anni dopo il suo esordio ne viene prodotto un adattamento cinematografico.


Nella seconda metà degli anni '80 del ventesimo secolo, i diritti cinematografici su The Fugitive vengono rilevati dal produttore Arnold Kopelson, che sta cercando di portare sul grande schermo un adattamento del telefilm già da alcuni anni.
Nonostante il progetto venga rilevato dalla Warner Bros., occorrono ben cinque anni, svariati sceneggiatori e più di venti trattamenti di sceneggiatura prima che si possa procedere. Uno di questi trattamenti prevede addirittura che sia Sam Gerard il vero mandante dell'omicidio della moglie di Kimble.
Con una prima sceneggiatura di David Giler completata nel 1990, la regia viene affidata a Walter Hill, il quale pensa a Nick Nolte come interprete principale. L'attore, tuttavia, ritiene di essere ormai troppo vecchio per i film d'azione, che è anche stanco di interpretare, e rifiuta la proposta. Con le riprese che tardano a partire, Walter Hill alla fine decide di allontanarsi dal progetto.
Progetto che viene riesumato circa due anni dopo, quando viene ideata una nuova sceneggiatura da parte di David Twohy, revisionata in maniera sostanziale da Jeb Stuart, e Andrew Davis viene scelto da Kopelson come regista.
Per il ruolo di Richard Kimble, le prime scelte ricadono su Kevin Costner e Alec Baldwin, ma quando Harrison Ford viene a sapere che il regista è Andrew Davis - di cui ha molto apprezzato Trappola in Alto Mare (Under Siege) - chiede e ottiene la parte nel settembre 1992. In preparazione per questo ruolo, l'attore frequenta per qualche tempo alcuni medici del University of Chicago Medical Center.
La presenza di Ford come protagonista è quella che convince la Warner Bros. a dare subito il via alla produzione del film.
Per il ruolo di Sam Gerard, vengono presi in considerazione Gene Hackman e Jon Voight, prima che la parte sia assegnata a Tommy Lee Jones, forse dietro indicazione di Davis, che aveva collaborato con lui in Uccidete La Colomba Bianca (The Package) e appunto Trappola in Alto Mare.
Il ruolo dell'antagonista, Charles Nichols, viene dato in prima battuta a Richard Jordan. Costui però all'inizio del 1993 viene colpito da un cancro al cervello che qualche mese dopo ne causerà purtroppo la morte e, pur filmando alcune scene, è costretto infine a ritirarsi. La parte viene dunque affidata a Jeroen Krabbé.
Le riprese iniziano in via ufficiale il 3 febbraio 1993, tenendosi a Chicago e in North Carolina. È un'idea di Andrew Davis, appoggiata dalla produzione, quella di ambientare la maggior parte della storia a Chicago, la sua città natale.
Per aumentare la confusione e lo smarrimento del suo personaggio durante l'interrogatorio della polizia, Harrison Ford chiede che non gli siano anticipate le battute degli altri attori cosicché quando gli vengono poste le domande, usando anche del mestiere, le sue risposte incerte risultino più credibili.
Per la scena dello scontro tra il treno e il bus che trasporta Kimble, l'idea originale è quella di utilizzare dei modelli in miniatura (siamo ancora lontani dalle produzioni in CGI), ma poi la produzione scopre che risulta meno dispendioso utilizzare delle locomotive vere, che costano 20.000 dollari ciascuna, e ricreare il tutto dal vivo. C'è una sola, evidente controindicazione: vi è una sola possibilità di filmare la scena in questo modo.
Per settimane la scena viene preparata e pianificata, consultando ingegneri e stuntmen. Alla fine, pur andando il treno a una velocità leggermente più alta di quella prevista, la ripresa viene catturata nella sua interezza.
Harrison Ford rimane illeso, ma si strappa poi alcuni legamenti a una gamba durante le riprese nei boschi del North Carolina. Essendo una ferita lieve, l'attore decide di ritardare un intervento chirurgico e tenere la zoppia sino alla fine per drammatizzare in maniera ulteriore la situazione del suo personaggio.
Per la scena del salto dalla diga, Harrison Ford effettua il tutto in autonomia - con un cavo di sicurezza invisibile avvolto attorno al suo petto. Chiaramente il salto è di pochi metri, mentre nelle acque della diga vengono gettati dei manichini con le fattezze di Ford, i quali rimangono tutti distrutti all'impatto.
La scena delle riprese durante le festività di San Patrizio a Chicago, non viene ricreata appositamente, bensì filmata durante le vere festività tenutesi il 17 marzo 1993, dopo apposita autorizzazione da parte del sindaco della città. Ford e Jones si mischiano alla gente che sta partecipando alla parata, seguiti da alcune telecamere a mano (non notate in quanto ne sono presenti molte altre utilizzate dai partecipanti), e passano svariati minuti prima che Ford sia riconosciuto dalla folla.
In un ruolo minore vi è Julianne Moore, allora praticamente agli esordi, la quale in principio ha una parte più rilevante, rappresentando anche un interesse amoroso per Kimble. Tali scene vengono in effetti girate, ma poi non incluse nel montaggio finale.
Le riprese si concludono il 15 maggio 1993.
Il Fuggitivo (The Fugitive) viene distribuito nei cinema americani a partire dal 6 agosto 1993. A fronte di un budget di 44 milioni di dollari, la pellicola arriva infine a incassare a livello internazionale 369 milioni di dollari.
Inoltre, caso molto particolare per un film d'azione, la pellicola riceve sette nomination al Premio Oscar, vincendone uno nella categoria Miglior Attore Non Protagonista, assegnato a Tommy Lee Jones, l'unico conseguito nella sua carriera.
Nel 2000 viene prodotto anche un remake della serie televisiva, con protagonisti principali Tim Daly nel ruolo di Richard Kimble e Mykelti Williamson in quello di Sam Gerard, ma questo revival non ha molto successo, concludendosi dopo una sola stagione.
Visto il grande successo della pellicola, qualche anno dopo ne viene prodotto un insolito sequel... ma questa è un'altra storia.

venerdì 12 novembre 2021

Fabolous Stack of Comics: Le Nuove Avventure di Ciclope e Fenice


Sembra che Scott Summers/Ciclope e Jean Grey/Fenice debbano divenire degli habitué dei viaggi nel tempo.
Dopo Le Avventure di Ciclope e Fenice, infatti, i due eroi si ritrovano di nuovo proiettati in un'avventura temporale - stavolta, però, ambientata nel passato - nella miniserie di quattro numeri Le Nuove Avventure di Ciclope e Fenice (The Further Adventures of Cyclops and Phoenix), pubblicata nel 1996, scritta da Peter Milligan e disegnata da John Paul Leon.
L'anno è il 1859 e nella comunità scientifica londinese è molto dibattuta la Teoria dell'Evoluzione di Charles Darwin. Uno dei suoi più accesi sostenitori è Nathaniel Essex, che ha di recente perso un figlio, il quale è convinto che l'umanità presto compirà un nuovo balzo evolutivo.
In questo scenario giungono tre visitatori dal passato e dal futuro: il primo è Apocalisse, il quale si risveglia dal suo stato di ibernazione pronto di nuovo a dare vita alla sua Era dove solo il più forte potrà sopravvivere. Gli altri due sono Ciclope e Fenice, trasportati nella Londra del diciannovesimo secolo dalla Sorellanza Askani per salvare il loro futuro: questo comporterà dover uccidere Nathaniel Essex prima che diventi Sinistro e diventi uno dei principali avversari degli X-Men?
Pur essendo questa miniserie un seguito della prima storia ideata da Scott Lobdell e Gene Ha, riesce ad avere una propria identità e a non farsi offuscare dall'ombra del "progenitore".
E non solo perché la storia è ambientata in un periodo temporale differente. La prima miniserie trattava l'insolito rapporto familiare che Ciclope e Fenice avevano con Cable, mentre qui - privi del guerriero del futuro - il tutto si concentra sul loro rapporto e come si completino l'un l'altra. Non è un viaggio di formazione, stavolta, bensì un viaggio di ricerca interiore in cui i due eroi mantengono la loro umanità anche di fronte all'orrore e alla malvagità rappresentata da Apocalisse.
Nel mezzo vi è Nathaniel Essex, che diviene infine Sinistro. Curioso notare come questa metamorfosi avvenga quando lo scienziato perde ogni vestigia residua di umanità, a seguito della morte di sua moglie, che lo ripudia, causata da un drammatico travaglio durante il quale accade anche la morte del secondogenito.
Quindi, in questa storia, Sinistro non rappresenta una metafora della scienza incurante dei bisogni dell'umanità (tanto cara a certo complottismo moderno), quanto piuttosto in quali abissi di disperazione possa precipitare una persona che diviene infine preda dei propri demoni interiori e alla fine ha come appiglio solo ciò in cui crede, aldilà del fatto che questo sia realizzabile o meno.
Ciclope e Fenice alla fine conservano la loro umanità, e questo ha anche benefici sul loro futuro, come rivelato dal colpo di scena finale. Mentre Essex la perde, così come perde la propria vera identità. Questa è la differenza tra loro.

mercoledì 10 novembre 2021

Netflix Original 17: Autobiografia di un Finto Assassino

 

Con ogni probabilità lo conoscete più per il remake con Ben Stiller, ma vi è un film del 1947 con Danny Kaye intitolato Sogni Proibiti (The Secret Life of Walter Mitty), in cui uno scrittore per riviste immagina di vivere straordinarie avventure sognando ad occhi aperti, fino a quando la realtà si confonde con la fantasia.
Questo film è stato oggetto anche di un insolito remake italiano con Paolo Villaggio, intitolato Sogni Mostruosamente Proibiti.
Ebbene, fatti i dovuti distinguo, ho trovato un nuovo Walter Mitty nel film Autobiografia di un Finto Assassino (True Memoirs of an International Assassin), diretto da Jeff Wadlow, scritto dallo stesso Wadlow e da Jeff Morris e distribuito su Netflix a partire dall'undici novembre 2016.
Sam Larson (Kevin James) è un anonimo impiegato che sogna di pubblicare un romanzo di spionaggio, True Memoirs of an International Assassin, che descrive nel dettaglio alcune azioni militari grazie a un suo amico un tempo appartenente al Mossad.
Dopo numerosi rifiuti da svariate case editrici, l'uomo viene contattato da Kylie Applebaum (Kelen Coleman), che pubblica il suo libro in versione digitale, ma - per motivi pubblicitari - lo fa passare per un'autobiografia di Larson stesso.
Da quel momento sarà una sventura dietro l'altra per Sam Larson, il quale verrà prelevato e portato in Venezuela al cospetto di El Toro (Andy Garcia), convinto che sia davvero un ex agente segreto e col desiderio di effettuare un colpo di stato... con tutte le ilari conseguenze del caso.
Ecco a voi la classica commedia degli equivoci, che quando vuole sa essere efficace sin dai tempi di William Shakespeare. La trama sembra quasi un True Lies al contrario (lì Arnold Schwarzenegger fingeva di non essere un agente governativo), col consueto mix di situazioni paradossali che strappa qualche risata, qualche scena cruda ma anche - a meno che non mi siano sfuggite - nessuna battuta scurrile (e se pensiamo che il regista è quello di Kick-Ass 2...), cosa che non credevo possibile in principio.
Tutto si gioca molto sulla mimica di Kevin James, che compie sempre il suo efficace dovere, attorniato da altri bravi attori, ma alla fine il vero e unico protagonista è lui.
Come sempre in questo tipo di film, potete apprezzarlo in maniera maggiore se siete fan di un certo tipo di commedia un po' sopra le righe e non badate troppo ai dettagli, poiché anche con tutta la buona volontà di questo mondo appare alquanto improbabile che criminali del cartello venezuelano non sappiano o capiscano che Sam Larson è un uomo comune.
Ecco dunque un'altra vita segreta portata a compimento, sogni proibiti che infine sono divenuti realtà.

lunedì 8 novembre 2021

Fabolous Stack of Comics: Batman - Giorni Oscuri


E dopo Multiversity e Universo DC: Rinascita, ritorna in auge alla DC Comics il Multiverso, un concetto narrativo troppo affascinante per poter essere messo da parte per tanto tempo.
Oltre al "classico" Multiverso a noi noto, c'è anche chi ha voluto rovesciare le carte in tavola: nello specifico Scott Snyder e Greg Capullo che, nella miniserie Batman: Metal, hanno introdotto un differente tipo di Multiverso.
Questa storia ha avuto due prologhi, abbastanza sui generis. Il primo è stato La Morte di Hawkman, mentre il secondo è una minisaga composta da due albi, pubblicati nel 2017, intitolata Giorni Oscuri (Dark Days). Gli albi in questione sono Giorni Oscuri: La Forgia (Dark Days: The Forge) e Giorni Oscuri: Fusione (Dark Days: The Casting).
Gli sceneggiatori sono Scott Snyder e James Tynion IV, mentre la parte grafica è affidata a Jim Lee, John Romita Jr. e Andy Kubert.
Mentre Batman si trova in giro per il mondo a ricercare notizie sul Metallo Nth di Hawkman, Hal Jordan riceve da Ganthet l'incarico di indagare su una misteriosa fonte di energia che ha origine dalla Bat-Caverna.
Lanterna Verde si reca presso il rifugio segreto del Cavaliere Oscuro, ma viene affrontato da Duke Thomas, uno dei tanti giovani protetti di Batman. Ben presto, però, i due mettono da parte le loro divergenze, poiché nella Bat-Caverna è davvero presente qualcosa di insolito... o meglio qualcuno, mentre una grande oscurità si profila all'orizzonte.
Questo prologo è fin troppo un ordinario prologo: introduce sì la prossima minisaga, ma non fornisce alcun elemento concreto per valutare cosa accadrà, lasciando dunque che tutte le domande (e le risposte) siano fornite nella storia principale. In tal senso, se lo si vuole lo si può anche saltare per concentrarsi solo su Batman: Metal.
Già in queste due storie, comunque, si può intuire uno dei temi portanti, peraltro già ampiamente utilizzato in passato: l'atteggiamento di Batman nei confronti dei suoi alleati della Justice League e la sua volontà di tenere alcune cose nella segretezza assoluta.
Quello su cui possono contare questi due albi, tuttavia, sono tre artisti di grande richiamo che, uniti al fatto che sono associati a un albo batmaniano, aiutano certamente a catalizzare l'attenzione del lettore occasionale.
Dunque, col prologo ora alle nostre spalle, possiamo calarci in una nuova saga di Batman dove, guarda un po', sarà l'oscurità a farla da padrona.

sabato 6 novembre 2021

Netflix Original 16: Sono la Bella Creatura che Vive in Questa Casa


E così, dopo aver esplorato i primi generi cinematografici, arriva il primo film di genere horror su Netflix. Un qualcosa di inevitabile, visto che tale genere è quello che più consente di avere bassi costi, infatti se lo si vuole si può concentrare tutta l'azione anche in un solo luogo.
Che è esattamente ciò che avviene in Sono la Bella Creatura che Vive in Questa Casa (I Am the Pretty Thing That Lives in the House), film sceneggiato e diretto da Osgood Perkins - il figlio di Anthony Perkins - e distribuito a partire dal 28 ottobre 2016.
L'infermiera Lily Sailor (Ruth Wilson) viene incaricata di assistere con cure domiciliari l'anziana scrittrice di romanzi gotici Iris Blum (Paula Prentiss), la quale vive in una casa dove si narra siano accaduti eventi terribili ed è ormai confinata in un letto.
Tali eventi terribili sono collegati a un romanzo scritto proprio da Iris Blum, "La Signora Nel Muro", che Lily scopre essere basato su un fatto realmente accaduto in quella casa nel diciannovesimo secolo, l'assassinio di Polly Parsons (Lucy Boynton). Possibile che il suo fantasma si aggiri per la casa - dove accadono strane cose - dopo tutto questo tempo?
Questo è il classico horror d'atmosfera, mi verrebbe da dire alla Paranormal Activity senza i jump scare preconfezionati. E che peraltro ti spoilera il finale già nei primi minuti, poiché il focus è su ciò che accade prima di esso.
Non vi sono troppi effetti speciali, violenza o sangue a profusione. C'è una persona, Lily in questo caso, che impariamo a conoscere più che altro tramite i suoi monologhi interiori e le sensazioni di angoscia e terrore vengono ricercate attraverso quelli che sono eventi in cui tutti noi prima o poi incappiamo (un tappeto piegato, la muffa nelle pareti, gli oggetti che ci sembrano fuori posto).
Tale ricerca, però, si protrae per un tempo troppo dilatato, facendo sì che a un certo punto il film - che parte da promesse note, ma comunque efficaci - verso la fine scivoli nell'eccessivamente prevedibile, con eccessivi monologhi interiori della protagonista, e perda dunque quella carica di angoscia che intende trasmettere allo spettatore... mi sa che a un certo punto mi sono pure appisolato per pochi secondi, chiedo venia.
Non è certo da bocciare in toto, ci mancherebbe, perché ha delle qualità che altri film horror più blasonati non hanno, soprattutto la ricerca delle inquadrature e i giochi di luce così diversi tra loro.
Sono la Bella Creatura che Vive in Questa Casa è quel tipo di film che ti dice che non serve andare troppo lontano per trovare l'orrore, esso può annidarsi anche all'interno delle tue confortevoli quattro mura. E che può risultare come l'orrore più drammatico, proprio perché infrange quella sensazione di sicurezza che una dimora dovrebbe trasmetterti.

giovedì 4 novembre 2021

A scuola di cinema: Super Mario Bros. (1993)

1981: Nelle sale giochi impazza Donkey Kong, dove un uomo senza nome coi baffi cerca di salvare la sua amata dalla scimmia che porta il nome del gioco.
Quell'uomo viene infine battezzato come Mario nel 1983, quando esce Mario Bros., che introduce anche suo fratello Luigi. Ma è nel 1985, con l'uscita di Super Mario Bros., che la fama di Mario e Luigi arriva a livelli stellari. Il gioco vende milioni di copie e Mario diviene il personaggio simbolo della Nintendo, la casa sviluppatrice del videogioco. A oggi, non si contano più i titoli in cui sono presenti Mario e il suo mondo.
Con la popolarità del personaggio che aumenta a livello internazionale, il cinema comincia a interessarsi all'allora sempre più crescente industria del videogioco. Su Super Mario Bros. ricade così l'inevitabile scelta di prima pellicola basata su un videogame, ma non tutto va secondo i piani.


Ottobre 1990: Il regista e produttore Roland Joffé si reca a Kyoto, presso il quartier generale della Nintendo, dove incontra Hiroshi Yamauchi e Minoru Arakawa, presidenti della società, e il creatore di Super Mario Bros., Shigeru Miyamoto. Già altre offerte sono arrivate sul tavolo per un adattamento cinematografico di Super Mario Bros., ma nessuna è stata ritenuta interessante finora.
Joffé riesce a convincere la Nintendo della bontà del suo progetto e negoziare, per conto della sua società di produzione Lightmotive, l'acquisto dei diritti di sfruttamento sul videogioco per due milioni di dollari.
Oltre all'accordo in sé, per la Nintendo sono sufficienti solo le percentuali sul merchandising che ne conseguiranno, poiché quando Joffé garantisce il controllo creativo sulla pellicola, i dirigenti si dichiarano non interessati.
Il primo trattamento di sceneggiatura viene affidato a Barry Morrow, lo sceneggiatore di Rain Man. Lo scrittore idea una sorta di prequel del videogioco, con i due fratelli che intraprendono un road-trip alla ricerca di un anello caduto in una tubatura, approdando infine nel mondo dei dinosauri e analizzando nel frattempo la loro relazione familiare.
Questa sceneggiatura, tuttavia, non incontra i favori della produzione, tanto che Morrow non riesce nemmeno a completarla ed Ed Solomon viene incaricato della revisione, la quale non ha miglior fortuna. Un'ulteriore sceneggiatura dai toni più fantasy di Jim Jennewein e Tom S. Parker, completata all'inizio del 1991, viene ugualmente messa da parte.
Come regista viene individuato in principio Greg Beeman e il film comincia la fase di pre-produzione, ma dopo che un film di Beeman, Mom and Dad Save the World (inedito in Italia), si rivela un flop viene allontanato dal progetto. Joffé propone perciò la regia a Harold Ramis, il quale però rifiuta.
A Joffé viene allora in mente un telefilm che ha molto apprezzato, Max Headroom, e si reca a Roma per incontrare i due creatori della serie, Rocky Morton e Annabel Jankel (marito e moglie nella vita). I due si dimostrano molto interessati alla cosa e concordano col produttore che il film debba avere toni dark, sulla scia delle pellicole di Tim Burton, e rivolgersi anche a un pubblico adulto. Morton e Jankel ideano inoltre l'origine del mondo dei dinosauri, causata dal meteorite che ne causò l'estinzione, ma proiettò alcuni di loro in una dimensione alternativa.
Rocky Morton e Annabel Jankel vengono dunque incaricati della regia, nonostante in passato abbiano diretto un unico lungometraggio, D.O.A. - Dead on Arrival (D.O.A.).
Viene ideata una nuova sceneggiatura da Parker Bennett e Terry Runté, che mixano i toni dark richiesti con qualche elemento di commedia prendendo a riferimento Ghostbusters. Forse fin troppi elementi, poiché all'improvviso i due vengono allontanati dal progetto e Dick Clement e Ian La Frenais vengono ingaggiati per operare una revisione che introduca elementi più maturi e operi una sorta di mix nella descrizione del regno dei dinosauri tra Il Mago di Oz e Alice nel Paese delle Meraviglie.
Mentre vengono costruiti i primi set, si ricercano gli attori per i ruoli principali. Dustin Hoffman si dimostra interessato al ruolo di Mario, ma Minoru Arakawa ritiene non sia l'interprete adatto e dunque si deve rinunciare a lui, nonostante fosse già pianificato un incontro. Il ruolo viene allora proposto a Danny DeVito, che rifiuta.
Si arriva dunque a Bob Hoskins, il quale in un primo momento si dichiara non interessato, poiché non ha desiderio di partecipare a un altro film rivolto a un pubblico di bambini. Quando però Joffé gli invia l'ultima revisione della sceneggiatura di Dick Clement e Ian La Frenais, l'attore cambia idea e accetta la parte. Hoskins in principio non ha idea che il film sia tratto da un videogioco, glielo rivela in un secondo momento suo figlio quando gli racconta a cosa sta lavorando.
Il ruolo di Luigi viene proposto a Tom Hanks, che appare interessato e vicino a firmare un contratto per un ingaggio di 5 milioni di dollari, ma la Nintendo pone il veto quando scopre che l'attore è reduce da una serie di flop quali Turner e il Casinaro (Turner & Hooch) e Joe Contro il Vulcano (Joe Versus the Volcano). In sua sostituzione viene scelto John Leguizamo.
Il ruolo di Re Koopa viene offerto a Michael Keaton e Arnold Schwarzenegger, prima che venga accettato da Dennis Hopper, anche lui conquistato dalla sceneggiatura revisionata da Dick Clement e Ian La Frenais.
Con gli accordi per i ruoli principali conclusi, la costruzione dei set quasi terminata e un budget già stanziato, accade che a poche settimane dall'inizio delle riprese la Buena Vista Pictures si aggiudichi i diritti di distribuzione della pellicola e, insoddisfatta dei toni della sceneggiatura ritenuti troppo distanti dal pubblico di riferimento, quello delle famiglie con bambini, e che prevede troppi effetti speciali che rischiano di far lievitare in maniera sensibile il budget, richiede una consistente revisione.
Viene dunque ricontattato Ed Solomon e a lui si aggiunge Ryan Rowe, che intervengono sulla sceneggiatura per inserire toni più leggeri e rivolti al pubblico a cui la Buena Vista intende rivolgersi in termini di marketing e pubblicità. Nel fare questo, quasi tutti i riferimenti o gli easter egg collegati al videogioco vengono eliminati.
Tutto ciò senza informare né i registi, né gli attori, i quali scoprono la cosa praticamente il giorno prima dell'inizio dei lavori. Oltretutto la nuova sceneggiatura è in parte incompatibile con i set completati, che devono dunque essere parzialmente ricostruiti e adattati.
Di tutto questo valzer di sceneggiatori, alla fine vengono accreditati solo Ed Solomon, Parker Bennett e Terry Runté.
Le riprese iniziano in via ufficiale il 6 maggio 1992, tenendosi a New York e presso gli Screem Gems Studios di Wilmington, in North Carolina. La tempistica stimata per il completamento è di dieci settimane, Dennis Hopper si aspetta di rimanere sul set per non più di cinque.
Quando Parker Bennett e Terry Runté si presentano sul set senza preavviso, essendosi recati lì per pura curiosità pagando il viaggio coi propri soldi, la produzione li riassume immediatamente perché operino ulteriori revisioni su base giornaliera alla sceneggiatura, di per sé già fin troppo martoriata, tanto che alla fine sono più le correzioni che i dialoghi non revisionati a esser presenti.
I cambiamenti sono così tanti che molti attori alla fine imparano solo le battute che devono pronunciare nel giorno delle riprese e di cui vengono messi a conoscenza praticamente quando si deve iniziare a girare.
Il rapporto tra i registi e il resto della troupe, in particolar modo Bob Hoskins e Dennis Hopper, si complica subito, poiché Rocky Morton e Annabel Jankel vogliono controllare ogni singolo aspetto e non accettano alcun tipo di compromesso, prendendo le loro decisioni senza consultare nessuno. Non di rado accade che cambino una scena all'ultimo minuto, senza informare chi di dovere e, in un'occasione, Morton rovescia volutamente del caffè sulla testa di una comparsa poiché non gradisce come si è vestito.
La troupe comincia ben presto a usare appellativi ingiuriosi alle loro spalle, Bob Hoskins li insulta in faccia senza porsi troppi problemi e Dennis Hopper litiga con loro in maniera costante. Anche la produzione inizia a non vederli di buon occhio e praticamente li costringe a far sì che verso la fine del film i personaggi di Mario e Luigi indossino i loro caratteristici costumi, cosa che Rocky Morton e Annabel Jankel non intendevano fare.
Parker e Runté alla fine divengono loro malgrado gli intermediari, poiché gli attori non parlano più coi registi e i registi non intendono parlare più con la produzione per evitare altre ingerenze.
Pur avendo una controfigura per le scene più pericolose, Bob Hoskins è vittima di alcuni incidenti sul set. In un'occasione prende una piccola scossa, in un'altra rischia quasi di affogare. Ma il danno più serio lo subisce quando John Leguizamo, involontariamente, sbatte la portiera di un auto contro la sua mano, rompendogli un dito.
Per coprire la ferita, l'attore deve dunque indossare un tutore che viene dipinto di rosa perché assomigli al dito ferito. In una sorta di legge del contrappasso, anche Leguizamo viene poi investito da un'automobile, procurandosi una frattura a una gamba.
Ben presto sia Leguizamo che Hoskins capiscono che il film si rivelerà un disastro completo e non possono ovviamente sottrarvisi per impegni contrattuali. Per annegare il dispiacere, si rifugiano entrambi nell'alcool e non è raro che arrivino sul set coi postumi di una sbronza. L'incidente al dito di Hoskins viene causato proprio dal fatto che Leguizamo si sta ancora riprendendo dall'ubriacatura della notte precedente.
Le riprese si concludono il 27 luglio 1992. Alla fine i lavori sono durati più del previsto e Dennis Hopper è rimasto sino alla fine. La produzione, stanca dell'arroganza dei due registi, li licenzia in tronco: non consente loro di partecipare al montaggio della pellicola e fa effettuare qualche ripresa aggiuntiva dal direttore della fotografia Dean Semler e dai registi della seconda unità.
Super Mario Bros. viene distribuito nei cinema americani a partire dal 28 maggio 1993. A fronte di un budget di sicuro non inferiore ai 42 milioni di dollari, la pellicola arriva infine a incassare a livello internazionale poco meno di 39 milioni di dollari. Nessuno si stupisce di questo flop.
Negli anni successivi, tutti coloro che hanno preso parte a questa produzione, a partire da Hoskins, Hopper e i due registi, ne prendono le distanze. Hoskins arriva a definirlo il film peggiore a cui abbia partecipato nel corso della sua carriera e il suo più grande rimpianto. Solo il figlio di Bob Hoskins rimane un fan della pellicola, a dispetto di tutte le critiche.
La Nintendo per molti anni non concede più l'utilizzo di altre sue properties al cinema, ritornandovi solo nel 2019 con Pokémon: Detective Pikachu... ma questa è un'altra storia.

martedì 2 novembre 2021

Fabolous Stack of Comics: Eroi In Crisi


Se esiste una parola da poter associare al DC Universe, questa è di sicuro "Crisi". Poiché di crisi gli eroi DC ne hanno affrontate tantissime nel corso di questi decenni, a partire dal 1963 e Crisi su Terra Uno. Fino a giungere nel 1985 alla madre di tutte le Crisi, Crisi Sulle Terre Infinite.
Vi è, tuttavia, un altro tipo di crisi che spesso gli eroi devono affrontare ed è quella interiore, quella per cui devono combattere i propri turbamenti e venire a patti con le loro azioni. In tal senso, la storia più illuminante è Crisi di Identità (Identity Crisis), di Brad Meltzer, che mette in contrasto con abilità due differenti visioni su come trattare i supercriminali da parte degli eroi.
Eroi In Crisi (Heroes In Crisis), miniserie di nove numeri pubblicata tra il 2018 e il 2019, scritta da Tom King e disegnata da Clay Mann, Mitch Gerads, Travis Moore, Lee Weeks e Jorge Fornes, descrive un'altra di queste crisi interiori e stavolta i supercriminali non c'entrano nulla. Chi non ha letto questa storia non vada oltre questo punto, poiché viene rivelato un particolare importante.
Dove vanno gli eroi della DC Comics quando cercano sollievo dalle ferite fisiche e psicologiche di una battaglia? Presso il Rifugio, una struttura segreta e fortemente voluta dalla Trinità degli eroi DC, in particolar modo Superman. Qui gli eroi possono confessare ogni cosa: vi sono solo robot concepiti con tecnologia kryptoniana e nessuna traccia delle loro registrazioni rimane in maniera permanente.
O così almeno si pensa. Un drammatico evento ha luogo presso il Rifugio e molti superesseri, tra cui anche Arsenal, rimangono uccisi. I sospetti convergono su due persone: Harley Quinn e Booster Gold, ovvero gli unici sopravvissuti. Entrambi ritengono l'altro responsabile di quanto accaduto e, come se non bastasse, il segreto dell'esistenza del Santuario viene rivelato alla stampa, costringendo gli eroi a mettere in discussione il loro stesso ruolo.
Questa non è un'opera semplice e non è una storia del tutto rassicurante, tutt'altro, direi, pur concludendosi su una nota in apparenza lieta. Nel magico mondo dei supereroi, tutto prima o poi torna al punto di partenza: ci può essere la più drammatica delle battaglie con vittime e feriti, ma in ultimo l'eroe trionfa, rimette le cose a posto, festeggia e rimane in attesa della prossima battaglia. E il ciclo si ripete.
Ma nel mezzo cosa c'è? Tom King riempie questo vuoto, con un'affermazione semplice ma non così scontata: le cicatrici che gli eroi portano con sé rimangono e prima o poi rischiano di esplodere, come accade in questa miniserie.
Perché a volte non si ritorna esattamente al punto di partenza, come è accaduto a Wally West: ritornato in Universo DC: Rinascita, ha scoperto che sua moglie Linda non si ricorda di lui e che i suoi due figli - a causa del reset operato dal Dr. Manhattan - non esistono più. Questo è molto più di un trauma psicologico, è un lutto che nessuno è capace davvero di affrontare.
Wally è come uno di quei soldati che torna da una guerra e trova il suo mondo cambiato (magari degli amici si sono trasferiti, la compagna lo ha lasciato e ha preso con sé i figli), costringendolo dunque a doversi riadattare a una società che non riconosce più. I traumi dei soldati sono un argomento che lo sceneggiatore ben conosce, avendoli vissuti sul campo.
Il Wally West del DC Universe pre-reset fatica a trovare un posto nel DC Universe post-reset e si ritiene così un elemento estraneo. Per quanto Wally West sia una persona forte, anche lui ha un limite. Un limite che infine viene oltrepassato. Wally è l'indubbio protagonista di questa storia, più di Harley Quinn e Booster Gold, che non riescono a rubargli la scena, anche quando lui è assente.
Mi ha un po' sorpreso, invece, il ruolo della Trinità, che sembra dover avere un ruolo centrale, ma a metà circa (di certo una scelta voluta, per concentrarsi di più sugli altri personaggi di modo tale che non rimangano in secondo piano) scompare per non apparire più.
Toccanti, inoltre, le descrizioni dei personaggi minori del DC Universe, come l'Uomo Tatuato, Gnarkk (un uomo preistorico che cita i poeti inglesi, meraviglioso) e Solstizio.
Non so se possiamo definire questa storia un capolavoro, forse è invero un termine eccessivo. Di certo è una storia particolare, unica nel suo genere, che non ha paura di affondare il dito nella piaga. La piaga dei superesseri.