lunedì 30 agosto 2021

Netflix Original 6: The Do-Over


Siamo alla sesta produzione originale Netflix ed ecco tornare Adam Sandler! Dopo The Ridicolous 6, l'attore americano sembra proprio aver trovato una seconda casa, soprattutto perché tramite la società di produzione da lui fondata - Happy Madison Productions - ha firmato un accordo con la piattaforma per più film.
E anche in questo caso si tratta di una commedia, seppur non così demenziale come la precedente... ok, appena un po'. La nuova pellicola si intitola The Do-Over, scritta da Kevin Barnett e Chris Passas, diretta da Steven Brill e distribuita su Netflix a partire dal 27 maggio 2016.
La vita di Charlie (David Spade) è ordinaria e noiosa: tormentato da sua moglie, l'ex marito di lei e i figli di lui, lavora come direttore in una piccola banca presente dentro un supermercato e per lui ogni giorno è uguale agli altri.
Durante una rimpatriata con gli ex compagni di college, Charlie rincontra un suo caro amico, Max (Sandler), un agente FBI, il quale poco dopo mette in scena la morte di entrambi per avere la possibilità di iniziare una nuova vita.
C'è tuttavia un imprevisto e sono... le identità scelte da Max per questa nuova vita, identità appartenenti a uomini defunti che in vita nascondevano un incredibile segreto.
Questo film rappresenta una sorta di mix tra la commedia (preminente, ovviamente), il mistero e l'azione (che però è sempre presentata in maniera parodistica). Per quanto riguarda il lato comico, praticamente il 99% delle battute sono a sfondo sessuale, rendendo la cosa stucchevole abbastanza presto, e non mancano le situazioni scurrili e forse anche poco politically correct.
Dal punto di vista della trama vi è un curioso e per certi versi anche inaspettato cambio di prospettiva poco dopo la metà della pellicola, che trascina la storia lungo binari diversi da quelli percorsi fino a quel momento, portandoci a dover riconsiderare quello che abbiamo visto sinora e inquadrare un nuovo status quo.
Questo piccolo colpo di scena mi ha colto in maniera inaspettata, ma subito dopo il film torna alle sue consuete battutacce e doppi sensi, dunque la sensazione di stupore, del "dai, vediamo adesso dove si va a parare" dura davvero poco.
Insomma, poteva essere un film diverso dal solito rispetto a quelli interpretati da Sandler, ma alla fine si è deciso di percorrere sentieri già noti.

sabato 28 agosto 2021

Fabolous Stack of Comics: Freccia Nera - Tempi Duri


Freccia Nera, il re degli Inumani. Un re che tuttavia non è in grado di parlare al suo popolo, in quanto la sua voce ha un potere distruttivo e anche un solo sussurro potrebbe causare una terribile devastazione. La sua è dunque una vita dominata dal silenzio. Una delle tante figure tragiche create da Stan Lee e Jack Kirby.
Eppure, sin da quando è stato creato nel 1965, questo personaggio - pur apparendo in tutte le testate e le storyline con protagonisti gli Inumani - non ha mai avuto l'onore di un progetto a lui dedicato.
A compensare questa mancanza, giunge nel 2017 la maxiserie in dodici numeri Black Bolt, sceneggiata da Saladin Ahmed, un poeta e  scrittore di romanzi e racconti di fantascienza, qui al suo esordio con un'opera fumettistica.
Il primo ciclo di sei numeri si intitola Tempi Duri (Hard Time) ed è disegnato da Christian Ward. L'inizio della storia si riallaccia a quanto raccontato in Royals: Più Che Inumano: grazie a uno stratagemma, Maximus si è sostituito a Freccia Nera, con la conseguenza che è quest'ultimo a venir esiliato in una prigione situata in una zona estrema dello spazio e la cui locazione è a tutti sconosciuta.
Privato dei suoi poteri, Freccia Nera fa amicizia con alcuni detenuti della prigione quali Crusher Creel e la telepate Blinky e prova a trovare un modo per evadere, cercando al contempo di capire quale sia la vera identità del misterioso direttore della prigione.
Quello che può rappresentare un problema con un tipo di personaggio come Freccia Nera quando agisce in solitaria è il fatto che costui sia impossibilitato a parlare, dunque ci possono essere potenzialità narrative ridotte. Certo, con il lettore si può compensare tramite le didascalie, ma le interazioni con altri personaggi possono risultare limitanti.
Tuttavia in questa miniserie viene utilizzato un abile espediente narrativo, del tutto funzionale alla storia, tramite cui Freccia Nera riesce a parlare senza problemi e interagire con altre persone. Tale condizione, di solito non appannaggio del sovrano degli Inumani, ci porta a scoprire qualche aspetto inedito di questo personaggio, il quale subisce una piccola evoluzione.
Tanto che a un certo punto, e per come viene descritta la scena assume un grande valore simbolico, come di rinascita, vediamo Freccia Nera ridere a una battuta.
No, non si tratta di un totale rovesciamento delle caratteristiche del personaggio. Saladin Ahmed decide di non adagiarsi sugli allori, di non provare strage già intraprese da altri e partire invece per sentieri ancora inesplorati, dando così nuova linfa vitale a Freccia Nera.
Anche gli altri comprimari della storia, in particolare Crusher Creel, vengono utilizzati al meglio. Insomma, davvero niente male per quella che è un'opera prima fumettistica, pur da parte di uno scrittore rodato.
A coronare il tutto vi sono gli incredibili disegni di Christian Ward, sembrano dei dipinti viventi, la miglior soluzione quando si tratta di ricreare una prigione spaziale capace di dare vita ad alcuni dei peggior incubi dei suoi appartenenti.
E dopo la prigionia, c'è la libertà... o almeno così si è portati a pensare.

giovedì 26 agosto 2021

Fabolous Stack of Comics: Royals - Più Che Inumano


Dopo Inumani VS X-Men, le cose si complicano in maniera esponenziale per gli Inumani e la Famiglia Reale. Medusa, infatti, ha distrutto le Nebbie Terrigene per impedire lo sterminio dei mutanti, ma questo porta con sé anche la conseguenza che più nessun Inumano in futuro possa veder sviluppate le proprie facoltà.
Partendo da questa premessa, la Marvel fa uscire due maxiserie che, pur raccontando ognuna una storia autonoma, procedono al contempo su binari paralleli.
La prima è incentrata su Freccia Nera (e che tratteremo in separata sede), la seconda invece - pubblicata nel 2017 e composta da dodici numeri più un prologo e un epilogo - si intitola Royals, scritta da Al Ewing e disegnata da svariati disegnatori, ognuno col proprio stile (tanto per gradire), con la maggior parte dei numeri realizzati da Kevin Libranda e Javier Rodriguez.
La prima saga di sei numeri si intitola Più Che Inumano (Beyond Inhuman) e pone subito i riflettori su uno dei due protagonisti principali di questa storia, ovvero Medusa.
La regina, dopo aver esiliato Maximus su un pianeta-prigione (o almeno essere convinta di averlo fatto), decide di rinunciare al trono e partire per le stelle insieme ad un manipolo di altri Inumani, poiché Marvel Boy/Noh-Varr ha portato loro una nuova speranza rivelando l'esistenza dei Progenitori, coloro che diedero vita alla razza dei Kree tramite il Primagene, l'antesignano del Terrigene, che potrebbe riattivare i poteri degli Inumani.
Tuttavia ci sono tre imprevisti lungo la via: il primo è che vi è un clandestino a bordo della nave, uno che non è chi dice di essere. Il secondo è che Medusa - a causa delle sue azioni volte a distruggere le Nebbie Terrigene - sta morendo. E il terzo è che... uno dei componenti della spedizione è destinato a non fare ritorno!
Questo primo story-arc compie il suo dovere in maniera efficace: mette in scena il nuovo status quo derivante dalla miniserie appena conclusasi per poi partire subito lungo i propri binari narrativi e iniziare a puntare i riflettori su alcuni dei personaggi. Se la preminenza di Medusa in questo primo story-arc è chiara, mentre gli altri rimangono per il momento sullo sfondo, l'altro e forse impensabile protagonista risulta essere Maximus.
Sì, proprio lui, colui che doveva essere esiliato, ma che in realtà ha preso il posto di Freccia Nera con un abile stratagemma. Al Ewing mantiene la consueta aura di follia attorno al personaggio, ma non permette che sia solo questo a definirlo, legando la sua storia a una sua evoluzione futura che agisce lungo un'altra linea temporale e che narrativamente parlando procede su binari paralleli, aiutandoci meglio a capire la trama primaria e le scelte che compiono i vari personaggi.
La prima saga si conclude con l'arrivo sul pianeta madre dei Kree. Nella seconda parte bisognerà approfondire al meglio gli altri personaggi, con l'incognita dell'epilogo, che rimane sempre una variabile insidiosa.

martedì 24 agosto 2021

Fabolous Stack of Comics: Joker - L'Avvocato del Diavolo


Di storie incentrate sulla dicotomia tra Batman e Joker (ovvero l'Ordine e il Caos) ve ne sono decine e decine. Ogni autore che si sia cimentato col Cavaliere Oscuro e abbia scritto più di un albo su Batman (o anche uno solo, come Alan Moore) prima o poi non ha potuto fare a meno di dire la sua su questo argomento, troppo affascinante per poter essere messo da parte.
Tra questi autori che hanno detto la loro su questa dicotomia vi è anche Chuck Dixon, il quale ha scritto negli anni '90 del ventesimo secolo un luuuuuunghissimo ciclo di Detective Comics e qualche testata spin-off incentrata sugli alleati di Batman. Insomma, possiamo dire che è un abituale frequentatore di Gotham City.
Dixon offre una visione un po' diversa dal solito dei due opposti caratteri di Batman e Joker in un one-shot pubblicato nel 1996 intitolato Joker: L'Avvocato del Diavolo (The Joker: Devil's Advocate). Il disegnatore è Graham Nolan, un frequente collaboratore di Dixon: insieme i due hanno creato Bane, la nemesi di Batman più memorabile dopo la fine della Silver Age.
La trama sembra partire come una storia degli anni '70: vengono messi in commercio dei francobolli raffiguranti i più grandi comici della storia e Joker inizia a seminare distruzione a modo suo poiché lui non è presente nella collezione. Al contempo, alcune persone muoiono a causa di un veleno presente nella colla dei francobolli, un veleno riconducibile al Joker.
Catturato da Batman, il criminale viene portato in tribunale e giudicato in via eccezionale come una persona sana di mente. Questo garantisce una condanna alla pena di morte che verrà eseguita entro poche settimane. Joker proclama la sua innocenza e solo una persona gli crede: Batman.
Andando contro tutti i suoi alleati (James Gordon, Oracolo), i quali decidono di non aiutarlo convinti che l'uccisione di Joker sia una cosa giusta anche se per dei delitti che non ha commesso, Batman cerca di scoprire la verità, lottando inoltre contro la tentazione di liberarsi per sempre del suo più insidioso avversario.
Dixon rovescia in questa storia la classica dicotomia Batman/Joker... non utilizzandola e rendendo il Cavaliere Oscuro l'avvocato del diavolo del titolo, nonché l'unico che attivamente si prodiga per proclamare l'innocenza di Joker.
La storia porta all'estremo - ma in maniera credibile - lo spasmodico desiderio di giustizia di Batman e il fatto che lui non uccida né possa permettere che per un suo mancato intervento un innocente muoia. Anche se alla fine c'è un curioso rovescio della medaglia.
Nel leggere la storia dobbiamo far finta di dimenticare che Batman passi sopra il fatto che Joker abbia ucciso in maniera brutale Jason Todd (almeno, era ancora fuori dai giochi al tempo della pubblicazione dell'albo) non molto tempo prima in termini narrativi.
Il Joker che vediamo qui è quello giocoso e che adora stare sotto i riflettori uscito direttamente dal ciclo di Steve Englehart. Perché si sa, il caos può assumere infinite sfaccettature, anche quelle che in principio possono strapparci un sorriso.
Non aspettatevi comunque grandi approfondimenti psicologici dei personaggi. Chuck Dixon non è Alan Moore (ecco, al limite dopo rileggetevi The Killing Joke, a meno che non lo conosciate a memoria), i personaggi vengono inquadrati giusto quel minimo necessario che serve al lettore disimpegnato. Dopodiché si punta tutto quanto sull'azione e sulla risoluzione del mistero, in maniera lineare e prevedibile.
Quindi, una storia senza particolari colpi di scena, ma che presenta un punto di vista inedito (perlomeno, credo che lo sia, Scott Snyder doveva ancora arrivare) sul rapporto tra Batman e Joker e che risulta un'ottima lettura di evasione.

venerdì 20 agosto 2021

Netflix Original 5: Special Correspondents


Nel 2009 esce in Francia il film Envoyés Très Spéciaux, che narra di un finto rapimento ai danni di due giornalisti radiofonici in Iraq, che tuttavia il pubblico ritiene sia reale.
I diritti su questa pellicola per il mercato americano vengono acquisiti alcuni anni dopo da Netflix, che ne affida il progetto dell'adattamento a Ricky Gervais. Il risultato finale è Special Correspondents, pellicola non solo sceneggiata ma anche diretta da Gervais e distribuita su Netflix a partire dal 29 aprile 2016.
Il film parte dal modello francese, salvo seguire poi una strada propria: all'arrogante reporter radiofonico Frank Bonneville (Eric Bana) viene dato l'incarico di recarsi in Ecuador, per seguire da vicino una rivolta popolare contro il governo.
Bonneville decide di portare con sé il tecnico del suono Ian Finch (Gervais), impacciato e detestato dalla propria moglie, ma costui per una distrazione getta via i biglietti aerei e i passaporti di entrambi. Per non rischiare di perdere il lavoro e la faccia, i due concepiscono allora un piano azzardato: si rifugiano in un locale gestito da una coppia loro amica e da lì iniziano a trasmettere presunti reportage dall'Ecuador, inventandosi un finto leader della rivolta e persino un rapimento ai loro danni.
Superfluo dire che ben presto questo piano si ritorcerà loro contro.
Il cast di questo film è ottimo e variegato: oltre a Bana e Gervais, vi sono anche Vera Farmiga (nel ruolo della spietata moglie di Ian Finch), il bravo caratterista Kevin Pollak e un'attrice di nome Kelly MacDonald che in principio non mi ha detto nulla... rimanendo poi stupito dal suo curriculum (è pure la voce originale di Merida di Ribelle - The Brave).
Pur essendo chiaro il budget limitato di questa pellicola (molte scene in interni, location principale girata a Toronto), Gervais riesce sia a tirare fuori una buona sceneggiatura - condendola anche con un sano tocco di british humour - che una regia senza intoppi. Dopotutto aveva già esperienza in merito in entrambi i campi e in questo specifico caso è stato anche supportato in maniera efficace dal cast di attori a sua disposizione.
Se proprio si dovesse trovare un difetto, magari la storia - che parte da un presupposto un po' particolare ma comunque accettabile nell'ambito di una commedia - deborda poco dopo la metà del film divenendo troppo esagerata, in particolare per quanto riguarda il personaggio della moglie di Finch. Ma vi si può passare sopra senza troppi problemi.
L'intera pellicola risulta una divertita e al tempo stesso amara satira di quella che è la situazione dei notiziari nel panorama americano odierno (non solo americano, in effetti), dominato dalle fake news, da notizie date in pasto al pubblico senza un adeguato controllo di veridicità e dalla predominanza degli ascolti rispetto all'aderenza alla realtà dei fatti.
Un film dunque che strappa delle risate, che solo alla fine ti accorgi essere state a denti stretti. Dannazione al british humour!

mercoledì 18 agosto 2021

Netflix Original 4: Pee-Wee's Big Holiday


Il personaggio di Pee-wee Herman è molto noto negli Stati Uniti, non altrettanto in Italia. Creato dal comico Paul Reubens, questo adulto con atteggiamenti da bambino è comparso in televisione per la prima volta nel 1981, in programmi destinati a un pubblico pre-adolescenziale, ma col tempo è approdato anche sul grande schermo.
A partire dal 1985 col film Pee-wee's Big Adventure, che ha rappresentato peraltro anche il debutto come regista cinematografico di Tim Burton. Per continuare nel 1988 con Big Top Pee-wee.
Dopodiché Pee-wee e le sue avventure subiscono una brusca battuta di arresto, anche per via di alcuni problemi giudiziari affrontati da Reubens. Tanto che per vedere un nuovo film incentrato su Pee-wee, pur essendo il personaggio già tornato in televisione, bisogna aspettare il 2016.
La nuova pellicola compare su Netflix il 18 marzo 2016 e si intitola Pee-wee's Big Holiday, sceneggiata da Paul Reubens e Paul Rust e diretta da John Lee.
La trama è davvero molto semplice, come si può immaginare: la tranquilla vita di Pee-wee a Fairville viene rivoluzionata dalla conoscenza dell'attore Joe Manganiello, il quale lo invita a New York, per la sua festa di compleanno che avrà luogo entro pochi giorni.
Il viaggio rappresenta per Pee-wee anche la prima volta in cui si allontana da Fairville e sarà ovviamente pieno di sorprese, tra rapinatrici affascinanti, matrimoni a sorpresa e auto volanti.
Non siamo nuovi a questo tipo di commedie tipicamente americane, ovvero quelle di stampo demenziale/surreale con personaggi che definire eccentrici sarebbe un eufemismo. Quindi, se siete quel tipo di spettatore che odia questo tipo di prodotti, alla Scemo & Più Scemo per intenderci, questo film di certo non fa per voi.
Ma anche per chi questi prodotti li apprezza, o comunque li guarda senza porsi troppi problemi, riuscirà difficile apprezzare questo film. Da un lato (e questo va riferito solo al pubblico italiano) per la scarsa conoscenza del personaggio di Pee-Wee, dall'altro per le situazioni comiche qui presentate che non risultano del tutto efficaci, tranne un paio. Eppure, e pare paradossale dirlo, il rapporto tra Pee-wee e Joe Manganiello risulta anche ben sviluppato (nel contesto di un film comico, ovviamente).
Poi in tutto questo emerge una riflessione: tra il secondo e il terzo film sono passati ventotto anni. Un'intera generazione e più. Quando ha girato questa pellicola, Paul Reubens aveva più di sessant'anni e si nota che il tutto è stato sepolto sotto quintali di trucco e anche un po' di CGI.
È lo stesso motivo per cui a un certo punto Rowan Atkinson ha smesso di interpretare Mr. Bean. Un personaggio che continua ad agire in maniera innocente, con la mente di un bambino, a un certo punto col passare degli anni non risulterà più divertente, ma patetico, ancor più in un mondo spietato come quello di oggi.
Un mondo in cui anche il grande comico Pagliacci a un certo punto non riesce più a ridere della vita.

lunedì 16 agosto 2021

Netflix Original 3: Crouching Tiger, Hidden Dragon - Sword of Destiny


Nel 2000, esce il film La Tigre e il Dragone (Crouching Tiger, Hidden Dragon), diretto da Ang Lee e tratto da una serie di romanzi scritti da Wang Dulu. Pellicola che ottiene anche un Oscar come miglior film straniero.
Ebbene, incredibile ma vero, il film ha avuto anche un sequel diretto da Yuen Woo-Ping, che è stato prodotto dalla società di Harvey Weinstein - prima ovviamente che i guai giudiziari lo travolgessero - e distribuito da Netflix sulla sua piattaforma, dopo un rapido passaggio in alcuni cinema, il 26 febbraio 2016.
Se la prima pellicola era di derivazione orientale, concepita da cineasti orientali, questa invece è di matrice più statunitense, tanto che la sceneggiatura è scritta dall'americano John Fusco e la produzione come detto è americana. Il film comunque è stato ovviamente distribuito anche in Cina e Giappone, dove ha avuto una discreta presenza nei cinema.
Del cast originario, ritorna solo Michelle Yeoh, alias Shu Lien, mentre del destino di un altro paio di personaggi viene appena accennato, poiché questa nuova pellicola - pur essendo un sequel - si distacca da quella originaria.
Sono passati circa diciotto anni dagli eventi de La Tigre e il Dragone. Shu Lien sta portando un antico manufatto, la spada nota come Destino Verde, presso la città di Pechino perché lì sia protetta e custodita.
Dopo essere sfuggita a un attacco da parte degli sgherri di Hade Dai (Jason Scott Lee) grazie anche all'aiuto di Ip Man... volevo dire il guerriero Lupo Silente (Donnie Yen), una sua vecchia conoscenza, Shu Lien deve proteggere la spada - che si dica dia l'invincibilità a chi la possiede - dai successivi attacchi di Hade Dai e al contempo forgiare una nuova combattente, Vaso di Neve (Natasha Liu Bordizzo).
Oriente e Occidente sono due mondi distanti e differenti, quindi potete ben capire come in questo film di ambientazione orientale ma concepito da occidentali non troverete le atmosfere della pellicola originaria (persino il cast è composto da attori anche solo di origini orientali abituati a lavorare nelle produzioni americane).
Detto questo, però, questa pellicola ha una sua dignità, se la inquadriamo come un film d'azione con qualche psicologia spicciola approfondita e temi sempiterni come l'onore e il coraggio. Si intravede inoltre che, pur con una produzione a costo non elevato, si è cercato di curare al massimo ogni aspetto della storia e le coreografie di battaglia.
Ovviamente i paragoni con la prima pellicola sono inevitabili, è il titolo stesso che li cerca, e risultano in maniera altrettanto inevitabile impietosi. Se comunque vi va di dare un'ulteriore occhiata a quel mondo magico e speciale creato da Ang Lee e non avete troppe pretese, questo sequel è ciò che fa per voi.
E ora andiamo a saltellare e volare per i tetti.

domenica 8 agosto 2021

Fabolous Stack of Comics: Animal Man


Negli anni '80 del ventesimo secolo, il fumetto supereroistico americano subisce un processo di revisionismo che modernizza e contestualizza in un nuovo scenario sociale quelle che erano le atmosfere e le trame della Silver Age, un processo che ha avuto i suoi prodromi nel decennio precedente tramite alcune produzioni indipendenti.
Ma non sono degli sceneggiatori americani i principali artefici di questa nuova fase del fumetto americano, bensì scrittori anglosassoni, i quali portano una nuova sensibilità, più europea se così possiamo definirla, nelle colorate pagine dei supereroi.
Il primo e principale responsabile di questa fase di revisionismo è Alan Moore, ma dopo Crisi sulle Terre Infinite - visti i buoni riscontri in merito - altri sceneggiatori britannici vengono contattati, in particolar modo dalla DC Comics, che sta vivendo una fase di rinascita.
Uno di questi sceneggiatori è Grant Morrison, che come Alan Moore decide di concentrare il suo primo tentativo per il mercato americano su un personaggio fino a quel momento poco noto della DC Comics, Animal Man - il quale aveva collezionato in due decenni dalla sua creazione una decina o poco più di apparizioni, prima che lo scrittore scozzese decidesse di occuparsene.
Quella che in principio deve essere solo una miniserie di quattro numeri diventa ben presto una run più articolata, per un totale di 26 numeri, disegnati in buona parte da Chas Truog con qualche contributo aggiuntivo di Tom Grummett.
La serie regolare esordisce nel 1988 e le prime nove storie definiscono quello che sarà l'intero tessuto narrativo di questo ciclo.
Nei primi quattro numeri, Buddy Baker, sposato e con due figli di nome Cliff e Maxine, decide di diventare un supereroe a tempo pieno riportando in auge la sua identità di Animal Man. Il primo scontro con un personaggio dimenticato di nome B'wana Beast gli apre gli occhi sulle crudeltà che vengono inflitte nei confronti degli animali e decide così di diventare vegetariano e di iniziare a battersi in maniera proattiva per i diritti delle specie animali.
Subito dopo, Animal Man comincia a vivere strane avventure in cui il tessuto stesso della realtà sembra piegarsi, mentre al contempo subisce un attacco da parte del nuovo Mirror Master, il quale è al servizio di una misteriosa organizzazione.
L'aspetto più debole di questo ciclo, duole dirlo, è la parte grafica. Chas Truog non è un cattivo disegnatore, ma non sa rendere al meglio (tranne nella storia Il Vangelo del Coyote, lì forse aveva avuto una visione mistica come Morrison) le atmosfere surreali e metafisiche concepite dallo sceneggiatore scozzese, laddove invece risulta più efficace per le storie più prettamente supereroistiche... ma che si riducono praticamente solo ai primi quattro numeri.
Essendo, prima della pubblicazione di queste storie, il personaggio di Animal Man sostanzialmente una lavagna bianca, Grant Morrison ha potuto operare una costruzione del personaggio praticamente da zero (cosa che però non è così semplice come si potrebbe pensare) e ha trasferito in Animal Man parte delle sue idee e della sua personalità, essendo anche lui un convinto vegetariano e contro la crudeltà verso gli animali.
Sentimenti che comunque non vengono affibbiati al personaggio tanto per fare sensazionalismo, ma che sono frutto di una svolta narrativa ben precisa e che non rimangono poi lettera morta.
Al contempo, dopo la prima saga, Morrison inizia a trattare - nei primi numeri in maniera blanda - il tema del metafumetto. Il tutto inserito in una cornice più ampia: quella di una metanarrazione già appannaggio di certa letteratura e che qui viene applicata, forse non per la prima volta in assoluto ma di certo per la prima volta in maniera sistematica, in un'opera fumettistica.
Donandole così quella dignità artistica che essa merita e facendo capire la sua portata nel contesto di una narrazione che non deve temere confronti con altre opere o essere vista come una sorta di fratello minore o da ripudiare dell'arte.
Proprio perché il fumetto - nella sua accezione più pura - si è ormai evoluto da quegli ingenui ma adorabili anni di formazione della Silver Age e può ora ampliare il suo raggio, può aspirare a essere qualcosa di più. Senza dimenticare le proprie origini.

martedì 3 agosto 2021

Fabolous Stack of Comics: Spiriti della Vendetta - Guerra alle Porte dell'Inferno


Ah, i Figli della Mezzanotte! Ah, quando la Marvel inaugurava delle linee editoriali ad mentula canem! Che periodo indimenticabile.
Sotto questo ombrello editoriale vennero raccolte negli anni '90 del ventesimo secolo tutte le testate con collegamenti all'horror e al soprannaturale (partendo dall'immancabile megasaga galattica!).
Tra queste vi era anche Spirits of Vengeance, serie che vedeva coinvolti i fratelli-cugini-quasiamici Johnny Blaze e Danny Ketch, ovvero il primo e il secondo Ghost Rider (e quello western? Ehm). Pur avendo avuto questa serie una vita relativamente breve (23 numeri in tutto), è rimasta comunque nel cuore degli appassionati.
Un revival era dunque d'obbligo ed è arrivato nel 2017, con la miniserie in cinque numeri Spiriti della Vendetta: Guerra alle Porte dell'Inferno (Spirits of Vengeance: War at the Gates of Hell). Lo sceneggiatore è Victor Gischler, mentre la parte grafica è affidata a David Baldeon, un aficionado di questa rubrica oramai.
Non troviamo Danny Ketch in questa storia, ma il solo Johnny Blaze, coadiuvato in questo caso da Blade, Daimon Hellstrom e Satan (i figli di Satana, famiglia santa). Tutti loro si ritrovano coinvolti loro malgrado in un conflitto tra Paradiso e Inferno quando Necrodamus cerca di recuperare una sacra reliquia capace persino di uccidere un angelo! Necrodamus intende riuscire in questa impresa per motivi puramente egoistici, ma l'insolito team soprannaturale proverà a sventare i suoi piani.
Verrebbe da rinominare questa storia "Daimon Hellstrom e i suoi infernali amici". Si nota che Gischler è molto affezionato a questo personaggio e fin da subito lo pone al centro dell'attenzione, rendendolo il vero protagonista della vicenda e risolutore della crisi.
Anche gli altri personaggi conquistano comunque il loro spazio, con Ghost Rider - per esplicito volere dell'artista - in versione Jack Skeletron a ritagliarsi una sorta di ruolo da "sidekick" di Hellstrom, mentre Satan riallaccia il complicato rapporto familiare con suo fratello.
L'unico che viene sacrificato sull'altare della narrazione è invece Blade, che alla fin fine a parte agitare le sue lame non si capisce bene che cosa faccia qui. Forse è stato imposto da un punto di vista editoriale o forse Gischler non ha avuto il tempo di approfondirlo a dovere.
Sul discorso trama, premesso che se volete riflessioni più profonde su Paradiso e Inferno è meglio che leggiate Sandman e non questa storia, vi è il merito di recuperare e dare dignità a un nemico sconosciuto e minore dei Difensori (avessi detto Avengers) come Necrodamus. Per il resto comunque tutto fin troppo liscio, oramai dopo Preacher veder apparire angeli e demoni in un fumetto non è visto più come un'eresia. Meglio così.
Appare chiaro che questa miniserie volesse essere un prologo a una futura serie regolare col medesimo cast di personaggi, ma ciò non è avvenuto. La storia in sé comunque rimane godibile e non lascia alcun punto in sospeso. Quasi una rarità, verrebbe da dire.

domenica 1 agosto 2021

Fabolous Stack of Comics: Il Quinto Beatle


Sarebbe superfluo specificare che importanza abbiano avuto e continuino ad avere i Beatles nel panorama musicale non solo del loro tempo, ma anche di quello generale, mondiale. Dietro il loro meritato successo, oltre a bellissime canzoni e aldilà delle loro diatribe interne, vi sono state alcune persone fondamentali. A partire da George Martin, il discografico che accettò di produrre il loro primo disco.
Ma la persona forse più importante di tutte è stata il loro manager, Brian Epstein. Così importante da meritarsi l'appellativo di Quinto Beatle. E divenire il soggetto di una graphic novel pubblicata nel 2013 dalla Dark Horse, intitolata Il Quinto Beatle: La Storia di Brian Epstein (The Fifth Beatle: The Brian Epstein Story), sceneggiata da Vivek Tiwary e disegnata da Andrew Robinson con contributi aggiuntivi di Kyle Baker.
L'opera mixa la storia con l'oniricità, partendo da quando Brian Epstein, gestore di un negozio di dischi appartenente a suo padre, scopre per caso i Beatles e ne diviene il manager, portandoli negli anni seguenti al successo grazie al suo fiuto per gli affari.
Al contempo, Brian Epstein è una personalità tormentata. Omosessuale che vive in un'epoca che ne rifiuta persino l'esistenza e appassionato della corrida, che vede come una metafora dell'uomo che supera le più grandi avversità. Ma il suo più grande nemico è la dipendenza dalle droghe.
Non credo che questa graphic novel avesse obiettivi di aderenza storica assoluta. Improbabile ad esempio che Epstein fosse così angosciato per aver sottratto ai propri assistiti delle royalties che sono spettate a lui. In ogni caso, pur descrivendo eventi realmente accaduti come il primo incontro tra Epstein e i Beatles in un locale o il viaggio del gruppo negli Stati Uniti per l'Ed Sullivan Show, l'opera alla fine è tutta incentrata su Epstein e la sua personalità.
Il tutto in un'atmosfera che è a metà tra un sogno e la realtà, sembra quasi che tutto quello che vediamo narrato sia filtrato dalla mente di Epstein e da come lui percepisca gli eventi, associandoli alla corrida o al suo bisogno d'amore che non viene corrisposto.
Ed è proprio l'amore - e attraverso di esso l'accettazione di sé stessi - il tema principale della storia. L'amore puro, incondizionato, scevro da sciocchi pregiudizi sociali. Tramite i Beatles, Epstein riesce a inviare al mondo un messaggio d'amore universale, poiché lui non può esporre a quello stesso mondo il suo amore in maniera pubblica.
Così che quando quel messaggio è stato inviato, Epstein può ritirarsi. Dal 1967 in Inghilterra iniziano a essere depenalizzati i reati commessi all'omosessualità, l'anno stesso in cui Epstein muore a causa di un'overdose.
La sua opera è andata oltre la musica: grazie ai Beatles Brian Epstein ha contribuito a cambiare in meglio il mondo. E per questo non va dimenticato.