martedì 28 febbraio 2023

Netflix Original 110: La Fine


Ritornano gli scenari apocalittici tanto cari al cinema americano... e australiano... e inglese... insomma tanto cari un po' a tutti quanti.
Molto spesso, come capita ad esempio nella saga di Mad Max, ci si concentra su uno scenario ambientato qualche tempo dopo gli eventi che hanno causato l'apocalisse e/o la quasi estinzione del genere umano.
Più raramente, invece, ci si concentra sul momento in cui giunge la crisi e sulle sue immediate conseguenze. Non è così, tuttavia, in La Fine (How It Ends), diretto da David M. Rosenthal, scritto da Brooks McLaren e distribuito su Netflix a partire dal 13 luglio 2018.
Will Younger (Theo James) si trova a Chicago per incontrare i genitori di sua moglie Samantha (Kat Graham), la quale è rimasta a Seattle ed è incinta. Will rimane intimorito dal padre di lei, Tom Sutherland (Forest Whitaker), e la discussione con lui sfocia quasi in litigio.
Ma ogni diatriba tra i due viene messa da parte quando - a seguito di un evento misterioso - l'energia elettrica in tutta la nazione viene meno e si perde ogni contatto con Samantha. Con caos e distruzione attorno a loro, Will e Tom si dirigono in auto verso Seattle, incontrando decine di ostacoli lungo la via.
Come visto anche in Cargo, anche in questo caso le cause scatenanti dell'evento apocalittico non saranno mai pienamente spiegate, ma appena accennate, poiché non è nell'interesse della trama dare una spiegazione in tal senso, la quale viene lasciata allo spettatore che può cogliere alcuni indizi disseminati qua e là.
Il focus principale della storia, infatti, è il viaggio degli eroi (o sarebbe meglio dire, degli antieroi) in questa landa disastrata un tempo nota come Stati Uniti. Un viaggio che ha un unico obiettivo: ritrovare una persona cara, andando contro tutto e tutti.
Quindi ci troviamo di fronte a un road movie che vuole scavare nell'animo umano, per indagare fin dove ci si possa spingere pur di salvare una persona amata e di quali peccati si sia disposti a macchiarsi. Una sorta di The Road, ma più diretto e per certi versi anche meno pessimista (non che ci voglia tanto, direte voi, e in effetti...), pur non mancando numerose situazioni di tensione, dove l'essere umano rivela tutta la sua crudeltà e bassezza, che si manifesta principalmente nelle situazioni di crisi.
Ma anche dove si possono scoprire lati positivi del proprio carattere prima sconosciuti per proteggere i propri cari. La crisi qui rappresentata e portata all'estremo può assumere varie sfaccettature. Può essere una crisi economica, può essere anche una pandemia, volendo.
Comunque è davvero particolare che in un film intitolato La Fine, un vero e proprio epilogo non ci sia. L'orrore continua dunque anche dopo i titoli di coda e rischia di inghiottirci tutti.

lunedì 27 febbraio 2023

Prime Video Original 48: Un Matrimonio Esplosivo


C'è poco da fare. Ai matrimoni cinematografici non si riesce mai ad avere un momento di pace. Abbiamo da poco parlato dello sposalizio surreale e del suo contorno non meno surreale di Invitati Per Forza (The People We Hate at the Wedding) che ecco arrivare un'altra cerimonia in grande stile... se così si può dire.
Una cerimonia che ha luogo in Un Matrimonio Esplosivo (Shotgun Wedding), film diretto da Jason Moore, scritto da Mark Hammer e distribuito su Amazon Prime Video a partire dal 27 gennaio 2023.
Su un'isola privata delle Filippine sta per avere luogo il matrimonio tra Darcy Rivera (Jennifer Lopez) e Tom Fowler (Josh Duhamel). In apparenza è il classico matrimonio con qualche intoppo, tra genitori invadenti, amici un po' troppo brilli e l'arrivo imprevisto dell'ex compagno di Darcy, Sean Hawkins (Lenny Kravitz).
Ma un evento decisamente ancora più imprevisto sta per accadere: una banda di pirati assalta infatti l'isola, decisa a prendere in ostaggio tutti i presenti, e il loro obiettivo appare collegato in qualche modo ai due futuri coniugi, che sono gli unici in grado di poter salvare la situazione... se prima smettono di litigare tra loro.
Messa giù così appare come un film drammatico, ma in realtà Un Matrimonio Esplosivo è la classica action comedy che prende in prestito la sua trama da altri film, un po' True Lies, un po' Die Hard (la parodia di Die Hard, ovviamente, stile Palle In Canna), un po' altre cose.
Quindi situazioni già viste, che apparirebbero surreali in ogni altro contesto (non penso che la gente si metta a cantare o faccia battute mentre gli viene puntata contro un'arma), ma del tutto accettabili in un prodotto del genere, di puro e semplice intrattenimento. Sta poi a voi decidere se siate stati intrattenuti al meglio o se la cerimonia si sia rivelata noiosa.
Se Invitati Per Forza si concentrava su certe complicate dinamiche familiari con spirito surreale, Un Matrimonio Esplosivo fa altrettanto e con spirito altrettanto surreale, seppur concepito in maniera diversa (non vedrete dunque analisi su rapporti inclusivi e buonismo a tutti i costi, salvo verso la fine) e rappresenta uno strampalato omaggio, a mio avviso, a certi film d'azione degli anni '80 e '90 del ventesimo secolo (anche una parodia può omaggiare, in un certo senso).
Ovviamente non ci troviamo di fronte a un capolavoro imprescindibile, ma qualcosa di leggero da vedere con mente semidistaccata. Inoltre, sarà la natura, sarà il computer, sarà la genetica o il pilates, sarà quello che volete, ma Jennifer Lopez, la quale ha superato una certa soglia di età che non vi dico per educazione, rimane una bellezza di livello stratosferico. Inoltre è decisamente esperta di matrimoni cinematografici, questo sarà come minimo il quarto.
Una donna forte e una compagna perfetta per Batman.

domenica 26 febbraio 2023

A scuola di cinema: La Notte dei Morti Viventi (1968)

1967: Tre amici di nome George Romero, John Russo e Rudy Ricci fondano la società di produzione Image Ten, occupandosi di alcuni spot televisivi o brevi filmati dal valore educativo sempre per la televisione. Fino a quando decidono di tentare la strada di produrre un lungometraggio cinematografico.
John Russo concepisce allora l'idea di una commedia a sfondo fantascientifico, dove una flotta di giovani alieni invade la Terra, imbattendosi in alcuni adolescenti umani e causando numerosi problemi a causa del loro animale domestico alieno. Ma un'idea del genere comporta un budget rilevante e improponibile per persone alle prime armi.
Così John Russo concepisce un'altra idea che vede un ragazzo fuggito di casa scoprire dei cadaveri sotto vetro, la cui carne viene consumata da delle creature aliene.
Per quanto possa apparire incredibile, questo rappresenta il punto di partenza di una celebre pellicola.


Utilizzando il concetto delle creature divoratrici di carne ideato da John Russo e ispirandosi anche a Io Sono Leggenda (I Am Legend) di Richard Matheson, George Romero scrive un breve trattamento di 40 pagine che costituisce in pratica il prologo della storia. John Russo espande poi questo trattamento originario che ha come titolo Monster Flick.
Ora rimane la prova più difficile: girare il film! La somma che Romero e Russo hanno a disposizione all'inizio, infatti, è di appena 6.000 dollari.
In principio il protagonista, Ben, è un rude camionista, che utilizza un linguaggio crudo come il suo carattere, e il colore della pelle non è specificato in quanto non rilevante. In un primo momento si pensa di affidare la parte a Rudy Ricci, ma quando Duane Jones, uno sconosciuto attore teatrale, effettua l'audizione la parte gli viene assegnata immediatamente.
Per George Romero, il fatto che Duane Jones sia un afroamericano non ha alcuna importanza, pur essendo uno dei primi attori afroamericani nella storia ad avere il ruolo del protagonista principale e dell'eroe in un film, semplicemente lo ritiene la scelta più adatta.
Essendo l'attore un insegnante e persona acculturata, si rifiuta di pronunciare le battute così come sono state scritte e modifica - con l'assistenza di Romero - i dialoghi del suo personaggio, perché riflettano la sua personalità.
In principio, George Romero vorrebbe che fosse Tom Savini a occuparsi del trucco, dopo aver visionato un suo portfolio durante un'audizione, ma purtroppo costui è costretto a declinare in quanto è stato arruolato per la guerra in Vietnam come fotografo sul campo. George Romero, tuttavia, non si dimenticherà di lui.
Le riprese si tengono in Pennsylvania. Per motivi di budget, il film viene girato in bianco e nero e su pellicola 35mm e non possono essere assunti attori di grido o nemmeno di seconda fascia, ma solo degli sconosciuti. Per gli stessi motivi, alcuni degli investitori del film, i componenti della troupe e gli stessi Romero e Russo interpretano qualche parte secondaria. Alcune comparse vengono trovate tra gli abitanti del luogo, desiderosi di lavorare anche a titolo gratuito.
Essendo dunque il tutto girato in bianco e nero, non si va troppo per il sottile per quanto riguarda il sangue, che in realtà è inchiostro rosso o sciroppo di cioccolato a seconda delle situazioni.
Una delle auto utilizzate appartiene alla madre di uno degli attori e investitori, Russell Streiner. Quando non si tengono le riprese, la madre dell'attore utilizza l'auto per le faccende quotidiane, ma un giorno incappa in un piccolo incidente che intacca il lato del guidatore del mezzo.
Streiner coglie la palla al balzo e la esorta a non andare subito dal meccanico. Dopodiché viene aggiunta una scena al film in cui l'auto va a sbattere contro un albero.
Anche se la durata totale della lavorazione è di 30 giorni, occorrono in realtà nove mesi per completare il tutto, in quanto le riprese iniziano senza tutti i fondi necessari. Così George Romero concepisce l'idea di realizzare quante più scene possibili coi soldi a disposizione, farli vedere ad altri possibili investitori, racimolare altro denaro e girare altre scene e così via fino alla conclusione.
Non potendo essere assunti stuntmen professionisti, gli attori devono anche affrontare le scene più pericolose, incluse quelle dove i loro personaggi prendono fuoco, pur adottando le necessarie precauzioni.
Per abilità e fortuna tutto va bene, tranne quando in una scena Gary Streiner - fratello di Russell Streiner - prende accidentalmente fuoco a un braccio mentre sparge della benzina su una sedia. Un componente della troupe, Bill Hinzman, interviene prontamente a getta a terra Streiner, soffocando così le fiamme, che si estinguono. Gary Streiner ne ricava alla fine una lieve ferita, ma non una bruciatura.
Per l'epilogo, George Romero pensa se sia il caso di far sopravvivere il personaggio di Ben, ma Duane Jones lo esorta a riconsiderare la cosa, in una sorta di simbolismo della condizione della comunità afroamericana dell'epoca.
Una volta concluse le riprese, Romero e Russo sottopongono la pellicola ad alcuni distributori, senza esito in quanto girata in bianco e nero e ritenuta troppo cupa. La Columbia Pictures dimostra qualche interesse, ma vorrebbe un lieto fine e un sottotesto romantico. Alla fine, la Walter Reade Organization decide di acquisirla.
La Notte dei Morti Viventi (Night of the Living Dead) viene distribuito nei cinema americani a partire dal primo ottobre 1968. A fronte di un budget di 114.000 dollari, la pellicola arriva infine a incassare 30 milioni di dollari.
Ma l'inesperienza gioca un brutto scherzo a George Romero e John Russo. Quando il film viene venduto alla Walter Reade Organization, il titolo finale prescelto è Night of the Flesh Eaters. Tuttavia il distributore scopre che vi è un film del 1964 intitolato The Flesh Eaters e, per evitare beghe legali, viene cambiato appunto in Night of the Living Dead.
Non ci sarebbe alcun problema, se non fosse che il copyright è stato posto sul titolo precedente e non sul nuovo e, secondo le leggi di allora, un film il cui titolo non è coperto da copyright ricade automaticamente nel dominio pubblico.
La conseguenza è che vengono prodotte numerose copie non autorizzate della pellicola e, dei milioni di dollari che essa genera negli anni successivi, inclusi i profitti derivanti dall'home video, Romero e Russo ne vedono davvero pochi.
Questo tuttavia non impedisce al regista di far sì che questo film lanci la sua carriera nel mondo del cinema e, svariati anni dopo, possa infine dirigere un sequel di questa pellicola... ma questa è un'altra storia.

sabato 25 febbraio 2023

A scuola di cinema: Witness - Il Testimone (1985)

10 Dicembre 1966: Viene trasmesso sulla serie televisiva CBS l'episodio Quaker Girl, appartenente alla serie televisiva Gunsmoke.
In questo episodio il personaggio di Thaddeus Greenwood deve catturare un assassino di nome Fred Bateman, il quale si nasconde in una comunità di quaccheri. Greenwood cerca di catturarlo, ma non è aiutato molto dalla popolazione locale, i cui precetti religiosi impediscono di indicare chi è il criminale in questione.
L'idea di un omicidio e delle sue conseguenze che si sviluppano in una comunità rurale intriga gli sceneggiatori William Kelley, Pamela Wallace ed Earl W. Wallace, i quali partendo da questa ispirazione concepiscono un celebre lungometraggio.


L'idea iniziale viene a Pamela Wallace mentre lei e suo marito Earl stanno affittando una casa di proprietà di una donna cresciuta in una comunità Amish. Pamela Wallace trova nell'abitazione dei cimeli di questa comunità e pensa sarebbe interessante sviluppare una storia su una relazione tra una donna Amish e un uomo proveniente da una metropoli.
Partendo dunque anche dalla premessa dell'episodio di Gunsmoke, i tre scrittori negli anni '70 del ventesimo secolo ideano un trattamento intitolato Called Home (il termine Amish che indica la morte), della lunghezza di circa 190 pagine. Tale trattamento giunge nel 1983 tra le mani del produttore Edward Feldman, che pur apprezzandolo nota cose a lui non gradite.
Innanzitutto la sceneggiatura va fin troppo nel dettaglio rispetto alle tradizioni della comunità Amish ed è più incentrata sulla protagonista femminile che su quello maschile. Feldman chiede dunque una revisione, dietro un compenso di 25.000 dollari, la quale viene completata in sei settimane.
Edward Feldman sottopone quindi la sceneggiatura alla 20th Century Fox, ma il capo degli studi Joe Wizan la rigetta senza possibilità di appello, con la motivazione che la Fox non produce film ambientati nelle campagne.
Per la parte del protagonista, John Book, il primo attore contattato è Sylvester Stallone, ma dopo il suo rifiuto Feldman invia la sceneggiatura all'agente Phil Gersh, che a sua volta la sottopone a un suo assistito, Harrison Ford, raccomandandogli di accettare la parte. Quattro giorni dopo, l'attore dà il suo assenso.
In preparazione a questo ruolo, Harrison Ford entra in contatto col dipartimento di polizia di Philadelphia e con l'associata Sezione Omicidi, assistendo anche ad alcune loro irruzioni.
Nonostante la presenza di un attore di grido, tuttavia, la 20th Century Fox rimane ferma nel suo diniego e così il progetto viene proposto ad altri studi, fino a quando viene opzionato nel marzo 1984 dalla Paramount Pictures.
Il titolo prescelto, però, non suscita grande entusiasmo e se ne ricerca un altro. Si promette addirittura un premio in denaro a tutti i dipendenti dello studio se concepiranno un titolo migliore. Così, dopo un intermedio Home to Witness, si arriva al più immediato Witness.
Edward Feldman contatta per la regia Peter Weir, ma costui è impegnato con la pre-produzione di Mosquito Coast (The Mosquito Coast) ed è costretto a declinare. La pellicola, tuttavia, incontra qualche difficoltà nel reperire i finanziamenti necessari e dunque il regista australiano può ben presto tornare sui propri passi accettando l'incarico. Questo film è la prima produzione americana da lui diretta.
Per il ruolo della protagonista femminile, Rachel Lapp, vengono tenute numerose sessioni di casting che non soddisfano Peter Weir, il quale a un certo punto chiede che siano contattate solo attrici italiane, che risulteranno ai suoi occhi molto più femminili.
Giunge infine, tuttavia, l'audizione di Kelly McGillis, che all'epoca ha al suo attivo solo un altro film cinematografico da lei interpretato, Reuben, Reuben. Peter Weir visiona il filmato della sua audizione e, quando la vede indossare una cuffia bianca e pronunciare alcune battute, capisce che è l'interprete adatta.
A quel tempo l'attrice lavora come cameriera in una caffetteria del Greenwich Village. Peter Weir e Harrison Ford si recano dunque da lei e le offrono la parte, che lei accetta.
In preparazione a questo ruolo, Kelly McGillis entra in contatto con una vedova di una comunità Amish e i suoi sette figli, osservando la loro vita quotidiana, imparando a mungere le mucche e apprendendo il loro peculiare modo di parlare.
Nel ruolo secondario di Moses Hochleitner vi è Viggo Mortensen. Per lui questo film rappresenta il debutto cinematografico e per parteciparvi rinuncia a una parte che gli è stata offerta in una rappresentazione teatrale di un dramma di William Shakespeare.
Infine, nella parte di James McFee, vi è Danny Glover, in uno dei suoi primi ruoli importanti.
Le riprese iniziano in via ufficiale il 27 aprile 1984, durando per circa nove settimane e tenendosi in Pennsylvania. La tempistica di pre-produzione viene accorciata poiché all'orizzonte si prospetta uno sciopero del sindacato dei registi, che tuttavia alla fine non ha luogo.
Per quanto la storia si svolga in maniera prevalente in una comunità Amish, nessun componente di questa comunità partecipa in maniera attiva alla produzione, pur verificandosi le riprese nelle vicinanze di alcune vere comunità Amish.
Alcuni di loro osservano da lontano la lavorazione, chiedendo però di non essere ripresi poiché sarebbe in contrasto col loro stile di vita, che rifiuta la tecnologia in modo assoluto, e in tal senso lo Stato della Pennsylvania si è impegnato personalmente a proteggere la loro privacy.
Come consulente del film viene dunque ingaggiato John D. King, un ex appartenente della comunità Amish e, oltre agli attori principali, le comparse sono mennoniti, appartenenti a un altro credo ortodosso.
Anche trovare una fattoria adatta si rivela un'impresa, poiché tutti gli Amish che possiedono fattorie nella comunità di Lancaster, dove avviene la maggior parte della lavorazione, non intendono accettare denaro, in quanto temono che avere delle telecamere e gente estranea in casa comprometterebbe il loro stile di vita.
Alla fine, tuttavia, la produzione trova due coniugi non appartenenti agli Amish, Emma e Paul Krantz, disposti ad affittare la loro abitazione.
Per la scena in cui il personaggio di Leon Ferguson viene ucciso in un deposito, poiché soffocato da una grande quantità di grano che precipita dall'alto, l'attore Angus MacInnes viene davvero investito da una cascata di grano. Ma nel pavimento è stato nascosto un respiratore collegato a una bombola di ossigeno, che permette dunque all'attore di stare al sicuro, seppur sepolto.
Il finale originario prevede una lunga scena di dialogo di addio tra John Book e Rachel Lapp, ma Peter Weir decide infine di tagliarla, preferendovi una scena silenziosa fatta solo di sguardi che ritiene più adatta, nonostante il parere contrario della produzione. Ad aiutarlo in questa decisione vi è anche il fatto che Harrison Ford si è ammalato e dunque gli viene risparmiato questo sforzo.
Witness - Il Testimone (Witness) viene distribuito nei cinema americani a partire dal 7 febbraio 1985. A fronte di un budget di 12 milioni di dollari, la pellicola arriva infine a incassare a livello internazionale 116 milioni di dollari.
Questa prima collaborazione tra Harrison Ford e Peter Weir si rivela fruttuosa, tanto che i due decidono di tornare a lavorare subito insieme quando infine la pre-produzione di Mosquito Coast si sblocca... ma questa è un'altra storia.

venerdì 24 febbraio 2023

Netflix Original 109: A Caccia con Papà


Più di molte altre, la società americana basa una discreta parte della propria esistenza sul concetto - e il relativo sfruttamento - dell'entertainment. Partendo da questo presupposto, molti aspetti della vita moderna vengono spettacolarizzati e dati in pasto a un pubblico vorace di contenuti e desideroso di commentare problematiche altrui per non pensare alle proprie.
In particolar modo le dinamiche familiari, tra un padre e figlio ad esempio, in cui molti possono rispecchiarsi, diventano oggetto oltre che di film anche di reality show. O di qualcosa che unisce entrambi questi prodotti. Come accade in A Caccia con Papà (The Legacy of a Whitetail Deer Hunter), diretto da Jody Hill, scritto da Jody Hill, John Carcieri e Danny McBride e distribuito su Netflix a partire dal 6 luglio 2018.
Buck Ferguson (Josh Brolin) è la star indiscussa di un celebre reality show sulla caccia al cervo, assistito da dietro le quinte dal fedele cameraman Don (Danny McBride). Il nuovo episodio che deve essere girato vede Buck riunirsi a suo figlio Jaden (Montana Jordan), il quale deve cacciare e uccidere il suo primo cervo, ritrovando al contempo un legame col padre, che si è separato dalla madre.
Ma quello che dovrebbe essere un episodio celebrativo, alla fine si rivela in realtà qualcosa che potrebbe aumentare ancora di più la distanza tra padre e figlio e causare una eterna frattura.
Il tema della diffusione delle armi da fuoco negli Stati Uniti viene qui toccato in maniera marginale, pur essendo il punto di partenza della storia, e non ne rappresenta l'oggetto principale.
In realtà il film appare più come una satira, molto light comunque, sull'attuale società dello spettacolo, dove in nome degli indici di ascolto si danno in pasto agli spettatori dinamiche ed eventi che dovrebbero in realtà rimanere nella sfera privata, quali appunto i rapporti tra padre e figlio, col rischio che questi si deteriorino.
Buck Ferguson, infatti, è un uomo che nella sua vita ha vissuto solo per due cose, la caccia e il proprio programma televisivo, e non ha mai dedicato troppo tempo alla sua famiglia. Ma nel mondo magico e perfetto dei reality show e dello schermo 4:3, tutto si può aggiustare e il figlio può seguire le orme del padre, macchiandosi del sangue di un animale innocente.
Il paradosso è tutto qui. Buck Ferguson è ormai distaccato dalla realtà, non la capisce e non la vuole approfondire. Lui vive solo nel mondo del reality, fatto di boschi rigogliosi e cervi da cacciare. Il mondo del figlio, fatto di cellulari, delle prime relazioni, delle prime incomprensioni non è alla sua portata. Tanto che Jaden ha nel frattempo sviluppato un buon rapporto col nuovo compagno della madre, il quale invece non mette sé stesso al primo posto.
La metafora del viaggio irto di pericoli - tutti artefatti a uso e consumo della televisione, tranne quelli reali che mostrano tutta la fragilità dei protagonisti - è lo specchio della relazione tra padre e figlio. Finta, come gli eventi che si vedono in televisione. Tranne l'uccisione dell'innocenza, quella è reale.
Ma questo viaggio potrebbe anche cambiare Buck Ferguson, il quale viene infine messo di fronte alla realtà dei fatti. Sta dunque a lui accettare la cosa... o tornare a essere la persona di prima, con pochi pregi e molti difetti.

giovedì 23 febbraio 2023

Fabolous Stack of Comics: Books of Magic


Eh sì, cari amici vicini e lontani, lo avevamo detto che il concetto di Legacy è ben radicato nel DC Universe e ha assunto varie sfaccettature nel corso del tempo.
Un'eredità eroica che può assumere anche un aspetto magico: lo stregone che trasmette la propria conoscenza all'apprendista, a volte ben motivato, a volte titubante.
Un bivio a cui si ritrova Tim Hunter, il protagonista della miniserie di quattro numeri Books of Magic (The Books of Magic), pubblicata tra il 1990 e il 1991, scritta da Neil Gaiman e realizzata da quattro differenti artisti: Charles Vess, Scott Hampton, John Bolton e Paul Johnson.
Timothy Hunter è un ragazzo inglese come tanti: orfano di madre, vive nelle periferie di Londra col padre operaio, forse disoccupato a causa delle politiche economiche di Margaret Thatcher, e passa la maggior parte del proprio tempo ad andare in giro in skateboard.
Questo fino al giorno in cui incontra la Brigata del Trench, ovvero John Constantine, il Dr. Occult, Mister E e lo Straniero Fantasma, i quali gli rivelano che lui in futuro potrebbe divenire uno dei più potenti maghi mai esistiti, deve solo abbracciare questo destino.
Per aiutarlo a compiere una scelta, i quattro portano il giovane a scoprire il passato, il presente e il futuro della magia del DC Universe, mentre al contempo una setta, la Fiamma Fredda, ha già individuato Tim Hunter come possibile minaccia e gli sta dando la caccia.
Neil Gaiman cambia le carte in tavola con una semplicità e naturalezza che risulta quasi disarmante. Senza quasi che ce ne accorgiamo, indica come motore del cambiamento non più gli eroi che indossano tute colorate o gli stregoni dallo strano look, bensì un ragazzo comune, appartenente alle classi sociali meno agiate e che veste abiti insignificanti.
Nell'era post-thatcheriana che ha creato tanti scompensi, è da questo tipo di persona che deve arrivare il cambiamento, poiché è portatore di quei valori che sono andati perduti nel tempo e conosce il valore del sacrificio.
In quella che è la formazione alla magia (e alla vita) di Tim Hunter, Neil Gaiman attinge all'intero DC Universe, prima di tutto recuperando dai meandri della continuity DC due personaggi, seppur storici, semisconosciuti come Il Dr. Occult e Mister E e donando loro delle nuove personalità. E successivamente ricollegandosi a tutta la storia conosciuta del DC Universe, esplorando con abilità le varie epoche temporali (non così scontato come potrebbe apparire).
Questo permette anche che ogni capitolo della storia sia realizzato da un artista differente. O meglio, un illustratore differente, ognuno col proprio stile magico che aggiunge quel tocco di leggiadria e fascino al tutto.
Non possono mancare inoltre decine di guest star d'eccezione, compresi gli Eterni creati da Neil Gaiman stesso, che continua così, dopo Sandman, a costruire un proprio micromondo magico.
Non si può non notare come Tim Hunter presenti qualche tratto in comune con Harry Potter, il quale è stato creato però solo qualche anno dopo: oltre al look, anche il fatto che abbia un gufo come protettore. Ma per quanto possa apparire affascinante pensarlo, J.K. Rowling non ha copiato da Gaiman ed entrambi si sono - per loro stessa ammissione - ispirati a fonti comuni.
Non è una storia d'azione, a Neil Gaiman non interessa scriverne: è la storia di cinque persone speciali i cui destini si intrecciano lungo la via della magia, che può assumere connotati sia positivi che negativi. Una via lungo la quale ci si può perdere con facilità ed è poi difficile riprendere il giusto sentiero.

mercoledì 22 febbraio 2023

Fabolous Stack of Comics: Le Origini degli Inumani


Gli Inumani vengono introdotti da Stan Lee e Jack Kirby nel 1965, sulle pagine di Fantastic Four 45, anche se un paio dei loro componenti erano già comparsi in precedenza.
Gli Inumani rappresentano l'incarnazione di un topos narrativo già a quel tempo consolidato nelle storie di avventura: il popolo misterioso e tecnologicamente avanzato che vive nascosto dalla società umana in una cittadella fantascientifica, Attilan nel loro caso.
Ma a parte questo, poco altro viene rivelato di loro in quelle prime apparizioni. Stan Lee e Jack Kirby, pressati dalle scadenze e dal fatto di dover gestire la quasi totalità delle serie Marvel dell'epoca, avevano l'abitudine di gettare nella mischia tutti questi nuovi personaggi, pensando poi tra sé e sé:"Questa la spieghiamo più avanti".
Nel caso degli Inumani, una prima saga sulle loro origini compare come back-up feature tra il 1967 e il 1968, nei numeri dal 146 al 152 di Thor, in una storyline collettivamente nota come Le Origini degli Inumani (The Origin of the Inhumans).
Le storie sono molto brevi, ognuna di cinque pagine, e partono dall'era preistorica, quando gli Inumani scoprono le Nebbie Terrigene e si isolano dall'umanità, arrivando alla prima sortita di un Inumano, Triton nel caso specifico, nella società moderna. Nel mezzo, la devastante nascita di Freccia Nera e le prime brame di potere di Maximus Il Pazzo.
Tranne che alla fine, dove vi sono tre racconti interconnessi, non vi è un vero e proprio filo conduttore. Ognuna delle storie getta uno sguardo al passato, dando maggiori informazioni - anche se non tutte - su dei personaggi che avevano già proiettato la loro aura di fascino sui lettori, i quali giustamente chiedevano più storie su di loro.
Stan Lee - coadiuvato da Jack Kirby non solo alla parte grafica, come è noto - non manca di inserire un tema a lui molto caro, poi maggiormente sviluppato nella serie di Silver Surfer: la propensione dell'essere umano a combattere e non accettare come parte del proprio mondo coloro che ritiene essere diversi da lui. I quali diventano dei reietti e si piazzano ai margini della società, ma dietro lo strato di una pelle differente provano in realtà le stesse emozioni.
L'anno è il 1967, un anno di grandi cambiamenti sociali per gli Stati Uniti, e di lotte per i diritti civili che causeranno anche delle vittime. Nel suo piccolo, il fumetto riflette questo scenario tramite ben congegnate metafore che sfuggono al lettore ignorante o distratto, ma vengono colte da quello più attento.
Quello che accade dopo è Storia con la S maiuscola.

martedì 21 febbraio 2023

Fabolous Stack of Comics: Savage Dragon - La Guerra dei Mondi


La conclusione della precedente storyline, Licenziato (Terminated), aveva visto Savage Dragon proiettato in una situazione per lui inedita. Allontanato dal corpo di polizia di Chicago, di cui faceva parte sin dai tempi di Battesimo del Fuoco (Baptism of Fire), e divenuto capo dei nuovi Youngblood, noti anche come SOS (Special Operations Strikeforce).
Erik Larsen approfondisce questo nuovo status quo nella nuova storyline La Guerra dei Mondi (War of the Worlds), pubblicata nel 1997 nei numeri dal 41 al 46 della serie regolare dedicata all'eroe di Image Comics.
Dragon potrà non essere più un poliziotto, ma i pericoli e le minacce da affrontare per lui non mancano di certo. Dopo il matrimonio tra Barbaric e Ricochet, l'eroe e il suo team vengono proiettati su una Terra alternativa dominata col pugno di ferro da Damien Darklord, il quale intende invadere la nostra Terra poiché il suo pianeta sta lentamente morendo e ha già ordinato le prime invasioni.
Dragon dovrà affrontare questo nuovo e insolito nemico, più spietato di tutti i suoi precedenti avversari, che causerà la drammatica fine di un componente della SOS.
Già alcuni elementi di fantascienza classica erano stati inseriti nelle precedenti storyline della testata dedicata a Savage Dragon, come la precedente che vedeva svolgersi la classica invasione in forze da un altro pianeta. Ma principalmente le atmosfere delle storie dell'eroe erano calati o in un contesto urbano, grazie alla sua appartenenza al corpo di polizia di Chicago, o sovrannaturale, visto che una buona dose di demoni e scenari infernali ha fatto la sua apparizione.
Con questa nuova saga, infine, si celebra sia la fantascienza classica (c'è una nuova invasione in atto) che il fumetto di un tempo - tanto caro a Erik Larsen - che trattava questi temi. In particolare, Damien Darklord non è altro che una versione alternativa di Darkseid (Larsen lo ritrae addirittura nelle stesse pose che gli faceva assumere Jack Kirby), mentre il pianeta da lui dominato è un epigono di Apokolips e vi sono anche i Nuovi Dei in una differente identità.
Lungo la via, Erik Larsen omaggia ancora una volta Jack Kirby, uno dei suoi artisti di riferimento, mettendo in scena una megascazzottata tra le sue personali versioni di Ercole e Thor, molto più buzzurre rispetto a quelle Marvel, non solo per ragioni di copyright.
Salvo rari casi, siamo ancora in una fase dove predominano le splash page, i dialoghi immediati (e imbarazzanti in qualche caso) e rapidi cambi di scena tra un episodio e l'altro, ma anche tra una pagina e l'altra, tanto che spesso si rimane spiazzati. Eppure molto è accaduto nella vita di Savage Dragon in questi cinque anni e 46 episodi. E molto deve ancora accadere.

lunedì 20 febbraio 2023

Prime Video Original 47: Invitati Per Forza


Scene da un matrimonio, ma non alla Ingmar Bergman. Anzi, retroscena da un matrimonio, tra sposalizi greci - pardon, inglesi - e parenti serpenti.
Il giorno del lieto evento diventa spesso occasione per il cinema di analizzare le dinamiche familiari, a volte con un sottotesto drammatico, a volte con spirito comico e surreale.
Cerca un insolito mix, invece, Invitati Per Forza (The People We Hate at the Wedding), diretto da Claire Scanlon, scritto da Wendy Molyneux e Lizzie Molyneux-Logelin e distribuito su Amazon Prime Video a partire dal 18 novembre 2022. Il film si basa su un omonimo libro pubblicato nel 2016 e scritto da Grant Girder.
Donna (Allison Janney) ha avuto due mariti e tre figli da questi due differenti matrimoni: Eloise (Cynthia Addai-Robinson), Paul (Ben Platt) e Alice (Kristen Bell). Figli che col tempo si sono distaccati l'uno dall'altro.
Un occasione di ritrovo si presenta quando Eloise invita tutta la sua famiglia a Londra per festeggiare il suo prossimo matrimonio. In realtà, quella che deve essere un'occasione lieta si rivela ben presto una valvola di sfogo per far venire a galla, tra dramma e commedia, tutti i rancori e i risentimenti accumulati in questi ultimi anni.
La trama non è di certo di quelle innovative: quante volte abbiamo visto famiglie cinematografiche ritrovarsi dopo tanto tempo, a volte per caso, a volte per un evento programmato, e litigare tra loro prima di appianare le loro divergenze?
Ecco, questo film segue esattamente questa traccia narrativa, alternando svariate situazioni surreali/slapstick, che fanno ridere solo se siete davvero fan di questo tipo di situazioni (con Veronica Mars che spara una sequela di parolacce che Christian De Sica levate), e inframezzando il tutto con alcuni risvolti drammatici. O che si sforzano di esserlo.
Infatti, in mezzo a tutta la scurrilità e gli eventi paradossali, il film ne approfitta per inserire - e sottolineare - temi come le relazioni omosessuali e l'omofobia, l'aborto e il dolore per la perdita di una persona cara. Il che va benissimo, ovviamente, ma in un contesto in cui predomina l'assurdità tali argomenti appaiono ben presto quasi fuori posto.
Tanto che infatti vengono introdotti e trattati per pochi secondi, salvo poi le situazioni di crisi da essi derivanti venir risolte in un secondo momento, in altrettanti pochi secondi. Mi sembra chiaro che non si sia voluto premere troppo l'acceleratore.
Si può unire dramma e commedia, gli esempi sono molteplici, purché una non predomini sull'altra. Altrimenti si rischia di avere uno strano pot-pourri, in cui un'unica cosa è certa. Che c'è un lieto fine, come è inevitabile che sia.

domenica 19 febbraio 2023

A scuola di cinema: The Hitcher - La Lunga Strada della Paura (1986)

Aprile 1971: Viene pubblicata la canzone dei Doors Riders on the Storm, contenuta all'interno dell'albo L.A. Woman. Nella seconda strofa di questa canzone si fa riferimento a un killer della strada.

"There's a killer on the road
His brain is squirmin' like a toad
Take a long holiday
Let your children play
If you give this man a ride
Sweet family will die
Killer on the road, yeah"

Queste parole saranno di ispirazione a uno sceneggiatore alcuni anni dopo nel creare uno dei thriller più celebri.


Nel 1981, dopo aver scritto e diretto un cortometraggio indipendente, Gunmen's Blues, l'aspirante sceneggiatore Eric Red cerca di farsi notare nel mondo del cinema per avere un incarico come regista ma, non giungendo alcuna proposta, si ritrova costretto a trasferirsi ad Austin, in Texas, e trovare un lavoro come tassista.
Mentre percorre le strade della città, Eric Red ascolta la canzone dei Doors Riders on the Storm e giudica le parole incentrate sul killer della strada perfette per l'intro di un film.
Nei primi sette mesi in cui risiede in Texas, dunque, Eric Red scrive una sceneggiatura e nel 1983 invia una serie di lettere a vari produttori di Hollywood chiedendo loro se siano interessati a leggere la sua sceneggiatura che, secondo le sue stesse parole, non farà dormire la nazione per un'intera settimana.
Una di queste lettere giunge nelle mani del produttore David Bombyk che, rimasto intrigato dalla trama, chiede di poter leggere la sceneggiatura completa. Riceve dunque un trattamento della lunghezza di 190 pagine che lo fa sobbalzare.
In quelle pagine vi si trova una famiglia massacrata nella propria Station Wagon, un bulbo oculare ritrovato in un hamburger che sta per essere mangiato, una donna legata a un camion e strappata in due parti, più decapitazioni e omicidi vari.
Qualcosa di estremamente brutale, che di solito i produttori non tengono in considerazione, ma David Bombyk - e il suo collega Kip Ohman - intravedono in quella sceneggiatura una forte intensità narrativa, con anche una componente poetica.
Rimane comunque il problema di come presentare il trattamento alle alte sfere senza che venga rifiutato a causa dei suoi contenuti estremi. Eric Red inizia dunque a lavorare al fianco di David Bombyk - prima tramite chiamate telefoniche e successivamente trasferendosi a Los Angeles - per rifinire la sceneggiatura.
Diciotto mesi dopo, il nuovo trattamento viene infine presentato ai produttori Ed Feldman e Charles Meeker, i quali ne rimangono anche loro intrigati e decidono di procedere, ma senza che il film diventi uno slasher. Rimane comunque ancora il problema di come presentare la cosa agli studi cinematografici senza subire un immediato rifiuto.
La sceneggiatura di Eric Red viene opzionata per 25.000 dollari e poi ulteriormente rivista per eliminare le scene ritenute eccessivamente violente. Il primo a dimostrarsi interessato è David Madden della 20th Century Fox.
Come regista si fa avanti, al pari di Eric Red, un altro illustre sconosciuto di nome Robert Harmon. Anche lui ha diretto un corto, China Lake, nel 1983, per farsi notare nell'ambiente e tramite il proprio agente riesce a ottenere una copia della sceneggiatura nel 1984, rimanendone affascinato. Robert Harmon ha dunque nel mese di febbraio un incontro coi produttori, i quali rimangono colpiti in maniera favorevole dalla sua energia e positività, e viene dunque ingaggiato.
La Fox alla fine rinuncia al progetto poiché si convince che - essendo ritenuto un film horror - implichi un budget più alto rispetto a quello di solito utilizzato per pellicole di questo genere.
La sceneggiatura viene dunque proposta ad altri studi quali Warner Bros., Universal, Paramount e altri, ma la risposta è sempre negativa e la motivazione è quasi sempre che la pellicola è ritenuta troppo eccentrica e sopra le righe, anche per un film thriller horror. Altri non vogliono Robert Harmon come regista, ma Ed Feldman rimane fedele all'accordo che ha preso con lui.
Qualcosa infine si smuove quando la produttrice Donna Dubrow della Silver Screen Partners legge la sceneggiatura, che ha ottenuto da Ed Feldman, un suo ex collega di lavoro. La porta dunque all'attenzione del suo capo, Maurice Singer, che l'apprezza e richiede l'approvazione del proprio capo, Michael Fuchs, il quale invece oppone un secco rifiuto.
Donna Dubrow riesce a convincerlo a dare una possibilità al progetto, ma Fuchs oppone due condizioni: la scena del bulbo oculare nell'hamburger non deve esserci e la scena della donna legata e strappata in due deve sparire del tutto. Per la prima, Eric Red sostituisce il bulbo oculare con un dito mozzato mischiato a delle patatine fritte e questo sembra placare gli animi.
Per l'altra scena, invece, si crea una vera e propria frattura tra la Silver Screen Pictures e i produttori. Si suggerisce di far morire il personaggio in maniera meno atroce o anche semplicemente di far vedere il suo funerale, ma alla fine - pur con la premessa che non venga mostrata al pubblico - la scena rimane.
Per il ruolo di John Ryder, il killer, si cerca in principio qualcuno che corrisponda a come è descritto nella sceneggiatura, quindi una persona dall'aspetto scheletrico, ispirato a Keith Richards, e vengono considerati David Bowie e soprattutto Terence Stamp, uno dei preferiti del regista Robert Harmon, che però alla fine rifiuta la proposta.
La parte viene allora proposta a Sam Elliott, il quale risulta così convincente all'audizione che Ed Feldman ha poi paura di uscire con lui e andare vicino alla sua auto. Ma non viene raggiunto un accordo in merito all'ingaggio.
Maurice Singer suggerisce allora il nome di Rutger Hauer. L'attore olandese si reca dunque a Los Angeles e legge la sceneggiatura. A quel tempo ha già interpretato più di una volta il ruolo del cattivo e sta cercando qualcosa di differente, ma il personaggio lo intriga e decide di accettare.
Per il ruolo di Jim Halsey, vengono considerati attori come Matthew Modine ed Emilio Estevez, ma la parte viene fine assegnata a Chris Thomas Howell, che non vuole lasciarsi sfuggire l'occasione di poter lavorare al fianco di Rutger Hauer.
Anche l'attrice che interpreta la protagonista femminile Nash, Jennifer Jason Leigh, accetta per questo motivo. Ha già lavorato al fianco dell'attore olandese in L'Amore e il Sangue (Flesh+Blood) e vuole poter avere un'altra occasione.
Le riprese iniziano in via ufficiale l'undici febbraio 1985, tenendosi in California.
Rutger Hauer interpreta buona parte delle scene che riguardano le riprese in auto, guidando lui personalmente i mezzi. Risulta molto bravo in questo e riceve gli apprezzamenti degli stuntmen coinvolti nella produzione.
L'attore è forse eccessivamente troppo bravo, poiché C. Thomas Howell rimane genuinamente terrorizzato da lui, sia dentro che fuori dal set, e nella scena in cui John Ryder punta un coltello vicino all'occhio di Jim Halsey, lo sguardo dell'attore è di reale paura, in quanto non si aspettava quella mossa da parte di Hauer.
Le riprese si concludono nell'aprile 1985.
The Hitcher - La Lunga Strada della Paura (The Hitcher) viene distribuito nei cinema americani a partire dal 21 febbraio 1986. A fronte di un budget di 6 milioni di dollari, la pellicola arriva infine a incassare cinque milioni e ottocentomila dollari.
Pur non essendo stato un successo, Eric Red riesce infine a lanciare la propria carriera cinematografica e può dedicarsi subito a un nuovo progetto, Il Buio Si Avvicina (Near Dark)... ma questa è un'altra storia.

sabato 18 febbraio 2023

A scuola di cinema: I Falchi della Notte (1981)

1975: Dopo l'uscita del secondo capitolo de Il Braccio Violento della Legge (The French Connection), la 20th Century Fox ha in mente di realizzare un nuovo capitolo della saga cinematografica con protagonista Popeye Doyle.
Commissiona dunque una nuova sceneggiatura, che viene scritta da David Shaber, in cui Popeye Doyle viene accoppiato a un poliziotto afroamericano dalla battuta facile e affronta un terrorista vagamente ispirato a Carlos lo Sciacallo.
Gene Hackman, interprete dei due film de Il Braccio Violento della Legge, non vuole tuttavia interpretare per la terza volta il personaggio di Popeye Doyle e il progetto viene dunque abbandonato.
Ma quella che può sembrare una fine si rivela in realtà poco tempo dopo un nuovo inizio.


Nel 1979, la sceneggiatura di David Shaber viene rilevata dalla Universal Pictures e lo stesso sceneggiatore ne effettua una revisione, mantenendo inalterata la trama di base, ma cambiando ovviamente il nome dei protagonisti. I primi titoli ideati sono Attack e Hawks, prima che si ripieghi su Nighthawks, in riferimento ai poliziotti di New York che pattugliano la città durante la notte.
Dopo aver realizzato il secondo capitolo della saga di Rocky, Sylvester Stallone trova intrigante il ruolo del protagonista del film, Deke DaSilva, e rinuncia ad altre parti che gli sono state proposte per partecipare a questa produzione.
In preparazione alla parte, Sylvester Stallone e Billy Dee Williams, che interpreta il personaggio di Matthew Fox, frequentano per alcune settimane i poliziotti che operano durante il turno di notte dell'Unità Anti Crimine di New York.
Il ruolo di Heymar "Wulfgar" Reinhardt viene offerto a Rutger Hauer. L'attore ha ricevuto all'epoca la proposta di partecipare a un altro film, Sfinge (Sphinx), che gli offre la possibilità di ricevere un ingaggio superiore, ma decide infine di accettare la parte di Wulfgar. Per l'attore olandese si tratta del film di debutto sul mercato americano.
Le riprese iniziano in via ufficiale il 21 gennaio 1980, tenendosi a New York, Londra e Parigi.
Il primo regista incaricato è Gary Nelson, che tuttavia, il 30 gennaio, abbandona il progetto. In sua sostituzione, dietro suggerimento di Sylvester Stallone, viene scelto Bruce Malmuth, seppur costui sia praticamente un esordiente.
Mentre Bruce Malmuth prende un aereo da Los Angeles per recarsi sul set, Sylvester Stallone dirige personalmente una scena per far sì che la produzione rimanga nelle tempistiche previste.
Questo, tuttavia, causa un problema con la Directors Guild of America, di cui Stallone fa parte e una cui regola sancisce che nessuno che sia stato assunto prima del regista prescelto può sostituire il regista licenziato, se non in un caso di emergenza.
La Universal avanza la tesi che la situazione creatasi fosse proprio un'emergenza. Non trovandosi un accordo, la faccenda viene portata davanti a un collegio arbitrale, che commina una multa sia alla Universal che a Sylvester Stallone.
La prima scena girata da Rutger Hauer, curiosamente, è quella riguardante la morte del suo personaggio. E non va affatto nel migliore dei modi. In principio un petardo, che simula il rumore di un colpo di pistola, esplode in maniera errata e gli brucia il volto.
Successivamente, un cavo legato attorno al suo corpo, che deve ricreare l'impatto del colpo ricevuto da una pistola, viene tirato in maniera troppo forte, provocandogli un intenso dolore alla schiena. L'attore scopre poi che è stato Sylvester Stallone a dare l'indicazione di tirare forte il cavo. Questo crea fin dal principio una frattura tra i due attori che, pur rimanendo su buoni rapporti professionali, fuori dal set non si sopportano.
L'esperienza si rivela un incubo per Rutger Hauer quando, durante la lavorazione, perde in poco tempo sia sua madre che un suo caro amico, dovendo tornare due volte in Olanda per alcuni giorni per partecipare ai due funerali.
Sylvester Stallone decide di girare personalmente anche le scene più pericolose, coadiuvato dallo stuntman Dar Robinson. La scena più pericolosa in tal senso è quella dove, attaccato a un cavo, l'attore deve inerpicarsi su una funivia della Roosevelt Island Tramway e non solo per la sua acrofobia.
Il cavo, infatti, non è stato adeguatamente testato e una eventuale caduta nelle acque sottostanti dell'East River provocherebbe quasi certamente la morte dell'attore, a cui tuttavia viene fornito un coltello per strappare il cavo nell'eventualità cadesse in acqua.
Sempre questa scena genera un attrito tra la produzione e la città di New York. In principio è prevista sia realizzata durante un periodo di manutenzione, che però slitta in avanti. Alcuni cittadini, allora, si lamentano per il fatto che le riprese interromperanno il regolare servizio della funivia e rimangono sordi alle dichiarazioni della Universal, la quale si offre di pagare una somma in beneficenza per compensare del disturbo.
Questi irati cittadini stanno per portare la faccenda in tribunale, al fine di ottenere un'ordinanza restrittiva, quando la comunità degli abitanti dell'isola insorge e offre il proprio sostegno alla produzione, purché le riprese non si svolgano nell'ora di punta, cosa che la Universal si dichiara disposta a fare.
Le riprese si concludono nell'aprile 1980.
Il primo a intervenire sul montaggio del film è Sylvester Stallone, per dare più rilevanza al personaggio da lui interpretato rispetto a quello di Rutger Hauer.
Dopodiché è la Universal in persona a intervenire, in quanto si ritrova di fronte a una pellicola dai toni troppo violenti ed efferati, che rischia di ottenere un rating sfavorevole.
Vengono così eliminate o attenuate le scene più violente, in particolar modo il confronto in discoteca - che vede in origine Wulfgar uccidere molte più persone - e la morte del terrorista, molto più sanguinolenta rispetto a quella infine mostrata.
Non solo, buona parte delle scene riguardanti il personaggio di Deke DaSilva nella sua dimensione privata - tra cui il rapporto con la sua ex moglie - e per cui Stallone si era prodigato perché venissero inserite, vengono ugualmente eliminate, con estremo disappunto dell'attore.
I Falchi della Notte (Nighthawks) viene distribuito nei cinema americani a partire dal 10 aprile 1981. A fronte di un budget di 5 milioni di dollari, la pellicola arriva infine a incassare a livello internazionale circa 20 milioni di dollari.
Pur non vedendo il suo debutto sul mercato americano coronato da un grande successo, Rutger Hauer si ritrova proiettato verso una nuova carriera in una nuova nazione, che trova un ulteriore riconoscimento poco dopo con Blade Runner... ma questa è un'altra storia.

venerdì 17 febbraio 2023

Netflix Original 108: TAU


Viviamo in un'epoca in cui il concetto di Intelligenza Artificiale è sempre più preminente nella società, seppur non ancora presente nella vita di tutti i giorni.
Eppure ora abbiamo Intelligenze Artificiali che ideano illustrazioni, oppure scrivono piccoli saggi, sempre ovviamente dietro input di un essere umano. Siamo ben lontani da uno Skynet o una intelligenza artificiale con pensiero autonomo. Il cinema, invece, colma il divario tecnologico.
Come ad esempio in TAU, diretto da Federico D'Alessandro, scritto da Noga Landau e distribuito su Netflix a partire dal 29 giugno 2018.
Julia (Maika Monroe), una giovane ladruncola, viene rapita e portata in una lussuosa casa appartenente a uno spietato scienziato di nome Alex (Ed Skrein), che vuole mappare i suoi dati neurali per perfezionare la tecnologia delle intelligenze artificiali.
Fuggire dalla casa è impossibile, poiché un'intelligenza artificiale basica di nome TAU (Gary Oldman) la sorveglia. Per Julia la situazione appare disperata, eppure c'è un alleato su cui può contare... ed è proprio TAU!
Vi dico cosa non troverete in questo film. Non troverete un'analisi o una critica della problematica delle intelligenze artificiali nella società moderna. Dubito anche che sia una pellicola incentrata su certi limiti che la scienza non si deve porre o superare o su quale sia il concetto di umanità. Avete presente quel detto "non esistono cani cattivi, ma solo cattivi padroni"? Ecco, in questo film al posto del cane vi è l'intelligenza artificiale (non vorrei risultare offensivo).
Molto più banalmente è un thriller a sfondo fantascientifico, dove per fantascienza si intende un prossimo futuro che devi intuire dal fatto che ci sono grattacieli moderni e un'atmosfera cyberpunk (ho visto di recente intelligenze artificiali con un aspetto più moderno di TAU).
Un thriller incentrato su un tentativo di fuga da una prigione, come tanti ne abbiamo visti in passato, con la variante che stavolta vi è coinvolta un'intelligenza artificiale. E oserei dire dominata anche da una relazione tossica, ma questa è presente nei film da decenni e non è certo una novità.
Lo scienziato mi sembra uno di quegli scienziati pazzi che dominavano nei fumetti e nei film di decenni fa, peccato che poi il mondo sia andato avanti. Non si capisce, infatti, quale sia il motivo per cui debba rapire le persone per portare avanti i suoi esperimenti, ovviamente in maniera invasiva, quando molti sarebbero felici di essere pagati per condividere le informazioni dei propri schemi neurali (da nessuna parte si dice che costui abbia una modesta fortuna, anzi, appare una persona molto ricca e risponde a dei finanziatori desiderosi di risultati).
Peraltro è la stessa idea alla base dell'attuale sviluppo delle intelligenze artificiali come Midjourney, le quali si adattano ogni volta che hanno a disposizione più dati relativi ai comportamenti umani, pur potendo solo imitarli (bene o male, non è ora questo il punto) e non sviluppare un proprio percorso.
Diciamo che per il momento siamo al sicuro da Skynet.

giovedì 16 febbraio 2023

Fabolous Stack of Comics: Nick Fury vs. S.H.I.E.L.D.


Per decenni, Nick Fury è stato il fedele e incrollabile Direttore dello S.H.I.E.L.D. (ovvero l'acronimo per Supreme Headquarters International Espionage Law-Enforcement Division): un veterano della Seconda Guerra Mondiale dalla vita insolitamente lunga che, passando da Jack Kirby a Jim Steranko, ha combattuto colorati nemici come l'HYDRA o l'A.I.M.
Il tutto in un universo fatto di auto volanti, satelliti orbitanti, pistole hi-tech, gadget fantascientifici. Ma la realtà sta per irrompere in maniera prepotente nella vita della spia più celebre del Marvel Universe. Il tutto nella miniserie in sei numeri, pubblicata nel 1988, Nick Fury vs. S.H.I.E.L.D., scritta da Bob Harras e disegnata da Paul Neary.
Durante un attacco dell'HYDRA volto a trafugare il nucleo energetico dell'elivelivolo, andato distrutto in La Sensazionale She-Hulk, l'agente e caro amico di Nick Fury Clay Quartermain viene ucciso.
Il drammatico evento getta nello sconforto Nick Fury che contemporaneamente, tramite un suo agente spia, viene a sapere che la Roxxon è entrata in possesso del nucleo energetico e conduce un misterioso esperimento noto come DELTA che ha a che vedere con esso.
Quando però cerca di indagare in maniera più approfondita, Nick Fury viene osteggiato dal Consiglio dello S.H.I.E.L.D. e deposto come direttore, fino a essere costretto alla fuga e cacciato dagli amici e alleati di un tempo. Ma cosa nasconde DELTA e cosa ha a che vedere con le vere origini dello S.H.I.E.L.D.?
Nella sua versione originaria lo S.H.I.E.L.D. era una versione supereroistica della CIA con influssi dalla saga cinematografica di James Bond e Fury il fedele soldato che combatte le minacce contro la nazione americana (non era ancora un'agenzia contro il terrorismo internazionale). Un patriota, un reduce di guerra fedele al suo governo.
Ma i tempi cambiano. Mentre per decenni si continua a dire che i russi sono il nemico da temere, giunge la tremenda debacle in Vietnam, scoppia lo Scandalo Watergate e successivamente l'Irangate. Il cittadino americano viene a sapere - nel peggiore dei modi - che ci sono nemici presenti anche all'interno della propria nazione, non solo, sono insediati in ruoli di potere.
La stessa cosa accade a Nick Fury. Mentre per anni il Consiglio (il governo statunitense) gli indica nemici e minacce, per quanto reali, da combattere, dall'interno l'agenzia di sicurezza nazionale inizia a divenire qualcosa di corrotto, guidata da persone il cui obiettivo è più che altro mantenere il potere e puntare il dito contro varie minacce per evitare che si scopra il marcio che risiede nella propria agenzia.
Questa miniserie è l'emblema della delusione del popolo americano verso quegli organismi governativi preposti alla sua sicurezza, che in realtà hanno combattuto per anni un nemico ormai caduto e hanno tenuto nascoste delle scomode verità per interessi lobbistici.
Bob Harras prende questo tema e vi costruisce un'interessante metafora aggiungendovi comunque tratti tipici della spy story (la fuga, i tradimenti) ed elementi di mistero e fantascienza, omaggiando Kirby e Steranko (con molti riferimenti alle storie del passato), ma al tempo stesso prendendone le distanze. Poiché ormai ci si trova in un mondo nuovo, dove le auto volanti non possono più nascondere il marciume che avviene nei sottolivelli del potere.
Ma esistono ancora uomini e donne dediti alla causa, che credono nella giustezza della loro battaglia: persone vere contro automi guidati da bisogni primari. Un conflitto, tuttavia, il cui esito rimane incerto.

mercoledì 15 febbraio 2023

Netflix Original 107: Calibre


Era un gruppo di amici che voleva solo passare qualche giorno lontano dalla città e dalle troppe responsabilità della vita odierna. Amici il cui unico desiderio era immergersi nei boschi e nella natura e passare qualche momento di totale relax e divertimento. Fino a quando l'orrore non ha colpito.
Stiamo parlando ovviamente di Un Tranquillo Weekend... ah no? No, in questo caso si tratta di Calibre, film scritto e diretto da Matt Palmer e distribuito su Netflix a partire dal 29 giugno 2018.
Due amici di lunga data, Marcus (Martin McCann) e Vaughn (Jack Lowden), si concedono qualche giorno di vacanza per andare a caccia nelle foreste scozzesi, prendendo alloggio presso l'hotel di un villaggio sito a pochi passi da un folto bosco.
Un villaggio il cui leader, Logan McClay (Tony Curran), spera di riportare a un periodo florido, dopo una grave crisi economica che ha praticamente reso la città semideserta.
Durante la prima battuta di caccia, avviene tuttavia un drammatico evento. Un evento che avrà forti ripercussioni sull'amicizia tra Marcus e Vaughn e che cambierà per sempre le loro vite.
Anche se l'ho detto in maniera ironica all'inizio, il film ispiratore di questa pellicola è Un Tranquillo Weekend di Paura di John Boorman, con cui condivide soprattutto la storia di partenza, ma cerca anche di tracciare un altro percorso narrativo.
In particolare, nel film di Boorman i reietti erano coloro che venivano dalle grandi città (ovvero il gruppo con Jon Voight e Burt Reynolds) e divenivano dunque le vittime di ignoti e presunti carnefici, esperti di un territorio a loro ignoto.
In Calibre, invece, i carnefici sono gli uomini delle grandi città, che arrivano a corrompere le piccole realtà con la loro avidità e cupidigia, fino a far divenire i suoi abitanti, i reietti di oggi, come loro, se non peggio.
E su entrambi i lati, alla fine, non vi possono essere vincitori, solo perdenti.
Duole dire, tuttavia, che i due attori protagonisti non si impegnano più di tanto. Inoltre, una volta che il film raggiunge il suo immediato climax col drammatico evento che dà vita a una altrettanto drammatica serie di conseguenze, la storia si sussegue in maniera abbastanza prevedibile e non ritengo ci siano particolari colpi di scena degni di nota.
E forse non era nemmeno questa l'intenzione. Si vedono persone realizzate nella vita e felici che iniziano a discendere nell'abisso del peccato. Fino a che, scrutando troppo l'abisso, questo inizia a guardare dentro di loro e a corromperli. E quando si inizia a sprofondare, risalire in cima diventa più difficile a ogni secondo che passa. A ogni scelta che si fa.

martedì 14 febbraio 2023

Fabolous Stack of Comics: Andrax - Il Ciclo del Risveglio


I viaggi nel tempo, le ere preistoriche, l'ucronia, le avventure in stile tarzanide, l'eroe muscoloso e affascinante. Sì, classici temi di una certa letteratura di un tempo molto, molto passato, ma che ha ispirato molte opere venute dopo di lei e che ha trovato il proprio spazio anche nel mondo del fumetto, già a partire dalla cosiddetta Golden Age.
Ma Andrax non è un eroe creato da un autore americano o le cui avventure sono state edite per il mercato americano. Andrax è un personaggio creato nel 1974 dallo sceneggiatore Miguel Cussó e dal disegnatore Jordi Bernet, entrambi spagnoli, e le cui avventure sono state pubblicate in principio per il mercato tedesco (una di quelle strane magie e commistioni del fumetto).
Andrax è un rinomato atleta nella disciplina del decathlon e trionfatore alle Olimpiadi, che un giorno viene rapito dal professor Magor, il classico scienziato pazzo, il quale lo sottopone a un processo di ibernazione della durata di 2.000 anni.
Quando si risveglia, Andrax non si ritrova di fronte a un avveniristico futuro, pieno di invenzioni stupefacenti, bensì in una terra dove la civiltà umana appare scomparsa e non vi è più traccia di centri abitati, dominata da animali selvaggi, creature mostruose e minacce soprannaturali.
Con al suo fianco un unico alleato, il piccolo guerriero Holernes, Andrax deve ora capire come mai l'umanità sia giunta vicina all'estinzione e, se possibile, trovare un modo per ritornare nel proprio tempo.
Nella prima serie di storie, il Ciclo del Risveglio, si pongono le basi della saga, vengono introdotti i personaggi principali e delineato l'insolito mondo in cui il protagonista si ritrova ad agire.
Nella saga di Andrax si unisce un protagonista alla Flash Gordon con certe atmosfere e topos narrativi presi principalmente dalla narrativa di intrattenimento di fine diciannovesimo secolo/inizio ventesimo, fino all'immediato primo dopoguerra.
In particolare sembra che un nume ispiratore della saga sia Edgar Rice Burroughs e la terra in cui si ritrova Andrax, una sorta di landa preistorica fuori dal mondo, ricorda Pellucidar.
Jordi Bernet si sbizzarrisce dunque, in un mondo dove ogni regola è scomparsa, a ritrarre dinosauri, robot, guerrieri vichinghi, uomini preistorici, pirati, veicoli volanti e molto altro.
La saga di Andrax è quindi un melting pot di tutte quelle storie di avventura che abbiamo letto da ragazzi, e che hanno letto anche Cussó e Bernet, che uniscono le loro forze per creare un nuovo, affascinante affresco dove a predominare è lo spirito di avventura e l'immaginazione.
Si potrebbe obiettare che è facile ideare storie quando vi è a disposizione un mondo ignoto che non presenta un background. E invece no, è proprio allora che i grandi autori - come in questo caso - intervengono per dare coerenza a questo mondo. E far sì che ogni avventura trovi infine il proprio giusto posto.

lunedì 13 febbraio 2023

Netflix Original 106: I Gusti Sono Gusti


Eh, cari amici vicini e lontani, il triangolo non era stato considerato da quel celebre cantautore, ma è stato e rimane ben presente nel mondo del cinema, in particolare nel genere commedia.
Quando poi tale tematica viene esplorata da una tipica sensibilità europea quale quella francese, che risulta sia proiettata verso la modernità che ancorata a una certa tradizione, quello che ne viene fuori può essere alquanto particolare.
Come accade in I Gusti Sono Gusti (Les Goûts et les Couleurs), diretto da Myriam Aziza, da lei scritto insieme a Denyse Rodriguez-Tomé e distribuito su Netflix a partire dal 24 giugno 2018.
Simone Benloulou (Sarah Stern), un'impiegata di banca, convive da tre anni felicemente con Claire (Julia Piaton) e vorrebbe sposarla, ma non ha il coraggio di rivelare la verità ai suoi genitori, di religione ebraica e che seguono i rigidi dettami del loro credo, per cui l'omosessualità è ritenuta qualcosa di blasfemo.
Le certezze della donna, inoltre, iniziano a vacillare quando conosce lo chef Wali (Jean-Christophe Folly), con cui dà vita a una focosa relazione sessuale. Le conseguenze non tarderanno ad arrivare.
Sembra che siamo ancora dalle parti di Alex Strangelove e il tema principale rimanga quello dell'identità sessuale, seppur trattato in maniera molto differente in questo caso. Non è da escludere che questo sia il primo caso in assoluto, ma per quanto mi riguarda è la prima volta che vedo la storia di un triangolo amoroso in cui il cosiddetto terzo incomodo si intrufola in una relazione omosessuale.
Oltre a una doppia e dibattuta storia d'amore, dunque pienamente ascrivibile al genere della commedia romantica, il film rappresenta anche la classica commedia degli equivoci, poiché tra segreti tenuti nascosti, persone che si fingono altre persone e sotterfugi vari si creano quelle situazioni involontariamente comiche che però alla fine presentano il conto.
Il tutto filtrato attraverso gli occhi di due donne (la regista e la co-sceneggiatrice) che vi applicano una visione più tesa verso le due protagoniste femminili e i loro dubbi esistenziali, che a volte lasciano spazio a una sana incoscienza.
Molto sottilmente, ma in maniera chiara, non vi è un trattamento di favore verso i protagonisti e si fa chiaramente capire come il razzismo e l'omofobia siano presenti anche in chi è omosessuale e nero, dimostrando così quel detto che "tutto il mondo è paese".
E sempre per citare un detto popolare, verso la fine si preferisce dare un colpo al cerchio e uno alla botte, in quanto per un desiderio di accontentare tutti si ripiega verso un epilogo buonista - almeno a detta di chi scrive - che in realtà scontenta tutti. Ah, l'amour!

domenica 12 febbraio 2023

A scuola di cinema: Fuga di Mezzanotte (1978)

6 Ottobre 1970: Billy Hayes, uno studente statunitense, sta cercando di contrabbandare hashish nel suo paese dalla Turchia, legando i sacchetti contenenti la sostanza stupefacente attorno al suo corpo. Tre precedenti tentativi sono andati a buon fine, ma il quarto gli risulta fatale. Le guardie dell'aeroporto, infatti, in allerta dopo alcuni attacchi terroristici, lo notano e lo arrestano.
Una prima condanna per possesso di droga, di poco superiore ai quattro anni, diviene un ergastolo quando la pena viene commutata in contrabbando, infine ridotto a trent'anni di detenzione.
Le autorità statunitensi cercano di ottenere l'estradizione di Billy Hayes, ma il governo turco si oppone e la prigionia dello studente perdura per cinque anni.
Nell'ottobre del 1975, poco tempo dopo essere stato trasferito in un carcere di minima sicurezza, Billy Hayes riesce a fuggire e ad attraversare il confine con la Grecia, ritornando infine dopo alcune ultime traversie negli Stati Uniti.
Questa sua esperienza diviene poco tempo dopo oggetto di un celebre adattamento cinematografico.


Nel 1977, Billy Hayes - in collaborazione con lo scrittore William Hoffer - scrive un libro autobiografico relativo a quanto accadutogli in Turchia intitolato Fuga di Mezzanotte (Midnight Express), i cui diritti di sfruttamento cinematografico vengono opzionati dalla Columbia Pictures per un adattamento la cui regia è affidata ad Alan Parker.
Una prima sceneggiatura viene affidata a Oliver Stone. A quel tempo costui è praticamente sconosciuto nell'ambiente cinematografico, avendo fino a quel momento sceneggiato e diretto un film horror a basso budget intitolato La Regina del Male (Seizure). L'intento è dunque che lui realizzi un trattamento che sia poi revisionato da Alan Parker, a cui magari riconoscere l'unico accreditamento.
Quando, dopo circa sei settimane, Oliver Stone consegna la propria sceneggiatura, tuttavia, essa è ritenuta così di buon livello da non rendere necessario nessun altro accorgimento. Così Stone resta l'unico accreditato.
D'intesa con la produzione, la sceneggiatura di Oliver Stone drammatizza ancor di più gli eventi accaduti a Billy Hayes, alterando alcuni particolari. Ad esempio nel film gli viene attribuito il brutale omicidio di una guardia, Hamidou, quando invece nella realtà costui fu ucciso da un ex detenuto che aveva subito sevizie da lui e, notandolo bere thè fuori da un locale, gli sparò otto colpi di pistola.
Così come Hayes non evase uccidendo una guardia e utilizzando i suoi vestiti, in quanto - essendo l'ultima in cui venne confinato una prigione di minima sicurezza - riuscì a uscire da una porta per attraversare poi il vicino confine con la Grecia.
Inoltre, si vede Hayes rifiutare un rapporto omosessuale che invece intrattenne con un detenuto svedese di nome Arne. Questo probabilmente venne deciso per via della diversa sensibilità che girava attorno al tema dell'omosessualità a quei tempi. Per aver voluto inserire la scena ambientata nella doccia dove avvengono queste avances, il produttore David Puttnam viene licenziato per tre giorni e riassunto solo dietro insistenza di Alan Parker.
Dietro richiesta del regista, per far sì che l'attenzione del pubblico sia più concentrata sulla storia del protagonista, si ricercano attori poco noti per le varie parti, oppure ignoti al pubblico americano.
Il ruolo di Billy Hayes è affidato a Brad Davis, un attore che ha lavorato perlopiù per la televisione e per cui questa è la prima parte da protagonista.
L'attore rischia tuttavia seriamente di perdere quest'opportunità in quanto, a causa di un malfunzionamento della sua auto, si presenta con due ore di ritardo all'audizione, sudato e macchiato di olio a motore. Ottiene comunque la parte, vincendo la concorrenza di Richard Gere, inizialmente preferito dalla produzione, e Mark Hamill, che non viene nemmeno preso in considerazione.
Le riprese iniziano in via ufficiale il 12 settembre 1977, tenendosi a Malta e in Grecia. L'autorizzazione a girare in Turchia viene negata dal governo locale a causa di come vengono ritratte le autorità turche e il sistema penale turco, costringendo dunque la produzione a ripiegare su Malta. Come prigione viene utilizzato Fort St Elmo, una ex fortezza dell'impero britannico.
Nel ruolo di uno dei prigionieri, l'olandese Max, vi è il britannico John Hurt. Costui decide di entrare forse fin troppo nel personaggio, rifiutando di lavarsi e fare il bagno per tutta la durata della lavorazione. Ben presto l'attore arriva a puzzare in una maniera tale che praticamente chiunque evita di avvicinarglisi.
Billy Hayes in persona arriva a lodare l'interpretazione di John Hurt, ritenendolo molto accurata e simile al Max originario.
La drammatica scena in cui Billy Hayes uccide dopo un violento pestaggio il prigioniero Rifki (interpretato da Paolo Bonacelli) e gli strappa la lingua, risulta così autentica e disturbante che i componenti della troupe si rifiutano di girarla. Tocca dunque ad Alan Parker in persona - unico componente rimasto sul set - realizzarla. Ovviamente tale evento non è mai accaduto nella realtà.
Le riprese si concludono il quattro novembre 1977. Il film si conclude con l'evasione di Billy Hayes dalle prigioni turche, ma in principio la sceneggiatura di Oliver Stone dettaglia il non meno travagliato suo viaggio di ritorno verso gli Stati Uniti. Alan Parker, tuttavia, ritiene che il viaggio emotivo del protagonista debba concludersi lì e così quelle scene non vengono realizzate.
Fuga di Mezzanotte (Midnight Express) viene programmato in anteprima al Festiva di Cannes il 18 maggio 1978 e poi distribuito nei cinema americani a partire dal 6 ottobre 1978. A fronte di un budget di due milioni e trecentomila dollari, la pellicola arriva infine a incassare 35 milioni di dollari.
Appare quasi superfluo dire che il film viene censurato in Turchia e mai diffuso nei cinema, venendo trasmesso in televisione solo nel 1992.
Anche in altri paesi il film viene accolto in maniera polemica in certi casi. Alcuni spettatori escono dal cinema di fronte alle scene più disturbanti, come l'omicidio del gatto di Hayes. In Olanda, invece, uno spettatore dà addirittura fuoco al cinema in cui viene proiettata la pellicola.
In principio si parla di un possibile sequel, che dettagli quella parte omessa da Alan Parker, ovvero il ritorno di Billy Hayes negli Stati Uniti. Ma questa possibilità infine svanisce a causa delle troppe polemiche suscitate.
Già poco tempo dopo l'uscita del film, infatti, una delle prime voci critiche è proprio quella di Billy Hayes, che condanna il modo in cui è stato ritratto l'intero popolo turco, il quale non viene mai rappresentato in maniera positiva, ma solo attraverso persone crudeli, mentre lui invece lui ha avuto molti amici tra i turchi, anche durante la sua drammatica esperienza come prigioniero.
Con la conseguenza che il turismo verso questa nazione, in particolare quello proveniente dagli Stati Uniti, crolla a livelli vertiginosi per molti anni, con seri effetti sul debito pubblico del paese.
Dopo numerose dichiarazioni pubbliche, Billy Hayes torna infine in Turchia da uomo libero e non ricercato nel 2007, facendo pubblica ammenda. Anche Oliver Stone nel 2004 chiede scusa pubblicamente per come le prigioni turche, il sistema giudiziario turco e il popolo turco sono stati ritratti.
L'unico a non fare mai pubbliche scuse, invece, è il regista Alan Parker, fino alla sua morte nel 2020. L'unica sua dichiarazione in tal senso è che il film rappresenti un'eccessiva drammatizzazione dei fatti reali.
Nonostante le polemiche che ne conseguono, Oliver Stone vince l'Oscar nella categoria Miglior Sceneggiatura Non Originale, evento che lancia la sua carriera cinematografica... ma questa è un'altra storia.

sabato 11 febbraio 2023

A scuola di cinema: Rocky III (1982)

25 Giugno 1976: Un anno dopo essere uscito sconfitto dal confronto con Muhammad Ali, che diviene di ispirazione per il primo Rocky, Chuck Wepner ha un altro incontro, presso lo Shea Stadium di New York, solo che stavolta il suo avversario è decisamente particolare. E più imponente di Muhammad Ali. Si tratta infatti del wrestler André René Roussimoff, alias André The Giant.
Diversamente dal confronto con Muhammad Ali, stavolta - in questo match che unisce pugilato e wrestling - non c'è storia, troppo è il divario tra i due contendenti. Dopo pochi minuti, dunque, André The Giant solleva Chuck Wepner e lo scaglia fuori dal ring. Il pugile subisce perciò un conteggio e perde per essere stato per troppo tempo fuori dal ring.
E anche questo incontro finisce per ispirare un nuovo capitolo della saga di Rocky.


Quando il primo film della saga da lui concepita ottiene un grande successo, Sylvester Stallone si immagina una trilogia, con l'ultimo film che vede Rocky incontrare il Papa e combattere il suo ultimo incontro al Colosseo di Roma, al termine del quale muore. Ma ovviamente questo non accade.
Irwin Winkler e Robert Chartoff sono confermati come produttori, ma oltre alla United Artists un'altra società di produzione coinvolta è la Metro-Goldwyn-Mayer, che ha acquisito nel 1981 la United Artists per salvarla dal fallimento a causa del tremendo flop de I Cancelli del Cielo (Heaven's Gate).
Per il ruolo del nuovo antagonista di Rocky, Clubber Lang, si pensa in un primo momento di affidarlo a un grande pugile del passato e vengono contattati Joe Frazier e Earnie Shavers, che però non si rivelano adatti.
Inizia dunque un lungo e tortuoso processo di casting. L'interprete perfetto lo si trova infine quando la direttrice di casting Rhonda Young e Sylvester Stallone vedono un programma televisivo intitolato Games People Play, dove vi è una sezione denominata America's Toughest Bouncer, incentrata su varie prove fisiche, tra cui anche incontri di boxe e lotta.
Le due edizioni di questo programma vedono vincitore, entrambe le volte con una facilità disarmante, una unica persona, nonché beniamino del pubblico. Si chiama Laurence Tureaud, ma già a quel tempo si fa soprannominare Mr. T.
Sylvester Stallone ha già incrociato la sua strada in passato, nel 1978, quando Mr. T era la guardia del corpo del boxer Leon Spinks. L'attore tentò di fare una visita a Spinks nel backstage, ma Mr. T non permise che lui entrasse nella stanza del boxer, pur essendo a quel tempo Stallone già una celebrità, in quanto il suo lavoro era impedire che qualcuno di non annunciato entrasse. Chiunque fosse.
Sylvester Stallone ha apprezzato l'integrità di Mr. T in quell'occasione e si convince sia l'interprete perfetto per Clubber Lang. La spontaneità di Mr. T, qui al suo debutto cinematografico, che si riflette anche nel suo look, è per l'attore un punto di forza, tanto che si oppone - quando la produzione lo suggerisce - che costui sia mandato presso una scuola di recitazione per migliorare le sue capacità recitative. Questo a detta di Stallone rovinerebbe il personaggio, che vive del suo essere crudo e diretto. 
Per il ruolo di Thunderlips (Labbra Tonanti) viene contattato il wrestler Terry Bollea, alias Hulk Hogan. Costui in principio pensa a uno scherzo, fino a quando non gli giunge una lettera ufficiale da parte della produzione e accetta subito la proposta.
Questo lo porta però a non poter partecipare ad alcuni match per cui era già stata prevista la sua presenza e, in risposta, il presidente della WWF/WWE Vincent McMahon lo licenzia.
Le riprese iniziano in via ufficiale il 30 marzo 1981, tenendosi a Las Vegas, Philadelphia, New York e in California.
Nel film compare la celebre statua di Rocky Balboa. Per la sua realizzazione, Sylvester Stallone si rivolge a Thomas Schomberg, il quale realizza una statua in bronzo alta oltre due metri e settanta centimetri.
Le riprese si concludono nel giugno 1981.
Conclusa la lavorazione del film, Sylvester Stallone vuole donare la statua di Rocky al museo di belle arti di Philadelphia, ma i responsabili non sono interessanti in quanto ritengono quella statua non un'opera d'arte, bensì un semplice attrezzo di scena cinematografico.
Dopo varie vicissitudini che vedono la statua essere prima piazzata davanti allo Spectrum di Philadelphia e poi rinchiusa in un magazzino (salvo quando deve essere utilizzata per eventi speciali), grazie anche a una raccolta firma iniziata da una bambina di otto anni, Nikol Bird, la statua viene infine piazzata in un parco poco distante dal museo di belle arti di Philadelphia, a pochi metri dalla sua celebre scalinata.
In principio, Sylvester Stallone vorrebbe utilizzare come canzone del film Another One Bites The Dust dei Queen, ma non riesce a ottenerne i diritti. Poco dopo, tuttavia, si imbatte in un altro pezzo di una band da lui conosciuta, Eye of the Tiger dei Survivor, e ne rimane talmente conquistato da opzionarlo subito, anche se è disponibile in quel momento solo la versione Demo.
Rocky III viene distribuito nei cinema americani a partire dal 24 maggio 1982. Alla premiere, Mr. T porta sua madre, ma quando costei vede la scena in cui Clubber Lang si rivolge in modo poco appropriato verso Adrian, si lamenta con suo figlio dicendogli che non l'ha educato a trattare le donne in quella maniera. Dopodiché esce dal cinema. Mr. T ha il suo bel da fare per convincerla che stava solo recitando una parte.
A fronte di un budget di 17 milioni di dollari, la pellicola arriva infine a incassare a livello internazionale 270 milioni di dollari.
Quando il film ottiene questo grande successo, Hulk Hogan consegue un'incredibile fama. Vince McMahon, figlio di Vincent McMahon, che nel frattempo ha rilevato la compagnia dal padre, lo riassume dunque nella WWF/WWE e lo rende la figura carismatica del wrestling di quegli anni, grazie alla cosiddetta Hulkamania.
Un periodo che ottiene il suo successo definitivo con la prima edizione di Wrestlemania, durante la quale Hulk Hogan viene affiancato in un match da... Mr. T!
Un successo che Rocky ha già ottenuto e che continua a macinare trionfi, che portano in breve tempo a un nuovo capitolo della saga... ma questa è un'altra storia.