mercoledì 31 agosto 2022

Netflix Original 74: Amore Al Metro Quadro


Ho sempre qualche difficoltà agli inizi ad approcciarmi a prodotti cinematografici provenienti da una società e una cultura che non conosco a pieno, semplicemente perché temo di non poter cogliere a pieno tutti i riferimenti e dunque vedere intaccata la trama che sto seguendo da questo fatto.
Il cinema indiano è uno dei più prolifici al mondo, ma poco esportato nel nostro paese per vari fattori (la sua scarsa commerciabilità in occidente, se posso essere brutale, è il motivo principale). Tuttavia, in un mondo globalizzato, vi sono prodotti che possono raggiungere chiunque in ogni momento, se solo li si vuole cercare.
Dopo Naman il Bramino (Brahman Naman), ecco la seconda produzione indiana di Netflix. Amore Al Metro Quadro (Love Per Square Foot), diretto da Anand Tiwari, scritto dallo stesso Tiwari e da Sumeet Vyas e distribuito a partire dal 14 febbraio 2018 (data non casuale, come vedremo).
Sanjay Chaturvedi (Vicky Kaushal) è un ingegnere informatico che lavora per una grande azienda, innamorato senza speranza della sua caporeparto, e che è costretto a vivere coi suoi genitori nella periferia di Mumbai a causa dei costi proibitivi per l'acquisto di un appartamento.
A una festa aziendale conosce Karina D'Souza (Angina Dhar), un'assistente bancaria anche lei desiderosa di avere un appartamento tutto per sé, ma il suo eterno fidanzato è sempre assente.
Quando viene indetta una lotteria per assegnare appartamenti a coppie sposate, Sanjay ha un'idea: fingere che lui e Karina siano sposati e presentarsi per un'assegnazione. La manovra ha buon fine, ma per avere l'appartamento occorre tassativamente presentare la licenza matrimoniale entro due settimane. Due settimane in cui Sanjay e Karina potrebbero davvero innamorarsi... sempre se le loro famiglie non si mettono di mezzo.
Quella che può essere la difficoltà nell'approcciarsi a questo tipo di prodotto svanisce subito quando inizia a parlare - seppur inserito in una società differente - di problemi e situazioni che chiunque può affrontare nella vita reale, come appunto la ricerca di una dimora e di una persona con cui condividere la propria esistenza.
Il film offre anche uno spaccato della società indiana che risulta affascinante agli occhi di un osservatore esterno, tra il problema della sovrappopolazione, la differenza tra le classi sociali e le distanze tra le credenze religiose, induista e cristiana.
Lo spaccato diventa comunque ottimista, poiché i due protagonisti si amano nonostante le due famiglie abbiano differenti credi religiosi e sono entrambi indipendenti, ma al tempo stesso non possono fare uno a meno dell'altra. Un prodotto perfetto, dunque, da far uscire il giorno di San Valentino.
Vi è anche qualche momento di comicità un po' surreale, in certi punti confinante coi cinepanettoni nostrani, e meno retorica di quanto si potrebbe immaginare, tranne alla fine dove la storia diviene per forza di cose una fiaba.
E gli "stacchetti musicali" tipici delle produzioni indiane? Non preoccupatevi, ci sono anche questi. Per quanto stranianti in principio, poi ci si fa l'abitudine (anche in Grease i protagonisti iniziano a cantare da un momento all'altro e nessuno si è mai lamentato).

martedì 30 agosto 2022

Netflix Original 73: Se Ci Conoscessimo Oggi


Ogni persona nella propria vita va alla disperata ricerca del vero amore, di quell'altra persona che può aiutarla a dare un senso completo alla propria esistenza. E se nella realtà ognuno ha una sola possibilità di riuscita per questa ricerca e non può tornare indietro, nel cinema può invece capitare che vi sia più di un'occasione grazie a un viaggio nel tempo. Come accade ad esempio in Peggy Sue Si è Sposata (Peggy Sue Got Married).
Una nuova ricerca del vero amore aiutata da un insolito viaggio nel tempo si ritrova in Se Ci Conoscessimo Oggi (When We First Met), diretto da Ari Sandel, scritto da John Whittington e distribuito su Netflix a partire dal 9 febbraio 2018.
La notte di Halloween del 2014, Noah Ashby (Adam DeVine) incontra la ragazza dei suoi sogni, Avery Martin (Alexandra Daddario), ma lei lo considera solo un amico e tre anni dopo, nel 2017, si fidanza con Ethan (Robbie Amell), da lei conosciuto per caso il giorno dopo aver incontrato Noah.
Disperato e ubriaco dopo aver partecipato alla loro festa di fidanzamento, Noah si reca in un bar dove si trova una macchina che scatta fototessere e inconsciamente chiede di tornare indietro nel tempo. Incredibilmente, la cosa avviene davvero e l'uomo torna a quella notte di Halloween. Ora ha la possibilità di far innamorare di sé Avery e far sì che stiano insieme per sempre. Ma sarà la cosa giusta da fare?
Il film ha una trama molto semplice e il viaggio nel tempo - di cui non verrà mai data una spiegazione - diventa ben presto un mero pretesto per chiedersi fin dove ci si possa spingere per amore e come le scelte che facciamo influenzeranno la persona che noi diventeremo e gli amici di cui ci circondiamo.
Noah Ashby è dunque il classico personaggio da commedia che qualunque cosa faccia commetterà sempre gli stessi errori, poiché non è in grado di comprendere la realtà attorno a sé. Il viaggio nel tempo che compie diventa dunque anche un viaggio di natura metafisica, se così si può dire, e lo aiuta perciò a trovare il giusto percorso e a fargli capire che non è solo la bellezza che va ricercata nell'amore, ma anche la felicità e la comprensione.
Sì, perché alla fine questa è una commedia romantica e, come tutte le commedie romantiche, deve avere una conclusione lieta... solo che non è detto sia quella che ci si aspetta. Poiché a volte il vero amore è sotto i nostri occhi e non ci accorgiamo della sua esistenza fino a quando è troppo tardi... ma nei film si può avere una seconda possibilità... e anche una terza e una quarta.

lunedì 29 agosto 2022

Netflix Original 72: Il Rituale


Secondo me questa storia non vi è del tutto nuova: un gruppo di amici che si ritrova disperso in una foresta e scopre di essere assediato da un nemico sconosciuto, invisibile, che li ha presi di mira.
Su un versante horror, la mente corre subito a The Blair Witch Project, ma vale la pena citare anche Un Tranquillo Weekend di Paura (Deliverance), che - per il mio gusto personale - risulta molto più angosciante.
Quattro amici non al bar ma in una foresta si ritrovano anche in Il Rituale (The Ritual), diretto da David Bruckner, scritto da Joe Barton e distribuito su Netflix a partire dal 9 febbraio 2018. Il film è basato su un romanzo omonimo pubblicato nel 2011 scritto da Adam Nevill. 
Dopo aver assistito imponente all'uccisione di un suo caro amico durante una rapina, Luke (Rafe Spall) si concede qualche mese dopo questo tragico evento un viaggio nelle distese della Svezia insieme ad altri suoi tre amici.
Mentre percorrono un lungo sentiero in una foresta per giungere a un rifugio sicuro, i quattro cominciano a notare cose strane, come animali impalati e sinistri rumori attorno a loro. Dovendo trovare un luogo per dormire la notte, sono costretti ad accamparsi presso quella che appare come una casa abbandonata. Ed è allora che ha inizio il vero incubo.
Sembra proprio di essere tornati negli anni '90 del secolo scorso con questo film. Il gruppo di amici - che però non si separa come nelle più classiche storie horror, col tempo hanno imparato la lezione - e l'ambientazione vagamente esotica, se esotica si può definire la foresta svedese, unito alla mancanza di cellulari che avrebbero rovinato il tutto contribuisce a questo insolito tuffo nel passato.
I richiami a The Blair Witch Project sono evidenti, ma in questo caso lo sfondo non sono delle leggende inventate per l'occasione, bensì - ovviamente non troppo approfonditi - i miti scandinavi nella loro accezione più orrorifica.
In parallelo al viaggio fisico e angosciante che deve intraprendere, il protagonista deve anche affrontare un altro viaggio, più interiore e psicologico, per venire a patti con l'evento drammatico di qualche mese prima di cui è stato testimone e di cui si incolpa.
Insomma, tutto nella norma rispetto a questo tipo di prodotti e dunque si può già intuire come si concluderanno entrambi i viaggi e nulla di particolarmente nuovo viene aggiunto: da vedere solo se si hanno un paio di ore libere.

venerdì 26 agosto 2022

Fabolous Stack of Comics: Carnage - Diavolo Marino


Dalle distese spaziali del pianeta dei simbionti e dai vicoli di New York si è passati a delle inedite atmosfere mistiche. Questa la novità introdotta da Gerry Conway nella serie regolare dedicata a Carnage durante il primo ciclo, Quello Che è Scappato Via.
Il secondo ciclo, Diavolo Marino (Sea Devil), pubblicato nei numeri dal 6 al 10, prosegue e approfondisce questo discorso, con alla parte grafica sempre Mike Perkins.
Per poter fermare Carnage e una minaccia che non conoscono a pieno, l'insolita squadra del FBI capitanata dall'agente Claire Dixon e che ha tra le sue fila anche Eddie Brock in versione Toxin e John Jameson in versione Uomo Lupo, contattano un'organizzazione chiamata Figli del Sole di Mezzanotte capeggiata da Victoria Montesi.
Grazie alle sue conoscenze del Darkhold, Victoria Montesi capisce che Carnage si sta dirigendo verso Giacarta, ma la nave su cui si trova Cletus Kasady esplode e così Carnage approda su una piccola imbarcazione appartenente a una ragazza di nome Jubulile Van Scotter. Cercando di ucciderla, Carnage condividerà con lei invece un legame simbiotico, che potrebbe dare vita a una nuova minaccia.
Questa saga urla "Anni '90" a tutta forza. Vi compare infatti una nuova incarnazione dei Figli della Mezzanotte, i Midnight Sons. Nei primi anni '90 questo era infatti il nome di un'etichetta editoriale che comprendeva tutte le testate horror pubblicate dalla Marvel (e ne pubblicava tante in quel periodo). Tra queste vi era anche una serie dedicata al Darkhold (sì, pubblicavano davvero titoli su qualunque cosa), che annoverava tra i suoi protagonisti proprio Victoria Montesi.
Inoltre, come guest star di un episodio di questa saga ritroviamo il Nano del Darkhold (si può dire ancora nano in questi tempi particolari?), anche lui proveniente dalla serie incentrata sul mistico tomo... e mai più apparso in oltre due decenni, da quel che so.
Mettendo da parte questi comunque apprezzati richiami e omaggi, Diavolo Marino è la classica, ma ben fatta, saga di transizione che si colloca tra l'incipit e l'epilogo. Nel senso che prosegue la trama iniziata nella prima parte e mette in scena tutti gli elementi narrativi necessari per la terza e ultima parte ancora da venire, introducendo anche due nuovi personaggi legati ai simbionti che si riveleranno poi fondamentali.
Non so se per volontà editoriale o scelta narrativa precisa, ma Gerry Conway inserisce nella nuova formazione dei Figli della Mezzanotte solo elementi appartenenti, in un modo o nell'altro, a delle minoranze (con l'eccezione di John Jameson ed Eddie Brock), ma ha la consumata abilità - almeno in questa specifica occasione - di non sottolinearlo a tutti i costi.
Con tutti i pezzi della scacchiera al loro giusto posto, è ora dunque giunto il momento di tirare le fila della storia.

giovedì 25 agosto 2022

Fabolous Stack of Comics: Erinni


Come noto, il fumetto americano ha vissuto un anno particolare nel 1992 quando un gruppo di artisti - che non approvava del tutto le scelte delle major, Marvel e DC Comics - decise di fondare una propria casa editrice dove i diritti sulle storie e sui personaggi sarebbero rimasti in capo agli autori. Forse nemmeno loro potevano immaginare che quella sarebbe diventata una delle realtà editoriali più floride e ancora oggi vigente, la Image Comics.
Pur facendo i debiti distinguo, in quello stesso decennio anche il fumetto italiano ha vissuto qualcosa di simile. Ma non furono più artisti a promuovere quella stagione indipendente, bensì una sola persona: Ade Capone.
Sceneggiatore per Sergio Bonelli Editore e Star Comics (per quest'ultima casa editrice ha creato la longeva testata Lazarus Ledd), nel 1995 Capone dà vita alla casa editrice Liberty, il nome credo dica tutto sulle intenzioni, per promuovere nel crescente circuito delle fumetterie nuovi titoli e nuovi personaggi da lui ideati e sceneggiati.
Il primo di essi è Erinni, saga per un totale di quindici parti pubblicata a partire dal 1995 e disegnata da Luca Panciroli, Marco Sciame e Fabio Bartolini.
In apparenza, Eleanore Glenn è una persona come tante altre, che insegna mitologia greca presso un liceo di New York. In realtà, però, Eleanore Glenn è Erinni, una serial killer che uccide solo persone che commettono atti sessuali o sono in possesso di pornografia.
Il detective del FBI Phil Boneyard è il primo a intuire questa verità, ma invece che arrestarla la sottopone a un ricatto: essendo lui preda di un cancro allo stadio terminale, in cambio del suo segreto che si porterà nella tomba le chiede di uccidere cinque persone corrotte ma che non è mai riuscito a far condannare a causa dei loro agganci politici e della loro ricchezza.
Erinni si ritrova costretta ad accettare, ma questo la mette ancor di più nel mirino della polizia, in particolare del tenente Magdalene Wellman, la quale condivide con Eleanore Glenn un misterioso legame psichico.
Ade Capone cerca una propria strada personale, lontana da Bonelli e Star Comics (che di sicuro non avrebbero accettato un soggetto simile così cupo e pieno di scene efferate), per mettere in scena un noir con connotazioni mistiche dove a predominare è la natura sinistra e malvagia del genere umano. Non vi è infatti in questa storia un solo personaggio, principale o secondario, che non ceda ai propri istinti selvaggi e rimanga affascinato dalla propria oscurità.
E il ruolo principale è appannaggio di due donne, Eleanore Glenn e Magdalene Wellman, due personaggi forse in anticipo sui tempi. Donne forti, seppur ognuna dai lati opposti della barricata, che non dipendono dagli uomini e utilizzano come "arma" il sesso per dimostrare la loro superiorità, il loro controllo sulle persone più deboli... che sono perlopiù gli uomini, facili a cadere nella tentazione del sesso.
Quindi il sesso non è visto come una cosa necessariamente negativa, ma come un modo di mostrare il proprio ES, quella parte più nascosta dentro di noi che quando emerge rischia di portarci su strade pericolose.
A far da sfondo alla storia, una New York spettrale, ben ritratta da Luca Panciroli in particolare, e che sembra uscita da Sin City di Frank Miller. L'oscurità dei protagonisti si riflette anche sull'ambiente attorno a loro, tanto che anche le scene che avvengono di giorno sembrano in realtà essere avvolte da una cappa di nero.
È raro trovarsi di fronte a un fumetto che presenti personaggi del tutto negativi e rimanerne affascinati, ma in questo caso Ade Capone è riuscito in questo intento e a ritagliarsi uno spazio di tutto rilievo nel panorama fumettistico italiano che avrebbe perseguito ancora per molti anni.

mercoledì 24 agosto 2022

Fabolous Stack of Comics : Cronache del Tempo Medio - Parte Terza


Tre parti. Tre generazioni. Nella Parte Prima di Cronache del Tempo Medio (Crónicas del Tiempo Medio), la saga ideata da Emilio Balcarce e Juan Zanotto, abbiamo conosciuto Random e Safari, due sopravvissuti di un mondo post-apocalittico in lotta contro gli orrori di questo stesso mondo, ovvero il supercomputer Nerone e l'ibrido genetico Brain.
Nella Parte Seconda, Random esce di scena e fa il suo ingresso suo figlio, ovvero Chip, mentre Safari affronta Cesarea e ancora una volta Brain.
E giungiamo così alla Parte Terza e ultima, pubblicata nel 1992 nonché la più breve di tutte. Le minacce del mondo apocalittico paiono del tutto eliminate, ma l'umanità continua a essere belligerante e si scatena una nuova Guerra Civile tra i territori del nord e quelli del sud.
In questo scenario, nasce il figlio di Chip, ovvero Aden, che diversamente da lui possiede le braccia ma è asessuato. Dopo che il padre viene ucciso da persone che vedono nella sua figura di nuovo messia qualcosa di pericoloso, Aden intraprende un viaggio nelle terre del sud per cercare di ristabilire la pace, ma per farlo dovrà prima trovare la sua nonna scomparsa da qualche tempo, Safari.
Questa terza e ultima parte chiude il cerchio narrativo in quello che forse era l'unico modo possibile, per un mondo condannato già in partenza. Se nei primi due capitoli un'umanità allo sbando fronteggiava le conseguenze dell'apocalisse che essa stessa aveva scatenato, sotto forma di supercomputer e orrori genetici, in questo ultimo capitolo - priva di queste minacce - ritorna alla sua natura belligerante.
Una natura che sembra ripudiare il concetto di pace e fratellanza e così il messaggio stesso portato avanti da Chip negli anni.
Ma l'umanità nella sua arroganza ritiene di essere intoccabile e superiore a ogni cosa, quando così non è. Aden - nome molto simile a Eden - è più che una figura messianica, rappresenta una sorta di incarnazione divina. O forse sarebbe meglio dire punizione divina.
Sia lui che tutti gli altri personaggi principali che abbiamo conosciuto durante questa saga in tre parti trovano dunque la conclusione del loro percorso narrativo. Un cerchio che si chiude come era iniziato, con un mondo nuovo da scoprire, anche se questa volta non ci sarà concesso di scrutare attraverso di esso.
A noi invece rimarrà quel mondo apocalittico e i suoi orrori, specchio di certe paure che aleggiavano circa trent'anni fa e che in parte sono presenti ancora oggi.

martedì 23 agosto 2022

Fabolous Stack of Comics: Tex - Oklahoma!


Il West descritto nelle storie di Tex Willer, come noto, non è il West storico degli Stati Uniti, come non è neppure il West che si è visto nei romanzi e nei film americani, i quali hanno mitizzato, fino a livelli eccessivi in alcuni casi, quel periodo storico.
Il West di Tex è una sorta di amalgama delle due cose, con in aggiunta dei background letterari che il suo creatore, Gianluigi Bonelli, ha voluto inserire come una sorta di omaggio alle avventure che leggeva da ragazzo. Quindi, se si eccettua il periodo temporale che non si può mutare, il mondo di Tex offre molte possibilità narrative, anche a sceneggiatori abituati a scrivere altri tipi di storie.
Ne è un esempio perfetto Oklahoma! Albo speciale (il primo Maxi Tex) di oltre 300 pagine pubblicato nel 1991, scritto da Giancarlo Berardi e disegnato da Guglielmo Letteri.
Siamo nell'aprile 1889, il mese e anno in cui sta per svolgersi la Corsa alle Terre dell'Oklahoma, durante la quale coloni provenienti da tutto il mondo potranno reclamare degli appezzamenti di terreno. Tex e Kit Carson si imbattono nella famiglia Paxton, la quale è stata assalita da un gruppo di banditi che ha ucciso Harvey, il pater familias.
I due ranger salvano i componenti della famiglia, ma Tex col suo intuito capisce che dietro c'è qualcosa di più di una semplice rapina. Qualcosa che ha a che vedere proprio con la Corsa alle Terre, di cui tanti vogliono approfittarsi, anche utilizzando mezzi illeciti. Si aggregano dunque alla famiglia Paxton per partecipare alla Corsa e scoprire la mente criminale dietro altri omicidi compiuti nella zona.
Il creatore di Ken Parker, la cui saga descrive una tipologia di West del tutto differente da quella di Tex Willer, ben si adatta a queste nuove atmosfere per lui inedite da un punto di vista di scrittura, ma gli abili sceneggiatori sono capaci di fare questo e altro.
Se Ken Parker era profondamente inserito nella realtà storica da lui vissuta, anche in questo caso lo sfondo è un evento storico, la Corsa alle Terre dell'Oklahoma, davvero svoltasi nell'aprile 1889 (dunque, seppur al limite, nel periodo storico in cui Tex vive le sue avventure): se avete visto Cuori Ribelli con Tom Cruise e Nicole Kidman sapete di cosa si tratta.
Da questo presupposto, Berardi costruisce - ben assistito da Guglielmo Letteri, soprattutto in quelle che sono le scene della Corsa che occupano la parte centrale di questa lunga storia - la classica storia di Tex (con al proprio fianco il fido pard Kit Carson) che si trova a fronteggiare delle ingiustizie dietro cui ci sono persone potenti e che si reputano intoccabili. E Tex, che è troppo testardo per volgere la testa altrove, conosce un solo modo per risolvere i problemi: a suon di pugni e revolverate.
E nel mentre non possono mancare i divertenti battibecchi con Kit Carson, i Satanasso assortiti e coreografie di lotta che sembrano quasi prese dai film western muti con Tom Mix. Un universo narrativo di distanza da quello di Ken Parker.
Berardi inserisce anche il tema dell'accettazione e dell'integrazione tramite la presenza come personaggio fondamentale di un indiano... anche se Gianluigi Bonelli lo aveva ampiamente anticipato con Il Patto di Sangue.
Insomma, quando un signor sceneggiatore viene messo di fronte a un personaggio iconico (e che per questo motivo presenta molti paletti narrativi che si devono rispettare), la cosa migliore che possa fare è concepire una storia bella e appassionante. Giancarlo Berardi è riuscito in questo intento.

lunedì 22 agosto 2022

Fabolous Stack of Comics: Carnage - Quello Che è Scappato Via


Il male a volte esercita una sorta di perverso fascino proprio in quanto riflesso distorto della nostra personalità e non è dunque raro vedere ogni tanto dei prodotti narrativi dedicati a dei veri e propri cattivi. Persino a un serial killer come Cletus Kasady, alias Carnage.
Negli anni, infatti, la progenie di Venom è stata protagonista di alcuni one-shot come Bomba Mentale (Mind Bomb), nonché di qualche miniserie. Finché nel 2016 giunge la prima serie regolare a lui dedicata, sceneggiata da Gerry Conway. Il primo arco narrativo di cinque numeri si intitola Quello Che è Scappato Via (The One that Got Away) ed è disegnato da Mike Perkins.
Cletus Kasady sta continuando con la sua scia di assassinii lungo tutti gli Stati Uniti, quando all'improvviso una notizia cattura la sua attenzione: il ritorno sulla scena di Manuela Calderon, unica sopravvissuta della prima strage compiuta dal serial killer.
Determinato a completare la sua opera, Carnage si reca presso il luogo dove si trova la donna, ma non sa che sta cascando in una trappola, in quanto sul posto è stata assemblata una forza d'assalto del FBI che comprende anche John Jameson ed Eddie Brock.
L'intento è quello di catturare e se possibile uccidere Carnage utilizzando dei cannoni sonici. Ma c'è una terza presenza sulla scena, una presenza oscura e sinistra che farà precipitare Carnage e i suoi avversari in un incubo di natura mistica.
Il veterano Gerry Conway torna - in maniera un po' sui generis - a sceneggiare storie appartenenti al mondo di Spider-Man per cui ha realizzato tante celebri saghe in passato. Curioso che lo faccia con una serie incentrata su Carnage, visto che non ha mai apprezzato molto i personaggi del tutto negativi.
E questo ritorno è decisamente particolare. Già in passato Spider-Man ha affrontato minacce di natura mistica, ma nessuno aveva mai pensato di legare i simbionti - più legati a una certa fantascienza alla Alien - alla magia e alle sette. Magia nera simboleggiata dal tomo più oscuro presente nel Marvel Universe, ovvero il Darkhold, che - seppur con uno stratagemma un po' forzato - viene legato a doppio filo con Carnage.
E siccome una serie incentrata solo su un serial killer e le sue imprese può risultare eccessiva, Gerry Conway popola la serie di alcuni comprimari, tra cui personaggi veterani del Marvel Universe come John Jameson/Uomo Lupo (che sembra quasi non ricordare di aver già incontrato Carnage presso il Ravencroft Asylum) ed Eddie Brock nell'identità di Toxin.
Questa prima saga in sé comunque procede su binari consolidati, con i veri burattini dietro le quinte che commettono i banali errori che consentono ai non tanto buoni (in questo caso) di prevalere. Tuttavia, la deriva mistico/horror che è stata decisa per questa serie lascia la curiosità di sapere come continuerà.

venerdì 19 agosto 2022

Prime Video Original 28: Addio Al Nubilato


Torna una nuova produzione italiana su Amazon Prime Video, stavolta più standard rispetto a Il Talento del Calabrone, ma non meno interessante.
Addio Al Nubilato è tratto da un'opera teatrale scritta da Francesco Apolloni, il quale ha anche diretto l'adattamento cinematografico e curato la sceneggiatura insieme a Fabrizio Nardi. Ignoro se ne fosse prevista un'uscita cinematografica, ma anche così fosse il COVID-19 ha bloccato tutto e il film è stato distribuito su Amazon Prime Video a partire dal 24 febbraio 2021.
Quattro amiche del liceo, Linda (Laura Chiatti), Vanessa (Chiara Francini), Eleonora (Antonia Liskova) e Akiko (Jun Ichikawa) vengono invitate dopo circa vent'anni dalla fine degli studi scolastici da una loro cara amica, Chiara, al suo addio al nubilato. Anche se sono sempre rimaste in contatto, è la prima volta che si ritrovano tutte assieme dopo svariati anni.
Chiara non è presente nella stanza dell'hotel affittata per l'occasione, ma ha lasciato degli indizi per ritrovarla. Indizi che faranno sì che le quattro donne intraprendano un'insolita caccia al tesoro che le porterà lungo Roma e il viale dei ricordi e, nel bene e nel male, le esorterà a venire a patti col proprio passato e i dilemmi del loro presente.
Il canovaccio di questo film è consolidato: gli amici al tempo della scuola che si ritrovano qualche tempo dopo, mettendo a confronto il loro passato e il loro presente. Nel cinema italiano la miglior espressione in tal senso è Compagni di Scuola di Carlo Verdone, mutuato a sua volta da Il Grande Freddo di Lawrence Kasdan.
Addio Al Nubilato è una variante al femminile di Compagni di Scuola, dove al tema del confronto tra passato e presente e alle distanze che a volte si creano tra gli amici dopo anni di distacco vengono affiancate tematiche - seppur mutuate sotto forma di commedia - che non potevano essere presenti nel film di Carlo Verdone quali omosessualità, inclusione e immigrazione.
Potete intuire che il messaggio di fondo è che l'età è quella che ti senti dentro, non quella anagrafica, quindi avere quarant'anni per una donna non comporta automaticamente abbandonare i propri sogni o uniformarsi a tutti i costi a quelli che sono i dettami della società (e se non è chiaro, lo ribadisce pure Loredana Bertè a metà del film).
Vi sono anche delle situazioni paradossali che lasciano un po' interdetti in principio e che riflettono una sorta di atmosfera onirica, quella in cui cerchiamo di dimenticare le nostre responsabilità facendo cose che normalmente non faremmo... tutti siamo stati giovani e tutti noi abbiamo commesso qualche atto sconsiderato. Il tutto peraltro è ambientato in un 2020 dove la pandemia sembra non aver mai colpito il mondo: una scelta corretta, poiché sarebbe apparso fuori luogo nel contesto della trama.
Nel solco sia del film di riferimento citato che della commedia italiana, vi è anche un retrogusto amaro che percorre l'intera pellicola e che puntualmente fa capolino, a volte in maniera inaspettata, a volte intravedendolo già da lontano. Perché oltre ai sogni, ogni tanto giungono anche le delusioni e bisogna imparare a convivere anche con esse.

giovedì 18 agosto 2022

Prime Video Original 27: The Courier


Che una parte dell'estetica dei videogiochi sia oggi presente in alcune produzioni cinematografiche è innegabile. Tralasciando i film che sono proprio basati su famosi titoli videoludici, altre pellicole hanno in sé un vago mood da videogioco - senza che la cosa debba essere vista per forza in maniera negativa - come Senza Rimorso (Without Remorse) o Boss Level.
Ritengo vi si possa annoverare anche The Courier, diretto da Zackary Adler, scritto dallo stesso Adler e da James Edward Barker, Andy Conway e Nicky Tate e distribuito su Amazon Prime Video a partire dal primo novembre 2020.
L'imprenditore criminale Ezekiel Mannings (Gary Oldman) viene arrestato dalla polizia, ma per poterlo condannare occorre la testimonianza di una persona che lo ha visto mentre uccideva un uomo. Il testimone, Nick Murch (Amit Shah), viene portato in un rifugio sicuro, ma Mannings ha talpe anche all'interno delle forze dell'ordine.
Nick Murch viene però salvato in maniera involontaria da una donna corriere (Olga Kurylenko) che ha portato senza saperlo una valigia contenente gas cianuro e si rifugia insieme a lui in un parcheggio, dove dovranno guardarsi dagli attacchi degli sgherri di Mannings.
Il film ha un inizio molto lento perché si preoccupa inutilmente di mettere in scena tutti quegli elementi narrativi di cui poi ci importerà poco. Poiché quando la scena principale si sposta nel parcheggio, solo allora la trama principale - l'unica trama, a dire il vero - ha inizio. E così il videogioco.
Vi sono gli sgherri da eliminare, un tempo predefinito per portare a termine il tutto, luoghi in cui nascondersi e nuove armi da poter utilizzare. Per arrivare infine al boss di medio livello, quello forzuto ed esasperante che è una liberazione poter togliere di mezzo, e quello di fine livello, un po' più pazzoide.
Sembra uno di quegli shoot'em up che impazzavano all'alba di Internet, che si svolgevano in ambienti chiusi, così come accade in questo caso. E, sfruttando una tematica molto presente nel cinema di questi anni, vengono messe in scena delle situazioni dove una donna si dimostra più forte e scaltra di molti uomini (la protagonista sembra una sorta di Wonder Woman).
L'azione e come gli avversari saranno eliminati diventano dunque gli unici elementi di interesse, mentre tutto il resto viene messo da parte e, a parte la protagonista di cui peraltro non sapremo mai il nome, ma di cui almeno ci viene spiegato perché protegge una persona a lei sconosciuta, gli altri comprimari sono come quegli sgherri che elimini in un videogioco e non te ne preoccupi più di tanto... ma forse in un film non funziona così bene.
Gary Oldman qui è a meno del minimo sindacale, ma suppongo che quando avrà visto la possibilità di incassare un facile assegno dovendo stare pochi giorni su un solo set non si sia lasciato sfuggire l'occasione. Forse anche per lui tutto questo è stato come un gioco.

mercoledì 17 agosto 2022

Prime Video Original 26: La Bugia


A volte l'orrore non giunge da mostri spaventosi o da spietati serial killer. A volte l'orrore è vicino a noi, magari in un ambito domestico, come abbiamo già avuto modo di trattare, oppure da persone di cui dovremmo fidarci. Quali i componenti della nostra famiglia.
La famiglia e l'orrore che da un giorno all'altro può colpirla si ritrova nel film La Bugia (The Lie), scritto e diretto da Veena Sud e distribuito su Amazon Prime Video a partire dal 6 ottobre 2020. La pellicola si basa sul film tedesco del 2015 Wir Monster.
Jay Logan (Peter Sarsgaard) e Rebecca Marston (Mireille Enos) sono due coniugi separati che rimangono in contatto grazie alla figlia Kayla (Joey King).
Un giorno, mentre Jay Logan accompagna la figlia a una sessione di danza insieme alla sua migliore amica Britney, Kayla in un impeto di rabbia dichiara di aver gettato giù da un ponte la ragazza e di averla uccisa.
Jay Logan in principio vuole chiamare la polizia, ma subito dopo cambia idea e - anche con la complicità della sua ex moglie, la quale viene a conoscenza della cosa - inizia a proteggere Kayla costruendo attorno a lei una fitta rete di menzogne.
Una fitta rete che però rischia di avvolgerli, poiché sia il padre di Britney che la polizia sono sulle tracce della ragazza e ben presto i loro sospetti non potranno che convergere sulla sua migliore amica e i suoi genitori.
La trama di questa storia e il modo in cui viene trattata a livello cinematografico - limitando l'uso della musica, utilizzando inquadrature perlopiù fisse - cercano di dare un'impronta realistica a una situazione che, per quanto estrema, potrebbe riguardare molte persone.
I temi principali sono quelli dell'amore genitoriale, delle responsabilità che ne derivano e cosa, in netto contrasto con la società civile, si sia disposti a fare per proteggere i propri figli dalle conseguenze delle azioni che loro stessi hanno causato.
Seppur in maniera inevitabile estremizzata in alcuni punti, dunque, la situazione descritta vive di un crescendo di tensione che in realtà non ci viene mostrata pienamente, cosicché quando infine esplode vuole coglierci impreparati (ma a mio parere l'obiettivo non va del tutto a segno).
Se i due genitori vengono dipinti come persone credibili, che con le loro azioni soffrono e si interrogano su ciò che fanno (grazie anche alla bravura dei due attori), dall'altro lato la figlia viene dipinta come priva di qualsiasi empatia. Risulta proprio odiosa, arrogante, veniamo portati a detestarla per questo e - se consideriamo il finale a sorpresa che cerca di ribaltare questa prospettiva - credo sia stata proprio una cosa voluta.
Quindi ricordatevi sempre che non tutto è ciò che appare e che la nostra percezione della realtà, limitata dal nostro sguardo e dal nostro vissuto, potrebbe a un certo punto trarci in inganno. La bugia del titolo è la nostra realtà.

martedì 16 agosto 2022

Prime Video Original 25: Jexi


Molto spesso vediamo post indignati sui social di persone che si lamentano di come ai bambini venga messo in mano un cellulare solo per farli stare calmi, privandoli così del divertimento, del gioco e di un'esistenza degna di essere vissuta. Il classico post anti-tecnologia che può esistere solo grazie alla tecnologia, in una sorta di insolita e in buona fede contraddizione (aldilà dell'intento nobile di partenza).
Che la tecnologia domini buona parte della nostra giornata, in netto contrasto rispetto al passato, è comunque evidente: un aspetto che può anche divenire oggetto di una commedia. Quale è Jexi, film scritto e diretto da Jon Lucas e Scott Moore e distribuito su Amazon Prime Video a partire dal 1 aprile 2020.
Ci troviamo a San Francisco. Phil Thompson (Adam DeVine) è un aspirante giornalista che scrive articoli clickbait per una rivista online, totalmente dipendente dal suo cellulare sin da bambino e che non abbandona mai, nemmeno quando cammina per strada o è sotto la doccia.
Un giorno, a causa di un incidente, il cellulare si rompe in maniera irreparabile e Phil acquista un nuovo, rivoluzionario telefono mobile. Forse fin troppo rivoluzionario, perché la sua intelligenza artificiale, Jexi, dimostra di essere senziente e inizia a cercare di migliorare la sua vita, facendogli conoscere nuovi amici e facendogli provare nuove esperienze.
Phil è un uomo rinato e trova anche una ragazza, Cate Finnegan (Alexandra Shipp), tuttavia c'è qualcuno che potrebbe essere contrario a questa unione: Jexi. Che comincia a provare sentimenti.
Il film mette in scena varie situazioni paradossali e surreali (la vita di redazione e le esigenze di diventare virali, deliranti comunicazioni whatsapp) per dipingere una satira di quello che era il mondo pre-pandemia e la tossicità di un continuo stare a contatto con la tecnologia, che progressivamente porta a prendere distacco dalla realtà e dalle interazioni sociali e a divenire una sorta di entità amorfa, priva di ogni traccia di umanità.
Jexi in principio, dunque, rappresenta una sorta di coscienza interiore e sopita di Phil, che lo sprona a divenire un uomo migliore, obiettivo che consegue. Salvo poi nella seconda parte scivolare nelle situazioni da commedia più assurde per intrattenere lo spettatore e dare un lieto fine alla storia d'amore tra i due protagonisti.
La morale, intuibile, di questo film dunque è che bisogna staccarsi dai cellulari e dalla tecnologia per osservare la realtà intorno a noi, poiché solo così la comprenderemo al meglio e non tramite lo schermo di un telefono. Come capita al protagonista nella scena più emblematica quando, dopo tanto tempo, alza lo sguardo dal cellulare e per la prima volta vede davvero i grattacieli e i ponti della città in cui vive, rimanendone conquistato.
Non vi è tuttavia una demonizzazione della tecnologia a tutti i costi, di cui si riconosce l'importanza nel tessuto sociale e i benefici che può portare.
Questo, però, accadeva nel pre-pandemia. La simbiosi tra essere umano e tecnologia è oggi più presente che mai e solo il tempo dimostrerà se diventerà una sorta di relazione tossica.

sabato 13 agosto 2022

A scuola di cinema: Sindrome Cinese (1979)

22 Marzo 1975: Si rischia un grave incidente presso la centrale nucleare Browns Ferry quando un operaio, mentre cerca con una candela delle potenziali perdite d'aria, dà fuoco in maniera accidentale alla guarnizione di un cavo.
Le fiamme si espandono in pochi secondi, provocando anche dei danni alla cabina dove si trova il reattore della centrale. Per fortuna, l'incendio viene infine domato, ma i danni che ne derivano sono notevoli.
Sono anni in cui l'attenzione dei media e del pubblico è rivolta alle problematiche dell'energia nucleare, le cui centrali iniziano a essere costruite in gran quantità sul suolo statunitense. Un argomento che ben presto arriva anche sul grande schermo.


Nel 1973, due anni dopo aver prodotto L'Assassinio di Fred Hampton (The Murder of Fred Hampton), un documentario sull'uccisione del leader delle Pantere Nere, lo sceneggiatore ed ex ingegnere Mike Gray inizia a interessarsi dell'energia nucleare e delle problematiche ad essa associate.
Durante queste sue ricerche, Mike Gray visita alcune centrali nucleari e intervista svariati scienziati e ingegneri. Apprende così della cosiddetta sindrome cinese - il peggior scenario che si possa verificare - secondo cui, in caso di incidente nucleare causato da un malfunzionamento al sistema di raffreddamento, il nocciolo del reattore fonderebbe il pavimento e la crosta terrestre, giungendo fino in Cina o comunque dall'altra parte del mondo (teoria poi smentita, in quanto la forza gravitazionale lo impedirebbe).
Mike Gray scrive dunque una sceneggiatura ma, non avendo un agente, trova molta difficoltà a piazzarla, da un lato perché è sconosciuto nell'ambiente e dall'altro perché il tema trattato è molto delicato. Fino a quando viene scoperta nell'aprile del 1976 da Michael Douglas. Mike Gray chiede anche di poter essere il regista del progetto, ma Douglas è consapevole che sarà difficile accontentarlo.
La sceneggiatura di Mike Gray viene revisionata da Thomas Steven Cook e opzionata dalla Columbia Pictures. Per il ruolo di Jack Godell, Michael Douglas ottiene l'assenso di Jack Lemmon, il quale è un convinto attivista contro l'energia nucleare. Per il ruolo del cameraman in principio vi è Richard Dreyfuss.
Dreyfuss, tuttavia, non intende farsi dirigere da un debuttante alla regia quale Mike Gray e decide così di abbandonare il progetto. Il film si ritrova così senza uno dei protagonisti, ma un dirigente della Columbia dice a Michael Douglas che Jane Fonda potrebbe essere interessata.
Anche lei è una fervente attivista e da tempo sta cercando invano di ottenere i diritti per girare un film sulla vita di Karen Silkwood (una donna che lavorava in una centrale nucleare morta in circostanze misteriose).
Michael Douglas dunque la contatta, ottenendo il suo assenso e l'interesse a finanziare la pellicola tramite la sua casa di produzione, IPC Films. Vi è però un piccolo problema: nella sceneggiatura di Mike Gray, non è prevista alcuna protagonista femminile.
Jane Fonda, tuttavia, ha un forte potere di decisione contrattuale in merito. Mike Gray deve dunque rinunciare a ogni pretesa di poter diventare il regista, poiché a dirigere il film viene contattato James Bridges, il quale ha anche l'incarico di revisionare la sceneggiatura per dare maggior spazio a un personaggio in origine secondario, un giornalista televisivo che diviene una giornalista di nome Kimberly Wells.
Per questa parte, l'attrice si tinge i capelli di rosso e frequenta per qualche tempo alcune telegiornaliste californiane.
Michael Douglas assegna infine a sé stesso il ruolo, ora ridotto, del cameraman Richard Adams. In preparazione alla parte, l'attore frequenta per qualche tempo dei cameramen che prestano la loro opera in televisione, uscendo con loro durante alcuni turni di lavoro.
Le riprese si tengono in California. Per la costruzione sul set dei locali della centrale nucleare, ci si basa sulla Trojan Nuclear Power Plant dell'Oregon, l'unica centrale che offre visite guidate al pubblico.
Dietro specifica volontà di Michael Douglas, per dare maggior realismo alla storia non viene creata una colonna sonora per il film, nemmeno per i titoli di coda, salvo per la canzone di Stephen Bishop Somewhere In Between.
Verso la fine delle riprese, Jane Fonda si procura una frattura a una caviglia e viene portata in ospedale per ricevere le adeguate cure.
Sindrome Cinese (The China Syndrome) viene distribuito nei cinema americani a partire dal 16 marzo 1979. Subito dopo la sua uscita, alcuni responsabili di centrali nucleari bollano il film come un'opera di pura fantasia che offre un'immagine non veritiera dell'industria del nucleare.
Il 28 marzo 1979, dodici giorni dopo, alle 4 del mattino presso Three Mile Island, vicino alla città di Harrisburg in Pennsylvania, si rischia un disastro senza precedenti. A seguito di una perdita di materiale refrigerante, infatti, il reattore del nocciolo della centrale inizia a surriscaldarsi senza essere controllato in maniera adeguata.
Anche se il problema viene infine individuato e si evitano conseguenze letali, il nocciolo rimane fuso in maniera parziale e piccole quantità di materiale radioattivo vengono rilasciate all'esterno. Come se non bastasse, una bolla di idrogeno esplosivo comincia a formarsi all'interno del reattore, una situazione di emergenza che viene risolta solo dopo un paio di giorni.
Se la fusione del nocciolo fosse stata più grave, ci sarebbe stata la "sindrome cinese" descritta nel film.
L'evento, oltre a causare la chiusura dell'impianto nucleare e il suo progressivo smantellamento che durerà decenni, genera una brusca frenata della costruzione di nuove centrali nucleari - a quel tempo molto attiva negli Stati Uniti - fino a che questa viene bloccata del tutto, non essendo ritenuta più vantaggiosa, anche a seguito dell'incidente di Three Mile Island.
C'è da dire che, seppur molti organi di informazione in maniera inevitabile colleghino poi il film a questo evento reale, la produzione non usa la cosa per motivi pubblicitari, anche perché in ultima analisi bastano i notiziari di quanto è accaduto. A fronte di un budget di 6 milioni di dollari, la pellicola arriva infine a incassare oltre 51 milioni di dollari.
I pericoli derivanti da un uso non corretto dell'energia nucleare sarebbero stati esplorati in altre pellicole e, pochi anni dopo, esce infine un film incentrato su Karen Silkwood con protagonista Meryl Streep... ma questa è un'altra storia.

venerdì 12 agosto 2022

Netflix Original 71: The Cloverfield Paradox


Nel 2008 esce Cloverfield, diretto da Matt Reeves, incentrato su un attacco a New York da parte di una misteriosa creatura dalle origini sconosciute. Girato in stile mockumentary, rimane per molti anni un capitolo a sé stante, pur lasciando tante domande in sospeso.
Fino a quando, nel 2016, esce 10 Cloverfield Lane, che sarebbe forse erroneo definire un sequel, in quanto la trama ha davvero pochi collegamenti con la storia di Cloverfield, che non viene portata avanti, pur essendo ambientata nello stesso mondo narrativo. Il tutto si spiega col fatto che in origine il film era una sceneggiatura autonoma, acquisita dal produttore J.J. Abrams e poi inserita nell'universo di Cloverfield.
La stessa cosa accaduta con The Cloverfield Paradox, film diretto da Julius Onah, scritto da Oren Uziel e Doug Jung e distribuito su Netflix a partire dal 4 febbraio 2018. In principio, la sceneggiatura, infatti, non aveva alcun collegamento col mondo di Cloverfield e si intitolava God Particle, fino a quando è stata acquisita da J.J. Abrams ed è divenuta la terza parte della saga.
Nel prossimo futuro, la Terra sta affrontando una gravissima crisi energetica e, per contrastarla, viene organizzata una spedizione spaziale su una stazione orbitante per attivare un acceleratore di particelle in grado di creare energie rinnovabili.
L'equipaggio della stazione è composto da persone di svariate nazionalità, tra cui il tedesco Ernst Schmidt (Daniel Brühl) e la britannica Ava Hamilton (Gugu Mbatha-Raw).
Come facilmente intuibile, l'esperimento non va come dovrebbe e l'equipaggio all'improvviso perde contatto con la Terra... che sembra svanita letteralmente nel nulla! E come se non bastasse, sembrano aggirarsi misteriose presenza sulla stazione orbitante. Intanto sulla Terra una terribile minaccia sta per palesarsi.
Ci troviamo di fronte a una storia di fantascienza con forti influenze horror, che deve molto in particolar modo ad Alien, La Cosa e credo anche a Punto di Non Ritorno. L'ambiente claustrofobico, in netto contrasto con lo spazio aperto che si para davanti ai protagonisti, viene reso utilizzando inquadrature prevalentemente dal basso o dall'alto, per dare l'illusione di essere in un mondo differente.
Qualcuno potrebbe pensare che il concetto di Multiverso cinematografico l'abbiano inventato i Marvel Studios, in realtà in questo film diviene l'argomento preminente, ma la base di partenza (già utilizzata da Abrams per un suo precedente prodotto) deriva comunque dai fumetti: ovvero la teoria delle terre che vibrano su diverse frequenze introdotta da Gardner Fox e dalla DC Comics.
Un peccato invece che, a parte i due personaggi succitati e l'antagonista, gli altri protagonisti - forse per motivi di tempo o con la consapevolezza che sono solo carne da macello cinematografico - restino poco approfonditi. L'idea, per quanto dettata anche da motivi di marketing, che l'equipaggio rifletta le più recenti missioni spaziali e sia composto da persone di diverse nazioni risulta comunque interessante... ah no, ovviamente non sperate di trovarci un italiano.
In questo film di Cloverfield c'è davvero poco, praticamente l'unico, vero collegamento è alla fine (con J.J. Abrams che vi strizza l'occhiolino in stile Leo Ortolani) e anche in questo caso la trama principale non procede: è proprio una sorta di spin-off, più che un sequel. Quindi meglio non sforzarsi a cercare a tutti i costi dei richiami, ci si limita davvero a qualche easter eggs, e concentrarsi sulla storia del film in sé.
A questo punto, per un vero prosieguo della trama di Cloverfield, credo dovremo attendere un nuovo capitolo cinematografico.

giovedì 11 agosto 2022

Netflix Original 70: A Futile and Stupid Gesture


Su Netflix abbiamo già visto apparire alcuni biopic, a volte incentrati su figure pubbliche note (quale il giovane Barack Obama di Barry), oppure personalità meno conosciute come Madalyn Murray O'Hair di La Donna Più Odiata d'America (The Most Hated Woman in America).
Ci sono poi personaggi ben noti negli Stati Uniti - il paese che produce più pellicole di questo genere - ma sostanzialmente sconosciuti all'estero, magari perché troppo radicati nella cultura di provenienza. Ma non per questo meno importanti.
Come nel caso di Douglas Kenney. Costui, insieme al suo amico Henry Beard, è il fondatore della rivista National Lampoon, uno dei più importanti magazine satirici e umoristici mai pubblicati. Da questa rivista è nato un impero mediatico che ha portato alla realizzazione anche di film importanti quali Animal House.
Ma, come talvolta accade, coloro che divertono il pubblico risultano essere in realtà animi tormentati e Douglas Kenney non rappresenta un'eccezione. Nell'agosto 1980, all'apice del successo ma dipendente dalle droghe, Douglas Kenney viene ritrovato morto a seguito della caduta da uno strapiombo.
La sua vita diviene oggetto di un libro biografico, pubblicato nel 2006 e scritto da Josh Karp, A Futile and Stupid Gesture: How Doug Kenney and National Lampoon Changed Comedy Forever. L'opera viene adattata da John Aboud e Michael Colton, per un film diretto da David Wain distribuito su Netflix a partire dal 26 gennaio 2018. A interpretare Douglas Kenney troviamo Will Forte, mentre nella parte di Henry Beard vi è Domhnall Gleeson.
Il film copre un periodo di tempo che va dal 1964, l'anno in cui Douglas Kenney entra ad Harvard e conosce Henry Beard, passando per gli anni magici di National Lampoon, rivista capace in certi casi di vendere oltre un milione di copie, fino ad arrivare alla breve esperienza cinematografica di Kenney e la sua tragica scomparsa nel 1980.
L'atmosfera di rivoluzione culturale che caratterizza i seventies - il decennio maggiormente prominente nella pellicola - viene catturata in maniera efficace e, senza cercare giustificazioni o nascondere la cosa, ma nemmeno pronunciando un mea culpa, viene anche ben spiegato come tale rivoluzione umoristica fosse all'epoca più appannaggio dei bianchi che dei neri.
Rispetto ad altri biopic, il film è consapevole dei trucchi che il cinema adotta per questo particolare genere e - sulla scia dell'umorismo di Kenney - qua e là se ne fa beffe (scherzando sulle necessarie libertà artistiche, su certi stratagemmi narrativi e sulle presunte somiglianze tra attori e personaggi reali), non rinunciando però mai a una pretesa di veridicità.
Non è un'opera drammatica, pur avendo in sé elementi di drammaticità: è uno sguardo a un'epoca passata fatto in maniera non nostalgica, senza mitizzare a tutti i costi i tempi che furono. Per ricordare, come è giusto che sia, una certa comicità che oggi - per mutate condizioni sociali - è difficile riproporre e le persone, non solo Douglas Kenney, che hanno caratterizzato quell'epoca.

mercoledì 10 agosto 2022

Netflix Original 69: The Open House


Si torna a esplorare la tensione e l'orrore in un ambito domestico dopo Sono la Bella Creatura che Vive in Questa Casa (I Am the Pretty Thing That Lives in the House), anche se stavolta troviamo atmosfere leggermente differenti.
The Open House è un film scritto e diretto da Matt Angel e Suzanne Coote e distribuito su Netflix a partire dal 19 gennaio 2018.
Dopo la morte del marito a causa di un incidente, Naomi Wallace (Piercey Dalton) e suo figlio Logan (Dylan Minnette) si trasferiscono in via temporanea presso la casa della sorella della donna. L'abitazione è libera, ma in vendita, quindi vi sono ogni tanto delle visite da parte di potenziali compratori.
Ben presto a seguito del loro ingresso, Naomi e Logan Wallace iniziano a notare strane cose: oggetti che scompaiono, insoliti rumori che provengono dal sottoscala e la caldaia che viene in apparenza manipolata. Che ci sia qualcuno dentro la casa nascosto? E cosa vuole da loro?
Questo film si appoggia a un canovaccio consolidato, ovvero che il vero orrore può essere dietro l'angolo, nella vita di tutti i giorni, e può provenire anche dal tuo vicino di casa. Ma poi crea attorno a questo concetto una storia che non si pone un vero e proprio obiettivo.
Viene infatti costruita tensione attorno a un solo elemento - e ci può stare - trascinandolo in un ritmo lento di narrazione - e ci può stare anche questo - che però per buona parte del tempo non porta da nessuna parte... e questo ci sta un po' meno.
L'idea che ci possa essere un assassino o persecutore invisibile, che noi non vedremo mai,  può risultare anche affascinante (come accade ad esempio in The Strangers), ma questo non significa che la tematica non vada approfondita. Tra l'altro non si capisce perché il tizio stia lì giorni, forse un'intera settimana, se fin dall'inizio voleva solo uccidere madre e figlio per poi passare a un'altra casa.
Posso capire che l'intento a monte sia stato:"Caro spettatore, ti aspetti che l'assassino sia una persona nota con delle motivazioni ben precise, vero? E invece no, vogliamo farti capire che l'orrore può colpirti in ogni momento!". Ma dove c'è fumo ci deve essere anche l'arrosto e deve essere anche ben cucinato.
Una storia senza storia è come una persona senz'anima: priva di empatia, che non riesce a trasferire ad altri alcuna emozione. La sensazione di vuoto che ti lascia è differente da quei film che non hanno un vero e proprio finale. Qui infatti il finale c'è, la storia ha una sua conclusione, ma non si capisce bene perché si sia arrivati a quella conclusione: c'è ne potevano essere mille altre e non sarebbe cambiato nulla.
E non basta caricare la colonna sonora a palla... per non far accadere nulla... per migliorare la situazione.

martedì 9 agosto 2022

Netflix Original 68: Step Sisters


Abbiamo appena dissertato di un film a sfondo musicale, Il Re della Polka (The Polka King), che eccone arrivare subito un altro.
Stavolta si tratta di Step Sisters, diretto da Charles Stone III, scritto da Chuck Hayward e distribuito su Netflix a partire dal 19 gennaio 2018.
Jamilah (Megalyn Echikunwoke), una studentessa afroamericana e ballerina di step, per entrare all'Università di Harward ha bisogno di una raccomandazione da parte del preside del suo istituto, che è disposto a concedergliela purché riabiliti la reputazione di una confraternita studentesca composta principalmente da studentesse albine. Come? Insegnando loro lo step e aiutandole a vincere una competizione!
Nonostante l'opposizione dei suoi genitori, delle sue amiche e del suo ragazzo, Jamilah intende portare avanti questo obiettivo, per aiutare queste ragazze... ma anche per dimostrare a sé stessa di valere qualcosa.
Una trama molto semplice, vista già altre volte: direi che possiamo considerare questo film una sorta di School of Rock in chiave afroamericana, anche se il titolo richiamerà di più Step Up e derivati. Tanto che appunto sotto i riflettori finiscono la danza e appunto lo step.
Come School of Rock sottolineava la potenza positiva della musica e la sua capacità di migliorare le vite altrui, Step Sisters evidenzia la forza della danza, in grado di andare oltre il ballo in sé.
In una visione fortemente retorica e semplicistica - ma questo film non intende certo essere un trattato di sociologia - la danza viene vista come mezzo per favorire l'integrazione e annullare le distanze sociali (da qui l'evidenziare il differente colore della pelle tra Jamilah e le altre studentesse o sottolineare come alcune di loro abbiano difficoltà economiche).
Sulla pista da ballo tutti sono uguali e nessuno ti giudica per come sei... almeno in questo film. E la morale finale, come potete intuire è: credi sempre nei tuoi sogni e potrai realizzarli, inevitabile per il target adolescenziale di riferimento.
Essendoci molti comprimari e una sola protagonista, l'unico personaggio che viene approfondito è quest'ultima, mentre per gli altri ci si affida a personalità consolidate. Pensate a un classico personaggio che vedete nei telefilm americani e questo c'è: la stronza dal cuore d'oro, l'oca giuliva, il fidanzato saccente, la spalla comica e così via.
Non ci si distacca molto da una regia televisiva, anche in questo caso quello che vediamo appare più come un pilot di un telefilm, caratteristica già vista in altri film dall'ambientazione liceale quale ad esempio #Realityhigh. Qualche scena buona comunque c'è qui e lì.
Onore anche a chi ha ideato le coreografie di danza: non risultano noiose - pur durando ognuna alcuni minuti - e riescono a trasmettere la passione. Il regista inoltre ha fatto gavetta coi video musicali. Insomma, meno peggio di quanto ci si potesse aspettare.

lunedì 8 agosto 2022

Netflix Original 67: Il Re della Polka


In School of Rock, Jack Black ha messo in scena il lato positivo della musica, migliorando attraverso di essa le vite degli studenti di una scuola.
Ma come ci hanno dimostrato i vari biopic incentrati sui cantanti, da Ray in poi, la musica ha anche un lato oscuro, capace di generare demoni interiori.
Una sorta di mix tra questi due aspetti della musica si ritrova in Il Re della Polka (The Polka King), film diretto da Maya Forbes, da lei sceneggiato insieme a Wallace Wolodarsky e distribuito su Netflix a partire dal 12 gennaio 2018.
La pellicola è incentrata sulla vera storia di Jan Lewan, un musicista di origine polacca che con la sua band di polka riesce a ottenere successo anche negli Stati Uniti. La cosa gli consente di aprire un negozio di oggettistica e gioielleria e di organizzare dei viaggi all'estero.
Per raccogliere fondi per queste sue attività, ottiene ingenti somme di denaro da parte di alcuni investitori, conquistandoli con la promessa di interessi superiori a quelli bancari. Somme che vengono restituite solo in parte, secondo quello che è un consolidato Schema Ponzi.
A seguito di un'indagine delle autorità, nel 2004 Jan Lewan viene condannato per frode finanziaria e sconta cinque anni di prigione, dopo i quali prova a riportare in auge la sua carriera musicale.
Quest'incredibile storia è stata oggetto di due documentari, Mystery of Polka King e The Man Who Would Be Polka King, su cui è stata basata la sceneggiatura, che copre un periodo temporale che va dal 1990 al 2009, poco tempo dopo che Jan Lewan esce di prigione.
Una storia che - oltre agli elementi già indicati - potrebbe apparire quasi surreale, tra viaggi in Vaticano con annessa visita al Papa, concorsi di bellezza regionali truccati e gente che balla vestita come un orso.
Eppure è successo davvero... in Pennsylvania. Jack Black, con la sua versatilità, è probabilmente uno dei pochi attori che può interpretare un personaggio reale che sembra tuttavia uscito da una fiaba oscura, alternando svariati momenti di comicità con altre scene dove emergono i momenti più drammatici di questa storia.
E proprio un tono da fiaba oscura è quello che viene adottato, con personaggi che attorniano il protagonista che sembrano rappresentare più gli elementi surreali che caratterizzano il percorso di un (anti)eroe.
Il giudizio sul curioso personaggio che ha nome Jan Lewan non è infine del tutto negativo: avendo scontato la sua pena, riprende a fare ciò che sa fare meglio. Cantare la polka, continuando a far divertire centinaia di persone. Tutti, insomma, meritano una seconda occasione.
In un certo senso, anche questa può essere considerata una faccia - distorta - della medaglia del sogno americano.

domenica 7 agosto 2022

A scuola di cinema: Il Grande Freddo (1983)

1968: Mentre sta frequentando l'Università del Michigan presso la città di Ann Arbor, il futuro sceneggiatore e regista Lawrence Kasdan vive per qualche tempo in una casa comune presso la Eugene V. Debs Cooperative House.
Convivere insieme ad altre persone con caratteri differenti, legando con loro parlando di attivismo politico, dei problemi della società che sta cambiando profondamente in quegli anni e cucinando i pasti insieme agli altri coinquilini si rivela un'esperienza formativa fondamentale per Lawrence Kasdan. Ambizioni e desideri di cambiamento che però vengono poi frustrati in buona parte nel decennio successivo.
Sensazioni a cui Lawrence Kasdan attingerà qualche anno dopo per ideare un celebre film.


1980: Dopo aver completato le sceneggiature di L'Impero Colpisce Ancora (The Empire Strikes Back) e I Predatori dell'Arca Perduta (Raiders of the Lost Ark), Lawrence Kasdan comincia a farsi strada nel mondo del cinema e ottiene anche la possibilità di dirigere il suo primo lungometraggio, Brivido Caldo (Body Heat).
Lawrence Kasdan scrive dunque una sceneggiatura basata in parte anche sulle sue esperienze all'università del Michigan, ma per meglio plasmare gli svariati personaggi femminili presenti chiede l'aiuto di Barbara Benedek, moglie del suo avvocato nonché sua cara amica, di cui apprezza la spontaneità e il suo essere diretta. Nel dare il suo apporto, anche Barbara Benedek attinge ai suoi ricordi universitari e giovanili.
Il titolo viene in mente a Lawrence Kasdan durante la produzione di Brivido Caldo quando, durante una discussione con alcuni componenti della troupe, si parla della fase di transizione dall'adolescenza all'età adulta e di come le potenzialità espresse in gioventù non si riescano poi a concretizzare. La sensazione che si prova nel comprendere questo è come un big chill, un grande freddo, termine che il regista e sceneggiatore ritiene perfetto.
La sceneggiatura viene proposta a The Ladd Company, la società che sta producendo anche Brivido Caldo, ma dopo un assenso iniziale viene rifiutata: un film basato quasi interamente su dialoghi tra i personaggi viene ritenuto di scarsa appetibilità commerciale, lontano da quelle atmosfere avventurose per cui Lawrence Kasdan è conosciuto. Inoltre, tratta anche temi delicati come il suicidio e le nevrosi.
Il progetto viene allora proposto ad altri studi, ma giungono altri rifiuti, sostanzialmente per le stesse motivazioni. Fino a quando, nell'estate 1982, Marcia Nasatir della Carson Productions riesce a convincere Frank Price e la Columbia Pictures a dare il via libera.
Per quanto riguarda il ruolo di Nick Carlton, Lawrence Kasdan ha un solo attore in mente, con cui ha collaborato a Brivido Caldo: William Hurt.
Il ruolo di Harold Cooper viene affidato a Kevin Kline. Durante le audizioni, l'attore conosce Phoebe Cates, la quale sta cercando anche lei di ottenere una parte nel film. I due iniziano a frequentarsi nel 1985, per sposarsi infine nel 1989.
A completare il cast dei personaggi principali vi sono infine Tom Berenger, Glenn Close, Meg Tilly, Jeff Goldblum e JoBeth Williams.
Tre settimane prima dell'inizio delle riprese, Lawrence Kasdan riunisce tutti gli attori protagonisti dapprima in Atlanta e poi a Beaufort, in South Carolina, in una piccola abitazione. Durante questo periodo provano varie scene, ma l'intento principale del regista è che i vari attori leghino tra loro, visto che nel film i loro personaggi sono grandi amici dai tempi del college.
L'idea ha successo e a un certo punto gli attori decidono di preparare un pranzo facendo finta di essere i personaggi che interpreteranno sullo schermo, senza che Lawrence Kasdan dia loro particolari input in merito. Gli attori, in un'epoca senza Internet o cellulari, passano il tempo passeggiando nei terreni circostanti la casa o parlando tra loro e sviluppano alla fine davvero una grande amicizia tra loro, che rimane anche dopo la conclusione delle riprese.
Le riprese iniziano in via ufficiale l'otto novembre 1982, tenendosi in South Carolina e Georgia. La casa utilizzata è la Tidalholm Mansion di Beaufort, costruita nel 1853 e sita in Laurens Street.
Il personaggio di Alex Marshall, l'amico che si è suicidato, non viene mai inquadrato in volto: a interpretarlo è Kevin Costner. In principio la sua parte è preminente, venendo il suo personaggio ripreso in volto mentre si trova nella bara e divenendo protagonista di un flashback - la prima scena girata, peraltro - della durata di 10 minuti che conclude il film, ambientato durante un Giorno del Ringraziamento negli anni del college.
Queste scene vengono regolarmente girate, ma infine tagliate in sede di montaggio finale e di Kevin Costner appaiono solo le mani. Il flashback, che ha un intento drammatico, suscita invece ilarità a causa del look e delle acconciature che richiamano quelle degli anni '60, inoltre offre di Alex Marshall un ritratto del tutto diverso da quello per cui poi verrà ricordato dai suoi amici, i quali trasferiscono in lui le loro ansie e pause, cosa che però genera confusione negli screening preliminari portando dunque all'eliminazione dell'intera scena.
Lawrence Kasdan si scusa con di questo con Kevin Costner e promette che farà ammenda al più presto.
A tutti i componenti del cast viene richiesto di non allontanarsi mai dal set fino alla fine della lavorazione, anche quando non sono previste delle riprese che li riguardino. Essendo l'ambientazione principale una casa comune, può sempre infatti nascere l'esigenza che alcuni personaggi compaiano sullo sfondo o attraversino una stanza, mentre altri dialogano tra loro.
Per sconfiggere la noia, si gioca a poker o Trivial Pursuit, oppure vengono organizzate delle serate di ballo gestite da Kevin Kline e Jeff Goldblum.
Le riprese si concludono il 7 febbraio 1983.
Il Grande Freddo (The Big Chill) viene distribuito nei cinema americani a partire dal 30 settembre 1983. A fronte di un budget di 8 milioni di dollari, la pellicola arriva infine a incassare 56 milioni di dollari. Ottiene inoltre tre nomination all'Oscar, come Miglior Film, Miglior Sceneggiatura Originale e Miglior Attrice Non Protagonista (Glenn Close).
Lawrence Kasdan ha poi modo di tenere fede all'impegno preso con Kevin Costner per compensare la sua mancata apparizione in questo film due anni dopo, quando gli offre una parte in Silverado... ma questa è un'altra storia.

sabato 6 agosto 2022

A scuola di cinema: The Karate Kid - Per Vincere Domani (1984)

1964: Mentre sta visitando i padiglioni della New York World's Fair, il futuro sceneggiatore Robert Mark Kamen viene preso di mira da una gang di bulli e pestato a sangue.
Questa brutta esperienza lo convince a prendere lezioni di autodifesa per far sì che la cosa non si ripeta. Il suo primo insegnante è un capitano dei Marine, il quale però utilizza metodi troppo violenti, più tendenti alla vendetta e al far male al proprio avversario.
Kamen cerca dunque un altro insegnante e lo trova in un karateka giapponese che non parla molto bene inglese, ma col quale riesce comunque a intendersi e che ha un approccio più spirituale rispetto al concetto di autodifesa.
Queste vicende personali gli saranno utili qualche anno dopo dopo per ideare una celebre saga.


Dopo essere riuscito a piazzare le sue prime sceneggiature, Robert Mark Kamen entra in contatto con Frank Price, presidente della Columbia Pictures. Costui un giorno gli riferisce che il produttore Jerry Weintraub ha opzionato un articolo su un ragazzo di nove anni, figlio di una madre single, che è diventato cintura nera di karate dopo aver subito un pestaggio da parte di una banda di bulli.
Kamen va dunque a trovare il produttore, raccontandogli la propria esperienza di vita, e idea una sceneggiatura basandosi sia sulle sue vicende personali che sull'articolo. Come regista viene scelto John Guilbert Avildsen.
Per il ruolo di Daniel LaRusso vengono considerati svariati attori tra cui Sean Penn, Emilio Estevez e Charlie Sheen, ma la direttrice del casting Bonnie Timmermann suggerisce il nome di Ralph Macchio, di cui ha ammirato l'interpretazione in I Ragazzi della 56ª Strada (The Outsiders).
L'attore ha un incontro con Robert Mark Kamen e John Avildsen, durante il quale dimostra di non conoscere nemmeno le mosse più basilari del karate. Questo, unito al suo fisico esile, rende Ralph Macchio - secondo Kamen - perfetto per la parte. In un primo momento il personaggio si chiama Daniel Webber ma, approfittando delle origini italoamericane dell'attore, viene rinominato LaRusso.
Per il ruolo di Johnny Lawrence - il quale in principio si chiama Donald Rice - viene scelto William Zabka, un lottatore senza esperienza di karate qui al suo debutto cinematografico.
Durante l'audizione, gli viene chiesto di interpretare una scena del film e, entrando forse un po' troppo nel personaggio, l'attore afferra il regista John Avildsen e gli urla contro. Dopodiché si scusa con lui, dicendo che quello che parlava prima era Johnny Lawrence, non lui.
Avildsen fa notare come William Zabka risulti un po' troppo alto come avversario di Ralph Macchio, ma Zabka stesso fa notare che anche Bruce Lee era più basso di Kareem Abdul-Jabbar, eppure lo ha battuto comunque. La parte gli viene dunque affidata, anche perché all'audizione è riuscito a spaventare tutti.
In preparazione alle loro parti, Ralph Macchio e William Zabka - nonché altri componenti del cast - vengono affidati alle cure di Pat Johnson, cintura nera di karate che ha recitato al fianco di Bruce Lee e Chuck Norris, il quale li sottopone a un rigido allenamento di karate e bodybuilding che dura circa sei settimane. A Pat Johnson viene inoltre affidato il compito di ideare tutte le coreografie di lotta e ottiene anche un cameo nel film come arbitro del torneo.
Per il ruolo di Mr. Miyagi (il suo cognome è un omaggio a Chojun Miyagi, ideatore dello stile di karate Goju-ryu praticato da Robert Mark Kamen), la prima scelta ricade su Toshiro Mifune. Il suo stile di recitazione è incontestabile, ma troppo tendente ai ruoli da guerriero samurai per cui è famoso. Al contempo sussiste un altro problema insormontabile: l'attore non è in grado di parlare inglese in maniera fluente.
In principio, Pat Morita non viene preso in considerazione, in quanto è fortemente associato al personaggio di Arnold di Happy Days ed è ritenuto un attore comico, non in grado di portare sulla scena un personaggio drammatico. Morita però non demorde: si fa crescere la barba, modella un accento basato su quello di un suo zio giapponese e si presenta all'audizione, conquistandosi i favori di Jerry Weintraub.
È il produttore stesso a suggerirgli di venire accreditato come Noriyuki "Pat" Morita, per sottolineare le sue origini giapponesi.
La controfigura di Pat Morita per buona parte delle scene di combattimento è Fumio Demura, rinomato maestro di karate e arti marziali. Da lui l'attore riprende le movenze e il modo di parlare.
Per il ruolo di Ali Mills, viene scelta Elizabeth Shue, anche lei al suo debutto cinematografico. Studentessa di Harvard, è nota fino a quel momento solo per essere apparsa in una pubblicità di Burger King. Per partecipare alle riprese, Elizabeth Shue decide di interrompere in via temporanea i propri studi.
Il titolo The Karate Kid non è molto gradito ai protagonisti, essendo ritenuto troppo banale. Inoltre c'è un problema più formale, in quanto esiste un supereroe della DC Comics - un componente della Legione dei Supereroi - che si chiama proprio così. La Columbia ottiene perciò dalla casa editrice l'autorizzazione a poter utilizzare quel titolo e la DC Comics riceve un ringraziamento formale nei titoli di coda.
Le riprese iniziano in via ufficiale il 24 ottobre 1983, tenendosi in California, Arizona e New Jersey.
William Zabka risulta così credibile nel ruolo dell'avversario di Daniel che, anche quando non si effettuano le riprese, il suo personaggio viene fischiato da delle comparse (e anche in seguito, alcune persone lo fermano per strada cercando una rissa con lui). Sua madre - presente sul set - lo difende, affermando che nella vita di tutti i giorni è un bravo ragazzo.
Dopo la fine delle riprese, William Zabka continua a studiare karate, fino a diventare cintura verde.
Le riprese si concludono l'otto dicembre 1983.
The Karate Kid - Per Vincere Domani (The Karate Kid) viene distribuito nei cinema americani a partire dal 22 giugno 1984. A fronte di un budget di otto milioni di dollari, la pellicola arriva infine a incassare a livello internazionale 130 milioni di dollari. Pat Morita, inoltre, si aggiudica una nomination all'Oscar nella categoria Miglior Attore Non Protagonista.
Un incredibile e insperato successo che garantisce subito un sequel... ma questa è un'altra storia.

venerdì 5 agosto 2022

Fabolous Stack of Comics: Venomized


Dopo X-Men/Venom: Poison X, Cullen Bunn conclude la sua personale trilogia dedicata ai Venom extradimensionali (a proposito di Multiverso, che va oggi tanto di moda) con la miniserie in cinque numeri, pubblicata nel 2018, Venomized. Alla parte grafica troviamo Iban Coello e Kevin Libranda.
La storia prende il via da dove si era concluso Poison X: la Jean Grey proveniente dal passato è ritenuta morta per mano dei simbionti, che hanno preso possesso del suo corpo con un simbionte e prendono di mira il loro prossimo obiettivo, la Terra.
Con solo Venom e i giovani X-Men consapevoli della minaccia che rappresentano, i Poison si ritrovano ad affrontare buona parte dei supereroi del Marvel Universe ed è proprio ciò che vogliono. Poiché il loro piano prevede di prendere possesso tramite i simbionti di tutti gli eroi e utilizzarli come imbattibile esercito per future conquiste.
Ma per loro sfortuna gli eroi terrestri e in particolare i componenti dello Spiderverse sono esperti nel sapere come respingere simbionti e invasioni aliene.
Inevitabile, senza troppe sorprese, terzo atto finale di questa saga che si è posta l'obiettivo di ampliare la mitologia di Venom (come se il pianeta dei simbionti non fosse già abbastanza) introducendo le sue controparti extradimensionali, così come accaduto in precedenza a Spider-Man nel corso della saga Ragnoverso.
Se nella storyline precedente, l'attenzione era più concentrata sui giovani X-Men, in questo caso le luci della ribalta tornano a brillare su Venom e Spider-Man (con le loro inevitabili scaramucce) e alcuni rappresentanti dello Spider-Verse.
La minaccia in sé, tuttavia, coinvolge l'intero Marvel Universe, ma Cullen Bunn per mandato editoriale può permettersi di gestire solo i supereroi di seconda o terza fascia, mentre gli altri rappresentano delle dignitose comparse.
In una trama tutta azione, incomprensioni e diatribe tra eroi che perdono tempo tra loro piuttosto che affrontare la vera minaccia, la trilogia giunge a compimento ripristinando - come è giusto e inevitabile - tutto come era prima che iniziasse, ma ha almeno il merito di aver introdotto nel Marvel Universe dei nuovi avversari - rifacimento in chiave simbiotica di personaggi già esistenti - che solo il tempo ci dirà se verranno un giorno ripresi.