domenica 27 agosto 2023

Italians do it better? 9: Perfetti Sconosciuti (2016)


I film che presentano un'impostazione teatrale portano con sé anche delle sfide non indifferenti.
Una sola location, molti personaggi a cui dare spazio, moltissimo dialogo che deve catalizzare l'attenzione dello spettatore per oltre un'ora senza farlo distrarre.
Un magnifico esempio di questo tipo di film è La Parola ai Giurati di Sidney Lumet, ma prima o poi ogni nazione ha voluto cimentarsi in questa tipologia di pellicole.
Anche il cinema italiano, ovviamente, ad esempio con un prodotto di pregevole fattura come Perfetti Sconosciuti, diretto da Paolo Genovese, scritto da Paolo Genovese, Filippo Bologna, Paolo Costella, Paola Mammini e Rolando Ravello e distribuito nei cinema nel febbraio 2016.
Tre coppie di amici si ritrovano una sera a cena per ammirare un'eclissi di luna. Sono Rocco ed Eva (Marco Giallini e Kasia Smutniak), alle prese con una figlia adolescente e le sue prime ribellioni, Cosimo e Bianca (Edoardo Leo e Alba Rohrwacher), desiderosi di avere un figlio, Lele e Carlotta (Valerio Mastandrea e Anna Foglietta), che stanno affrontando un processo per incidente stradale.
A loro si unisce Peppe (Giuseppe Battiston), che per un imprevisto non può far conoscere ai suoi amici la nuova compagna Lucilla.
Durante la cena Eva propone un gioco, dopo aver sentito che una coppia si è separata quando la moglie ha letto i messaggi sul cellulare del marito. Per tutta la serata, ogni messaggio o telefonata che arriva a qualcuno deve essere letto o sentito da tutti.
Sembra qualcosa di banale e innocente, ma in realtà ben presto questo gioco scoperchierà un vero e proprio vaso di Pandora che rovinerà le esistenze di tutti.
Come si tiene desta l'attenzione dello spettatore con un film composto solo ed esclusivamente di dialoghi tra personaggi seduti a un tavolo? Semplice, facendo salire con costanza e ritmo la tensione utilizzando proprio quegli stessi dialoghi.
Dialoghi che, partendo dal "gioco" proposto da Eva, mettono a nudo le personalità dei vari protagonisti, ognuno coi propri piccoli o grandi segreti. Quel tipo di segreti che, però, non dovrebbero sussistere in una vita di coppia o tra amici e quindi portano alla rovina. La rovina sia della singola persona che del mondo che ruota intorno ad essa.
Nel fare questo vengono messe alla berlina senza retorica o finti moralismi le caratteristiche di una parte degli italiani. All'esterno e in pubblico, sempre amichevoli e alla mano, pronti alle battute e che si dichiarano di ampie vedute, ma poi, grattando un poco sotto la superficie, li si scopre essere arroganti, omofobi, egoisti.
Non troverete dialettismi in questo film, dove (se posso dirlo, finalmente) si parla un ottimo italiano, facendo sì che la storia risulti davvero universale e - per chi volesse fare autocritica - può ritrovare una parte di sé da eliminare o migliorare.
Il finale è amarissimo, spiazzante in principio, quel tipo di finale che non lascia davvero speranze. Perché anche se i protagonisti possono ritornare alla loro vita di tutti i giorni, quei segreti rimangono. E quei segreti un giorno li distruggeranno.

sabato 26 agosto 2023

Italians do it better? 8: Beata Ignoranza (2017)


Si ricompone la coppia di attori già vista in Se Dio Vuole. Dopo essere stati su poli opposti della barricata in merito a religione e ateismo, Marco Giallini e Alessandro Gassmann tornano a ritrovarsi su posizioni contrapposte relative a un'altra tematica.
Il tutto in Beata Ignoranza, diretto da Massimiliano Bruno, scritto da Massimiliano Bruno, Herbert Simone Paragnani e Gianni Corsi e distribuito nei cinema nel febbraio 2017.
Ernesto (Marco Giallini) è un professore di italiano esigente e severo coi suoi alunni, vietando loro l'utilizzo dei cellulari durante la lezione. La sua ordinaria esistenza viene turbata quando presso il liceo dove insegna arriva Filippo (Alessandro Gassmann), un insegnante di matematica estroverso e amante della tecnologia.
I due si detestano poiché hanno amato la stessa donna, defunta da alcuni anni, e uno di loro è il padre di Nina (Teresa Romagnoli), ormai adolescente. Costei, dovendo realizzare un documentario, decide di incentrarlo su di loro e sul loro rapporto con la tecnologia e Internet: inesistente per Ernesto, costante per Filippo. I due avversari dovranno invertire i loro ruoli, con conseguenze impensabili.
Ho come l'impressione che il regista e la produzione abbiano proprio voluto ricreare la stessa coppia in contrasto vista appunto in Se Dio Vuole, considerata la buona alchimia che c'era stata tra i due attori, trovando un nuovo elemento di divisione.
In questo caso si tratta del rapporto che loro (alias, gli italiani, pur essendo certo una suddivisione un po' troppo schematica) hanno con la tecnologia. Ci sono i boomer come Ernesto, il quale dice di odiare Internet e i social network, ma quando ne scopre le potenzialità inizia a essere invadente coi suoi post e anche un po' arrogante.
Poi ci sono i dipendenti dalla tecnologia come Filippo, che vivono in simbiosi col loro cellulare e, se ne vengono privati, è come se il loro mondo vada in pezzi e fanno poi molta fatica a rapportarsi con la realtà che li circonda. Semplicemente perché fino a quel momento conoscono e possono affrontare solo una realtà.
Chiaro che lo switch diventa l'occasione migliore per mettere in scena una sequela di scenette comiche per giungere a un minutaggio accettabile.
Ma anche qui si adotta la stessa strategia di Se Dio Vuole. Ovvero, che il contrasto e lo scambio di ruoli in merito alla tecnologia diventano alla fine solo un pretesto per analizzare un'amicizia. Un'amicizia che, in questo caso, in principio non esiste più e che compromette anche il rapporto con la figlia della donna amata da entrambi i protagonisti.
Non vedrete dunque prendere una posizione sul tema, neanche una che accontenti entrambe le posizioni come si è soliti fare, poiché la cosa più importante è ricostruire un rapporto. Anzi, due rapporti compromessi. Non con la tecnologia, ma tramite l'intesa e la buona volontà che sono le "armi" migliori per costruire qualcosa che possa durare nel tempo.
Per quanto concerne invece chi abbia ragione tra Filippo ed Ernesto, sarà forse un terzo film con Marco Giallini e Alessandro Gassmann insieme a rivelarcelo.

giovedì 24 agosto 2023

Netflix Original 149: Qualcuno Salvi il Natale


Nei film di Natale, lui non può mancare, presenza visibile o invisibile lui c'è. Babbo Natale, alias Santa Claus, alias San Nicola. Ormai icona mediatica e commerciale (sapete tutti, penso, perché il suo costume è rosso), Babbo Natale è anche una figura pubblica - e quindi non si devono pagare diritti di sfruttamento, gioia e gaudio per le case di produzione - su cui sviluppare delle pellicole.
Da La Storia di Babbo Natale a Polar Express, Babbo Natale è apparso in numerosi film. Tra cui anche Qualcuno Salvi il Natale (The Christmas Chronicles), diretto da Clay Kaitis, scritto da Matt Lieberman e David Guggenheim e distribuito su Netflix a partire dal 22 novembre 2018.
Teddy Pierce (Judah Lewis) e Kate Pierce (Darby Camp) devono passare il loro primo Natale senza il padre, morto sul lavoro durante un incendio. Di lui rimangono ora i numerosi video ripresi durante le passate festività.
La madre, dovendo occuparsi del loro sostentamento, è costretta a lavorare anche la Vigilia. Mentre stanno osservando un vecchio video con loro padre, Kate e Teddy notano sullo sfondo la figura di Babbo Natale (Kurt Russell) e decidono di sorprenderlo e riprendere il suo arrivo.
La cosa non va a buon fine e, in un susseguirsi di eventi, Babbo Natale perde le renne e il sacco dei regali, mentre la slitta è ridotta in frantumi. Ora Santa Claus ha solo poche ore per rimettere le cose a posto e salvare lo spirito natalizio e gli unici che possono aiutarlo in questo compito sono Kate e Teddy Pierce.
Film con le classiche atmosfere natalizie e pregno di buoni sentimenti, come ci piace tanto vedere in questo tipo di prodotti (ci piace? Non so, però continuano a farne, dunque...).
Le figure principali ormai sono quelle consolidate. Due ragazzi orfani di padre che stanno perdendo lo spirito natalizio e il desiderio di altruismo verso il prossimo, con il ragazzo dedito anche a piccoli atti di microcriminalità.
Superfluo dire che l'incontro con Babbo Natale cambierà del tutto la loro visione della vita e le loro esistenze, portandoli a venire a patti con la perdita che hanno dovuto subire. Un po' come in Benji (dove c'era la stessa giovane attrice. Occhio al typecasting, ragazza).
Essendo un film natalizio senza troppe pretese, ci sono un po' di situazioni surreali e qualche balzo narrativo qua e là per far andare avanti la storia, ma tutto nella norma.
Fa sempre piacere rivedere Kurt Russell, anche se qui compie il minimo sindacale. Seppur abituati a vederlo in altri tipi di ruoli, questo attore si è sempre dimostrato versatile nei film family-friendly. Dopotutto ha iniziato con le produzioni Disney e questa pellicola suona un po' come un ritorno alle origini.
Carino e azzeccato, inoltre, il cameo finale che forse solo gli spettatori più navigati avranno colto immediatamente.

mercoledì 23 agosto 2023

Fabolous Stack of Comics: Il Commissario Spada - Il Ladro d'Uranio


Gli anni '70 del ventesimo secolo sono stati molto particolari in Italia. Uscita dal boom economico del decennio precedente, mentre l'industrializzazione e l'urbanizzazione del paese procedono a ritmi regolari, si deve affrontare una cosiddetta stagione del terrore senza precedenti, oltre a una crisi energetica di grave rilevanza.
La cosa non può non avere riflessi anche sull'intrattenimento popolare, come il fumetto. Gli eroi puri e immacolati, come Tex e Zagor, pur continuando a essere pubblicati con successo, fanno spazio ai primi antieroi del fumetto italiano come Mister No o Lo Sconosciuto.
Ma anche a eroi comuni, come Il Commissario Spada, personaggio creato da Gianluigi Gonano e Gianni De Luca le cui storie vengono pubblicate su Il Giornalino (non stupitevi, questa rivista per ragazzi ha ospitato molto buon materiale nella sua ultradecennale carriera). La prima saga, intitolata Il Ladro d'Uranio, viene pubblicata nel 1970 nei numeri dal 16 al 19 della rivista.
Il Commissario Eugenio Spada lavora per l'Interpol della sede di Milano, è rimasto vedovo da poco e deve badare al giovane figlio Mario, cercando di dividersi tra impegni lavorativi e familiari.
Questi due mondi in apparenza separati si incontrano quando un criminale di nome Marius De Schelde ruba una valigetta contenente uranio puro dalla sede di Bruxelles dell'Euratom e si rifugia in una locanda posta proprio accanto all'abitazione di Spada. Ben presto qualcuno sarà in grave pericolo per questo.
Rimane affascinante quella che possiamo definire una vera e propria cornice storica, essendo questo racconto stato pubblicato più di 50 anni fa. Come la Milano precedente all'esplosione dell'urbanizzazione voluta da alcuni imprenditori poco meno di dieci anni dopo o l'Euratom, la Comunità Europea dell'Energia Atomica - una delle "conseguenze" del secondo conflitto mondiale.
Eugenio Spada è proprio ritratto come un uomo comune, dedito al lavoro ma che farebbe di tutto per rendere felice suo figlio, rimasto orfano. Un uomo comune che a volte sbaglia, ma questo non lo abbatte.
La sua condizione di vedovo con un figlio non è certo inedita per il fumetto italiano (il Tex di cui sopra lo precede), ma di certo in questo caso la cosa viene trattata con una sensibilità mai vista prima, perché i giovani lettori vi possano immedesimarsi. Da qui la presenza del figlio Mario, vera e propria ancora emotiva sia per Spada che per il ragazzo che leggeva la storia.
Innovazione forse senza precedenti, invece, è che il criminale della storia alla fine, seppur ormai troppo tardi, capisce quanto male abbia fatto e chiede scusa alla persona a cui ha fatto più del male. Sì, qui non ci sono eroi perfetti, ma uomini comuni. Uomini che commettono degli sbagli, alcuni a fin di bene altri meno. Ma in primo luogo uomini, con quei piccoli difetti capaci di farci immedesimare in loro.

domenica 20 agosto 2023

Italians do it better? 7: Non C'è Più Religione (2016)


Una problematica ancora attuale in Italia è quella delle nascite in costante diminuzione, tanto che siamo il paese più "anziano" presente in Europa e, negli ultimi anni, alcune volte il numero dei deceduti ha superato quello delle nascite.
La popolazione si mantiene comunque costante, poco sotto i 60 milioni di abitanti, grazie all'immigrazione e a famiglie di immigrati i cui figli sono nati e cresciuti in Italia.
Un film che unisce questi due temi è Non C'è Più Religione, diretto da Luca Miniero, scritto da Luca Miniero, Sandro Petraglia e Astutillo Smeriglia e distribuito nei cinema nel dicembre 2016.
La tradizione del Presepe Vivente è storica e molto sentita nella piccola isola di Porto Buio, ma ormai - poiché da alcuni anni non nascono più bambini in questo paese - il ragazzo più piccolo è troppo grande per poter interpretare Gesù Cristo.
Il nuovo sindaco Cecco (Claudio Bisio) propone allora che si cerchi un neonato nella comunità islamica che si trova dalla parte opposta dell'isola e che la popolazione italiana tratta con pregiudizio, ricevendone in cambio diffidenza. Questo allo scopo di attirare attenzione sulla comunità e rinvigorire il turismo, unica vera fonte di guadagno per i residenti.
Per questo, Cecco può contare su una sua vecchia conoscenza, Mario Scognamiglio (Alessandro Gassmann), italiano convertitosi all'islam. Peccato che i due non si siano lasciati in buoni rapporti, anche per via di una donna che entrambi amavano e che ora è suora a Porto Buio, Marta (Angela Finocchiaro).
Come unire più tematiche in apparenza distanti tra loro? Semplice, ponendole tutte sotto l'alveo protettivo della commedia, capace di trattarle con quella leggerezza che non va ad esplorare nemmeno in maniera lieve tali tematiche - cosa che il pubblico non vuole, a quanto pare - puntando dunque su un moralismo facile, ma al tempo stesso di sicura presa per chi vuole vedere un prodotto disimpegnato.
La diminuzione delle nascite e l'invecchiamento della popolazione italiana, infatti, sono problemi complessi la cui risoluzione spetta ad altri, non al cinema. Qui si punta su un "vi sono più cellulari che abitanti in Italia" posto subito all'inizio per cercare di catturare l'interesse di chi poi vuole approfondire il tema... non so quanto efficace.
Per quanto riguarda invece le differenze tra cristiani ed islamici, queste vengono qui risolte con un semplice e in certi punti banale "volemose bene nonostante tutto e troviamo dei punti di contatto anche grazie a queste nostre differenze". Non mi sento nemmeno di dire che è una pellicola che punta sull'inclusione, tanto questo messaggio viene comunicato in maniera più che diretta.
A contorno di questo la consueta serie di siparietti comici, alcuni dei quali si trascinano un po' troppo a lungo, portati avanti da personaggi consolidati: il politico arrivista, ma dal buon cuore, il meridionale che anche lontano da casa rimane affezionato alla sua terra (mi sarà sfuggito, ma non ho ben capito il motivo per cui si sia convertito), la suora che cerca di essere moderna.
Insomma, un prodotto davvero iperrassicurante e che se non altro va subito dritto al punto.

sabato 19 agosto 2023

Italians do it better? 6: Mollo Tutto e Apro un Chiringuito (2021)


Il cinema e i film devono incassare, perché altri film possano essere prodotti e incassare a loro volta. Questa precisazione della famosa professoressa Grazia serve per dire che bisogna attirare attenzione sul film che si va a produrre, in una maniera o nell'altra. E uno dei modi è utilizzare qualcuno di riconoscibile. E nel mondo odierno, al cinema come sulle piattaforme, le persone riconoscibili sono anche quelle provenienti dai social.
Prima che partano gli strali degli indignati, è doveroso dire che questo è qualcosa che il cinema ha sempre fatto. Tanto tempo fa, erano i cantanti, poi abbiamo avuto i comici televisivi e poi altre personalità vip eteree o meno. Quello che conta alla fine è vedere la storia che viene costruita attorno a questi personaggi, sperando colga nel segno: se diverte è riuscita nel suo intento.
Il Milanese Imbruttito è un personaggio interpretato dall'attore Germano Lanzoni che parodizza una certa tipologia di imprenditore lombardo e i suoi atteggiamenti, attivo su tutte le piattaforme social, con un canale Youtube molto seguito e che ha anche pubblicato alcuni libri. Insomma, una personalità online di tutto rispetto, ricercato anche dalle società per delle sponsorizzazioni, per quanto si caratterizzi come un personaggio inventato.
Circa dieci anni dopo la sua creazione, il Milanese Imbruttito e il mondo che ruota intorno a lui diventano protagonisti di Mollo Tutto e Apro un Chiringuito, diretto dal collettivo Il Terzo Segreto di Satira, scritto da Pietro Belfiore, Davide Bonacina, Marco De Crescenzio, Andrea Fadenti, Federico Marisio, Andrea Mazzarella, Davide Rossi e Tommaso Pozza e distribuito nei cinema nel dicembre 2021.
Il Signor Imbruttito (Germano Lanzoni) sta cercando di farsi strada in un mondo imprenditoriale che cambia continuamente, con un Boss assente e preda della filosofia zen (Claudio Bisio) e dove i giovani in monopattino lo vedono come una reliquia. Quando, per una svista, perde un affare importante che seguiva da due anni, il Signor Imbruttito decide quindi di dire basta a questa vita.
Approfittando della proposta di un suo amico e con al suo fianco il fido lecchino Giargiana (Valerio Airò Rochelmeyer), l'Imbruttito rileva dunque un chiringuito che si trova in Sardegna, nel comune di Garroneddu.
Ma quello che sembra un buon affare si rivela in realtà una situazione piena di insidie, che potrebbe ulteriormente complicare la già complicata vita dell'Imbruttito.
Quando si tratta di caratteri e non di personaggi che si evolvono nel corso della storia, il pubblico di riferimento - che in questo caso segue questi personaggi sui social - vuole vedere specificamente quei personaggi che ha imparato a conoscere ed apprezzare. Il rischio ovviamente è che, per far sì che l'identificabilità dei personaggi sia in primo piano, il resto passi molto più che in secondo piano.
Questo è quanto accade in questa pellicola. Di per sé essa presenta anche un messaggio ambientalista, di come sia doveroso preservare i paesaggi storici del nostro paese e non siano dati in pasto all'industrializzazione e all'urbanismo più sfrenato.
Tutto questo, però, viene un po' annacquato dal fatto che i personaggi principali parlano e agiscono secondo il modo in cui tutti i loro fan hanno imparato ad apprezzarli, anche nelle situazioni più incerte che diventano solo occasione per creare l'ennesimo siparietto comico. Quindi quel messaggio diviene solo una minima parte del tutto.
E alla fine non cambia nulla, poiché sia l'Imbruttito che il Giargiana ritornano alla stessa, identica vita di prima, senza che questa esperienza li abbia cambiati: è stata solo una parentesi in quella che è la loro esistenza frenetica, dominata dal caos di Milano e dalla non meno caotica vita d'ufficio.

venerdì 18 agosto 2023

Netflix Original 148: La Ballata di Buster Scruggs


Con la loro incredibile e unica sensibilità, i due fratelli Joel Coen ed Ethan Coen, nella loro ormai lunga carriera, hanno potuto occuparsi anche del genere western.
Una prima volta con Fratello, Dove Sei? e poi successivamente col rifacimento de Il Grinta (e tralasciando Non è un Paese per Vecchi).
Tale loro peculiare sensibilità ritorna, potenziata come non mai, in La Ballata di Buster Scruggs (The Ballad of Buster Scruggs), da loro scritto e diretto e distribuito su Netflix a partire dal 16 novembre 2018.
Il film si compone di sei episodi: La Ballata di Buster Scruggs, dove l'omonimo personaggio (Tim Blake Nelson), bravo cantante e criminale dai molti soprannomi, giunge in una città dove vuole solo giocare a poker, ma non potrà farlo.
Vicino ad Algodones, dove un giovane rapinatore (James Franco) tenta di rapinare una banca, con conseguenze impreviste.
La Pagnotta, dove un anziano impresario teatrale (Liam Neeson) gira di città in città portando in scena un giovane privo di braccia e gambe (Harry Melling) in grado di declamare poesie, sonetti e passaggi della Bibbia.
Il Canyon Tutto d'Oro, dove un cercatore d'oro (Tom Waits) è alla disperata ricerca di un filone in una valle incontaminata.
La Giovane che si Spaventò, dove una ragazza rimasta sola, Alice Longabaugh (Zoe Kazan), deve sopravvivere durante la traversata di una carovana verso l'Oregon.
E infine Le Spoglie Mortali, incentrato sul misterioso viaggio in diligenza di cinque persone dirette verso un luogo ignoto.
In apparenza queste sei storie, ritratte come se fossero prese da un libro che narra le avventure della frontiera, sembrano non avere alcun punto in contatto, ma in realtà non è così. Sia che siano racconti originari o derivati da altre opere - di Jack London - il tema comune è quello della malvagità e arroganza dell'essere umano, sempre tesa a distruggere le esistenze altrui o la natura.
Non è più il selvaggio west descritto da Louis L'Amour, con eroi senza macchia e senza paura alla John Wayne, bensì quello di Cormac McCarthy o Joe Lansdale, popolato di persone avide o che non tengono alcun conto della vita umana (l'episodio con Liam Neeson in tal senso è devastante).
Il west qui dunque è davvero selvaggio, una continua lotta per la sopravvivenza che spesso e volentieri viene persa.
Come in molte delle altre opere dei fratelli Coen, non manca l'ironia. Ma è quell'ironia amara che li contraddistingue, molto vicina al black humour, quindi non per tutti.
Con questo film, i due fratelli mettono forse la parola fine alla loro visione del cinema western. Decisamente non quello idealizzato delle pellicole degli anni '50 e '60 del ventesimo secolo, ma quello sporco, violento e prevaricatore che la storia poi ha portato alla luce (a dire il vero, era verità storica già decenni fa, solo che non lo si voleva ammettere).
Anche se il loro stile ormai è ampiamente riconoscibile e consolidato, quindi non vedrete nulla che già non abbiate visto in precedenza se siete appassionati dei loro film, rimane comunque qualcosa di godibile, che non si fa scrupoli a demolire il presunto sogno americano.

giovedì 17 agosto 2023

Fabolous Stack of Comics: Punk Rock Jesus


Non è del tutto sbagliato dire che la società americana sia una società fondata principalmente sul concetto di entertainment, sul "divertimento" che cerca di accalappiare il maggior numero di spettatori per poter conseguire sponsorizzazioni e guadagni.
Un entertainment che non si fa troppi scrupoli morali, a volte, arrivando a trattare - con la leggerezza che contraddistingue questi prodotti, ma fuori contesto in certi casi - anche tematiche importanti quali l'obesità e le discriminazioni sociali. E spesso ci si chiede fino a dove ci si possa spingere oltre.
Un interrogativo che deve aver attraversato anche la mente di Sean Gordon Murphy, sceneggiatore e disegnatore della miniserie in sei numeri Punk Rock Jesus, pubblicata nel 2013 dalla DC Comics tramite l'etichetta Vertigo.
Sta per andare in onda un reality show mai visto prima sugli schermi statunitensi o mondali: J2. Il soggetto? Nientemeno che Gesù Cristo, rinato attraverso la genetica e un filamento di DNA prelevato dalla Sindone e ribattezzato Chris.
Ideatore del programma è l'ambizioso produttore televisivo e manipolatore Rick Slate, mentre la dottoressa Sarah Epstein è colei che è riuscita nell'apparente impresa di ricreare il Messia cristiano.
Un simile reality non può che scatenare le ire delle frange cristiane più estremiste e, per proteggere il nuovo Gesù da questa e altre minacce, viene assoldato Thomas McKael, un ex terrorista dell'IRA in cerca di redenzione.
Ovviamente in prima battuta si nota subito la critica verso la società dell'entertainment americano e i suoi estremismi, pronta a tutto per ottenere ascolti più alti a scapito della dignità umana e del rispetto. Ma non è l'unico tema.
Chi ha scritto questa storia è un ateo convinto e la cosa traspare in maniera chiara: pur non prendendosela con la religione cristiana in sé, ha invece un evidente dente avvelenato contro coloro che, in nome della religione e di Dio, commettono atti di violenza contro ciò che ritengono essere degli abomini contro natura (problema molto presente nella società americana).
La cosa diviene ancora più marcata nello sviluppo del personaggio di Thomas McKael, il quale è un credente convinto. Lui ha compiuto il processo inverso: in principio combatteva le sue battaglie perché sobillato a credere che fosse nel nome del Signore, ma una volta capito il suo errore ha abbandonato la via della violenza per lavorare nel campo della sicurezza.
Thomas McKael è il vero protagonista della storia, per come cambia, per come è fermamente sicuro che Gesù sia rinato e lo difenda allo stremo anche di fronte alle sue scelte più controverse, come quella che lo vede diventare il leader di una band punk e ribellarsi al sistema (da qui il titolo). Anche se secondo alcuni, a costo di apparire blasfemi, Gesù è stato una sorta di punk che si è ribellato al sistema, cacciando i mercanti dal tempio.
Thomas McKael è forse l'unico personaggio positivo in un mondo dominato da arrivisti e arroganti, nuovo Gesù Cristo compreso: ed è impresa difficile giungere a provare empatia per un personaggio che ha ucciso delle persone.

mercoledì 16 agosto 2023

Fabolous Stack of Comics: Tex - Sangue Navajo


Tex Willer non sopporta le ingiustizie, come noto, aldilà di chi le perpetra. Può battersi a favore dei più sfortunati contro le persone potenti, ma potrebbe anche difendere le persone ricche se queste avessero subito un torto (non è escluso l'abbia fatto almeno una volta, in ormai settantacinque anni di vita editoriale).
C'è una persona, tuttavia, a cui è altamente sconsigliabile fare un torto o prendersela con le persone a lui care. E quella persona è Tex Willer stesso!
Lo dimostra Sangue Navajo, pubblicato nel 1965 nei numeri dal 51 al 53 di Tex, scritto da Gianluigi Bonelli e disegnato da Aurelio Galleppini in arte Galep.
Mentre inseguono per divertimento un treno coi loro cavalli, cinque giovani indiani Navajos vengono uccisi da due persone con colpi di pistola, convinte erroneamente volessero attaccare il mezzo. Quando capiscono cosa hanno fatto, i due cercano ogni tipo di appoggio per non essere incriminati.
Tex Willer, per evitare che suonino i tamburi di guerra, si reca a chiedere giustizia, ma sia il comandante del forte del posto sia il governatore sono sordi alle sue richieste, poiché ammanicati con i due assassini.
Non poteva essere commesso errore peggiore: Tex Willer inizia una vera e propria guerra personale, deciso a fare terra bruciata intorno ai due criminali e a chi li sostiene da dietro le quinte, anche se questo significherà mettersi contro la legge.
Credo che questa storia mostri Tex al massimo della sua potenza, intesa come rabbia e astuzia - una rabbia non cieca ovviamente - mista a capacità di strategia. Qualcosa che lo rende al pari di un supereroe pur non essendolo.
Il Ranger del Texas non fa sconti a nessuno qui: prende a male parole i suoi superiori, prende a cazzotti la gente potente definendola poi come dei codardi, distrugge proprietà governative, fa mettere sotto pessima luce le autorità e i politici perché costoro - per salvare la propria reputazione - prendano le distanze da coloro che hanno ucciso i Navajos.
Può sembrare paradossale dirlo, ma in questa sua guerra privata Tex Willer fa in modo che solo le persone responsabili di quanto accaduto paghino per i loro crimini e se la prende con altri solo se queste persone vengono mandate contro di lui o i suoi pards. Nessun innocente ne ricava un graffio durante quest'avventura, nemmeno i soldati costretti a eseguire i folli ordini dei loro superiori incapaci.
Certo, nel fare questo compie reati di sequestro di persona e distruzione di proprietà del governo, reati credo perseguibili già nel diciannovesimo secolo, ma tutto viene perdonato alla fine. L'amabile ingenuità delle storie di quel periodo.
Tex è l'emblema dell'eroe che i giovani italiani volevano essere una volta finita la Seconda Guerra Mondiale e durante il boom economico e questa storia lo dimostra: oggi questi atteggiamenti - mettersi contro i potenti in prima persona e non da dietro una tastiera, proteggere gli innocenti - sembrano quasi anarchici e ribelli in un mondo dominato dall'egoismo.
Sono passati decenni. Tex è ancora quell'eroe perfetto, magari un po' più maturo, mentre buona parte di quei lettori sembrano aver dimenticato i valori che motivano le sue azioni.

martedì 15 agosto 2023

Italians do it better? 5: Se Dio Vuole (2015)


L'Italia è un paese laico, ma è altrettanto indubbio che la religione cristiana abbia un peso notevole sulla società, essendo quella che può contare sul maggior numero di fedeli. Al tempo stesso, però, il fenomeno dell'ateismo - qualcosa di molto raro anche solo alcuni decenni fa - prende sempre più piede e sembra che sia la "religione" più seguita dopo quella cristiana.
L'incontro tra queste due anime e scuole di pensiero non è dunque affatto facile. Ma il cinema può compiere ogni tipo di magia. Ecco dunque Se Dio Vuole, scritto e diretto da Edoardo Falcone e distribuito nei cinema nell'aprile 2015.
Tommaso De Luca (Marco Giallini) è uno stimato e competente chirurgo dagli atteggiamenti arroganti e prevaricanti, che hanno portato all'esasperazione la moglie Carla (Laura Morante).
Tommaso si convince da alcuni comportamenti che il figlio Andrea sia omosessuale, ma in realtà il ragazzo rivela poi alla famiglia che intende diventare prete.
La notizia per il convinto ateo Tommaso è del tutto scioccante e, indagando sulla questione, scopre che il figlio segue dei seminari tenuti dal sacerdote Pietro Pellegrini (Alessandro Gassmann).
Certo del fatto che il figlio sia stato in qualche modo plagiato, Tommaso De Luca inizia a indagare su Pietro Pellegrini e scopre ben presto un'incredibile verità.
In principio si ha proprio l'impressione che il film voglia appunto parlare delle differenze in apparenza incolmabili che sussistono tra atei e cristiani e, a un livello molto light, lo fa. Potete anche intuire il messaggio di fondo, in perfetto stile commedia (che non deve mai essere troppo moralizzatrice, altrimenti il pubblico può prenderne le distanze): non è una motivazione per non stringere dei legami e parlare, cercando di raggiungere un equilibrio.
Non è difficile, tuttavia, grattando un po' la superficie, capire che la pellicola è in realtà più incentrata sulla nascita e crescita dell'amicizia tra Tommaso De Luca e Pietro Pellegrini. Infatti la causa scatenante e quella che appare come la trama primaria, il figlio che dichiara di voler professare la fede, a un certo punto viene messa da parte per non comparire quasi mai più se non giusto verso la fine.
Quello che potrebbe apparire come un vuoto diventa invece un incontro tra due differenti personalità. Da un lato Tommaso: persona inquadrata, che finge di essere progressista ma in realtà è profondamente conservatrice e pregiudizievole. Un carattere non facile che ha gettato nello sconforto la moglie, che trova tuttavia la forza di riprendersi grazie agli eventi che portano il marito ad avvicinarsi alla religione (ottima interpretazione in tal senso di Laura Morante, peccato solo alla fine il suo sia poco più che un personaggio secondario che spesso scompare dalla scena).
Dall'altro lato, invece, abbiamo Pietro: con un passato burrascoso alle spalle che lo ha convinto a cambiare vita e a vedere la propria esistenza in maniera diversa, portandolo a condividere tale visione anche con gli altri.
Ovviamente - suggellando la morale del film - queste due personalità in contrasto, dopo i consueti siparietti comici che non possono mancare, pur in mancanza di un finale davvero rassicurante, troveranno ben presto un punto di incontro e ognuno sarà prezioso per l'altro.
Quasi Amici.

lunedì 14 agosto 2023

Fabolous Stack of Comics: Howard The Duck - Addio e Grazie per Tutto il Papero


Una breve ma intensa avventura. Howard Il Papero/Howard The Duck, una di quelle amabili follie che si concepivano negli anni '70 del ventesimo secolo, ha fatto il suo ritorno nella miniserie Ma Che Quackio?! per poi proseguire con una serie regolare, la seconda a lui dedicata dopo oltre trent'anni dalla prima.
Ma dopo il primo ciclo Duck Hunt, il secondo e ultimo ciclo Addio e Grazie per Tutto il Papero (Good Night and Good Duck) è quello che fa chiudere i battenti con l'undicesimo numero, pubblicato nel 2016. Gli autori sono come sempre Chip Zdarsky ai testi e Joe Quinones ai disegni. E con tanto rispetto a Douglas Adams, cominciamo.
Howard ritrova Beverly Switzler, ma costei non intende saperne di riunirsi a lui perché da quando si è allontanata non ha più avuto alcun problema e si è dunque convinta sia meglio continuare così.
Howard torna dunque alle sue indagini e ha subito una cliente d'eccezione: l'attrice Lea Thompson (sì, quella di Ritorno al Futuro), che vuole ritrovare sé stessa! Dietro questo mistero pare esserci Mojo e il suo entourage, ma in realtà i responsabili sono coloro che hanno rovinato la vita di Howard in questi ultimi tempi, due tizi di nome Chip e Joe!
La conclusione della serie prosegue nella falsariga della storyline precedente, con l'autore che si prende scherzosamente e amorevolmente gioco di alcuni cliché della narrativa supereroistica. In questo caso il motivo per cui a volte un personaggio scompare dalle scene anche per svariati anni, salvo poi tornare, vivere un breve momento di gloria per poi scomparire ancora.
Per sviluppare questo tema, Chip Zdarsky prende spunto ed estremizza l'idea del personaggio che incontra il suo stesso sceneggiatore, già presente nei fumetti della Silver Age e poi in un certo senso rimodernata da Grant Morrison durante il suo ciclo di Animal Man e rivista in chiave ironica da John Byrne durante Sensational She-Hulk.
E sono ancora l'ironia e la surrealità le atmosfere che circondano quest'ultimo ciclo, con un epilogo forse un po' troppo prematuro - dovuto al fatto che le basse vendite non ne hanno consentito uno più consono, probabilmente - e uno status quo per Howard che non viene troppo alterato, essendo quel tipo di personaggio da cui si può sempre ricominciare.
Poiché la piccola satira fumettistica è che un personaggio rispunti fuori ogni tanto solo quando vi sono importanti eventi editoriali, che non gli garantiscono però una vita lunga (proprio come è successo al buon Howard, in questo caso). Salvo poi attendere un altro importante evento e un nuovo rilancio.
Ma meglio questo che l'oblio totale, dopotutto.

domenica 13 agosto 2023

Italians do it better? 4: Benvenuti al Sud (2010)


Una prerogativa del cinema italiano è che adora spesso e volentieri riprendere dei film provenienti da altre nazioni europee. In particolare la Francia, forse perché ritenuta come società molto simile alla nostra (dopotutto chiamiamo i suoi abitanti i cugini d'oltralpe). E riadattarli nel contesto italiano, che comunque può risultare differente in alcuni punti. Il tutto coi suoi pro e i suoi contro. E questo, sia chiaro, vale anche per i rifacimenti americani.
A volte, tuttavia, il lavoro viene facilitato.
Benvenuti al Sud è un film diretto da Luca Miniero, scritto da Massimo Gaudioso basandosi sulla sceneggiatura di Giù al Nord di Dany Boon e distribuito nei cinema nell'ottobre 2010.
Antonio Colombo (Claudio Bisio) lavora per Poste Italiane in una piccola cittadina del Nord Italia e sogna di essere trasferito a Milano, come desiderato fortemente anche dalla moglie Silvia (Angela Finocchiaro).
Per riuscire in questo intento, l'uomo si finge un disabile per scalare le graduatorie, ma viene scoperto. Per non essere licenziato, Antonio Colombo accetta dunque di essere trasferito per due anni presso un ufficio postate della Campania, sito nella città di Castellabate.
Qui incontra il postino Mattia Volpe (Alessandro Siani) e gli altri originali dipendenti del nuovo ufficio. Inizialmente guidato dai pregiudizi e diffidente, Antonio Colombo inizia ben presto ad affezionarsi alla città e ai suoi abitanti, pur tenendo nascosta la verità alla moglie. E la cosa gli si ritorcerà ben presto contro.
Ci sono tematiche universali che possono adattarsi a varie nazioni. Ogni grande paese, ma anche qualche piccolo, può contare su diverse realtà che, con le loro peculiarità e differenze, rappresentano piccoli mondi all'interno di un mondo più grande.
In Italia le differenze e le distanze tra Nord e Sud sono presenti praticamente da sempre e sono state esplorate in decine di altri film. In questo caso, tuttavia, si è attinto da un prodotto estero che presentava una situazione facilmente adattabile nel contesto italiano.
Quindi non ci troviamo certo di fronte a una pellicola fotocopia, ma altrettanto di sicuro sono molte le scene riprese dal film francese e riadattate con poche modifiche in quello italiano. Che comunque, è giusto specificarlo, si rivolge a un pubblico generalista che probabilmente ignora in buona parte l'esistenza del film francese.
Sono stati bravi, in questo contesto, i vari attori a dare spessore e credibilità ai loro personaggi che, pur omologhi dei corrispettivi francesi, presentano una sensibilità e un carisma tutto italiano senza che vengano ridotti a semplici caratteri, cosa che accade raramente. I siparietti comici, che sono molti, aiutano il loro lavoro.
Con un buon prodotto derivativo cui attingere, c'è anche un discreto character development, tanto che la scena d'addio tra i due protagonisti - che hanno condiviso così tante esperienze e sviluppato una forte amicizia - introduce un piccolo elemento di mestizia in un'atmosfera fino a quel momento giocosa e felice.
Insomma, pur essendo una commedia cerca anche di essere inclusiva, per usare un termine moderno, affermando come le differenze tra Nord e Sud siano in realtà ciò che rende unico il nostro popolo e dovrebbero unire le due anime del paese più che dividerle.
Perché a volte le commedie sono così: ti strappano uno o più sorrisi e solo alla fine ti accorgi che quella era una risata velata di tristezza.

sabato 12 agosto 2023

Italians do it better? 3: Sono Solo Fantasmi (2019)


Secondo l'ottica del grande Eduardo De Filippo, i fantasmi non esistono e in realtà, se ci sono, siamo noi esseri umani, esseri imbroglioni e approfittatori che tormentiamo le vite terrene di altri esseri umani, o magari le spiamo dal balcone di fronte senza mai intervenire.
Sì, perché l'Italia, pur presentando una notevole tradizione esoterica e mistica, non è che possa vantare una così grande tradizione di narrativa "spiritica" per così dire, la quale tuttavia è stata esplorata in alcuni romanzi gotici scritti da autori anglosassoni e ambientati nel nostro paese (quando si dice, si sta ribaltando la situazione).
Se poi pensiamo al cinema... neanche a parlarne. Le pellicole sui fantasmi sono appannaggio delle produzioni americane da sempre... o forse lo erano fino a poco tempo fa.
Sono Solo Fantasmi è un film diretto da Christian De Sica con la collaborazione del figlio Brando, scritto da Christian De Sica, Nicola Guaglianone, Roberto Marchionni, Andrea Bassi, Luigi Di Capua e Gianluca Ansanelli e distribuito nei cinema nel novembre 2019.
Tommaso Di Paola (Christian De Sica) è un prestigiatore caduto in disgrazia, ridotto ad esibirsi in piccoli spettacoli dopo essere stato un divo televisivo, che deve recarsi a Napoli in quanto è deceduto il padre Vittorio. Nel recarsi nel capoluogo partenopeo, si imbatte nel fratellastro Carlo (Carlo Buccirosso), un imprenditore fallito.
Durante la lettura del testamento incontrano un terzo fratello di cui non erano a conoscenza, Ugo (Gianmarco Tognazzi), dimesso di recente da un istituto psichiatrico in quanto afferma di poter vedere i fantasmi.
Il padre, tuttavia, era oberato di debiti e i tre fratelli rischiano di perdere la casa di famiglia. Ma ci sarebbe un modo per recuperare in fretta dei soldi: sfruttando la creduloneria di alcune persone del posto e un amuleto egizio ritrovato da Ugo, i tre mettono su un'agenzia di acchiappafantasmi, liberando le case e i locali posseduti.
Ma i fantasmi esistono davvero e non stanno gradendo molto l'operato dei fratelli, minacciando così di radere al suolo Napoli.
È vero che il cinema è sempre in grado di stupire, ma detto questo mai mi sarei aspettato di assistere a una versione all'italiana di Ghostbusters. Con tanto di dispositivo di stoccaggio, Ecto-1, trappole e una versione alternativa di Zuul (il tutto sempre fatto all'italiana, quindi non cercate chissà cosa).
Ma soprattutto mi ha stupito vedere in una produzione del genere, che rimane comunque una commedia con qualche occasionale (inevitabile?) scurrilità, tentativi di jumpscare e inquadrature/scene ispirate a La Casa, The Conjuring e Poltergeist, di solito ai produttori nostrani queste cose non piacciono molto. Segno che quantomeno si è tentato in certi casi un approccio moderno e non classico.
Per il look del suo personaggio, Christian De Sica si ispira a un celebe mago televisivo del passato, di sicuro sconosciuto ai più giovani: Giucas Casella. Da cui riprende anche un paio di trucchi da costui resi celebri.
L'attore romano inoltre effettua una sorta di catarsi artistica nei confronti di suo padre Vittorio. Christian De Sica, infatti, interpreta anche il ruolo del padre dei fratelli, il quale nel look è praticamente uguale a Vittorio De Sica, oltre a condividerne il nome.
Non solo, vi è anche un background molto simile, come ad esempio il fatto che entrambi siano stati incalliti giocatori d'azzardo che hanno causato guai alla famiglia e un paio di aneddoti del padre dei fratelli - e il suo legame con Napoli - rispecchiano le esperienze di Vittorio De Sica. E la dichiarazione di affetto che il fantasma lancia ai suoi figli è un modo per riappacificarsi con la memoria di quel padre all'attore tanto caro, ma con cui ha avuto anche delle divergenze.
Qualcosa di davvero inaspettato per una commedia dai toni leggeri.

venerdì 11 agosto 2023

Netflix Original 147: Cam


Il serial Black Mirror, ideato da Charlie Brooker e trasmesso dal 2011, ha la prerogativa di sottolineare possibili estremismi della tecnologia moderna, la quale corre a un ritmo sempre più veloce, a discapito dell'umanità che viene progressivamente privata della propria dignità e dei propri spazi privati. Un serial che ha fatto scuola, per quanto decisamente inquietante nelle premesse.
E sembra proprio uno spin-off di Black Mirror Cam, diretto da Daniel Goldhaber, scritto da Daniel Goldhaber, Isa Mazzei e Isabelle Link-Levy e distribuito su Netflix a partire dal 16 novembre 2018.
Alice Ackerman (Madeline Brewer) è una ragazza che, con lo pseudonimo di Lola, effettua dirette streaming su un sito a pagamento a tema erotico, mettendo in scena spettacoli a sfondo sessuale e anche momenti estremi come finti suicidi. Il suo sogno è quello di scalare la classifica delle top streamer del sito e giungere al numero uno in termini di follower e introiti.
Alice inizia a precipitare in un vero e proprio incubo a occhi aperti quando scopre che qualcuno è riuscito ad hackerare il suo account. Non solo, sta trasmettendo nuove dirette streaming ancora più estreme con quella che appare una sua esatta copia!
Poiché la polizia e il servizio clienti del sito non fanno niente per aiutarla, Alice Ackerman decide di indagare per conto proprio, scoprendo una sconvolgente verità.
Iniziamo col dire che in questo film non si condannano le ragazze che decidono di dedicarsi a questo tipo di dirette streaming e paiono vivere solo per questo, per il semplice motivo che una delle sceneggiatrici è stata in passato una camgirl e ha tratto anche dalle proprie esperienze personali nello scrivere la sceneggiatura.
Ad esempio come le autorità e coloro che si occupano del customer service del sito siano in realtà indifferenti, ridicolizzando le richieste di aiuto delle persone poiché guidati dal pregiudizio. O come i video siano ricaricati altrove, monetizzando, senza che la streamer ne venga a conoscenza.
Il tema è come ci sia uno sdoppiamento di personalità in questo tipo di attività. Da un lato abbiamo Alice, la "ragazza della porta accanto", la cui famiglia è all'oscuro dell'altra sua vita e che in pubblico non vuole incontrare i suoi follower. Dall'altro abbiamo Lola, l'altra metà più disinibita e competitiva ma comunque parte della stessa personalità, che interagisce con chi la segue e seppur in maniera blanda è affezionata ad essi.
Quando Alice perde quell'altra metà, è come se avesse perso una parte di sé stessa, una parte della propria identità. Quindi l'indagine/viaggio che compie è volto anche a scoprire chi davvero lei sia. Questo alla fine predomina su tutto il resto tanto che al vero mistero, chi sia dietro alla sua copia, non viene data una risoluzione. Il tutto non inficia il prodotto finale, ma di certo è come se mancasse qualcosa, un frammento di un puzzle ben costruito.
La deriva in apparenza fantascientifica, con una esatta copia della ragazza che prende il suo posto, oggi tanto fantascientifica non appare in un mondo dove esistono app per sostituire i volti nei video o intelligenze artificiali in grado di costruire discorsi elaborati con voci che ormai appaiono umane.
Un'altra inquietante deriva del Black Mirror.

giovedì 10 agosto 2023

Netflix Original 146: Nei Panni di una Principessa


Il Principe e il Povero di Mark Twain, pubblicato nel 1881, è uno di quei romanzi che hanno fatto storia. Nel racconto che vede l'umile Tom Canty prendere il posto del nobile Edward Tudor, destinato alla corona, in quanto entrambi stanchi delle loro vite, vengono trattate anche tematiche importanti, ma una certa cultura popolare ha bollato per molto tempo questo romanzo come letteratura per ragazzi.
E in quanto parte della cultura popolare più ampia è stato oggetto di numerosi adattamenti cinematografici. Tuttavia, un film in cui a scambiarsi di posto sono due ragazze mancava ancora all'appello. Niente paura, ci pensa Nei Panni di una Principessa (The Princess Switch), diretto da Mike Rohl, scritto da Robin Bernheim e Megan Metzger e distribuito su Netflix a partire dal 16 novembre 2018.
Stacy De Novo (Vanessa Hudgens), una pasticcera di Chicago, per dimenticare la recente rottura col fidanzato decide di partecipare a un concorso televisivo di cucina che si terrà nel periodo natalizio a Belgravia, dove sta anche per tenersi luogo un matrimonio reale.
Mentre è lì, Stacy si imbatte in Margaret Delacourt (sempre Vanessa Hudgens), duchessa di Montenaro e promessa sposa del principe di Belgravia. Le due ragazze sono due gocce d'acqua.
Approfittando della loro somiglianza, Margaret chiede a Stacy di scambiarsi i ruoli per due giorni poiché vuole provare a vivere una vita ordinaria senza essere oppressa dai doveri di futura regnante. Il piano in apparenza non presenta imprevisti, ma questi non tardano ad arrivare.
Eccoci qui con un nuovo film natalizio incentrato sui buoni sentimenti, sul peace & love e stavolta con ben due storie d'amore! Si vede che c'erano i saldi.
Scherzi e cinismo a parte, lo so bene e l'ho detto che questo tipo di prodotti non sono dediti alla coerenza narrativa a tutti i costi, visto che quello che importa di più allo spettatore è la love story a lieto fine.
Ma diciamo che qui, pur di dare il via alla storia, hanno forzato più che qualcosa qua e là. Come l'incontro tra le due sosia: davvero, quale nobile regnante - di cui non esistono foto pubbliche, by the way - va in giro senza scorta?
Sorvoliamo poi su come mai due persone provenienti da nazioni e società differenti risultino uguali, diciamo solo che Watson e Crick non sarebbero molto d'accordo (e comunque è bello che il DNA abbia fornito loro le stesse corde vocali, in originale le differenziano facendo utilizzare loro diversi accenti).
Alla fine comunque ricordiamoci che questa è una fiaba natalizia moderna - con qualche siparietto comico - che inverte il messaggio di Mark Twain, qui neanche citato: ovvero che non conta l'ambiente in cui nasci e cresci per diventare ciò che sei, bensì quello che fai e come ti comporti verso gli altri.
Con tanto a contorno di principi e principesse e persone provenienti dalle classi meno abbienti che coronano il loro sogno d'amore. Ci sono molti spettatori che vogliono solo questo ed è giusto così.

mercoledì 9 agosto 2023

Netflix Original 145: Outlaw King - Il Re Fuorilegge


In Braveheart abbiamo assistito alla lotta di William Wallace per liberare la Scozia dalla tirannia inglese di Edoardo I. Una lotta di cui non riesce a vedere la fine, in quanto viene catturato e decapitato.
Ma se ricordate bene, nel film c'è un altro personaggio che lo assiste nella sua battaglia, il nuovo re di Scozia Robert Bruce, che è colui che pronuncia il discorso alla fine.
Tale personalità storica ritorna anche in Outlaw King - Il Re Fuorilegge (Outlaw/King), diretto da David Mackenzie, scritto da David Mackenzie, James MacInnes e Bash Doran e distribuito su Netflix a partire dal 9 novembre 2018.
1304: Mentre William Wallace è ricercato, Robert Bruce (Chris Pine) e gli altri nobili scozzesi giurano fedeltà ad Edoardo I d'Inghilterra ponendo così fine alla loro ribellione, pur sotto il giogo di pesanti tasse. Per ingraziarsi Robert Bruce, inoltre, Edoardo gli offre in sposa una sua figlioccia, Elizabeth de Burgh (Florence Pugh).
L'insofferenza degli scozzesi verso la corona d'Inghilterra diviene tuttavia sempre più grave e, con l'uccisione di Wallace, Robert Bruce decide di radunare attorno a sé un esercito di fedeli con cui riconquistare la nazione e proclamarsi re della Scozia. Al suo fianco come prezioso alleato vi è lo spietato James Douglas (Aaron Taylor-Johnson).
Le prime battaglie si concludono tuttavia con delle tremendi debacle, eppure Robert Bruce non demorde e trova ben presto una strategia vincente.
Pur intersecandosi e facendo seguito agli eventi di Braveheart, questo film non ne è ovviamente un seguito autorizzato, pur essendo evidente che voglia ricordare più volte allo spettatore la pellicola diretta da Mel Gibson. Il fatto che tratti poi di eventi e personaggi storici non crea problemi di alcuna natura.
E se il problema in ogni biopic è come approcciarsi agli eventi realmente accaduti e adattarli al meglio senza stravolgerli troppo, questo è ancora più marcato in Outlaw King, considerato che è ambientato in un periodo storico molto lontano nel tempo dove si può attingere solo a poche fonti. Ma a ben vedere questa è la stessa problematica che aveva dovuto affrontare Braveheart.
E quindi, seguendo l'esempio del suo predecessore, il film si prende molte libertà in merito all'aderenza storica, che non è certo il suo obiettivo principale, per concentrarsi sulla narrazione di un uomo che si ribella alla tirannia e non si arrende di fronte alle prime sconfitte. Qualcosa insomma in cui lo spettatore comune possa rivedersi.
Pur con mezzi a volte limitati, il periodo storico viene ben ricreato e le battaglie sono fatte in maniera decisamente notevole: non nobili ed eroiche, ma impelagate nel fango e nella sporcizia, dove dominano la crudeltà e la spietatezza e concetti come l'onore e il rispetto vengono messi da parte. Non si lesina decisamente sulla violenza.
Quindi quasi non noti, quasi, che battaglie combattute da centinaia di uomini sono in realtà messe in scena da circa 80 persone, se va bene.
Non vanno consigliati questo film o Braveheart come documenti storici, tuttavia entrambi possono costituire motivo di interesse per approfondire un periodo che ha poi profondamente influenzato i secoli a venire e la storia recente.

martedì 8 agosto 2023

Prime Video Original 67: A Proposito dei Ricardo


I Love Lucy è stata una serie televisiva di grande successo negli Stati Uniti - mentre è praticamente sconosciuta in Italia - andata in onda dal 1951 al 1957.
Interpretata da Lucille Ball e Desi Arnaz, moglie e marito nella vita reale come nella finzione, era incentrata sulle tragicomiche situazioni di coppia che i coniugi Ricardo dovevano affrontare nella vita di tutti i giorni insieme ai loro vicini.
Con la caratteristica di essere uno dei primi show televisivi dove era protagonista un non nativo americano, forse ricorderete questo titolo per essere stato un punto di riferimento dei primi episodi di WandaVision.
Ma è anche al centro di A Proposito dei Ricardo (Being the Ricardos), scritto e diretto da Aaron Sorkin e distribuito su Amazon Prime Video a partire dal 21 dicembre 2021.
1953: Gli ascolti di I Love Lucy sono in grande ascesa, ma un imprevisto sta per abbattersi sullo show quando inizia a circolare la voce secondo cui Lucille Ball (Nicole Kidman) è stata soggetta a un interrogatorio da parte della Commissione per le attività antiamericane per presunte simpatie comuniste.
In realtà l'attrice è già stata scagionata, ma questa notizia rischia comunque di compromettere il buon andamento dello show televisivo presso il pubblico delle famiglie. Quasi incurante della cosa, Lucille Ball inizia a programmare con meticolosità il nuovo episodio insieme agli sceneggiatori e al marito Desi Arnaz (Javier Bardem).
Poiché la sua principale preoccupazione è un'altra, quella che il marito la stia tradendo. E questo sì che potrebbe segnare la fine di I Love Lucy.
Aaron Sorkin prosegue nel suo percorso da autore completo, curando sia regia che sceneggiatura, offrendoci - dopo Molly's Game - un nuovo sguardo su una donna forte che si intrufola in un mondo dominato dagli uomini.
Solo che stavolta tale sguardo è proiettato verso il passato, a un'epoca storica decisamente particolare dove le donne erano relegate a ruoli secondari nella vita ordinaria, salvo qualche doverosa eccezione.
Una di queste eccezioni è Lucille Ball, una brava attrice attiva principalmente negli anni '40 e '50 del ventesimo secolo e che, pur avendo interpretato buoni film, in televisione ha trovato la sua giusta dimensione e i riconoscimenti che le spettavano.
Grazie a Nicole Kidman truccata in maniera adeguata (non dico irriconoscibile, ma di certo con un aspetto diverso dal consueto), alla fine capiamo che è lei la vera protagonista. Tramite vari flashback, vediamo prima la sua caduta poiché ritenuta troppo vecchia per continuare a recitare per il cinema e poi la sua lenta risalita mentre - memore di quanto accadutole in passato - non permette di farsi metaforicamente calpestare da altre persone e riesce a trovare un equilibrio tra i suoi doveri lavorativi e quelli familiari, visto che è in stato interessante.
Tutto questo viene raggiunto ovviamente alterando un po' la verità storica, ma questa è una prerogativa di ogni film di questo tipo, quindi non c'è tanto da stupirsi. Infatti più che il contesto storico, che diventa rilevante solo all'inizio con l'indicazione dell'indagine condotte dal senatore McCarthy, conta in questo caso il contesto privato degli attori che interpretano la sitcom e della troupe che lavora allo show.
Ritratte come persone con dubbi, fragilità, ma anche punti di forza e dove la finzione a volte rischia davvero di confondersi con la realtà.

lunedì 7 agosto 2023

Netflix Original 144: L'Altra Faccia del Vento


Ci sono film che hanno una produzione travagliata, la cui sceneggiatura è pronta ad esempio, ma poi i lavori iniziano solo molto tempo dopo. Oppure film che vengono addirittura girati e terminati, ma per cui devono passare per motivi vari anni prima che vengano distribuiti nelle sale cinematografiche.
Abbiamo visto pellicole completate ma uscite dopo un anno, due e molti di più. Ma un film uscito quarantotto anni dopo l'inizio delle riprese non si era mai visto prima. E la cosa risulta ancora più sorprendente se si pensa che questa è l'ultima pellicola realizzata da Orson Welles!
L'Altra Faccia del Vento (The Other Side of the Wind) viene girato tra il 1970 e il 1976, ma non è possibile completarlo in quanto i finanziatori si ritirano dal progetto e Orson Welles si ritrova con decine di ore di girato di cui non sa che farsi.
Nonostante questo, l'attore e regista prova a lavorare al montaggio negli anni successivi, fino alla sua morte avvenuta nel 1985, ma invano. Tuttavia, un film di Orson Welles inedito è qualcosa di troppo importante da permettere che vada perduto per sempre.
Eppure ci sono voluti ancora molti anni, decenni, prima che quel film uscisse (non sapremo mai se secondo la visione di Orson Welles o meno) e venisse distribuito su Netflix a partire dal 2 novembre 2018.
Jake Hannaford (John Huston) è un regista di Hollywood in forte declino dopo anni di gloria e successi che sta cercando di terminare i lavori sul suo ultimo film, The Other Side of the Wind. Tuttavia nessun finanziatore pare desideroso di prestare i fondi necessari per completare la lavorazione.
Con un montaggio parziale e assistito da uno dei suoi protetti, Brooks Otterlake (Peter Bogdanovich), Hannaford organizza dunque una proiezione privata invitando colleghi, attori, manichini e operatori. Ma più che il film, a Jack Hannaford interessa prendersi qualche rivincita, mentre un mondo assurdo di gente opportunista e critici senza arte né parte ruota attorno a lui.
Il cinema a volte parla di sé stesso, dell'arte e degli uomini che cercano di costruire anno dopo anno quest'arte. Il più delle volte lo fa in maniera positiva (vi è quel famoso detto che l'oste dice sempre che il suo vino è buono, dopotutto) come in The Fabelmans, ma saltuariamente giunge lo sguardo critico come in questo caso.
Orson Welles è un esponente della vecchia guardia di Hollywood, per quanto più volte osteggiato dalla stessa Hollywood, e in quegli anni vede il cinema cambiare. Nuovi, più giovani e rampanti registi emergono sulla scena, mentre i produttori preferiscono concentrarsi su prodotti di più largo consumo e di intrattenimento.
In questo nuovo scenario la vecchia guardia sembra essere messa da parte e i film impegnati non risultano più così appetibili come un tempo. The Other Side of the Wind (sia il film stesso di Orson Welles che quello di Jake Hannaford) rappresentano dunque un canto del cigno di quell'epoca che ormai non incontra più i gusti del pubblico risultando troppo ermetica.
Al tempo stesso è anche una satira del mondo del cinema dell'epoca, impelagato in party dove predomina l'ipocrisia e il cattivo gusto, giornalisti in cerca di facili scoop e arrivisti di ogni tipo. Dell'epoca, abbiamo detto.
Certo vedere un film radicato in un determinato certo periodo storico più di quarant'anni dopo, con una società completamente diversa, può risultare un po' straniante. Può essere visto come qualcosa fuori tempo massimo, oppure una reliquia a cui non prestare attenzione.
E invece occorre prestarvi attenzione, perché nel bene e nel male questo è un reperto storico. Non certo alla portata di tutti, col massimo rispetto, e al tempo stesso così importante da essere infine presente quaranta anni dopo su uno strumento alla portata di tutti.

domenica 6 agosto 2023

Italians do it better? 2: Come un Gatto in Tangenziale (2017)


Le differenze tra ricchi e poveri, tra classi abbienti ed elementi della società meno fortunati. Un classico del cinema italiano. Sin dal secondo dopoguerra, se non anche prima, da quando Il Signor Max faceva la bella vita in un mondo di cui non si sentiva parte.
Un tema che peraltro ha carattere universale. E che ritorna in maniera particolare in Come un Gatto in Tangenziale, diretto da Riccardo Milani, scritto da Riccardo Milani, Paola Cortellesi, Furio Andreotti e Giulia Calenda e distribuito nei cinema nel dicembre 2017.
Giovanni (Antonio Albanese) sta supervisionando un progetto per conto dell'Unione Europea volto a concedere fondi per dare vita a piccole attività imprenditoriali per le persone con un basso reddito.
Giovanni, tuttavia, si tiene ben lontano dai quartieri poveri di Roma, ma suo malgrado inizia a frequentarne uno poiché la figlia si è fidanzata con un ragazzo di borgata. Qui conosce la madre del giovane, Monica (Paola Cortellesi), una personalità dirompente e del tutto opposta alla sua, riflessiva e pacata.
Nonostante le divergenze di natura economica e caratteriale, i due cominciano a legare, ma Giovanni inizia a dover avere a che fare con le sorelle cleptomani di Monica e il marito Sergio (Claudio Amendola) con precedenti criminali.
Partendo dal tema consolidato di cui sopra, ne viene costruita attorno una storia non così banale - certo, nemmeno innovativa e mai vista prima - che analizza, pur con toni da commedia, quelle che sono le differenze che ancora esistono oggi tra classi ricche e classi povere in Italia. Differenze oggi, se possibile, ancor più marcate.
Una distanza in apparenza incolmabile che nessuna delle due classi finge di vedere, crogiolandosi spesso nel proprio orticello senza cercare di cambiare le cose. Sì, perché il film non utilizza la retorica consolidata dei ricchi che sono dalla parte del torto sempre e comunque.
Attraverso il personaggio interpretato con maestria da Antonio Albanese, infatti, e con cui si riesce a empatizzare, le colpe vengono ugualmente ripartite, per una sorta di accettazione passiva dello status quo che serve a giustificare i propri errori e le proprie mancanze.
Il film, ovviamente, attraverso l'interazione tra i due protagonisti principali vuole invece sottolineare che, quando si riesce ad andare oltre le diverse visioni dei due rispettivi mondi, si può costruire insieme qualcosa di utile e significativo.
Chiaramente la cosa non è delle più semplici da sviluppare in un film del genere, che non può andare oltre un certo punto per non annoiare lo spettatore e deve puntare anche sulla costruzione di siparietti comici, ma non annacqua mai questa tematica.
Sospeso tra una ricerca di realismo e delle atmosfere surreali (le sorelle di Monica, l'apparizione della giornalista Franca Leosini, la moglie di Giovanni distaccata dal mondo), Come un Gatto in Tangenziale è comunque un film che ha un proprio percorso senza eccessivi intoppi, lasciando un unico punto in sospeso alla fine.
Il motivo lo potete immaginare.

sabato 5 agosto 2023

Italians do it better? 1: Un Boss in Salotto (2014)

Sapete bene quello che si dice del cinema italiano di questi ultimi, diciamo, quindici anni. Che ormai non è più fresco e originale come un tempo, che ci si è fossilizzati troppo sul genere della commedia mentre prima esploravamo e reinterpretavamo tutti i generi a modo nostro, che la qualità attoriale è calata e girano sempre gli stessi nomi...
Ma è davvero così? Be', in parte sì, quantomeno per l'ultimo punto. Penso che nessuno degli attori italiani di oggi voglia e possa confrontarsi coi mostri sacri del passato, ma questo può dirsi anche per gli attori americani a dirla tutta. Tuttavia è davvero tutto da buttare? Vedremo.
Da questo momento, concentrandoci solo sulle produzioni italiane dal 2010 in poi, senza pretese didascaliche o di verità oggettiva, ma dopotutto chi la possiede, capiremo quanto è profonda la tana del Bianconiglio.


E iniziamo col botto, credo, con Un Boss in Salotto, diretto da Luca Miniero, scritto da Federica Pontremoli e Luca Miniero e distribuito nei cinema nel gennaio 2014.
Cristina D'Avola (Paola Cortellesi) è una mamma emigrata dal sud che nasconde le proprie origini - tanto da aver cambiato nome - e vive una vita apparentemente felice col compagno Michele Coso (Luca Argentero) e due figli, coltivando il sogno di entrare a far parte dell'alta società.
La sua vita viene sconvolta quando apprende che il fratello Ciro Cimmaruta (Rocco Papaleo), con cui lei aveva chiuso ogni rapporto e diceva ai suoi cari fosse morto, deve essere processato in quanto ritenuto affiliato alla camorra e trascorrerà il periodo di detenzione domiciliare presso la sua abitazione.
Mentre vecchie, sopite tensioni riemergono tra i due fratelli, la convivenza di Ciro Cammaruta con la sua famiglia si rivela piena di sorprese e porterà anche imprevisti benefici.
Messo giù così sembra quasi un film drammatico e invece no, questa è una commedia con tutti i crismi. Una commedia che parte da uno dei più classici, decennali temi trattati, le differenze tra Nord e Sud (la storia principale si svolge a Bolzano) e i legami che uniscono queste due parti d'Italia.
Da qui si innesta un racconto che nelle intenzioni vorrebbe parlare (e lo fa, ci mancherebbe altro) sia delle complicate relazioni familiari al giorno d'oggi... al pre-pandemia, diciamo... sia di come si sia disposti a tutto pur di entrare a far parte dell'élite, di potersi staccare dalle proprie umili origini e guardare tutti dall'alto in basso, ma non è detto che questo sia necessariamente un bene (infatti alla fine la protagonista, che parla con un finto accento del nord, si riappropria sia del suo vero nome che della sua napoletanità, per così dire).
Tuttavia, tali temi vengono innestati in un film dove sono presenti unicamente dei caratteri e non dei personaggi: il marito servile, la moglie leccapiedi con gli esponenti dell'alta società, il figlio problematico, il datore di lavoro incapace e ovviamente (?) il meridionale che finge di essere cattivo, ma in realtà vuole bene alla sua famiglia.
E i vari attori fanno anche bene il loro lavoro nel portare avanti questi caratteri, Rocco Papaleo è molto bravo in tal senso, ma lo spazio di manovra poi è quel che è, non si può giostrare più di tanto.
Il tutto, però, contribuisce a creare un'atmosfera così surreale (con tanto di uffici con gironi infernali e atti di crudeltà verso gli animali visti come un gioco) che poi diventa difficile prendere sul serio quelle tematiche, nonostante alcune discrete premesse. Tematiche che però non vengono annacquate, vengono comunque trattate e trovano un loro compimento dopo gli inevitabili, un paio riusciti anche bene, siparietti comici derivanti dalla situazione che si è venuta a creare.
La morale finale potete dunque già intuirla: le proprie origini sono importanti e non devono essere rinnegate e conta di più essere felici in famiglia anche se poveri piuttosto che fingere di essere ciò che non si è. Ognuno chiaramente avrà la propria idea in merito, ma il cinema italiano crede molto in quest'ultimo precetto.
Poi però quando guardi in faccia la realtà... ecco perché alla fine utilizzare un'atmosfera surreale non è una cosa così sbagliata.

venerdì 4 agosto 2023

Fabolous Stack of Comics: X-Men - House of X/Powers of X


Per anni gli X-Men guidati da Charles Xavier hanno perseguito un sogno. Un sogno di integrazione tra umani e mutanti, che potesse portare benefici a tutti. Ma hanno dovuto affrontare in maniera inevitabile le diffidenze e i pregiudizi della razza umana. Per anni nel tempo dell'Universo Marvel, per decenni nel tempo reale.
E per quanto tempo delle persone possono credere in un sogno e portarlo avanti nonostante tutto, nonostante qualche inevitabile crisi di fede? Quanto queste persone possono sopportare prima di dire basta? Prima di stancarsi di ricevere soprusi e vedere che gli alleati supereroi che combattono al loro fianco difficilmente prendono apertamente posizione?
Ed ecco dunque giungere House of X e Powers of X, due miniserie di sei numeri che procedono parallele (quello che accade in un numero di una miniserie, prosegue nell'altra e così via) pubblicate nel 2019, scritte da Jonathan Hickman e disegnate da Pepe Larraz e R.B. Silva.
Dopo che gli umani hanno tentato per l'ennesima volta di creare un programma avanzato di Sentinelle, evento che causa la morte di alcuni X-Men, Xavier e Magneto dicono infine basta. Con un piano che procedeva in realtà sottobanco da anni, danno vita ai protocolli di resurrezione e annunciano al mondo l'esistenza di una nuova nazione: Krakoa, patria di tutti i mutanti con una propria economia, un proprio sistema sociale e giudiziario.
La mossa decisa dei mutanti contro i continui soprusi degli umani porta loro storici avversari come Apocalisse, Sinistro e Sebastian Shaw ad unirsi alla loro causa. Ma dietro questa mossa c'è molto di più e coinvolge la rediviva Moira MacTaggart e una letale minaccia dal futuro.
Anche l'uomo più paziente, più saggio, più comprensivo può avere un punto di rottura e, come diceva il beneamato Bud Spencer, non c'è cattivo più cattivo di un buono quando diventa cattivo.
Quindi gli X-Men, i mutanti nel loro complesso, si sono votati alla causa del male? Sono diventati come coloro che dicevano di voler combattere? No, semplicemente hanno cambiato prospettiva, che poi questo sia un bene o un male solo il tempo ce lo dirà.
Non è qualcosa di mai visto prima. Magneto ad esempio in precedenza aveva fatto sì che Genosha divenisse la patria dei mutanti riconosciuta dalle Nazioni Unite, prima che venisse distrutta dalle Sentinelle e, durante il ciclo di Grant Morrison, gli X-Men avevano già creato una propria economia e delle proprie società. Inoltre la persona che torna dal futuro per avvisare di una minaccia da sventare... be', penso di non dover dire da quale storia provenga.
Quello che è diverso dal passato è come lo sceneggiatore abbondi con delle specifiche scritte che ampliano il mondo che fuoriesce dalle pagine del fumetto e contribuiscono a fare maggiore luce sul contesto che lo circonda. È davvero come se assistessimo alla nascita di una nazione, per citare quel famoso film (che a dire il vero della parola tolleranza non faceva la sua bandiera).
Non sono gli X-Men che conoscevamo prima? Be', per certi versi questo è vero. Giunge prima o poi nella vita per tutti noi, salvo che si abbia un'esistenza da eremita, il momento in cui si dice basta. In cui tutto quello che percepiamo come malvagio o insofferente ci porta a un punto di rottura e non è detto che il nostro cambiare atteggiamento ci porti automaticamente dei benefici o degli svantaggi.
Sono le nostre scelte future che influenzano quel percorso e come il mondo reagisce ad esse. L'Universo Marvel, dunque, come reagirà a questi nuovi X-Men?

giovedì 3 agosto 2023

Prime Video Original 66: Sylvie's Love


Che la musica possa cambiare la vita di una persona è un elemento presente in molti film e a volte si riflette anche nella vita vera. Ma il genere può cambiare: abbiamo visto infatti numerosi film sul rap, sul rock, sulla musica classica...
E svariati anche sul jazz, il genere portato al successo da Charlie Parker ed esplorato ad esempio in Mo' Better Blues. E, seppur in maniera trasversale, il jazz è il genere musicale preminente in Sylvie's Love, scritto e diretto da Eugene Ashe e distribuito su Amazon Prime Video a partire dal 23 dicembre 2020.
1957: Robert Halloway (Nnamdi Asomugha), un aspirante compositore e musicista, viene assunto in un negozio di dischi di Harlem dove incontra Sylvie Parker (Tessa Thompson), la figlia del proprietario.
Tra i due scocca ben presto l'amore, nonostante lei sia già promessa ad un altro, ma le loro strade sono destinate a separarsi, poiché lui deve portare avanti altrove la sua carriera musicale.
Alcuni anni dopo i due hanno modo di rivedersi, ma entrambe le loro vite sono ormai profondamente cambiate e quella scintilla potrebbe essersi estinta.
Sì, da un certo punto di vista il film rappresenta una finestra su un mondo musicale che ormai non esiste più, dove la musica jazz era un genere riconosciuto e apprezzato ovunque e le band anche di basso profilo suonavano nei locali, sia quelli infimi che quelli più eleganti. Ma già pochi anni dopo i gusti del pubblico cambiano con l'avvento di nuove dirompenti personalità quali Stevie Wonder (espressamente citato).
Tuttavia, la musica rappresenta anche un pretesto per raccontare una fiaba, una fiaba d'amore metropolitana che si dipana lungo un arco di tempo di alcuni anni e dove troviamo versioni moderne sia della "dolce fanciulla" che del "principe azzurro".
Tale atmosfera fiabesca su due amanti uniti dal destino, che vuole narrare una storia con un finale ben predeterminato, prevale infine su tutto il resto e crea una sorta di mondo utopico, tanto che nel film - ambientato in un delicatissimo periodo della storia americana - albini e afroamericani interagiscono e collaborano senza problemi e vediamo afroamericani occupare posizioni importanti nel mondo del lavoro.
Giusto perché sarebbe stato forse un po' eccessivo non trattare questa tematica, le tensioni sociali vengono accennate un paio di volte: curioso comunque che si citi la marcia su Washington per il lavoro e la libertà dell'agosto 1963, poiché in questo film il sogno di Martin Luther King appare quasi pienamente realizzato.
E credo che il motivo sia da ricercare nel fatto che non si voleva appesantire la narrazione con temi che avrebbero reso più cupa l'atmosfera di fondo, che rimane appunto quella fiabesca. Un'atmosfera dove il vero amore può concretizzarsi e la felicità conquistata con forza di volontà e il merito.
Un sogno, appunto.