giovedì 30 dicembre 2021

Prime Video Original 3: Sempre Amici


Sapete come si comportano a volte certi produttori e cineasti americani. Vedono un film francese (tranquilli, a volte anche una pellicola italiana), lo apprezzano e decidono di punto in bianco di farne un adattamento... ma traslandolo nella loro cultura - abbastanza diversa da quella francofona - e per il loro pubblico di riferimento.
Gli esempi sono tanti, ma qui mi limito a citare solo Tre Scapoli e un Bebè (3 Men and a Baby), remake americanissimo del film francesissimo Tre Uomini e una Culla.
Nel 2011 esce il film Quasi Amici (Intouchables), con Omay Sy e Francois Cluzet, basato sulla storia vera riguardante l'amicizia tra Philippe Pozzo di Borgo e Abdel Yasmin Sellou, assolutamente da vedere qualora fosse una vostra lacuna.
Il produttore americano in questione che si innamora di questa pellicola è Harvey Weinstein, il quale tramite la sua compagnia ne produce nel 2017 un remake, Sempre Amici (The Upside), diretto da Neil Burger e scritto da Jon Hartmere basandosi sullo script originario di Olivier Nakache ed Éric Toledano.
Dopo qualche apparizione in un paio di festival cinematografici, il film scompare dai radar a causa delle accuse per molestie sessuali contro Harvey Weinstein e, dopo una rapida incursione in alcuni cinema americani e canadesi, viene distribuito su Prime Video il 18 aprile 2019.
Chi ha visto Quasi Amici già conoscerà la trama. L'ex detenuto Dell Scott (Kevin Hart), per non perdere la libertà vigilata, accetta un lavoro come badante e assistente personale del milionario Philip Lacasse (Bryan Cranston), rimasto paralizzato dalla vita in giù a seguito di un incidente col deltaplano, nonostante le obiezioni della sua segretaria Yvonne Pendleton (Nicole Kidman).
Col tempo, Dell e Philip stringono un forte rapporto di amicizia, che li riavvicinerà e aiuterà in maniera vicendevole anche quando Dell smetterà di fare da badante a Philip per cercare una propria strada personale.
Rimane sempre strano vedere un film che hai già ammirato in una precedente incarnazione, se così la possiamo definire, e ritrovare scene che sai già come si svolgeranno, scene che a volte riprendono anche le stesse inquadrature del prodotto originario.
Al tempo stesso, però, qualcosa viene cambiato. Delle caratterizzazioni leggermente differenti, qualche scena che viene modificata o che non viene presentata. Più in generale l'atmosfera.
Quel fatalismo, quel retrogusto amaro presente nel film francese - che comunque ha un lieto fine - nel remake americano viene di molto smorzato, poiché si vuole rappresentata la società americana in maniera diversa.
Ecco dunque Dell e Philip divenire due insoliti eroi che trovano un riscatto dall'amaro destino che li aveva messi con le spalle al muro e una nuova strada da seguire. Il remake americano vuole a tutti i costi portarci a provare empatia per loro, mentre il film francese si concentra di più sul rapporto tra i due uomini.
Kevin Hart e Bryan Cranston fanno in ogni caso un buon lavoro, poiché a mio parere non cercano di ricreare le interpretazioni di Omar Sy e Francois Cluzet, ma utilizzano il loro mestiere per portare sullo schermo due personaggi che - pur basati sulle controparti francesi - risultano avere una vita propria e una personalità indipendente.
Anche in questo caso, comunque, la Francia ha prevalso.

martedì 28 dicembre 2021

Fabolous Stack of Comics: Savage Dragon - Una Forza con cui Fare i Conti


Dopo il Battesimo del FuocoSavage Dragon, il personaggio ideato da Erik Larsen, si guadagna nel 1993 la sua serie regolare. Tale serie, pubblicata ancora oggi, è la seconda più longeva della Image (la prima, inarrivabile, è Spawn). Il primo story-arc di sei numeri si intitola Una Forza con cui Fare i Conti (A Force To Be Reckoned With).
Dalla conclusione della miniserie sono passati circa due mesi. Dragon continua a portare giustizia a Chicago contro i più originali e folli supercriminali, ma l'essere da solo non lo aiuta.
Tutto ciò cambia con l'arrivo sulla scena di altri superesseri, i quali vengono arruolati dalla polizia di Chicago per costituire un reparto speciale chiamato Freak Force. Al contempo, Dragon viene coinvolto su altri fronti che riguardano l'omicidio di una ragazza con cui aveva stretto una relazione e una donna che dichiara di conoscerlo... poiché è suo figlio!
I primi numeri della testata raccolgono ciò che era stato seminato nel corso della miniserie, gettando nuovi semi narrativi pronti a crescere. Se pur la "formula vincente" (botte micidiali) rimane preminente, Larsen - consapevole di aver più spazio a sua disposizione - inserisce qualche momento di pausa e approfondimento in più. Certo, non immaginatevi chissà che per un titolo figlio di una certa corrente fumettistica di allora.
In primo luogo l'autore amplia il parco di personaggi che ruotano attorno al protagonista, consentendogli così di avere molte più interazioni rispetto a prima. A partire dai componenti della Freak Force... alcuni dei quali tanto freak non sembrano.
Non so se come sorta di ironia verso un certo tipo di fumetto supereroistico o per imprinting acquisito, ma ogni supereroina è in body, ha forme giunoniche e talvolta viene inquadrata dal lato B (pure una minorenne... oops), cosa che ben presto risulta scontata.
Tuttavia non c'è tempo per approfondire i legami con questi nuovi eroi perché, si sa, Savage Dragon deve essere l'eroe solitario ed ecco dunque la Freak Force - per un motivo narrativo banale - allontanarsi per divenire protagonista di uno spin-off. Che non ho, peccato.
Curiosa invece l'apparizione come guest-star delle Tartarughe Ninja, che si spiega col fatto che Erik Larsen ne è un grande appassionato e a quell'epoca i diritti erano in mano alla Image.
Infine, cominciano a essere sviluppate le prime sottotrame a potenziale lunga gittata e incentrate in questa prima fase sulle misteriose origini di Dragon e sul ricatto ai danni di Frank Darling - il poliziotto che ha ritrovato per primo l'eroe - da parte del misterioso Overlord. Qualcosa per cui vale la pena andare avanti.
Una partenza superiore rispetto alla miniserie. Non dovete aspettarvi livelli di qualità eccelsi, ma come lettura spensierata va più che bene.

domenica 26 dicembre 2021

Netflix Original 23: Clinical


E neanche gli psichiatri riescono ad avere un attimo di pace! Tipo la sfortunata Sigourney Weaver che, oltre agli Aliens, ha affrontato pure un serial killer in Copycat - Omicidi in Serie. Oppure Annabella Sciorra, nel misconosciuto Perversione Mortale (Whispers in the Dark).
A quanto sembra puoi essere perseguitato da un assassino solo se sei una psichiatra donna, come accade anche in Clinical, film diretto da Alistair Legrand, scritto dallo stesso Legrand e da Luke Harvis e distribuito su Netflix a partire dal 13 gennaio 2017.
La dottoressa Jane Mathis (Vinessa Shaw) viene attaccata da una sua paziente, Nora Green (India Eisley), la quale la ferisce alle braccia prima di tagliarsi la gola e finire in terapia intensiva.
Due anni dopo, mentre si avvicinano le festività natalizie, Jane Mathis si è ripresa dal trauma e torna a occuparsi di pazienti con disturbi della personalità. Il primo caso che decide di affrontare è quello che riguarda Alex (Kevin Rahm), un uomo rimasto sfigurato al volto in seguito a un incidente.
Ma l'incubo di Jane Mathis sta per tornare quando qualcuno che sembra essere la rediviva Nora Green inizia a perseguitarla. Qualcuno che cerca vendetta contro di lei.
Questo film cerca di unire il thriller, genere in cui può essere inserito, con l'horror, grazie ad alcune scene in cui avvertiamo la presenza spettrale di Nora Green, pronta a colpire. E vi è anche qualche discreto jumpscare. Tanto che in alcune occasioni, per un effetto voluto, si cerca di fare commistione tra realtà e fantasia, con la seconda che va a influenzare la prima.
Fatto notare questo particolare reso in maniera buona sullo schermo, va tuttavia detto che la trama - causa in primo luogo la sua scarsità di personaggi - risulta a un certo punto del tutto prevedibile, cosicché quando arriva il colpo di scena, a meno di non essersi distratti lungo la via, non ti colpisce più di tanto.
Inoltre non sono solito fare troppo il puntiglioso sulle piccole produzioni, ma le scene ambientate in luoghi di solito affollati come gli istituti di cura, dove si vedono solo gli attori che devono recitare in quel momento e nessun'altra persona presente, nemmeno sullo sfondo, fanno capire la dimensione ridotta in cui questa pellicola naviga.
In conclusione, un'ottima partenza, ma più si va avanti più si riconoscere di avere di fronte uno di quei thriller che hai già visto più volte in passato. Almeno in questo caso non abbiamo pagato la seduta.

venerdì 24 dicembre 2021

A scuola di cinema: Attrazione Fatale (1987)

1980: Esce sul mercato britannico il corto cinematografico Diversion, scritto e diretto da James Dearden e incentrato su un uomo felicemente sposato di nome Guy, il quale un giorno ha una relazione extraconiugale con un'altra donna incontrata a una festa qualche tempo prima.
Guy ritorna dalla sua famiglia il giorno dopo, ma la donna intende far sì che quella relazione duri ben più di una singola giornata, iniziando dunque a perseguitare Guy e i suoi cari.
Alcuni anni dopo, tale corto diviene un lungometraggio di grande successo.


James Dearden viene contattato qualche tempo dopo dai produttori Sherry Lansing e Stanley Jaffe, che hanno visto Diversion rimanendone intrigati, con la richiesta di creare da esso una sceneggiatura per un lungometraggio che lui stesso dirigerà.
Dearden espande il suo trattamento originario, ampliando le scene incentrate sulla violenza psicologica, finché la sua bozza viene passata a Nicholas Meyer, il quale effettua alcune revisioni. Meyer non viene tuttavia accreditato per questo suo lavoro, nonostante una sua esplicita richiesta in tal senso presso la Writers Guild of America.
Sherry Lansing e Stanley Jaffe cercano dunque una casa di produzione che possa approvare il progetto, ma in principio incontrano qualche difficoltà. Fino a quando Michael Douglas decide di accettare la parte del protagonista maschile, Dan Gallagher. Chiede, tuttavia, che al progetto sia assegnato un regista con maggiore esperienza rispetto a James Dearden.
Dopo un primo rifiuto di John Carpenter, tale regista viene individuato in Brian De Palma, cosa che convince la Paramount a dare il via libera alla produzione. De Palma, però, non è convinto della scelta di Michael Douglas come attore protagonista e chiede che venga sostituito. Sherry Lansing e Stanley Jaffe non lo accontentano, poiché vogliono anche contare sull'esperienza dell'attore come produttore cinematografico, e così De Palma viene allontanato.
In sua sostituzione viene scelto Adrian Lyne. La Paramount, che pure si era convinta a finanziare il film con Brian De Palma come regista, non ritira il suo appoggio e consente un rinvio dell'inizio delle riprese di dieci settimane.
Per la parte della protagonista femminile, Alexandra Forrest, vengono contattate e provinate svariate attrici, ma una di loro in particolare - che ha ricevuto la sceneggiatura dal suo agente rimanendo affascinata dal personaggio - è decisa a ottenere questo ruolo: Glenn Close.
Quando il suo agente contatta la produzione per dimostrare l'interesse della sua assistita, l'offerta viene rispedita al mittente: nessuno è infatti convinto che l'attrice - ritenuta non abbastanza sensuale - sia adatta per la parte. Glenn Close però insiste, fino a ottenere un'audizione, in cui è presente anche Michael Douglas.
Quel giorno l'attrice è così nervosa, convinta che i suoi capelli siano un disastro, che prende del Valium per calmarsi. Il provino va comunque a buon fine e Glenn Close si aggiudica la parte.
Subito dopo si mette in contatto con alcuni psichiatri, sottoponendo alcuni passaggi della sceneggiatura e chiedendo loro se certi comportamenti di Alex Forrest siano possibili o veritieri. L'attrice infatti ritiene che alcune azioni, tra le quali il bollire vivo il coniglio domestico dei Gallagher, siano eccessive. Gli psichiatri le confermano di ritenere il comportamento di Alex Forrest in linea con veri casi con cui sono entrati in contatto, nei quali delle donne erano state da bambine molestate sessualmente.
Le riprese iniziano in via ufficiale il primo settembre 1986, tenendosi a New York, per concludersi il 31 ottobre di quello stesso anno.
L'epilogo originario ideato da James Dearden, e regolarmente girato, vede Alex Forrest suicidarsi, tagliandosi la gola mentre ascolta Un Bel Dì Vedremo dall'opera Madama Butterfly indossando un abito bianco e utilizzando un coltello su cui sono presenti le impronte digitali di Dan Gallagher, il quale viene accusato del suo omicidio. La moglie dell'uomo, tuttavia, scopre un nastro registrato in precedenza da Alex che scagiona suo marito, il quale viene così liberato.
Tale epilogo non incontra i favori negli screening preliminari, poiché vi è la sensazione che Alex Forrest - pur non riuscendo a vendicarsi di Dan Gallagher - non abbia ricevuto una pena adatta per ciò che ha commesso. Viene deciso dunque di girare un differente epilogo, più intenso e drammatico, la scena del confronto finale in bagno che tutti conosciamo.
Quando viene a sapere di questo, Glenn Close rimane scioccata, in quanto ritiene che così Alex Forrest passi dall'essere un personaggio tragico e autodistruttivo a una psicopatica come tante altre, rendendo così vane anche le sue ricerche su questo ruolo.
Per due settimane l'attrice ha degli incontri con la produzione e Michael Douglas, durante i quali manifesta in maniera aperta il suo dissenso rispetto a questa scelta, ma alla fine William Hurt - suo grande amico - la convince a girare la scena, dicendo che ha fatto bene a battersi per una causa giusta, ma al tempo stesso è anche corretto che torni a essere parte del gruppo di lavoro.
La scena viene girata nel luglio 1987. Nel convulso finale, Glenn Close deve essere immersa nella vasca in cui il suo personaggio annega per decine di volte, ricavandone così un'infezione a un occhio e un orecchio. L'attrice subisce inoltre un vero trauma cranico quando la sua testa va a sbattere contro uno specchio.
Portata all'ospedale, Glenn Close scopre con suo grande shock di essere incinta di alcune settimane e che in maniera inconsapevole ha messo a rischio la vita della nascitura (Annie Starke). Non c'è da stupirsi, dunque, se poi Glenn Close abbia sempre guardato a quella scena con un misto di disagio e rimpianto.
Attrazione Fatale (Fatal Attraction) viene distribuito nei cinema americani a partire dal 16 settembre 1987. A fronte di un budget di 14 milioni di dollari, la pellicola arriva infine a incassare a livello internazionale 320 milioni di dollari, risultando così il maggiore incasso per quell'annata.
La pellicola riceve anche sei nomination al Premio Oscar, tra cui quella come miglior attrice per Glenn Close, non vincendo tuttavia alcuna statuetta.
L'interpretazione di Glenn Close rimane negli annali, tanto che negli anni successivi viene più volte invitata ad alcune conferenze tenute da psicologi. L'attrice inoltre tiene per sé un oggetto di scena: il coltello presente nella cucina di Alex Forrest, composto di legno e carta. Quando gli ospiti della sua casa lo notano, capiscono che è il momento di andarsene.
Glenn Close viene inoltre più volte avvicinata da svariate persone, per la maggior parte uomini, che la ringraziano poiché a loro dire lei ha salvato il loro matrimonio.
L'attrice ritornerà a un altro ruolo enigmatico e sensuale nel film Le Relazioni Pericolose (Dangerous Liaisons)... ma questa è un'altra storia.

mercoledì 22 dicembre 2021

Fabolous Stack of Comics: La Morte degli Inumani


Si dice spesso che, quando bisogna chiudere nei fumetti un ciclo narrativo, bisogna riportare tutto grossomodo come era in principio, di modo tale da facilitare un successivo ciclo e ripartire dalle basi, così da non spaesare troppo i lettori.
Fin dai tempi di Infinity, la famiglia degli Inumani si è allargata, con l'apparire di una nuova generazione di Inumani e nuovi, incredibili poteri generati dalle Nebbie Terrigene. Ovviamente non è stato tutto semplice, anzi, a partire dallo scontro con gli X-Men, proseguendo con la scomparsa delle Nebbie Terrigene e l'incontro coi Progenitori.
Ma tutto questo è destinato a svanire. E avviene nella miniserie in cinque numeri, pubblicata nel 2018, La Morte degli Inumani (Death of the Inhumans), scritta da Donny Cates e disegnata da Ariel Olivetti.
I Kree, guidati da una nuova generazione di guerrieri e leader, lanciano l'ennesimo attacco ai danni degli Inumani, che stavolta risulta letale causando la morte di migliaia di Inumani, seguito dall'intimazione ai sopravvissuti di unirsi in maniera immediata al loro esercito.
Freccia Nera, tuttavia, dopo la morte apparente di suo fratello Maximus e Lockjaw, decide insieme ai restanti componenti della famiglia reale di ingaggiare un confronto diretto con i Kree, i quali tuttavia hanno dalla loro una nuova, potentissima arma, Vox. Che potrebbe causare la fine definitiva degli Inumani.
La storia ha un inizio molto spiazzante, voluto per causare sorpresa e sgomento nel lettore, poiché l'attacco dei Kree che decima la popolazione inumana non viene anticipato, ma è già avvenuto e noi ne vediamo solo le conseguenze. Di modo tale che ci si riesce a immedesimare in Freccia Nera e nella sua reazione (chi non vorrebbe vendicare la morte dei propri cari?).
Alcune cose non specificate, tuttavia, quali l'improvviso ritorno di Gorgon (che pur sapevamo essere sopravvissuto alla fine di Royals) e il colpo di stato sul pianeta madre dei Kree che causa la disfatta di Ronan e della Suprema Intelligenza, vengono dati troppo per scontati e magari avrebbero avuto bisogno di qualche piccola spiegazione in più.
L'obiettivo dichiarato della miniserie comunque, e non ne fa mistero, è essere una sorta di House of M per gli Inumani: ovvero eliminare, salvo poche eccezioni, tutti gli Inumani spuntati come funghi in cinque anni e e riportare l'attenzione su pochi di essi, i più riconoscibili e famosi, ovvero i componenti della Famiglia Reale (che pure alla fine dovranno contare un paio di vittime tra le loro fila).
Anche se questo appare come un chiaro mandato editoriale, Donny Cates si impegna a non renderlo troppo scontato e, pur rappresentando l'epilogo anche un nuovo punto di partenza ideale per chiunque si occuperà degli Inumani in futuro (con pochi di loro da gestire, più semplice a livello narrativo), giunge al risultato utilizzando il giusto mix di drammaticità e azione.
Non è certo il Cates più fuori dagli schemi che ha scritto le storie del Ghost Rider Cosmico, ma rimane comunque una prova più che onorevole.

lunedì 20 dicembre 2021

Netflix Original 22: Coin Heist - Colpo alla Zecca


Quanti film incentrati su rapine considerate impossibili abbiamo visto! Possiamo proprio dire che sia una sorta di sottogenere cinematografico. Da Come Rubare Un Milione di Dollari e Vivere Felici (How To Steal a Million), passando per Entrapment, fino ad arrivare ai recenti due film della saga Now You See Me, sono tanti gli esempi che si possono citare al riguardo, quelli in cui giungiamo infine a parteggiare per i ladri.
Rientra in questo particolare genere anche Coin Heist - Colpo alla Zecca (Coin Heist), scritto e diretto da Emily Hagins e distribuito su Netflix a partire dal 6 gennaio 2017. La pellicola si basa su un omonimo romanzo, pubblicato nel 2014 e scritto da Elisa Ludwig.
La vita di Jason Hodges (Alex Saxon) viene sconvolta dall'arresto di suo padre, preside della Dennington Prep School, incriminato per un ammanco di fondi di svariati milioni di dollari destinati alle attività scolastiche.
Mentre l'istituto stesso rischia di chiudere per sempre, Jason viene avvicinato dalla hacker Alice Drake (Alexis G. Zall), la quale gli propone l'ambizioso piano di stampare il denaro mancante direttamente presso uno stabilimento adiacente della zecca degli Stati Uniti, nei cui sistemi è in grado di intrufolarsi.
Per riuscire in questo piano, tuttavia, i due dovranno richiedere l'aiuto di altri due studenti: Dakota Cunningham (Sasha Pieterse), abile stratega e organizzatrice, e Benny (Jay Walker), in possesso di importanti conoscenze di natura tecnica. Ma gli imprevisti, ovviamente, sono dietro l'angolo.
Spesso nel vedere alcuni film bisogna affidarsi alla sospensione dell'incredulità, poiché se iniziassimo a questionare ogni singolo evento che notiamo, allora non si produrrebbe più alcuna pellicola. Chiaro, ovvio, che non bisogna abusare di questo.
Ecco, in questo caso direi che se ne è abusato. Ora mettendo un attimo da parte le motivazioni che spingono i quattro ragazzi a fare un colpo presso la zecca degli Stati Uniti, per almeno due dei quali risultano abbastanza labili considerato che si rischia la prigione, risulta davvero difficile che quattro studenti liceali - che non vengono nemmeno descritti come geni o persone fuori dal comune - riescano a concepire un piano così ardito senza essere scoperti.
A questo punto quello che conta è la storia, come viene narrato lo svolgimento di questo piano. E se, per esempio, nel primo Now You See Me veniva fornito tutto il background che - con un pizzico di sospensione di incredulità - rendeva accettabile il furto da parte dei maghi da palcoscenico, qui tale background è molto deficitario e la messa in scena della rapina finale, con una sicurezza dell'istituto che con trentamila lire il mio falegname la faceva meglio, manca di pathos.
Anche gli attori protagonisti, giovani e dunque con ampi margini di miglioramento, sono monoespressivi e risultano poco credibili nel mostrare le emozioni dei loro personaggi (e no, non basta piazzare una parolaccia ogni tanto per far sembrare qualcuno arrabbiato).
Quindi, se proprio volete, affidatevi ad Audrey Hepburn o al limite anche a Jesse Eisenberg: sono ladri più esperti.

sabato 18 dicembre 2021

Fabolous Stack of Comics: The Sheriff of Babylon


Tom King è uno di quegli sceneggiatori che le storie non le ha semplicemente scritte, per certi versi le ha anche vissute.
Dopo gli attacchi dell'undici settembre 2001, King decide di entrare a far parte della CIA come agente operativo sul campo e, dopo la cattura di Saddam Hussein, viene inviato in Iraq per contribuire alla crescita della nuova realtà sociopolitica di questo paese uscito dalla dittatura.
Basandosi in parte su esperienze personali, in parte su racconti di altri agenti e aggiungendo qualche pizzico di inventiva da consumato narratore, Tom King - una volta abbandonata l'Agenzia - concepisce così la maxiserie in dodici numeri The Sheriff of Babylon, disegnata da Mitch Gerads e pubblicata nel 2015 dalla DC Comics tramite l'etichetta Vertigo.
Iraq, 2004: viene ritrovato il cadavere di un soldato iracheno, Ali Al Fahar. Si scopre ben presto che costui era una recluta di Christopher Henry, un ex agente CIA che addestrava Fahar, insieme ad altri iracheni, perché divenisse parte della nuova forza di polizia irachena.
L'autopsia rivela che Fahar è stato ucciso e la risoluzione dell'omicidio passa anche dalla transizione della nazione irachena verso un nuovo periodo storico e l'abbandono del vecchio, a cui alcuni non vogliono però rinunciare.
Per scoprire l'omicida, Henry chiederà l'aiuto di una sua vecchia fiamma, Saffiya al Aqani, donna coinvolta a livello politico nella ricostruzione dell'Iraq, e Nassir, ex poliziotto un tempo al servizio di Saddam Hussein.
Si potrebbe pensare che un ex agente CIA, che scrive una storia rivolta a un pubblico americano, si concentri sul mettere in buona luce o comunque in una posizione morale accettabile i soldati americani che compaiono nella sua storia, mentre invece proietti qualche ombra sui non americani.
Non in questo caso. Tramite i tre protagonisti della maxiserie, Tom King - descrivendo i loro tormenti interiori e il loro passato che si riflette sul presente - ci offre tre storie di profonda e sofferta umanità, dove non esistono buoni o cattivi.
In tal senso l'Iraq del post-Saddam rappresenta una sorta di Purgatorio che tutti coloro che vi sono presenti devono attraversare, per arrivare a un apparentemente irraggiungibile Paradiso o precipitare in un più probabile Inferno.
Tom King consegna a tutti i personaggi una motivazione per il proprio agire, anche quelli che possono apparirci in principio sotto una luce negativa, lasciando infine a noi il giudizio sul loro operato.
Ma allo stesso tempo, lo scrittore rende onore sia a una certa parte del popolo americano (qui molti, credo, saranno in contrasto con la sua visione), scevra da pregiudizi e dettami di natura economico/politica (che vengono individuati e condannati), sia all'intero popolo iracheno, quello da lui stesso conosciuto e ammirato al tempo del suo turno di servizio in questo paese.
Poiché è sempre facile e comodo giudicare un'intera nazione o cultura da lontano, senza conoscerla in maniera diretta. E c'è chi, invece, "a casa loro" ci è andato e ha cercato di dare il suo contributo. E ha capito che in certe realtà, in certe situazioni, non possono esistere il bianco o il nero. Esistono ed esisteranno sempre, in simili contesti, molte zone di grigio.

giovedì 16 dicembre 2021

Prime Video Original 2: Chaos Walking


Ci sono film che, pur con tutte le buone intenzioni del mondo, nascono e muoiono con un pessimo tempismo.
Nel 2008 esce Il Buco nel Rumore (The Knife of Never Letting Go), il primo romanzo della serie Chaos Walking scritta da Patrick Ness, e che risulterà alla fine una trilogia.
Nel 2011, i diritti di sfruttamento cinematografico della saga vengono acquisiti dalla Lionsgate e una prima sceneggiatura è già pronta nel 2012, ma solo nel 2016 la pellicola basata sul primo libro entra effettivamente in produzione, dopo altre millemila revisioni della prima sceneggiatura.
Con un regista di tutto rispetto, Doug Liman, e due interpreti principali quali Tom Holland e Daisy Ridley che sono anche giovani star in ascesa... almeno all'epoca del loro casting... le riprese del film vengono effettuate e completate nel 2017.
La trama è ambientata nel 2257 sul pianeta Nuovo Mondo, colonizzato dagli esseri umani guidati da David Prentiss (Mads Mikkelsen), e vede protagonista Todd Hewitt (Tom Holland), un giovane ragazzo che - come tutti gli altri uomini presenti sul pianeta - proietta i suoi pensieri all'esterno, a volte sotto forma di immagini. Una condizione che è definita il Rumore.
Su Nuovo Mondo le donne non ci sono più, poiché si dice siano state annientate durante un assalto da una razza aliena nativa del pianeta.
Tutto questo cambia con l'arrivo di Viola Eade (Daisy Ridley), parte della seconda ondata della colonizzazione. La sua presenza porta alla scoperta di alcuni, terribili segreti di Nuovo Mondo e l'unico alleato che avrà al proprio fianco sarà Todd Hewitt.
La pellicola rimane nel metaforico cassetto per circa un anno e mezzo, dopodiché si decide che debbano essere effettuate alcune riprese aggiuntive. Che di per sé non sarebbe un problema, se non fosse che quelle due star un tempo in ascesa ora hanno impegni prioritari con le saghe del Marvel Cinematic Universe e di Star Wars, e vi è dunque un rinvio di alcuni mesi.
Una volta concluse tali riprese aggiuntive nella seconda metà del 2019, si programma un'uscita nelle sale cinematografiche nel 2020. Penso possiate capire perché non sia stato possibile. L'uscita viene quindi rinviata a inizio 2021. Penso possiate capire ancora perché non sia stato nuovamente possibile.
Alla fine, Chaos Walking viene programmato nei cinema nel marzo 2021, ma viene ritirato dopo circa un mese e distribuito nel mercato on-demand. Arriva in Italia su Prime Video l'otto giugno 2021.
Questa pellicola risulta davvero un'occasione sprecata, aldilà degli incassi che non sono stati eccelsi, quindi possiamo scordarci eventuali seguiti (anche se il film in sé può essere considerato un prodotto unico, magari non fate troppo caso a un paio di cose per cui non avrete mai una risposta).
Dovrebbe anche rappresentare una lezione sul non prolungare troppo la produzione di un film, ma sappiamo già che non è stato il primo caso e non sarà l'ultimo. Perché più persone mettono mano alla storia, più riprese aggiuntive vengono fatte per sistemare delle cose, più si va avanti nel tempo, più aumenta il rischio di veder annacquato il prodotto.
Un peccato, poiché l'ambientazione e l'idea di partenza non erano male, ma poi la realizzazione non è risultata all'altezza e, pur essendo il film anche apprezzabile sotto alcuni aspetti, si notano già alla prima visione alcune cose lasciate andare un po' alla deriva, piccoli particolari a cui si sarebbe dovuta prestare maggior attenzione.
Piccoli particolari che con ogni probabilità erano più grandi prima delle riprese aggiuntive, le quali hanno tentato invano di salvare il salvabile, sviluppando con ogni probabilità in maniera maggiore i personaggi di Todd e Viola (ragazzini nei libri, adolescenti in questo film grazie alle facce giovanili dei due attori), mentre i comprimari non vanno oltre una caratterizzazione di base.
Se il Rumore nei libri, che offrono molte scappatoie narrative, può essere gestito al meglio, durante la pellicola in maniera inevitabile viene ritratto più volte nella stessa maniera, dando un senso di malcelata ripetitività.
Aggiungiamo a questo il fatto che non si sia poi riusciti a trovare il periodo migliore, causa eventi pandemici, per un'adeguata uscita cinematografica ed ecco dunque l'amaro destino di vedere Chaos Walking sacrificato sull'altare e affidato al mercato on demand nel tentativo, credo proprio non riuscito, di ricercare quella gloria non conseguita al cinema.
Però, per un Nuovo Mondo che non ha sfondato sul grande schermo, esiste un Mondo Nuovo che ancora vive e prospera nei libri. Non è mai troppo tardi per scoprirlo.

martedì 14 dicembre 2021

Fabolous Stack of Comics: X-Men - Fenice


Torniamo ancora una volta nel lontano futuro, in un'era dove gli eroi sono scomparsi e Apocalisse domina il pianeta col pugno di ferro. Un futuro in cui abbiamo visto la caduta del despota per mano del giovane Nathan Summers e dei suoi genitori in Le Avventure di Ciclope e Fenice e a cui siamo ritornati per essere testimoni delle prime peripezie del giovane Cable in Askani'Son.
Storie in cui è stato fondamentale il ruolo della Confraternita Askani, di cui apprendiamo le origini nella miniserie di tre numeri X-Men: Fenice (X-Men: Phoenix), pubblicata nel 1999, scritta da John Francis Moore e disegnata da Pascal Alixe. La protagonista in questo caso non è Jean Grey, bensì la seconda persona a fregiarsi di questo nome di battaglia, Rachel Summers.
Giunta in questo lontano futuro dopo aver sottratto Capitan Bretagna al flusso temporale su Excalibur 75, Rachel Summers rimane sconvolta dal fatto che Apocalisse sia sopravvissuto e regni sul pianeta tramite suoi lacchè e generali. Uno di questi, la consigliera Diamanda Nero, ingaggia un confronto con Rachel, venendo sconfitta e cercando dunque vendetta.
Capendo di non poter abbattere la tirannia di Apocalisse da sola, Rachel Summers inizia negli anni a radunare attorno a sé alcuni alleati, che diventano i primi esponenti della Confraternita Askani, la quale risulterà decisiva molti anni dopo - portando in quest'epoca Ciclope e Jean Grey - per la sconfitta definitiva di Apocalisse.
Questa miniserie è una di quelle storie - di cui a volte si sente il bisogno e a volte no, a seconda del punto di vista del singolo lettore - che unisce certi fili narrativi rimasti in sospeso, aiutando a colmare alcuni, apparenti, vuoti.
In questo caso, oltre ad apprendere come è nata la Confraternita Askani, capiamo meglio la ragione per cui, in Le Avventure di Ciclope e Fenice, il prelato Ch'Vayre covi del risentimento verso Apocalisse e come mai in Askani'Son Blaquesmith si occupi di dirigere le azioni del giovane Nathan Summers. Di per sé, comunque, questa singola storia non aggiunge nulla rispetto a ciò che già sapevamo o avevamo ampiamente intuito.
Una cosa interessante, ma solo accennata, è come Rachel veda dei parallelismi tra questo mondo e il futuro da cui lei proviene, dove invece che gli umani sono i mutanti a essere perseguitati e cacciati. A dimostrazione che le tirannie possono avere molti volti.
Dunque possiamo definire questa storia una miniserie di completamento, senza particolari picchi narrativi o grafici, qualcosa da leggere in velocità e proprio se volete sapere tutto tutto dell'Era di Apocalisse.

domenica 12 dicembre 2021

A scuola di cinema: Mamma, Ho Perso L'Aereo (1990)

Agosto 1989: Mentre sta preparando le valigie per andare in vacanza, il regista e sceneggiatore John Hughes compila una lista di cose da non dimenticare e, scherzando tra sé e sé, pensa che farà bene a non scordarsi i suoi figli.
All'improvviso un altro pensiero lo coglie: cosa accadrebbe se suo figlio rimanesse da solo a casa? Come reagirebbe? Guidato da questi interrogativi, e certo che un bambino avrebbe paura dei ladri, Hughes smette di preparare le valigie e scrive otto pagine di note che sviluppa in un secondo momento in una sceneggiatura, la quale viene completata in appena nove giorni.
Nasce così Mamma, Ho Perso l'Aereo.


In quel periodo, John Hughes sta collaborando come produttore insieme al regista Chris Columbus sul set di National Lampoon's Christmas Vacation - Un Natale esplosivo! (National Lampoon's Christmas Vacation). Columbus, tuttavia, sta avendo un pessimo rapporto lavorativo con Chevy Chase e, nonostante abbia già girato alcune scene, decide infine di abbandonare il progetto per rilassarsi presso la dimora dei genitori di sua moglie.
John Hughes decide, tuttavia, di concedere al regista una seconda possibilità e dopo circa due settimane gli invia la sceneggiatura di Mamma, Ho Perso l'Aereo, nonché quella di un altro film, Reach The Rock.
Columbus accetta di dirigere il primo film, intrigato dalla sua atmosfera natalizia e dal suo umorismo. Aggiunge inoltre alcuni elementi alla sceneggiatura, nello specifico delle scene aggiuntive che approfondiscono il personaggio del Vecchio Marley.
Il trattamento di John Hughes viene opzionato dalla Warner Bros. Il produttore afferma che un budget sui dieci milioni di dollari dovrebbe essere più che sufficiente. Ben presto, però, si capisce che il costo lieviterà vicino ai 15 milioni di dollari.
Preoccupato che l'accordo con la Warner Bros. possa saltare, Hughes incontra in segreto alcuni esecutivi della 20th Century Fox, i quali si dichiarano disposti a finanziare la pellicola qualora la prima casa di produzione non volesse più portare avanti la cosa.
I timori di Hughes si rivelano fondati: la Warner Bros. chiede che il budget venga ridotto a tredici milioni e cinquecentomila dollari, ma viene ribattuto - tramite un dettagliato memo che delinea tutti i costi da sostenere - che questo non è possibile. La Warner Bros. ritira allora i propri finanziamenti.
John Hughes ricorre subito al piano B e il progetto viene riportato in vita dalla 20th Century Fox, disposta anche a sostenere un budget superiore alle aspettative, come infine accadrà.
Per il ruolo di Kevin McCallister, Chris Columbus effettua audizioni a oltre un centinaio di giovani attori, ma fin dal principio John Hughes gli suggerisce il nome di Macaulay Culkin, che ha già diretto nel film Io e Zio Buck (Uncle Buck). Alla fine il regista accetta il consiglio.
Per il ruolo di Harry Lime, viene considerato in prima battuta Robert De Niro, dopodiché la parte viene proposta a Jon Lovitz, che rifiuta. Il ruolo viene infine affidato a Joe Pesci, un idolo personale di Columbus, il quale rimane stupito in positivo del fatto che accetti l'incarico.
Il ruolo di Marv Merchants viene affidato a Daniel Stern, che si impegna per un periodo di sei settimane. Quando gli viene detto che saranno necessarie almeno otto settimane di presenza sul set, l'attore chiede un piccolo aumento del suo ingaggio, che gli viene negato, cosa che lo porta ad abbandonare il progetto.
In sua sostituzione viene contattato Daniel Roebuck, disposto anche a ricevere un ingaggio inferiore. Tuttavia, sia Hughes che Columbus si convincono subito che non sia la scelta più adatta e chiedono alla Fox di garantire l'aumento di salario richiesto da Stern, il quale si riappropria così della parte. Roebuck rimane per alcuni anni molto amareggiato da quest'esperienza, ritenendo di essere stato solo una pedina sacrificale per convincere la Fox a riassumere Stern.
Le riprese iniziano in via ufficiale il 14 febbraio 1990, tenendosi in Illinois (comprese le scene ambientate a Parigi). Per gli esterni della casa dei McCallister, viene selezionata un'abitazione sita nella città di Winnetka. Quando non è più possibile avere la neve naturale, si compensa utilizzando fiocchi di purè di patate.
Tra le prime scene che vengono girate ci sono quelle che riguardano il finto film di gangster Angeli con le Anime Sporche (un omaggio nel titolo a un vero film di gangster del 1938, Gli Angeli con la Faccia Sporca). L'ambientazione del passato viene ricreata, oltre a girare il tutto in bianco e nero, utilizzando arredamento e materiale vintage e impiegando attori che possano ricordare gli attori dei film di gangster di Hollywood.
Sul set, Joe Pesci tiene il più possibile le distanze da Macaulay Culkin, di modo tale che il ragazzo pensi che faccia davvero sul serio. Tanto che alla fine accade un piccolo incidente quando, dovendo Joe Pesci fingere di mordere un dito a Culkin, un morso lo dà per davvero lasciando una piccola cicatrice al giovane attore.
Joe Pesci non è convinto che il film possa avere un grande successo, a differenza di Quei Bravi Ragazzi (Goodfellas), tanto che si concede - d'intesa coi produttori e col regista - alcune interpretazioni sopra le righe. Spesso, però, si dimentica che sta lavorando a un film per famiglie, una produzione a cui non è abituato all'epoca, e ogni tanto gli scappa qualche imprecazione, al che Chris Columbus lo invita a modificare il linguaggio, almeno quando è sul set.
Joe Pesci, inoltre, non gradisce molto gli orari lavorativi, che richiedono a volte la sua presenza sul set già alle sette di mattina, quando invece prima di iniziare a lavorare preferisce fare qualche buca in un campo di golf. La sua frustrazione viene infine urlata in faccia all'aiuto regista James Giovannetti, il quale viene afferrato per il colletto. Da quel momento all'attore viene concesso di presentarsi sul set alle nove di mattina.
Sempre in materia di tempistica, per le leggi che consentono di impiegare attori bambini per uno specifico periodo temporale di cinque ore al giorno e che non sfori un certo orario, Chris Columbus e i suoi assistenti devono assicurarsi che tutte le scene ambientate di sera con Macaulay Culkin siano girate prima delle ore 22.00 e adeguarle alla tempistica massima consentita.
John Candy accetta di fare un cameo nel film, con una paga di appena 414 dollari, come gesto di cortesia verso John Hughes. Tuttavia, poiché ha solo un giorno libero da poter utilizzare in quel periodo, tutte le scene che lo coinvolgono vengono girate in un periodo di 23 ore. Buona parte delle battute e delle frasi da lui pronunciate sono frutto di improvvisazione.
Un'altra improvvisazione arriva da Macaulay Culkin, quando deve mettersi il dopobarba sulle guance e urlare. Il giovane attore ha l'idea di lasciare le sue mani sulle guance come se fossero rimaste incollate, invece di allontanarle, cosa che sorprende in maniera positiva Chris Columbus.
Vi sono ovviamente gli stuntmen Troy Brown e Leon Delaney a effettuare le acrobazie più pericolose che coinvolgono i personaggi di Harry e Marv. Se tali scene suscitano la nostra ilarità, la stessa cosa non accade a Chris Columbus.
Ogni volta, infatti, il regista trattiene il respiro temendo che, pur venendo le manovre acrobatiche effettuate in piena sicurezza (ma non essendo ancora possibile cancellare i cavi in post-produzione col computer), lo stuntman si sia davvero fatto male. Per poi tirare un sospiro di sollievo nel vedere lo stuntman rialzarsi senza problemi.
Per la scena in cui una tarantola deve camminare sulla faccia di Marv, con conseguente urlo di quest'ultimo, si pensa in un primo momento di utilizzare una replica semovente, idea che viene subito scartata. Viene dunque portata sul set una vera tarantola, di nome Barry.
Daniel Stern accetta che la tarantola faccia qualche passo su una sua mano e sulla sua testa, ma come comprensibile ha paura di possibili conseguenze in caso questa si senta attaccata e chiede se le sia stato estratto il veleno. La risposta è negativa, poiché in questo caso la tarantola morirebbe.
L'attore viene comunque rassicurato: la tarantola non possiede un apparato uditivo, l'importante è che Stern non faccia mosse improvvise che possano essere percepite dall'animale come una minaccia. Quindi l'urlo che si sente nel film è reale e non aggiunto in post-produzione, e con ogni probabilità nemmeno totale frutto di recitazione, in quanto Daniel Stern era ancora comprensibilmente spaventato.
Le riprese si concludono il 16 maggio 1990.
Mamma, Ho Perso l'Aereo (Home Alone) viene distribuito nei cinema americani a partire dal 10 novembre 1990. A fronte di un budget di 18 milioni di dollari, la pellicola arriva infine a incassare a livello internazionale oltre 476 milioni di dollari.
Un successo davvero inaspettato per questo film dal budget contenuto e che porta anche a due nomination al Premio Oscar, per la colonna sonora composta da John Williams.
Viene dunque subito messo in cantiere un sequel, cosa che non rappresenta un problema poiché John Hughes aveva già pensato a una possibile saga continuativa... ma questa è un'altra storia.

venerdì 10 dicembre 2021

Fabolous Stack of Comics: Perramus - Il Pastrano dell'Oblio


Nel 1973, Augusto Pinochet diviene dittatore del Cile, rimanendo a capo di questa nazione per oltre quindici anni.
Nel 1976, Jorge Videla diviene capo supremo dell'Argentina, detenendo questa carica fino al 1983.
In questo delicato e tormentato clima politico e sociale nel Sud America, esce un'opera che parla di queste due dittature - e più in generale delle dittature - nel modo migliore, ovvero senza parlarne affatto in maniera esplicita.
Si tratta di Perramus, opera in più parti sceneggiata da Juan Sasturain e disegnata da Alberto Breccia. Il primo capitolo, intitolato Il Pastrano dell'Oblio (El Piloto del Olvido), viene pubblicato nel 1982.
Un uomo, di cui non sapremo mai il nome, che si sta ribellando a una dittatura militare fugge per non essere ucciso dai soldati che hanno scovato il suo rifugio, ma nel fare ciò condanna a morte i suoi compagni, i quali vengono scoperti e fucilati. Pieno di rimorsi e dolore, l'uomo approda in un bar, dove una donna gli offre il dono dell'oblio.
L'uomo dimentica il suo vero nome e il suo passato e viene caricato su una nave da uomini con la faccia da teschio. Ribattezzato Perramus, dal nome della marca dell'impermeabile da lui indossato, l'uomo inizia così a vivere strane e insolite esperienze, che lo portano a conoscere personalità originali quali il meticcio Canelones e persino lo scrittore argentino Jorge Luis Borges.
Qual è il modo migliore per criticare una dittatura, metterla alla berlina senza citarla in maniera esplicita per non rischiare drammatiche conseguenze, e far arrivare il messaggio al lettore di quali tempi folli si stia vivendo? Semplice, descrivendo un mondo folle, così folle da apparire distante dalla realtà (pur non essendo così) e popolato da gente fuori dagli schemi.
Perramus è l'uomo senza memoria, senza identità, senza uno scopo: è l'uomo che vaga nelle città dominate dalle dittature senza poter dire nulla, dovendo fingere di non esistere per non perdere la vita. Poiché ogni dittatura cerca di annullare l'identità di una persona per poterla controllare.
In questo suo vagare senza meta, Perramus incontra altre persone bloccate nel loro percorso, che si ripete costante ogni giorno, poiché costoro non hanno altro, almeno in apparenza.
Tra queste persone vi è il Nemico, che combatte un conflitto da così tanto tempo da aver dimenticato la ragione per cui è scoppiato e viene celebrato ogni anno dalla nazione con cui è in guerra, che lo ringrazia per il fatto che la popolazione abbia qualcuno contro cui rivolgere il proprio odio (una metafora potentissima, ancora oggi).
Alla fine di questo vagare, tuttavia, Perramus incontra qualcuno che lo indirizza sulla retta via: Borges. Capendo di essere prigioniero di un loop che rischia di rivelarsi infinito, Perramus smette infine di fuggire e inizia a combattere, diventando così un nuovo uomo, pronto a percorrere un sentiero differente e migliore.
Sublime l'arte grafica di Alberto Breccia, con un gioco e mix di neri e grigi che rende il paesaggio che ruota attorno ai personaggi qualcosa di impalpabile, etereo, come il mondo così lontano eppur così vicino che traspare da questo primo capitolo.
I primi passi di Perramus come nuovo uomo libero sono stati compiuti, ora è tempo che quel percorso vada avanti, con altri capitoli.

mercoledì 8 dicembre 2021

Netflix Original 21: Scuola Media - Gli Anni Peggiori della Mia Vita


Credo proprio conosciate tutti Ferris Bueller, il protagonista di Una Pazza Giornata di Vacanza, film diretto da John Hughes. Ferris rappresenta in questa pellicola la libertà di vivere, la ribellione a un sistema chiuso dominato da adulti che sono vittime inconsapevoli di alcune regole da loro stessi create (rappresentati in questo caso dal Preside Edward Rooney), regole che vengono infrante da Ferris.
Un nuovo scontro studente/preside si verifica anche in Scuola Media: Gli Anni Peggiori della Mia Vita (Middle School: The Worst Years of My Life), diretto da Steve Carr, scritto da Chris Bowman, Hubbel Palmer e Kara Holden e distribuito su Netflix a partire dal 3 gennaio 2017. La pellicola è una di quelle acquisite in esclusiva dalla piattaforma dopo che essa è stata programmata nei cinema nei mesi antecedenti.
Il film, inoltre, è basato su un romanzo omonimo, primo capitolo di una saga molto più ampia, scritto da James Patterson - che ricordavo come scrittore di thriller - e Chris Tebbetts.
Dopo essere stato espulso da alcune scuole, Rafe Khatchadorian (Griffin Gluck) ha un'ultima possibilità, prima di essere inviato a un istituto militare, presso la Hills Village Middle School, ma qui si scontra subito col Preside Kenneth Dwight (Andy Daly), infatuato delle regole scolastiche da lui stesso ideate e scritte in un manuale, il quale arriva a distruggere l'album dei disegni del ragazzo.
Per non rischiare, Rafe decide di tenere un basso profilo, ma il suo amico Leo (Thomas Barbusca) lo esorta a infrangere una regola dopo l'altra del manuale senza farsi scoprire, per far comprendere agli altri studenti l'assurdità delle regole di Dwight e la sua mania di controllo.
La pellicola inizia e continua per molto tempo come una tipica commedia americana ambientata in una scuola, di quelle viste a bizzeffe negli anni scorsi, ma senza accorgercene vi è un sottotesto drammatico presente sin dal principio (e no, non è l'avere come mamma Lorelai Gilmore) e poi solo accennato.
Ma quando tale sottotesto diviene chiaro, oserei dire anche in modo imprevisto, vi è un completo ribaltamento di prospettiva nei confronti del protagonista e del mondo che gli ruota attorno. Rafe Khatchadorian, da figura comica, diviene un personaggio più complesso di quello che ci eravamo immaginati. Una persona che - a causa di un evento drammatico che ha vissuto - è rimasto bloccato nel passato e nei disegni da lui realizzati trasferisce questo suo blocco, questo desiderio impossibile di dimenticare ciò che è accaduto.
Cosicché, quando il suo albo di disegni viene distrutto, in lui infine qualcosa si sblocca e, con Leo che funge come sorta di coscienza interiore, riesce ad andare avanti, ad accettare ciò che è successo. A diventare un adulto... o almeno a iniziare un nuovo percorso con nuovi amici.
Il tutto viene reso sullo schermo in maniera discreta e potendo contare su un cast di attori, sia giovani che esperti che - seppur alcuni di loro bloccati in un personaggio stereotipato - danno il loro meglio.
Per una volta vediamo un film che non magnifica il voler tornare bambini a tutti i costi, ma riesce a costruire un accettabile equilibrio tra età giovanile ed età adulta.

lunedì 6 dicembre 2021

Fabolous Stack of Comics: Storie di Guerra - Condor


Se c'è un genere a cui possiamo associare il nome di Garth Ennis, questo è sicuramente quello bellico. Lo sceneggiatore irlandese, infatti, può vantare sul proprio curriculum numerose storie inseribili in questo particolare genere, sia associate a personaggi appartenenti a Marvel e DC Comics (soprattutto Punisher e Il Sondato Fantasma), sia racconti originali ma basati su eventi storici realmente accaduti.
Molti di questi albi appartenenti alla seconda categoria sono poi stati raccolti in vari volumi antologici intitolati Storie di Guerra (War Stories). Il primo di essi che esaminiamo si intitola Condor (Condors), one-shot disegnato da Carlos Ezquerra e pubblicato nel 2003.
La storia si svolge nel 1939, poco prima del termine della Battaglia dell'Ebro, la quale risultò decisiva per le sorti della Guerra Civile Spagnola e che sancì infine la vittoria delle forze franchiste.
Mentre la battaglia infuria, quattro soldati (lo spagnolo Juan-Miguel Martinez, il tedesco Joachim Reinert, l'inglese Billy Gardner e l'irlandese Thomas Kilpatrick) si ritrovano in una trincea abbandonata e iniziano a discutere del loro passato, delle loro ideologie e degli eventi che li hanno portati a rimanere coinvolti nel conflitto dell'Ebro. Un confronto verbale che non tarda a divenire scontro.
I protagonisti di questa storia sono quattro perdenti e la motivazione della loro sconfitta è comune. Ognuno di loro è convinto di aver agito e di stare agendo nel giusto rispetto alla ragione che li ha portati a finire in quella trincea e a rimanere coinvolti in una battaglia così imponente.
E ognuno di loro, pur raccontando delle storie in cui ci si può rispecchiare (chi in vita sua non ha commesso un errore ma era convinto della ragione del proprio agire?), non si smuove dalle proprie posizioni, anche quando vengono fatte notare loro alcune fallacie nel ragionamento.
E quindi alla fine quella che poteva essere una perfetta situazione di confronto, di crescita interiore, si rivela nulla più che un'ulteriore appendice del conflitto in corso, ma su scala minore. E ne sono tutti consapevoli, poiché uno dei protagonisti dichiara senza mezzi termini che non hanno imparato niente da ciò che è accaduto (non solo rispetto a quanto avvenuto nella trincea, ma anche in maniera più generica) e le loro vite - anche al termine della guerra - rimarranno ancora quelle di perdenti guidati da altre persone che approfittano della loro buona fede.
L'amaro epilogo, in cui apprendiamo della triste e solitaria fine di ognuno dei quattro protagonisti, non fa altro che confermare tutto questo.
Un piccolo gioiello di storie di umanità, più che di guerra, da parte di Garth Ennis.

sabato 4 dicembre 2021

Prime Video Original 1: Cosmic Sin


Avevo appena completato un altro post della serie Netflix Original, quando ho ricevuto una chiamata da Jeff Bezos che, di ritorno dallo spazio, ha esclamato:"E chi sono io, il figlio della serva?". Caro Jeff, ti chiedo scusa e provvedo subito ad aprire una nuova rubrica dedicata ai prodotti originali di Amazon Prime Video.
Come con Netflix, saranno qui inseriti i film prodotti direttamente da Prime Video, oppure acquisiti e distribuiti in esclusiva su questa piattaforma. O, per farla ancora più semplice, tutti i film nella cui immagine di presentazione vedete la scritta "Prime Exclusive" o "Prime Original".
Una piccola differenza rispetto ai lungometraggi Netflix è che non procederò in ordine cronologico, ma casuale, per variare un po'.
E cominciamo dunque - visto che abbiamo parlato di spazio - da un film distribuito negli Stati Uniti direttamente per il mercato direct-to-video e sulla piattaforma Prime Video a partire dal 14 aprile 2021. Ovvero Cosmic Sin, diretto da Edward Drake e scritto dallo stesso Drake e da Corey Large.
Siamo nel 2524, l'umanità ha colonizzato molti pianeti nei secoli scorsi fondando l'Alleanza Galattica, ma solo in quest'anno vi è il primo contatto con una specie aliena. Ovviamente ostile e capace di "infettare" gli esseri umani.
Come scopre a proprie spese la base militare guidata da Eron Ryle (Frank Grillo). A seguito di una tremenda strage, si decide di attaccare gli alieni sul proprio pianeta e per questo viene richiamato in servizio l'esperto Generale James Ford (Bruce Willis), congedato con disonore anni prima per aver causato con una bomba quantica la morte di migliaia di persone, seppur per stato di necessità.
Sembra la classica storia di fantascienza con ex eroi che devono redimersi affrontando degli alieni cattivi cattivi che urlano e chi ha paura perde punti... no, scusate, mi sono confuso. E non c'è nulla di male in questo, da qualche parte dicevano che non si batte il classico.
Poi bisogna saper rendere bene il tutto ed è qui che iniziano le dolenti note. A partire dall'ambientazione, la Terra del ventiseiesimo secolo: ma per motivi a noi ignoti è quella del ventesimo, con tanto di bar che hanno i jukebox e basi militari che sembrano magazzini abbandonati!
Nemmeno i due interpreti principali, Grillo e Willis, sembrano averne molta voglia. E quella che poteva essere comunque una buona occasione, ovvero vederli interagire, viene sprecata, poiché i due di scene significative insieme non ne hanno. Il personaggio di Frank Grillo, addirittura, quando parte la missione del grande esercito (ben sette persone) contro il nemico alieno, scompare sostanzialmente dalle scene.
Ci aggiungiamo poi qualche dialogo preso dai film di azione di qualche decennio fa (siamo sempre nel 2524) e la celebrazione delle immense forze armate americane - che ha comunque senso nel contesto di un prodotto destinato principalmente al mercato americano - e il quadro è completo.
Stavo quasi per pensare che l'attacco agli alieni (di cui non si vede il volto e infettano le persone) potesse essere una metafora del periodo pandemico, con le persone che riescono a mettere da parte le proprie divergenze e si alleano contro una minaccia comune... poi però ho visto che le riprese di questo film si sono concluse nel marzo 2020, e allora nulla da fare.
Non si potrebbe nemmeno dire che è stata un'occasione sprecata, poiché almeno prima l'occasione te la devi creare!

giovedì 2 dicembre 2021

Netflix Original 20: Barry


Barack Obama è stato il quarantaquattresimo Presidente degli Stati Uniti. Ha servito per due mandati consecutivi dal 2009 al 2017 e sarà ricordato in futuro, soprattutto, per essere stato il primo Presidente di origine afroamericana (la madre era americana, il padre keniano) ad aver ricoperto questo ruolo.
In quanto figura storica di tempi recenti, molto di sicuro deve ancora essere detto e scritto su questa comunque importante personalità. Ciò tuttavia non impedisce che possano già uscire dei film incentrati su di lui, magari anche in maniera indiretta (Zero Dark Thirty, per fare un esempio celebre).
Oppure in maniera più diretta, come nel caso di Barry, film diretto da Vikram Gandhi, sceneggiato da Adam Mansbach e distribuito su Netflix a partire dal 16 dicembre 2016.
L'anno è il 1981. Il giovane studente Barry Obama (Devon Terrell) inizia a frequentare il corso di scienze politiche presso la Columbia University di New York. Con i mesi che passano, Barry comincia a conoscere altri studenti, a giocare a basket con alcuni ragazzi del quartiere e a uscire con una ragazza di nome Charlotte Baugham (Anya Taylor-Joy).
Inoltre, Barry deve venire a patti con il suo retaggio e un padre che appare distante non solo in termini di lontananza, ma anche da un punto di vista affettivo.
Il film si basa, senza dichiararlo in maniera esplicita, sui ricordi degli anni da studente che lo stesso Obama ha descritto in un libro autobiografico pubblicato nel 1995, ben prima dunque del suo primo mandato, ovvero I Sogni di Mio Padre (Dreams from My Father).
Quella che vediamo nella pellicola è una personalità ancora inesperta di come funziona il mondo, e non solo per via della sua giovane età. Se in passato, infatti, l'ambiente in cui viveva Obama era a lui noto e confortevole, quello della grande metropoli e degli studi risulta a lui del tutto inedito e - lontano da protezioni familiari e amici a lui cari - deve imparare a viverci e conviverci.
Cosa che accade, seppur solo a livello parziale. In alcune cose, il giovane Barry trova la sua strada, come il prosieguo degli studi, in altre fallisce (il rapporto con Charlotte, personaggio non storico ma che vuol rappresentare l'incapacità o la non volontà di quel periodo di Obama di stringere un rapporto più saldo... che sarebbe giunto qualche anno più tardi), con altre infine viene a patti.
Soprattutto per quanto riguarda il rapporto con i suoi genitori. Se quello con la madre (una ritrovata Ashley Judd) rimane costante, quello col padre è quasi inesistente e viene simboleggiato da una lettera che Obama non è in grado di scrivere, poiché a livello emotivo e psicologico non è in grado di rapportarsi con una figura con cui non ha più contatti da svariati anni.
Quando, infine, trova dentro di sé la forza di andare avanti su questo è ormai troppo tardi, poiché suo padre è ormai morto in un incidente d'auto. Obama scrive comunque quella lettera e per la prima e unica volta nel film sentiamo il nome Barack. Simbologia del fatto che il ragazzo che c'era prima, l'inesperto Barry, è ora divenuto un uomo più maturo, pronto ad affrontare le avversità di altri mondi ancora a lui sconosciuti (la carriera politica, i mandati presidenziali).
Ma che imparerà presto a conoscere e padroneggiare.

martedì 30 novembre 2021

Fabolous Stack of Comics: L'Ascesa di Apocalisse


En Sabah Nur. Apocalisse. Il primo mutante della storia e anche il più letale. Creato da Louise Simonson e Jackson Guice, per qualche tempo il suo passato (e il suo futuro) sono rimasti avvolti nel mistero, fino a quando alcune storie hanno cominciato a fare luce su questo aspetto.
E quella che va più indietro nel tempo, quella che racconta le origini del personaggio, è la miniserie di quattro numeri L'Ascesa di Apocalisse (Rise of Apocalypse), pubblicata tra il 1996 e il 1997, scritta da Terry Kavanagh e James Felder e disegnata da Adam Pollina.
Antico Egitto, 5.000 anni fa: un neonato abbandonato per via della sua pigmentazione e ritenuto un mostro, viene ritrovato da un banda di predoni capeggiata da Baal, il quale intravede nel bambino un futuro grande condottiero e lo prende così sotto la sua ala protettiva, insegnandogli nel corso degli anni tecniche di combattimento e l'ideologia della sopravvivenza del più forte.
L'Egitto è dominato in quell'epoca dal faraone Rama-Tut, alias Kang il Conquistatore, che dunque sa benissimo chi sia En Sabah Nur e cosa diventerà in futuro e intende averlo al suo fianco per i suoi piani di conquista. Con la morte di Baal causata da uno dei generali di Rama-Tut, Ozymandias, tuttavia, En Sabah Nur si imbarca in un percorso di vendetta destinato a plasmarlo nella minaccia mutante dei prossimi secoli.
Questa miniserie rappresenta un tassello importante del Marvel Universe, per ovvi motivi, ma di per sé offre la figura del villain che diventa tale poiché pian piano viene privato di ogni possibile contatto con l'umanità. I genitori che lo abbandonano, la perdita del suo mentore, la sua amata che lo ripudia: tutti elementi correlati al concetto di umanità e che Apocalisse scopre di non poter possedere a causa della sua natura, del suo essere considerato un reietto.
Bravo anche Adam Pollina a rendere la transizione di En Sabah Nur, che nei primi capitoli ha un aspetto umano, ma come progredisce la storia muta fino a divenire l'Apocalisse che tutti conosciamo, a ulteriore dimostrazione di come si sia allontanato da ciò che era in principio.
La miniserie, inoltre, si ricollega in modo intelligente agli eventi di Fantastic Four 19, dove vi è la prima apparizione di Rama-Tut/Kang, raccontando dunque alcuni fatti che accadono dietro le quinte della storia concepita da Stan Lee e Jack Kirby.
Insomma, questa storia delle origini di En Sabah Nur non offrirà particolari vette narrative, ma almeno offre un quadro ampio di come questo personaggio abbia iniziato a essere la minaccia che un giorno, su X-Factor 5, avrebbe sollevato il suo pugno in aria ed esclamato:"Così giura Apocalisse!".

domenica 28 novembre 2021

Libri a Caso: Il Canotto Insanguinato


Giunge la terza indagine per il Commissario Carlo De Vincenzi. O almeno così sembra. Augusto De Angelis, l'ideatore del personaggio, nel 1936 vede pubblicati infatti ben sei romanzi che vedono protagonista De Vincenzi e, come ogni buon scrittore che si rispetti, gioca un po' con la cronologia degli eventi.
Il Canotto Insanguinato, uno di questi sei romanzi, risulta la terza storia poiché vengono citati solo i due casi precedenti, quello de Il Banchiere Assassinato e l'omicidio del senatore avvenuto in Sei Donne e un Libro.
Aldilà comunque di futili questioni di continuità narrativa, torniamo all'epoca della dittatura fascista di Benito Mussolini. Siamo nel giugno 1930 e nei pressi di Sanremo viene ritrovato un canotto tutto macchiato di rosso sangue. A bordo di quel canotto vi era una giovane donna francese di nome Paulette Garat.
Del probabile omicidio viene accusato il suo amante, il russo Ivan Kiergine, il quale viene ritrovato a Milano e portato al cospetto di De Vincenzi per l'interrogatorio. Ha inizio da questo momento un lungo e intricato gioco di menzogne e segreti nascosti, che porterà il Commissario lontano dall'amata Milano per recarsi infine anche oltre il confine italiano, pur di giungere alla risoluzione del mistero.
Come si nota subito, questo romanzo non segue la scia dei suoi predecessori, poiché l'ambientazione milanese, così caratteristica e sentita dall'autore e dal commissario stesso, viene subito abbandonata in favore di altre località.
De Vincenzi infatti si fa un giro lungo quasi mezza Europa occidentale, arrivando a toccare, oltre Sanremo, anche le città di Nizza e Strasburgo. Il tutto tra hotel a cinque stelle, casinò e imbarcazioni di lusso... mondi distanti da un uomo che vive in un piccolo appartamento, circondato solo da libri e dalle sue riflessioni. Più che un indagine da romanzo giallo, infatti, ben presto la trama prende la piega di una spy-story ante-litteram.
Eppure, De Vincenzi riesce a non farsi sopraffare dal ritrovarsi lontano da casa e in contesti a lui ignoti, riponendo tutta la sua concentrazione sul carpire le necessarie informazioni da questi ambienti e utilizzarli per arrivare a risolvere il mistero dietro l'omicidio della donna, anche se in qualche occasione è più il caso/destino - plasmato dal caos - a guidarlo.
Questo romanzo si segnala inoltre per essere uno dei pochi che getta qualche luce sul passato di De Vincenzi, che scopriamo essere originario della Val d'Ossola e aver vissuto un infanzia felice insieme a sua madre (mentre il padre non viene menzionato).
La peculiare situazione politica italiana dell'epoca si riflette in quest'opera nel fatto che, eccetto gli agenti di polizia, tutti gli altri protagonisti sono stranieri, russi e francesi in particolar modo. Augusto De Angelis, tuttavia, non cade nel facile tranello di dipingerli come inferiori agli italiani, dando a ognuno una motivazione per il proprio agire. E inoltre, se escludiamo De Vincenzi, la cui fallibilità come essere umano è a volte evidenziata, nessuno degli altri italiani presenti spicca in maniera particolare.
Storie di umanità, dunque, non storie su presunte superiorità ideologiche. L'arte vince sempre su coloro che intendono dividere e conquistare.

venerdì 26 novembre 2021

Fabolous Stack of Comics: Savage Dragon - Battesimo del Fuoco


L'anno è il 1992, i celeberrimi "fuggiaschi" della Marvel (tra cui Jim Lee, Marc Silvestri e Todd McFarlane) fondano la Image Comics, pubblicando i primi titoli di successo di questa nuova casa editrice.
Tra questi fondatori vi è anche Erik Larsen, il quale sempre nel 1992 inizia a veder pubblicato il primo titolo incentrato su una sua creazione, Savage Dragon, un riadattamento di un suo precedente personaggio ideato nel 1986.
La prima apparizione di Savage Dragon avviene nella miniserie in tre numeri Battesimo del Fuoco (Baptism of Fire), realizzata da Larsen come autore completo.
Un essere dalla pelle verde e con una pinna in testa viene ritrovato dal tenente della polizia di Chicago Frank Darling in un campo, avvolto da fiamme da cui guarisce rapidamente. Non ha memoria del suo passato o del suo nome e poco dopo, convinto da Darling, entra a far parte del corpo di polizia, poiché ormai le superminacce sono sempre più pericolose e i supereroi del passato non sono più in grado di fronteggiarle, tantomeno gli agenti.
L'essere dal nome ignoto si ribattezza Dragon e inizia a portare legge e ordine a Chicago, ma è chiaro fin da subito che ci sono persone che non vedono di buon occhio questa cosa e faranno di tutto per complicargli la vita.
Questa miniserie introduttiva è un blockbuster d'azione sfrenata sotto forma di avventura a fumetti. Ho letteralmente perso il conto di quante battaglie Savage Dragon affronti in soli tre numeri, si passa da un confronto a un altro senza sosta e in un paio di occasioni si ha il dubbio di aver saltato qualche pagina.
E proprio perché è Erik Larsen a sceneggiare, non perde l'occasione di fare un po' di satira - o umorismo spicciolo, vedete voi - sugli scontri tra i supereroi della Marvel e sulla rivitalizzazione dei personaggi ad opera di John Byrne, notoriamente suo grandissimo amico.
Con queste premesse si potrebbe pensare che in questa storia di approfondimento non ce ne sia affatto, che i vari personaggi siano manichei nei loro atteggiamenti (ci sono i buoni buoni buoni e i cattivi cattivi cattivi)... e diciamo pure che è così.
È comunque interessante far notare come Larsen faccia coincidere l'esordio di Dragon con la sparizione/ritiro dei supereroi del passato, quelli della "Silver Age", dichiarando che non sono più in grado di gestire le minacce del presente. Che può apparire come una metafora della nuova realtà editoriale della Image: i vecchi supereroi di Marvel e DC Comics rappresentano il passato, mentre gli eroi della Image sono quelli più al passo coi tempi.
E sono inseriti nello stesso tessuto sociale cittadino, a contatto con l'uomo comune, almeno nel caso di Savage Dragon, il quale non indossa un colorato costume, bensì la divisa da poliziotto. E, nell'unico momento di riflessione di questa miniserie, Dragon cita il pestaggio di Rodney King - un evento di cui molti giovani, temo, non abbiano mai sentito parlare - e di come siano proprio gli eroi comuni come gli agenti di polizia i primi a dover dare l'esempio.
Retorica spicciola, certo, ma provateci voi a contraddire un colosso verde con una pinna in testa!

mercoledì 24 novembre 2021

Netflix Original 19: Spectral


Dopo il primo, incerto tentativo con ARQ, ritorna la fantascienza su Netflix grazie a Spectral, film diretto da Nic Mathieu, scritto dallo stesso Mathieu insieme a Ian Fried e George Nolfi e distribuito a partire dal 9 dicembre 2016.
Lo scienziato Mark Clyne (James Badge Dale) viene inviato in Moldavia per assistere l'esercito americano, per conto del quale ha ideato degli occhiali speciali. Tramite uno di questi, è stato catturato un insolito evento, l'apparizione di un essere spettrale che ha ucciso un soldato.
Indagando insieme a un'agente della CIA, Fran Madison (Emily Mortimer), e a un team della Delta Force capeggiato dal maggiore Sessions (Max Martini), Clyne scopre un'incredibile verità su un conflitto che sta affliggendo la popolazione del paese e le sue vittime e che può cambiare le carte in tavola nel contesto delle armi militari.
Alla prima visione di questa pellicola, sono rimasto colpito dalla resa delle ambientazioni e degli effetti speciali, di ben altro livello se paragonati a queste prime produzioni Netflix, ma l'arcano è stato presto scoperto.
Spectral è infatti stato girato nel 2014 ed è una produzione della Legendary Pictures (quella degli ultimi film di Godzilla, per intenderci) che doveva essere in origine distribuita nei cinema dalla Universal, la quale però infine vi ha rinunciato, vendendo i diritti della pellicola a Netflix.
Con ogni probabilità sarebbero stati necessari alcuni reshoot che la Universal non voleva fare, per approfondire alcuni personaggi, che invece in questo caso rimangono fissati in caratteristiche sicure e consolidate (lo scienziato con tutte le soluzioni a portata di mano, l'esercito americano invincibile), e del loro background si apprende davvero poco.
La trama è invece fantascienza allo stato puro: prende un elemento classico della narrativa gotica, quali sono gli spettri, inserendolo in un contesto del tutto particolare come quello di un paese in una situazione post-bellica e gli affibbia una spiegazione (fanta)scientifica che apre un interessante scenario narrativo.
La premessa, dunque, per quanto ovviamente poi estremizzata per ragioni narrative e confezionata per un pubblico generalista, ha una solida base scientifica che spingerà i più curiosi a volerne sapere di più.
Nel complesso è un film che segue certe regole classiche e ritmi dei film d'azione, quindi in certi momenti intuirete esattamente cosa sta per accadere, ma questo non costituisce un difetto nel contesto generale.

lunedì 22 novembre 2021

Fabolous Stack of Comics: Doomsday Clock


Nel 1985, il DC Universe viene sconvolto alle fondamenta da Crisi Sulle Terre Infinite, che azzera questo universo narrativo facendolo ripartire da capo. Il motore di questo cambiamento e nuovo inizio è Superman.
Nel 1986, il mondo del fumetto viene sconvolto alle fondamenta da Watchmen, di Alan Moore e Dave Gibbons, che dà vita a una fase di revisionismo dei fumetti di supereroi.
Più di trent'anni dopo, questi due mondi infine si incontrano e si scontrano nella maxiserie di dodici numeri Doomsday Clock, pubblicata dal 2017 al 2019, scritta da Geoff Johns e disegnata da Gary Frank. Questa storia conclude anche il cerchio narrativo della ricostruzione del DC Universe iniziata con Universo DC: Rinascita.
Nell'universo di Watchmen è il 1992 e il piano di Adrian Veidt/Ozymandias per salvare il mondo ma tramite l'uccisione di migliaia di innocenti è stato scoperto. Mentre Ozymandias è ricercato dalle autorità, il conflitto nucleare che lui voleva impedire è ormai imminente.
Come ultima carta, Veidt si trasferisce nel DC Universe insieme a un nuovo Rorschach e a due criminali, Mimo e Marionetta, i quali hanno un collegamento col Dr. Manhattan. E l'ultima carta di Ozymandias è proprio Jon Osterman, il quale si è recato nel DC Universe rimodellandolo, e che è l'unico in grado di fermare l'attacco nucleare.
Il loro arrivo, tuttavia, non passa inosservato in un mondo che sta affrontando crisi politiche e teorie del complotto sui superesseri. Soprattutto Batman e Superman cercano di capirne di più, mentre il mondo attorno a loro rischia di crollare e svanire. Come accadde nel 1985, in un altro universo.
Se Watchmen, pur ambientato in una distopia, era anche un riflesso della situazione politica dell'epoca, con la Guerra Fredda tra Stati Uniti e Russia ormai al capolinea, ma con la presenza anche di una incertezza globale diffusa, Doomsday Clock è uno specchio della situazione sociale di trentacinque anni dopo.
In questa storia vi è ancora quest'incertezza globale, ma presente in un mondo tecnologicamente avanzato. Ecco dunque gente che, sobillata da organi di stampa faziosi o in cerca di click e politici compiacenti che agiscono dietro le quinte, viene indirizzata - alimentata da una rabbia trasmessa per canali virtuali - a compiere atti di violenza senza alcun vero scopo. Generando così la sfiducia verso coloro che compiono il loro dovere fino in fondo (medici, tutori dell'ordine rispettosi della legge che in questo caso sono i supereroi) e proteggono gli innocenti.
Ma quegli stessi sobillatori dimostrano la loro viltà e inettitudine quando situazioni di tensione presenti ma risolvibili se affrontate e comunicate con chiarezza - nel suddetto caso i superesseri al servizio del governo - vengono ingigantite fino a divenire complotti globali e inesistenti. Aumentando dunque ancor di più la sfiducia del cittadino comune che, così manipolato due volte e non avendo più un appiglio morale, giunge infine ad attaccare le cattedrali del potere ormai private del loro significato.
Giusto precisare che l'ultimo capitolo di questa storia è stato pubblicato alla fine del 2019 e, per quanto ci piacerebbe affibbiare doti divinatorie a Geoff Johns, costui ha solo percepito e trasmesso con efficacia su carta alcuni problemi della società americana già presenti verso la fine del mandato di Barack Obama e che si sono ulteriormente aggravati durante la presidenza di Donald Trump (e di cui l'attacco a Capitol Hill del 6 gennaio 2021 rappresenta l'apice di un iceberg di sterco) e in via più generale nel mondo intero durante la pandemia di COVID-19.
Ed è anche questa la bravura di uno sceneggiatore: carpire queste tematiche, affrontarle in un racconto di supereroi traslandoli per il pubblico di riferimento, nella speranza che infine certi messaggi arrivino ai lettori.
Doomsday Clock non è solo questo, però, è anche la celebrazione della storia e del mito del supereroe, a partire dal primo fra tutti, Superman. Un mito così potente e iconico da risultare capace di adattarsi alle diverse ere storiche, ma mantenendo intatta la propria essenza. Come nell'antichità i racconti di dei ed epopee mitologiche sono giunte fino a noi, altrettanto accadrà ai supereroi. Un giorno, in un futuro che speriamo essere lontano, forse i racconti su di loro spariranno, ma la loro memoria collettiva sarà sempre presente. E preservata.
Superman rappresenta dunque il supereroe per eccellenza, il modello inarrivabile, e in quanto inarrivabile colui a cui tutti si ispirano. Qualcuno che non si fa piegare dalle avversità, si rialza sempre e continua a lottare per ciò che è giusto. Si potrebbe pensare che una persona del genere sia fuori contesto nella società attuale che premia la mediocrità e la falsità. E invece una persona del genere è proprio ciò di cui c'è bisogno nel mondo di oggi e in gran quantità.
Straordinaria l'arte di Gary Frank, che si trasforma col progredire della maxiserie. In principio, quando i riflettori sono puntati più sui personaggi e il mondo di Watchmen, omaggia molto Dave Gibbons e la sua griglia a nove tavole, ma mentre la trama diviene più ampia e pone al centro il DC Universe e Superman, Gary Frank inizia ad adottare tavole di più ampio respiro, splash page anche doppie, celebrando così come solo lui sa fare il mito del supereroe.
Si è voluto nel 2011 azzerare il DC Universe col New 52, cercando di reinventare tutti i supereroi in chiave moderna, e alcune cose viste erano buone. Ma la tradizione va sempre preservata: ecco perché il recupero di situazioni e gruppi storici come la JSA e la Legione dei Supereroi diventano benefici e funzionali in questo contesto, consentendo sviluppi narrativi più ampi che vanno a vantaggio di tutti, lettori e sceneggiatori.
E avrete visto che, in tutto questo, non ho minimamente accennato al discorso se valesse la pena andare a intaccare il mito di Watchmen, da un lato perché molti altri più bravi di me lo hanno già fatto, dall'altro perché - come Alan Moore ha ricreato con efficacia i supereroi della Charlton - Johns ha ripreso quel mondo e i suoi personaggi e li ha portati avanti, concludendo l'epopea per alcuni (Ozymandias, Dr. Manhattan) e introducendo nuovi sviluppi come il secondo Rorschach. Perché sì, davvero, nulla finisce e nulla ha mai fine.
Si potrebbe chiosare con retorica (ma è davvero retorica?) che ciò che conta davvero alla fine è leggere una bella storia. Come questa.