mercoledì 23 settembre 2020

Fabolous Stack of Comics: Machine Man

Oggi è un giorno importante. Per molti di voi sarà solo un 23 settembre come tanti altri, magari non proprio come tanti, visto come si è rivelato finora questo 2020. Ma, per chi legge fumetti, questa è una data significativa. Perché è proprio oggi che Machine Man viene ritrovato.
Machine Man è una miniserie di quattro numeri pubblicata tra l'ottobre del 1984 e il gennaio del 1985, scritta da Tom De Falco, che aveva anche realizzato alcuni episodi della prima serie dedicata a Machine Man, con i layout nei primi tre numeri di Herb Trimpe e i disegni finiti, nonché i colori, di Barry Windsor-Smith.
La storia segna il ritorno sulle scene supereroistiche di questo disegnatore, dopo quasi dieci anni di assenza dalle scene. Ecco dunque come mai Trimpe dia un piccolo contributo all'inizio, prima di essere "sovrastato" da Smith nell'ultimo numero.
L'artista contribuisce anche alla sceneggiatura di quest'ultimo numero. E ci prenderà gusto in quello stesso anno, scrivendo una storia della Cosa dei Fantastici Quattro e una di Hulk, la quale rimane inedita in quanto, a suo dire, gli viene scippata da Bill Mantlo.
In quello che nel 1984 era il futuro, ma oggi è il presente e presto sarà il passato (ho già il mal di testa), una banda di ribelli nota come I Predatori ritrova Machine Man in una discarica e lo riattiva. L'eroe robotico, scomparso da svariati anni, scopre che questo nuovo mondo è dominato dalla Baintronics, la società appartenente alla sua acerrima nemica Madame Menace, alias Sunset Bain, che al suo fianco ha un'ex alleata di Machine Man, Jocasta. In questo insolito triangolo si inserisce anche il quarto incomodo, ovvero Arno Stark, l'Iron Man del 2020 (adoro il fatto che debba sottolinearlo a ogni sua apparizione, come se la gente non sapesse che anno sia).
Avete presente quando si fanno quelle battute del tipo:"Nel 2020 ci saranno le auto volanti!" e poi si mostra l'immagine di qualcosa di desolante per far vedere che il futuro non è proprio così? Ecco, Machine Man è l'esemplificazione di questo concetto: nel 1984 si immaginava ancora un futuro dove la tecnologia avrebbe compiuto certi passi e fatto progredire la società, con inevitabili storture da parte di chi quella tecnologia l'avrebbe controllata.
Tuttavia il futuro di allora, che è il nostro presente, non si è proiettato verso l'infinitamente grande, ma verso l'infinitamente piccolo. Al posto di auto volanti ci sono dispositivi minuscoli capaci di contenere una grande quantità di informazioni. E le informazioni sono la chiave del potere.
Ma se la tecnologia ha in effetti compiuto passi da gigante... con piccole cose... altrettanto non si può dire di buona parte dell'umanità, che si limita a bearsi di questa tecnologia che non ha ideato, senza valutarne i benefici e rimanendo ancorata a un modo di pensare da ventesimo secolo ormai obsoleto e per molti versi prevaricante nei confronti dei propri simili.
In confronto, i piani criminali di Madame Menace risultano attuali oggi, poiché una motivazione concreta dietro c'è, ma sfocia in atti criminali. Quella motivazione che altri gruppi di potere oggi realmente esistenti, altre multinazionali, adoperano - il controllo delle persone, indirizzandoli verso un unico modo di pensare attraverso la tecnologia - senza incappare però in un'incriminazione, nonostante essa si configuri in più di un'occasione.
Eh sì, a quanto pare è proprio svanito il tempo degli eroi anche in questo nostro 2020 e, come Machine Man, i rappresentanti di ciò che è giusto sembra possano ritirarsi solo in una propria oasi privata. Lontani dalla società moderna e dalle sue grandi imperfezioni.
Il nome di Herb Trimpe è associato ai disegni di questa miniserie, ma si fa fatica a riconoscerlo. Dire che Windsor-Smith intervenga in maniera decisa e pesante sui suoi layout sarebbe l'eufemismo del ventunesimo secolo. Tutti i volti sono ridisegnati (tranne forse quelli che esprimono ira, l'unica espressione che a Trimpe veniva bene, da qui il suo lungo ciclo di Hulk), gli sfondi sono curati al dettaglio e si fa fatica a trovare qualche differenza sostanziale tra i primi tre capitoli e il quarto, disegnato interamente da Windsor-Smith. Detto ciò, la storia rimane - come tutte le altre opere realizzate dall'artista inglese in quel decennio - un capolavoro di arte grafica, apprezzabile ancora oggi.
Le pagine finali si chiudono su una nota di ottimismo velata da una coltre di tristezza: è ciò verso cui dobbiamo proiettarci nei prossimi mesi. Non dimenticare ciò che è accaduto, ma andare verso un nuovo tramonto, che darà vita prima o poi a una rinnovata alba dell'umanità.

venerdì 11 settembre 2020

Fabolous Stack of Comics: Il Calore della Neve

 


Non è mai facile scrivere storie destinate principalmente a un pubblico di bambini o ragazzi in età pre-adolescenziale. Ci si trova in un'età in cui il meccanismo dell'identificazione è ancora molto forte e dunque l'autore ha necessità di trovare un modo per creare una storia e dei personaggi che possano catturare l'attenzione di questi lettori. La letteratura è piena di prodotti destinati a questa fascia di pubblico, che risultano tuttavia graditi anche a un pubblico più maturo (la saga di Harry Potter è forse l'esempio più recente e rilevante) e anche il fumetto, in particolar modo negli Stati Uniti, ha concepito in questi anni prodotti specifici.
Il Calore della Neve, edito del 2018 da Tunué e realizzato da Christian Galli - un'opera d'esordio in cui si occupa di tutto e di più, anche i colori e il lettering - è un fumetto italiano che si rivolge a quella categoria di lettori... ma non solo.
La storia si svolge in Norvegia ed è incentrata su quattro ragazzi, tre bambini e una bambina, che muniti di uno slittino e di grande forza di volontà devono percorrere delle distese innevate che appaiono infinite per arrivare a una metà che ci sarà chiara solo col progredire della storia. Il tutto tra piccole insidie della natura, incomprensioni, flashback e leggende perdute nel tempo.
Quello che si dipana di fronte ai nostri occhi, mentre sfogliamo le pagine, è un romanzo di formazione trasporto sotto forma di fumetto. Ognuno dei quattro protagonisti alla fine ha subito un piccolo cambiamento, una piccola evoluzione: c'è chi ha capito di voler bene a una persona, chi ha ottenuto la risposta che voleva, chi ha accettato le tragedie del suo passato. Un'evoluzione che rafforza il loro rapporto di amicizia. Un'evoluzione che non appare mai forzata, anzi, risulta ancora più funzionale nel contesto della storia e del suo progredire.
Sinceramente, non essendo più bambino da tempo, non posso dirvi con certezza se i lettori più giovani possano identificarsi nei quattro protagonisti, ma a costo di apparire presuntuoso a mio avviso la risposta è positiva. E anche molti adulti vedranno nei quattro ragazzi riflessi, squarci di un loro passato che è sempre stato alla loro portata e li ha fatti divenire ciò che sono oggi.
In quella che è la resa artistica c'è un contrasto apparente di colori tra il bianco della neve, il candore assoluto, e i colori che adornano i quattro protagonisti. Colori solari perché solari sono gli animi dei bambini, che a quell'età cercano di vedere il bene in ogni cosa nella loro candida innocenza. Quello stesso candore che si ritrova nella neve immacolata e che riscalda il cuore e l'anima. Il calore della neve, appunto

domenica 6 settembre 2020

A scuola di cinema: All'Inseguimento della Pietra Verde (1984)

Quante volte abbiamo visto questa scena, in un film o in un telefilm? Una persona che lavora in un bar o ristorante come cameriere o cameriera e sogna di sfondare nel mondo dello spettacolo a tutti i costi. Ebbene, almeno in un'occasione la realtà ha aderito a questa fantasia, anche se un lieto fine proprio non c'è stato.


1979: Una cameriera di nome Diane Thomas lavora in un ristorante di Malibu, a Los Angeles. In realtà intende entrare nel mondo del cinema come sceneggiatrice e a tale scopo l'anno prima ha concepito una storia d'avventura e amore incentrata su una scrittrice di romanzi e un cacciatore di tesori e si è trasferita dal Michigan per perseguire questo obiettivo.
Grazie a una sua amica, che lavora come agente, il copione inizia a essere portato all'attenzione di alcuni produttori e tra questi vi è Michael Douglas. Costui all'epoca ha già alcune esperienze d'attore, più che altro in televisione, ma è già un rinomato produttore. Quando viene a conoscenza della sceneggiatura di Diane Thomas, l'acquista per 250.000 dollari: una somma alta per l'epoca, soprattutto se si considera che la sceneggiatrice non ha alcuna esperienza pregressa, ma Douglas ritiene che un lavoro fatto bene debba essere pagato al giusto prezzo.
Nei due anni successivi, Douglas prova a far mettere in produzione la sceneggiatura, ma nessuno si dimostra particolarmente interessato. Fino a quando, nel 1981, esce I Predatori dell'Arca Perduta (Raiders of the Lost Ark) di Steven Spielberg. Cercando un prodotto su cui si possa capitalizzare a seguito del successo di questa pellicola, la 20th Century Fox - tramite l'intercessione della presidentessa Sherry Lansing - acquisisce i diritti sulla sceneggiatura di Diane Thomas e la mette in pre-produzione.
Per il ruolo del protagonista, Jack Colton, vengono contattati diversi attori, tra cui Christopher Reeve, Clint Eastwood e Jack Nicholson, ma senza risultato. Sembra a un certo punto che la parte sia appannaggio di Sylvester Stallone, ma costui deve infine rifiutare, in quanto è impegnato con le riprese di Nick lo Scatenato (Rhinestone), qualcosa di cui poi avrà modo di pentirsi. Michael Douglas, infine, oltre che produttore accetta questo incarico.
Anche per il ruolo della protagonista, Joan Wilder, vengono contattate alcune attrici, con una preferenza iniziale verso Debra Winger. Tra queste vi è anche Kathleen Turner, che dopo il suo esordio cinematografico in Brivido Caldo (Body Heat) sta cercando ruoli più sopra le righe per evitare di essere associata alla figura della femme fatale, e che alla fine si aggiudica la parte.
Per il ruolo di Ralph, l'elemento comico, dopo il rifiuto di Bob Hoskins, Douglas si ricorda di un attore con cui aveva condiviso alcuni anni prima un appartamento a New York, quando entrambi erano ancora sconosciuti al grande pubblico, Danny DeVito. Costui, a quel tempo più presente in televisione o in ruoli secondari in altre produzioni cinematografiche, accetta la parte che contribuisce a lanciare la sua carriera.
Douglas, nel suo ruolo di produttore, decide di affidare la regia della pellicola a Robert Zemeckis, di cui ha apprezzato La Fantastica Sfida (Used Cars), imponendo questa scelta alla 20th Century Fox, visto che all'epoca il regista ha diretto appena due pellicole.
Nonostante Sherry Lansing non sia più alla Fox, il progetto va avanti. Le riprese iniziano in via ufficiale l'undici luglio 1983. Si prevede in un primo momento di girare in Colombia, dove nella finzione la storia si svolge, solo che in quell'anno si sono verificati numerosi casi di rapimento a danno di cittadini statunitensi e si decide dunque di recarsi in Messico per evitare problemi.
Ma i problemi non tardano comunque ad arrivare. Pur essendo estate, nella regione dove si effettuano le riprese è stagione delle piogge e le pessime condizioni meteorologiche, tralasciando il fastidio alle persone, rischiano di causare seri danni alle attrezzature. O peggio, poiché a un certo punto una pioggia provoca la frana di una piccola collinetta e la valanga di fango che ne consegue investe Kathleen Turner, la quale ne ricava delle abrasioni.
All'altro protagonista non va meglio. In un'epoca ancora senza CGI ed effetti speciali al computer, le scene d'azione andavano fatte sul posto. Una di queste coinvolge un alligatore che ha ingoiato la pietra verde del titolo. Per quanto "ammaestrato" e con la bocca chiusa tramite una museruola - sì, a quel tempo c'erano meno controlli di oggi. Douglas gli afferra la coda e per tutta risposta l'alligatore gli sferra due potenti colpi di coda in faccia, prima di fuggire.
Quando viene ritrovato, l'alligatore è riuscito in qualche modo a liberarsi della museruola e morde la mano di uno dei due addestratori trascinandolo sott'acqua. L'altro addestratore, fratello della sfortunata persona, si tuffa e riesce a far aprire la bocca all'alligatore, liberando suo fratello. L'uomo viene portato subito in ospedale: pur avendo perso molto sangue e avendo subito una brutta ferita, la mano è salva, grazie al Rolex che porta al polso e che ha impedito all'alligatore di affondare i suoi denti nella carne. L'orologio nella colluttazione è stato perso, ma viene poco dopo ritrovato e riconsegnato al legittimo e miracolato proprietario.
Pur con tutte queste traversie, e alcune incomprensioni sul set tra Kathleen Turner e Robert Zemeckis, le riprese si concludono il 25 ottobre 1983.
Un primo montaggio non incontra i favori della Fox, cosicché Zemeckis effettua alcune riprese aggiuntive a New York incentrate sul personaggio di Joan Wilder, che costituiscono in buona parte l'inizio della pellicola. Nonostante ciò, ci si convince che il film sarà un flop. Voci su una presunta inaffidabilità di Zemeckis si diffondono negli ambienti della Fox, portando i produttori di un film in fase di pre-produzione, Cocoon, a non offrirgli più la regia di questa pellicola, come era nelle loro intenzioni iniziali, tanto che Zemeckis stava già lavorando al suo sviluppo.
All'Inseguimento della Pietra Verde (Romancing the Stone) viene distribuito nei cinema americani a partire dal 30 marzo 1984. A fronte di un budget di 10 milioni di dollari, la pellicola arriva infine a incassare a livello internazionale circa 115 milioni di dollari.
A seguito di questo insperato successo, i produttori di Cocoon ricontattano subito Zemeckis, ma ormai è troppo tardi: il regista, forte di quest'ottimo risultato, riprende in mano e porta a compimento un suo vecchio progetto che non è ancora riuscito a concretizzare, Ritorno Al Futuro. Al contempo, la Fox sta già pensando a un sequel della pellicola.
Per quanto riguarda Diane Thomas, ovviamente, non lavora più come cameriera, ora che è riuscita a concretizzare il suo sogno. Purtroppo la tragedia è in agguato. Ma questa... è un'altra storia.

venerdì 4 settembre 2020

Fabolous Stack of Comics: Multiversity

Il Multiverso è parte integrante di molti universi letterari, e ancor di più delle storie di supereroi. Sia Marvel che DC Comics possono vantare un proprio, complicato eppure no, Multiverso che - non importa quanto esso venga riconfigurato, stravolto o addirittura distrutto - prima o poi ricompare.
Il concetto di Multiverso in DC Comics è stato introdotto e analizzato in origine da Gardner Fox, sulle testate Flash e Justice League of America, per poi essere espanso da numerosi altri sceneggiatori in decine di altri titoli, a volte anche a loro insaputa.
La DC Comics ha provato a eliminare il Multiverso, più di una volta, ma non c'è stato verso: è un concetto narrativo così interessante che non lo si può mettere da parte come uno di quei souvenir che non ci ricordiamo di aver acquistato e ammirato per molto tempo.
Il Multiverso riceve dunque la giusta e doverosa celebrazione in The Multiversity, miniserie di due numeri - intervallata tra un numero e l'altro da sette one-shot - pubblicata tra il 2014 e il 2015 e sceneggiata da Grant Morrison. La miniserie principale è realizzata da Ivan Reis, mentre i one-shot sono disegnati da collaboratori abituali di Morrison quali Frank Quitely, Cameron Stewart, Doug Mahnke e Chris Sprouse e una guest-star d'eccezione quale Jim Lee.
Il Multiverso DC Comics e le sue 52 Terre subiscono l'insolito attacco della Cerchia, una congrega di entità oscure che, tramite un fumetto maledetto presente in ogni dimensione, riesce a corrompere i vari mondi in cui estende la sua nefasta influenza. Il Supergiudice Nix Uotan, sopravvissuto alla Crisi Finale, ne viene corrotto a sua volta e la salvezza del Multiverso è dunque nelle mani di uno sparuto manipolo di eroi provenienti dalle terre più disparate... c'è persino Captain Carrot!
Il Multiverso è uno dei più classici concetti della Silver Age e, come è noto, Morrison adora quelle atmosfere, omaggiandole in questa miniserie a modo suo e riempiendole dei suoi contenuti esoterici ed "esistenzialisti", se così li possiamo definire. In questo caso la Cerchia, che col suo fumetto corrotto corrompe anche interi mondi, altro non è che un'allegoria di un certo panorama fumettistico odierno, dominato dal pressapochismo e dall'arretratezza di pensiero.
Quel pressapochismo e quell'arretratezza per cui magari alcuni hanno smesso di leggere del tutto fumetti. Dove ci sono lettori che affermano di amare le storie degli X-Men e di Superman, per poi lanciarsi in strali e insulti contro le persone più sfortunate, solo perché non hanno altro che il loro odio. Dove esiste una pletora di gente che commenta un fumetto, letto di fretta, e che per loro fa schifo a prescindere, perché magari è scritto da un autore che a loro non piace, oppure l'artista ha realizzato un costume di un supereroe più lungo di dieci centimetri.
Dove dibattiti anche interessanti sul fumetto, su strumenti tecnologici che dovrebbero rappresentare una conquista del dialogo pacifico tra persone, vengono presto inquinati da coloro che non sanno esprimere un pensiero senza storpiarlo in una lingua incomprensibile ai più o rendendolo a loro avviso una verità oggettiva che non può essere in alcun modo contestata.
Dove le storie sembrano contare sempre di meno, a discapito del parlare delle storie, anche e soprattutto se non le si è capite, da parte di chi fa fatica a gestire la punteggiatura e i tempi verbali, ma è sicuro di poter insegnare ad autori affermati come si scrive un fumetto o si caratterizza un personaggio.
Ecco, la Cerchia è questo, è l'ignoranza che crede di poter contare qualcosa e cerca di insinuarsi nelle pieghe della società tramite uno strumento di meraviglia quale è il fumetto. Per Grant Morrison occorre riappropriarsi al più presto di quel sense of wonder che, se continuerà a essere schiacciato e prevaricato da questi elementi negativi, rischia di far sparire il Multiverso... e stavolta per sempre.
Sembra strano, in un'epoca dove la conoscenza è davvero alla portata di tutti, dover dire di guardarsi dall'ignoranza e dai mali che essa porta. Eppure è così. Tramite i valori positivi che il fumetto ci offre, estendiamo quella positività al mondo che ci circonda, annullando la negatività. Oppure dando alla negatività la considerazione che essa merita: nessuna.