1974: Dario Argento ha concluso da tempo le riprese del film Le Cinque Giornate, uscito l'anno precedente. Una pellicola di ambientazione storica di cui è stato praticamente costretto, per motivi di produzione, ad assumere la regia, allontanandosi in via temporanea da quel genere thriller/horror che ha caratterizzato i suoi fortunati esordi.
Il film incassa in maniera discreta, ma non ottiene il successo sperato e, a peggiorare le cose, il regista in quell'anno divorzia dalla sua seconda moglie, Marilù Tolo. Eppure - e forse non dovremmo stupircene troppo - è proprio da questo momento di difficoltà che il regista trova la forza di andare avanti e ideare il suo progetto più celebre.
Un progetto la cui origine risale a qualche anno prima, all'epoca in cui Dario Argento sta scrivendo la sceneggiatura di quello che sarà il terzo film da lui diretto, Quattro Mosche di Velluto Grigio, e si immagina la scena di una medium che capta i pensieri di un assassino. Scena che tuttavia non viene infine inserita.
Tale idea rimane nella mente di Argento che, alcuni anni dopo, per dimenticare il suo matrimonio andato in pezzi, circondato dalla solitudine generata da una sua abitazione di campagna a Roma, la usa come punto di partenza per la sceneggiatura di un nuovo film.
Scrive un primo trattamento in poche settimane, e con tempo limitato poiché quando cala la sera non vi è alcun tipo di illuminazione nella casa di campagna. Solo il titolo rimane fuori, non riesce a trovarne uno adatto.
Tuttavia, il regista non è ancora del tutto soddisfatto, sente che manca qualcosa. Qualcosa che lui da solo non è in grado di apportare. Contatta allora lo sceneggiatore Bernardino Zapponi, tra i preferiti di Federico Fellini, che oltre a operare col regista sulla revisione del copione dà alcuni consigli, come legare gli omicidi a una dimensione domestica e sfruttando oggetti di uso comune, di modo tale che chiunque possa identificarsi, e di associare i momenti di maggiore paura a una nenia infantile, come metafora delle paure ancestrali che si trascinano per una vita intera.
Il regista sottopone la sceneggiatura all'attenzione di suo padre e suo fratello, che la dovranno produrre. Costoro la reputano strana e straniante, nonché troppo lunga, essendo di 500 pagine, il che comporterebbe una durata del film di oltre tre ore. Argento la riduce dunque a circa 320, ma mantenendone lo spirito originario contro il parere dei suoi familiari.
Tuttavia, il regista non è ancora del tutto soddisfatto, sente che manca qualcosa. Qualcosa che lui da solo non è in grado di apportare. Contatta allora lo sceneggiatore Bernardino Zapponi, tra i preferiti di Federico Fellini, che oltre a operare col regista sulla revisione del copione dà alcuni consigli, come legare gli omicidi a una dimensione domestica e sfruttando oggetti di uso comune, di modo tale che chiunque possa identificarsi, e di associare i momenti di maggiore paura a una nenia infantile, come metafora delle paure ancestrali che si trascinano per una vita intera.
Il regista sottopone la sceneggiatura all'attenzione di suo padre e suo fratello, che la dovranno produrre. Costoro la reputano strana e straniante, nonché troppo lunga, essendo di 500 pagine, il che comporterebbe una durata del film di oltre tre ore. Argento la riduce dunque a circa 320, ma mantenendone lo spirito originario contro il parere dei suoi familiari.
A quest'ultima stesura viene dato il titolo provvisorio di Chipsiomega. Per ingannare i giornalisti, invece, Argento dice che il film si intitolerà La Tigre dai Denti a Sciabola, continuando così il solco della cosiddetta Trilogia degli Animali.
In questo nuovo trattamento, il protagonista si chiama Frank D'Amico. Per ricoprire questo ruolo, Argento pensa subito a David Hemmings, in una sorta di insolito omaggio a Blow Up di Michelangelo Antonioni. Quando lo incontra la prima volta, l'attore si presenta in sovrappeso, ma dichiara che per l'inizio delle riprese tornerà in forma. Cosa che accade,
Per il ruolo di Carlo, la prima scelta ricade su Lino Capolicchio, il quale però rimane coinvolto in un incidente stradale ed è costretto suo malgrado a non poter prendere parte al progetto. Viene selezionato dunque Gabriele Lavia. L'attore all'epoca è impegnato anche sul set dello sceneggiato Marco Visconti, le cui riprese realizza di giorno, recandosi la sera invece presso il set del film di Dario Argento.
Per il ruolo della madre di Carlo, il regista vuole che a interpretarlo sia un'attrice un tempo famosa, ma assente dalle scene da svariati anni. Dopo alcune valutazioni, la scelta ricade su Clara Calamai, che, salvo essere apparsa alcuni anni prima in un episodio diretto da Luchino Visconti di un film in più parti, non compare in un lungometraggio da circa quindici anni. Il film di Dario Argento è l'ultimo da lei interpretato, anche se avrebbe potuto comparire in altre pellicole. Solo che le viene offerto sempre il ruolo dell'assassina e non intende rimanere bloccata in questo cliché.
Per il ruolo della giornalista Gianna Brezzi, Zapponi suggerisce ad Argento di provinare Daria Nicolodi, una giovane attrice con già qualche film e sceneggiato alle spalle. Il regista accetta il consiglio e non avrà di che pentirsene.
Una revisione finale della sceneggiatura cambia il nome del protagonista in Marc Daly e ottiene infine un titolo, concepito da Argento mentre sta guidando: Profondo Rosso. Ai produttori della Cineriz tuttavia non piace e suggeriscono Rosso Profondo, ma il regista è irremovibile su questo punto.
Le riprese iniziano in via ufficiale il 9 settembre 1974, dividendosi tra Roma, Perugia e Torino. Dovendo trovare una villa per alcune scene, si opta per Villa Scott a Torino. All'epoca è un collegio gestito da delle suore e, per far sì che loro e le studentesse non disturbino le riprese, Argento offre loro una vacanza di alcune settimane a Rimini.
Quando l'assassino è presente nella scena, le sue mani sono quelle di Dario Argento in persona. Il regista opta per questa scelta più che altro per velocizzare la lavorazione e non dover spiegare e insegnare a un altro attore come muoversi.
Le riprese si concludono il 19 dicembre 1974.
Quando l'assassino è presente nella scena, le sue mani sono quelle di Dario Argento in persona. Il regista opta per questa scelta più che altro per velocizzare la lavorazione e non dover spiegare e insegnare a un altro attore come muoversi.
Le riprese si concludono il 19 dicembre 1974.
Per la colonna sonora, sempre seguendo il solco dell'omaggio ad Antonioni, Argento contatta in prima battuta i Pink Floyd, ma costoro rifiutano, in quanto impegnati nella realizzazione del disco Wish You Were Here. Viene contattato dunque Giorgio Gaslini, il quale aveva già collaborato alla partitura musicale de Le Cinque Giornate, ma incomprensioni sorte tra lui e il regista lo portano ad abbandonare quasi subito il progetto.
Per integrare quanto realizzato da Gaslini, dunque, Argento si rivolge al produttore Carlo Bixio, il quale a sua volta gli suggerisce una band allora sconosciuta, i Goblin di Claudio Simonetti. Dopo aver ascoltato alcune loro canzoni, Argento propone loro di completare la colonna sonora.
Profondo Rosso viene programmato nei cinema italiani a partire dal 7 marzo 1975, arrivando infine a incassare sul territorio italiano oltre 3 miliardi e 700 mila lire, e questo non contando gli introiti esteri, visto che la pellicola viene poi distribuita in vari paesi.
E c'è un insolito risvolto personale per Dario Argento. Sul set si innamora di Daria Nicolodi e insieme a lei inizia una nuova relazione, dimenticando così Marilù Tolo. Nello stesso anno d'uscita di Profondo Rosso, il 1975, i due hanno la loro prima figlia, Asia, la quale alcuni anni dopo inizierà a girare dei film insieme al padre.
Ma questa... è un'altra storia.
Verissimo, conoscevo anche io la genesi di Profondo Rosso (Rosso Profondo non si può sentire, è da pazzi averlo proposto/imposto, per fortuna senza ottenere niente).
RispondiEliminaSo dell'incidente automobilistico e del copione imbrattato di sangue.
Bella l'idea "casalinga", che poi è tutto ciò che funziona. Si passa infatti dal mondo parapsicologico, quasi freddo ed estraneo (peraltro in una Torino -mai nominata- molto fredda, con tanto di bar alla Hopper) fino poi a case, ville, campagne... tutto in un mondo molto più provinciale.
Moz-
Una città che appare come una dimensione alternativa esoterica, pervasa da raggi di follia.
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