domenica 30 maggio 2021

A scuola di cinema: Ricomincio da Tre (1981)

1977: Il trio comico La Smorfia, composto da Massimo Troisi, Lello Arena ed Enzo Decaro, esordisce su alcuni palcoscenici teatrali di Napoli, ottenendo fin da subito un immediato successo grazie ai loro fenomenali sketch comici incentrati sui problemi di Napoli e non solo.
Il gruppo era nato grazie alla forte amicizia che legava Troisi e Arena, i quali poco tempo prima hanno avuto il loro debutto insieme ad altri loro amici esibendosi in piccoli teatri, prima che l'arrivo di Decaro porti il trio a una sorta di stabilità, facendo sì che dopo i successi nella città partenopea riesca a ottenere ingaggi anche a Roma.
Quello che cattura di più l'attenzione, e non solo per motivi di mero apprezzamento artistico, è lo sketch dell'Annunciazione, a causa del quale il trio comico subisce addirittura un'accusa di vilipendio alla religione di stato, mai arrivata tuttavia in tribunale.
Notati da alcuni talent scout mentre sono impegnati nella loro tournee a Roma, i tre comici esordiscono poco tempo dopo in televisione, partecipando dapprima al programma Non Stop e successivamente a Luna Park, comparendovi fino all'inizio del 1980. Il successo viene bissato e, grazie alla potenza del mezzo televisivo, raggiunge un pubblico molto più ampio rispetto a quello teatrale.
Tuttavia, all'inizio degli anni '80 del ventesimo secolo il gruppo comico - per le inevitabili divergenze artistiche e il desiderio da parte di Massimo Troisi di proseguire con una carriera solista - si scioglie. Troisi inizia dunque a scrivere monologhi teatrali con cui cerca di portare avanti un percorso artistico personale.
La grande popolarità che ha acquisito partecipando a show televisivi di successo lo porta anche a essere contattato da alcuni produttori cinematografici, ma i copioni che gli vengono offerti non lo entusiasmano affatto. Ma proprio quando sembra che per l'attore la via inevitabile da perseguire sia verso il teatro, ecco che arriva la svolta.


Dopo una paziente opera di persuasione, e l'iniziale rifiuto da parte di Troisi di essere il protagonista di un film diretto da Luigi Magni, i produttori Fulvio Lucisano e Mauro Berardi della Italian International Film riescono infine a convincere l'attore a esordire sul grande schermo, offrendogli, oltre che la parte di protagonista, anche la regia di una pellicola basata su un suo progetto personale.
Oltretutto la sceneggiatura può partire da basi già solide, che sono i monologhi teatrali - incentrati in parte su esperienze personali o raccontategli da alcuni suoi amici - scritti da Troisi. Tuttavia, il cinema rimane comunque un mezzo di comunicazione differente e, grazie all'assistenza della sua compagna e sceneggiatrice Anna Pavignano, Troisi finalizza la sceneggiatura del film.
Per il ruolo di Marta, la protagonista femminile, Troisi in primo luogo contatta Stefania Sandrelli, ma l'attrice non si dimostra infine interessata al progetto e suggerisce di affidare la parte a Fiorenza Marchegiani.
Per il ruolo di Lello Sodano, si ricostituisce in parte il gruppo de La Smorfia, visto che a interpretarlo è Lello Arena. Cosa che non rappresenta un problema, in quanto le divergenze principali Troisi le ha avute con l'altro componente del gruppo, Enzo Decaro, mentre con Arena è rimasto sempre in buoni rapporti.
I produttori Mauro Berardi e Fulvio Lucisano riescono a mettere in campo un budget pari a quattrocento milioni di lire, e considerato che buona parte delle scene si svolgono prevalentemente in interni - retaggio della loro origine teatrale - ciò non si rivela una problematica.
E venendo appunto da quel mondo teatrale, Troisi non disdegna che gli altri attori diano il loro apporto alla pellicola: pur non ammettendo improvvisazione durante le riprese, accetta suggerimenti prima che queste inizino, perché certe scene vengano migliori e risultino più spontanee.
Le riprese si svolgono tra Napoli e Firenze. Sul set tutti danno una mano a tutti, senza eccessivi ruoli di comando, tanto che Arena ad esempio porta i caffè alla troupe o aiuta le persone ad ambientarsi.
Lucisano è preoccupato dal fatto che alcune battute in napoletano possano risultare poco comprensibili al pubblico del Nord Italia, ma Troisi risolve la situazione pronunciando tali battute almeno due volte e in maniera funzionale, cosicché vengano intese.
Per la colonna sonora del film, Troisi contatta un cantautore che ha conosciuto durante una trasmissione di Non Stop e con cui ha stretto una forte amicizia, Pino Daniele, iniziando una collaborazione che durerà nel tempo.
Il presentatore Pippo Baudo, conduttore del programma Luna Park dove La Smorfia aveva messo in scena i propri sketch comici, ha la possibilità di visionare un primo montaggio della pellicola e, notando che si svolge quasi del tutto in interni, suggerisce con forza che vi siano più scene in esterni, per dare al film più dinamicità. Viene accontentato.
In fase di montaggio finale, per esigenze di narrazione e minutaggio, Troisi si ritrova a dover eliminare suo malgrado alcune scene, pur essendo queste state girate.
Ricomincio Da Tre viene distribuito nei cinema italiani a partire dal 5 marzo 1981. La prima proiezione avviene a Messina, poiché al Nord si fatica a trovare interesse. Il successo in questa città è immediato e dunque Lucisano torna alla carica con le altre sale cinematografiche.
Siccome alcune di queste, di Milano e Torino, intendono mettere in proiezione il film al massimo per un weekend, il produttore concepisce una strategia con un rischio calcolato: chiede che la pellicola rimanga in programmazione per almeno cinque settimane e, nel caso l'incasso ordinario non venisse raggiunto, lui stesso si offre di coprire la cifra mancante per compensare eventuali, mancati guadagni. Ma tutto questo non sarà necessario.
Ricomincio Da Tre arriva infine a incassare circa 14 miliardi di lire, rimanendo in programmazione nelle sale per quasi un anno. Oltre a questo grande successo, senza precedenti fino a quel momento per il cinema italiano, la pellicola consegue numerosi premi, tra cui due David di Donatello e tre Nastri d'Argento (tra questi quelli a Troisi come miglior attore e miglior regista esordiente).
È appena nata una nuova stella del cinema italiano, che proseguirà negli anni successivi il suo percorso artistico con altre pellicole e altri successi... ma questa è un'altra storia.

venerdì 28 maggio 2021

Fabolous Stack of Comics: L'Eternauta III


Di personaggi che sopravvivono ai loro creatori, continuando a "vivere" tramite nuovi racconti, è piena la storia e il fumetto non rappresenta un'eccezione. Pensiamo ad esempio agli eroi creati da Bonelli padre e figlio - come Tex o Zagor - oppure, per guardare agli Stati Uniti, a buona parte dei supereroi creati durante la Golden e la Silver Age.
Anche l'Eternauta è sopravvissuto al suo creatore, Héctor Germán Oesterheld, e nella maniera più tragica, poiché l'autore è divenuto una vittima della dittatura dei colonnelli argentina instaurata da Jorge Videla, tanto che in vita non è riuscito a vedere la conclusione della seconda saga incentrata su Juan Salvo.
Cinque anni dopo la conclusione de L'Eternauta - Il Ritorno, nel 1983 Juan Salvo ritorna sulla rivista argentina Skorpio con un nuovo serial, L'Eternauta III (El Eternauta III), per un totale di poco più di 270 pagine.
Al posto di Oesterheld troviamo lo sceneggiatore italiano Alberto Ongaro. La saga inizia a essere disegnata da Francisco Solano López, il quale però abbandona quasi subito l'incarico lasciando spazio a Osvaldo Walter Viola alias Oswal, Mario Morhain e Carlos Meglia.
Anche stavolta la storia inizia laddove si era conclusa quella precedente. Juan Salvo e Germán sono tornati dal futuro e la guerra contro i Loro si è conclusa, ma a caro prezzo, poiché l'Eternauta ha visto perire in questo conflitto la moglie Elena e la figlia Martita. Mentre il mondo intero rinasce dalle macerie, l'Eternauta ha la visione di un mondo parallelo dove Elena e Martita sono ancora vive.
Insieme a Germán, Juan Salvo si proietterà in quel mondo, una dimensione parallela, ma non troverà quel paradiso che aveva immaginato.
Come detto, siamo abituati a vedere personaggi che sopravvivono ai loro creatori, ma è di certo abbastanza straniante vedere quello stesso creatore - ucciso da un barbaro regime come quello dei Loro - divenire il co-protagonista di questa storia, così come lo era stato della saga precedente, e vedere le sue opere divenire il fulcro stesso della trama.
Non ci sono in questa terza saga riflessioni esistenzialiste o proclami di lotta politica mascherati. Alberto Ongaro si limita a stendere una buona storia cercando di mantenere i caratteri di fondo dei due protagonisti principali, Juan Salvo e Germán, e traendo ispirazione da quella letteratura fantascientifica tanto cara a Oesterheld (anche se abbiamo l'impressione che non avrebbe approvato più di tanto questa storia).
Il ritmo della storia è lento all'inizio, salvo poi divenire più frenetico, se mi è concesso il termine, quando la nuova minaccia viene rivelata. Una minaccia che è una sorta di vecchio che guarda al nuovo, nella migliore tradizione fumettistica.
E forse alla fine un messaggio di fondo c'è. Quando la storia viene pubblicata, il regime militare di Videla è stato deposto e il popolo argentino può iniziare a pensare a una rinascita, una ricostruzione della società, ma senza dimenticare le tragedie del passato e gli insegnamenti che queste hanno portato.
La stessa cosa accade nel mondo dell'Eternauta. La guerra contro i Loro è finita e quel mondo può andare avanti e rinascere. Ma quello stesso mondo non deve dimenticare le tragedie del passato, non può scordarsi di chi vi ha dato vita.
Grazie a Héctor Germán Oesterheld, un caposaldo del fumetto ha raggiunto e fatto appassionare generazioni di lettori in tutto il mondo. E continua a farlo, per fortuna.

mercoledì 26 maggio 2021

Libri a caso: Sei Donne e un Libro


Dopo Il Banchiere Assassinato, il Commissario Carlo De Vincenzi - personaggio ideato da Augusto De Angelis - ritorna a indagare in Sei Donne e un Libro, pubblicato nel 1936.
Siamo ancora a Milano, nella primavera del 1926, pochi anni dopo la Marcia su Roma e l'ascesa al potere da parte di Benito Mussolini (anche se tutto ciò ovviamente non viene citato). Il Commissario De Vincenzi è incaricato di investigare sull'omicidio dello stimato medico - ed ex senatore - Ugo Magni, ritrovato morto in una libreria con le serrande chiuse.
Attorno a Magni e al suo studio medico giravano numerose persone, e tra queste sei donne, ognuna per un motivo o per l'altro rimasta affascinata dalla sua personalità. La risoluzione del caso, tuttavia, potrebbe risiedere non nelle prove o nell'esame del luogo del delitto, bensì in elementi ultraterreni e nello spiritismo, di cui la vittima era un fervente seguace. Nonché nella scomparsa di un libro che non si riesce più a ritrovare.
Questo secondo romanzo estende le premesse del primo, ampliando il mondo e le motivazioni di De Vincenzi. Se nel romanzo originario, l'azione era solo su di lui, stavolta ci si concede degli stacchi basati sul punto di vista di altri personaggi e si inizia ad approfondire una serie di personaggi secondari, appena accennati in Il Banchiere Assassinato, che assisteranno il Commissario in questa indagine e nelle successive.
Anche il personaggio di De Vincenzi subisce una piccola mutazione, pur suggerita nel primo romanzo: scopriamo che è una persona che ama leggere e acculturarsi utilizzando testi sulle più svariate materie od opere poco conosciute, inoltre conosce almeno un paio di lingue. Per risolvere il caso, a lui non interessano le prove o le deposizioni - o meglio, non gli interessano più del necessario - quanto piuttosto capire le psicologie delle persone coinvolte (le teorie di Sigmund Freud a quel tempo erano molto diffuse).
Pur rimanendo una personalità cupa, De Vincenzi non appare più così fatalista come nel primo libro e, in questa nuova opera, cerca di ampliare la sua mente e la sua prospettiva tenendo in conto anche di elementi ultraterreni e una filosofia per cui tutto ciò che appare agli occhi può non essere sufficiente a comprendere la realtà.
Questo personaggio diviene, così, meglio definito, con ogni probabilità De Angelis ne ha preso le misure da un libro all'altro, e perciò risulta più sfaccettato. Come se fosse maturato come uomo e come personaggio letterario in sé. In attesa di una nuova indagine.
Sempre affascinante, infine, leggere un romanzo con un lessico che oggi può apparire superato. Grazie a questo libro ho scoperto cos'è un "delitto di teppa".

lunedì 24 maggio 2021

Fabolous Stack of Comics: Infinity Countdown


Le Gemme dell'Infinito sono gli artefatti più potenti del Marvel Universe. Presenti sin dagli anni '70 del ventesimo secolo, sono divenuti elementi narrativi fondamentali a partire da La Guerra dell'Infinito (Infinity War), non il film ovviamente.
Da quel momento in poi, le Gemme sono state ricercate e contese, più che altro da Thanos, in vari momenti, vista la loro capacità di influire sulla realtà e il tempo stesso. E continuano a essere contese, come accade nella miniserie di cinque numeri pubblicata nel 2018 (correlata da numerosi one-shot paralleli) Infinity Countdown, sceneggiata da Gerry Duggan e disegnata da Aaron Kuder con contributi aggiuntivi di Mike Deodato Jr.
La saga fa seguito alla ricostruzione del Multiverso conseguente a Secret Wars: in questo nuovo universo le Gemme dell'Infinito ricompaiono, anzi più Gemme dell'Infinito, in ognuno dei nuovi mondi ricreati.
Nel Marvel Universe, le sei Gemme - con caratteristiche differenti rispetto al passato - giungono per vie traverse a sei diversi personaggi, ma sulle loro tracce vi è un essere misterioso di nome Requiem e un'entità maligna nota come Devondra.
Mentre il Dr. Strange contatta i nuovi possessori delle Gemme, per sventare la minaccia di Devondra Kang il Conquistatore richiama Adam Warlock e lo fa rinascere nel presente prima che il signore del tempo sia ucciso da Requiem. E mentre tutti - Hank Pym compreso - cercano le Gemme, sul suo trono Thanos aspetta il suo momento.
Nelle sue premesse, questo preludio mantiene le possibili aspettative per una consueta saga cosmica a base di infinito, tanto cara alla Marvel. Oltre agli immancabili Adam Warlock e Thanos (quest'ultimo tornato dal lontano futuro di Thanos Vince!), ricompaiono le Gemme dell'Infinito con una nuova configurazione e nuovi possessori, di cui è interessante scoprire l'identità.
Questa miniserie rappresenta in realtà la prima parte dell'epilogo del ciclo di Gerry Duggan su Guardians of the Galaxy e - come è inevitabile - paga lo scotto di una narrazione pregressa di cui alcuni possono non essere a conoscenza, pur venendo fornite comunque tutte le indicazioni del caso.
Non volendo giocare tutte le sue cartucce subito, Duggan in questa prima parte si concentra sul piazzare le pedine al loro posto e su qualche scena d'azione volta a far comprende il nuovo scenario cosmico in cui si muovono i personaggi, mantenendo come è giusto che sia il riserbo su alcuni misteri.
Tali misteri verranno esplorati e risolti nel seguito di questa miniserie, ovvero Infinity Wars (sì, avete capito bene, con la S finale). Quindi l'affresco finale non può tener conto anche di questa storia successiva, rendendo dunque Infinity Countdown qualcosa già di incompleto di per sé, venendo da storie pregresse, e aumentando così la sua incompletezza per giuste e inevitabili motivazioni editoriali.

venerdì 21 maggio 2021

A scuola di cinema: Carrie - Lo Sguardo di Satana (1976)

1974: Stephen King vede infine in quest'anno pubblicato il suo primo romanzo, Carrie. Il titolo chiarisce già chi ne sia la protagonista: Carrie White, un'adolescente bullizzata dalle sue compagne di scuola e - come se non bastasse - odiata da sua madre in quanto la ritiene progenie di Satana, dal momento che la ragazza possiede poteri di telecinesi.
Qualcosa sembra tuttavia cambiare quando Carrie comincia a essere accettata da alcune compagne di scuola e una di esse convince il suo ragazzo a invitarla al ballo scolastico. C'è tuttavia una studentessa che intende rendere un inferno la vita di Carrie, Christine Hargensen, la quale ritiene la ragazza responsabile di una sospensione scolastica ricevuta.
Insieme al suo fidanzato Billy Nolan, Christine idea un perfido piano che vede Carrie essere incoronata come reginetta del ballo ma, nello stesso momento, far precipitare su di essa del sangue di maiale, di modo da ridicolizzarla davanti all'intera scuola. Ne consegue un massacro.
Il ragazzo che ha accompagnato Carrie al ballo muore quando il secchio che contiene il sangue gli cade in testa e, circondata dalle risate di scherno degli studenti e degli insegnanti, Carrie impazzisce.
Elimina così buona parte dell'intero corpo studentesco, bruciandoli vivi. Appicca il fuoco a numerose case della città, uccidendone i suoi occupanti. Uccide sua madre procurandole un infarto, non prima però che costei riesca a pugnalarla a morte. Prima di morire, però, Carrie provoca la morte di Christine e Billy Nolan, causando un incidente stradale mentre costoro sono in auto e cercano di investirla.
Due anni dopo, questo primo romanzo di Stephen King diviene anche il primo a essere adattato sul grande schermo, dando vita al contempo a un rapporto di amore/odio dello scrittore del Maine nei confronti di questo medium.


Qualche mese dopo l'uscita del libro, un amico del regista Brian De Palma gliene consiglia la lettura. De Palma segue il suggerimento e rimane intrigato dall'opera. Poco tempo dopo il regista apprende che il libro è stata opzionato dalla 20th Century Fox tramite il produttore Paul Monash, il quale ha acquisito i diritti di sfruttamento da Stephen King per una somma pari a duemilacinquecento dollari (una cifra ridicola anche per l'epoca, ma c'è da considerare che lo scrittore era praticamente agli esordi).
De Palma entra in contatto con Monash e gli riferisce del suo interesse, ma nei sei mesi successivi non riceve altri aggiornamenti, fino a quando non gli giunge notizia che il progetto è ora nelle mani della United Artists. Monash non è del tutto sicuro che De Palma sia la scelta migliore, ma i dirigenti dello studio riescono infine a convincerlo.
La sceneggiatura viene affidata a Lawrence Cohen, che produce due bozze, la seconda delle quali con le modifiche richieste dalla produzione: essa è abbastanza fedele al materiale originario ma - come noto - introduce un epilogo differente, oltre a spostare l'azione dal Maine al North Carolina.
Per il ruolo della protagonista, Carrie White, molte giovani attrici - alcune delle future star - vengono provinate, tra cui Farrah Fawcett e Glenn Close, ma la scelta di De Palma si concentra su un'attrice proveniente dalla televisione, Betsy Slade.
Lo scenografo del film, Jack Fisk, convince tuttavia il regista a dare una possibilità a sua moglie, Sissy Spacek, allora agli esordi. L'attrice rinuncia a uno spot televisivo che le avrebbe garantito un compenso di diecimila dollari e si presenta all'audizione struccata, dopo essersi strofinata della vaselina nei capelli, e indossando un vestito da marinaretta cucito da sua madre quando era un adolescente con l'orlo tagliato. La parte è così sua.
Per prepararsi, Sissy Spacek inizia a studiare le immagini iconografiche rappresentanti Santo Stefano e il suo martirio e le illustrazioni bibliche a opera di Gustave Doré, che sono sempre affisse alle pareti anche nella roulotte presente sul set a lei assegnata.
Per il ruolo della madre di Carrie, Margaret White, viene scelta Piper Laurie. Costei si è allontanata dalle scene da 15 anni, ma è ora desiderosa di tornare a recitare e così Marcia Nasatir, una dirigente della United Artists - sua vicina di casa - ne suggerisce il nome a De Palma. Costui la incontra a New York e come la vede, con una capigliatura rossa e un vestito nero, capisce che è perfetta per la parte.
Per il ruolo di Christine Hargensen viene selezionata Nancy Allen. Costei, dopo i primi film a cui ha partecipato, sta faticando a trovare nuovi ingaggi, cosa dovuta - secondo il suo agente - alla sua età (ha 25 anni), tanto che l'attrice sta pensando di ritirarsi dalle scene.
Per il ruolo di Billy Nolan, viene scelto John Travolta. Costui ha alle spalle un buon background televisivo grazie al serial I Ragazzi del Sabato Sera (Welcome Back, Kotter), ma questa pellicola rappresenta il suo debutto cinematografico con una parte rilevante.
Le riprese iniziano in via ufficiale il 17 maggio 1976, durando poco meno di due mesi e tenendosi in California. Sissy Spacek decide di isolarsi dal resto del cast e della troupe, rimanendo nella sua roulotte quando non è sul set o tenendosi in disparte quando ci sono le riprese in atto e lei non è coinvolta, il tutto per mantenere il senso di alienazione del suo personaggio.
Alcuni degli attori fanno fatica a entrare nella parte. Nancy Allen ritiene che Christine sia una egocentrica che funge come intermezzo comico. Intuisce la malvagità del suo personaggio solo a riprese concluse, quando visiona il film.
Anche Piper Laurie è convinta che Margaret White sia così eccentrica e sopra le righe da non poter essere presa davvero sul serio, poiché il film a suo modo di vedere è una sorta di commedia dai toni cupi. Tanto che a volte scoppia a ridere dopo aver pronunciato le sue battute. De Palma deve dunque più volte ricordarle che in realtà stanno girando una pellicola horror.
Per completare le riprese della scena del ballo e del massacro che ne segue, occorrono due settimane. L'attrice P.J. Holes, che deve essere colpita dal getto di un idrante, non usa la controfigura per questa scena, ma l'impatto con l'acqua è così doloroso da procurarle una lesione a un timpano per cui le occorrono sei mesi prima di poter recuperare un pieno udito. L'esclamazione di dolore che viene catturata dalla camera non è dunque frutto di recitazione.
Per esigenze di riprese, Sissy Spacek deve continuare a indossare il vestito macchiato di sangue per tre giorni: è lei stessa che non vuole che sia lavato e arriva addirittura ad andare a dormire col vestito di scena in quei giorni.
Per la scena finale, in cui la mano di Carrie deve emergere dalla tomba, De Palma intende usare una controfigura, ma Sissy Spacek si oppone con forza: deve essere la sua mano a comparire sullo schermo. L'attrice viene dunque messa in una cassa sottoterra, assistita da suo marito Jack Fisk, aspettando con pazienza che il regista le dia il via.
Le riprese si concludono nel luglio 1976.
Carrie - Lo Sguardo di Satana (Carrie) viene distribuito nei cinema americani a partire dal 3 novembre 1976. A fronte di un budget di un milione e ottocentomila dollari, la pellicola arriva infine a incassare sul territorio statunitense oltre 33 milioni di dollari. Sissy Spacek e Piper Laurie ricevono inoltre per la loro interpretazione una nomination al Premio Oscar.
Nancy Allen non abbandona il mondo della recitazione e nel 1979 sposa Brian De Palma, mentre John Travolta l'anno seguente l'uscita del film diviene una star interpretando La Febbre del Sabato Sera (Saturday Night Fever).
Numerosi altri adattamenti delle opere di Stephen King arriveranno negli anni successivi e Carrie diverrà anche oggetto di un sequel e di rifacimenti... ma questa è un'altra storia.

mercoledì 19 maggio 2021

Fabolous Stack of Comics: X-Men/Fantastici Quattro - Primo Contatto


Può apparire incredibile affermarlo oggi, ma X-Men e Fantastici Quattro - in termini di rilevanza cinematografica - hanno anticipato gli Avengers di alcuni anni. Seppur alcune di quelle pellicole che li vedono protagonisti oggi appaiano deboli o superate, esse hanno comunque indicato una via per il futuro Marvel Cinematic Universe.
Anche nei fumetti, queste due famiglie di supereroi hanno preceduto la prima apparizione degli Eroi più Potenti della Terra (seppur gli X-Men solo di pochi giorni), eppure le occasioni di incontro - esclusi i crossover generali - nel corso degli anni sono state poche. Uno di questi incontri avviene nella miniserie in cinque numeri, pubblicata nel 2005, X-Men/Fantastici Quattro (X-Men/Fantastic Four), scritta da C.B. Cebulski utilizzando lo pseudonimo di Akira Yoshida e disegnata da Pat Lee.
Terzo incomodo di questa storia, la Covata, che prende possesso di una stazione spaziale costringendo i due gruppi a intervenire per salvare gli astronauti lì presenti. Ma questo è solo l'inizio di un'incredibile avventura, che vedrà alcuni X-Men sottoposti a una nuova mutazione causata dai raggi cosmici! E la lira si impenna!
C'è una cosa che non troverete in questa miniserie, nemmeno cercandola con la lente di ingrandimento: l'introspezione psicologica dei personaggi, nemmeno la più elementare. Wolverine è un esagitato, a volergli fare un complimento, mentre Reed Richards sembra aver scordato due o tre lauree lungo la via.
Questa storia, chiaramente un incarico su commissione con forse anche trama di base preparata a tavolino dall'editor, è tutta improntata all'azione e parte da un "Menamose", continua con un "Volemose bene" e prosegue con un "Damose da fà!".
C'è qualche situazione abbastanza paradossale e piccole incongruenze che sono riuscito a rilevare persino io alla prima lettura, quindi la mia impressione è che questo fosse un progetto di basso profilo su cui non si è speso più di tanto.
Interessante comunque come dietro di esso ci sia una probabile manovra di (legittimo) marketing. Con uno sceneggiatore dal nome orientale e con un disegnatore dal tratto, e anche le fattezze, all'orientale, si voleva con ogni probabilità intercettare un pubblico diverso dal solito.
Certo, detto col senno di poi, utilizzare per questo uno sceneggiatore All-American con uno pseudonimo e un disegnatore nato e cresciuto in Canada forse non è stata la migliore delle idee. Oggi un'operazione del genere non si potrebbe neanche pensare di concepirla. Ed è meglio così.
Ma si sa, anche questa è la magia - e la follia - del fumetto.

lunedì 17 maggio 2021

Libri a caso: Zic - Il Misterioso Caso del Graffitaro Scomparso


Ci piace pensare - forse perché è qualcosa di rassicurante - che gli investigatori privati siano qualcosa di esclusivo appannaggio degli Stati Uniti. Quelle strade piene di soggetti poco raccomandabili, quegli uffici polverosi e pieni di carte che si ammucchiano, il tutto condito da clienti facoltosi e/o femmes fatales che entrano dalla porta come spuntati dal nulla.
E invece... invece gli investigatori privati esistono anche in Italia, nella realtà come nella finzione. La realtà, tuttavia, non è come i romanzi e di solito si occupano di cose triviali come i tradimenti coniugali, ma saltuariamente sentiamo del coinvolgimento di detective privati per indagini relative a persone scomparse, anche per fatti di cronaca rilevanti, su cui la polizia non sembra avere ulteriori tracce ma - legittimamente - i parenti e amici della persona scomparsa vogliono sapere cosa sia accaduto.
Tutto ciò è presente in Zic: Il Misterioso Caso del Graffitaro Scomparso, romanzo scritto da Franco Filiberto e pubblicato nel 2019 dalla casa editrice Arpeggio Libero. L'investigatore in questione si chiama Otto Rea e conduce un'agenzia investigativa insieme a sua madre, dopo la scomparsa prematura del padre.
L'azione si svolge nel 2016. Il consueto tran tran per Otto Rea viene interrotto dall'arrivo di una donna di nome Kira Ivanova, la quale chiede il suo aiuto per ritrovare un amico scomparso, Dario Fedeli alias Zic, un graffitaro scomparso nel nulla otto anni prima, nel 2008. Per capire se sia ancora vivo o meno, Otto Rea si reca nella città di Livorno, dove Zic creava i suoi graffiti, e lì scoprirà un'incredibile verità.
Sembra quasi di vedere un po' di America in questa Italia, con alcuni classici stilemi dei film d'azione statunitensi: la madre investigatrice e amante delle armi; la bella e intraprendente detective della polizia ; la mafia russa e i suoi agganci politici e imprenditoriali.
Il tutto però viene inserito in una cornice tipicamente italiana, con una città marina quale è Livorno che diviene uno scenario intrigante per la storia che vede protagonista Otto Rea. Uno scenario forse poco utilizzato in passato, a discapito di altre metropoli. Questo mix di situazioni diviene dunque un'ottima amalgama per esplorare i temi - seppur mutuati in un contesto narrativo - dell'alienazione, della lotta sociale e della ricerca di identità.
Come già visto per Morte a Domicilio, inoltre, anche in questo caso troviamo un protagonista in principio in difficoltà nel comprendere le figure femminili della sua vita e la loro voglia di indipendenza, a partire dalla madre che dimostra nei suoi confronti un affetto fuori dai canoni, ma quando le accetta infine come parte della propria esistenza, anche il suo stesso io ne risulta appagato.
Il caso è chiuso, fino al prossimo mistero.

domenica 16 maggio 2021

Fabolous Stack of Comics: Madman - Odissea Nello Strano


Ci sono a volte creazioni di artisti, non concepite presso le due major DC Comics e Marvel, che riescono ad avere successo. A durare nel tempo. Magari passando da un editore all'altro, ma questo permette alla creazione di turno di continuare a essere pubblicata in maniera costante e con nuove storie.
Una di queste creazioni è Madman di Mike Allred. L'autore, entrato da poco nel mondo professionistico del fumetto al tempo dell'ideazione di questo personaggio, lo fa esordire nella sua identità civile di Frank Einstein in due storie prima che, con la sua nuova identità mascherata, faccia la sua comparsa nella miniserie in bianco e nero di tre numeri Odissea Nello Strano (The Oddity Odissey), pubblicata nel 1992 dalla piccola casa editrice Tundra Publishing.
Nella città di Snap City, una persona preda di amnesia vestita di uno strano costume cerca di impedire che i diari del morente Dr. Boiffard cadano nelle mani della banda criminale guidata da Monstadt. Per trovare una soluzione al problema, lo strano uomo si deve recare in una città di provincia dove vive il Dr. Flem, scienziato alquanto eccentrico, ma al contempo l'unico in grado di far rivivere Boiffard.
Un viaggio che assumerà ben presto contorni surreali, tra strane creature che popolano la zona ed esseri umani fuori dall'ordinario, folli quanto e più di Madman.
Questa prima storia mette in campo alcuni dei personaggi principali che poi vedremo agire nelle storie successive. In maniera inevitabile risulta un'opera acerba, dove tutto deve ancora svilupparsi in maniera compiuta, eppure già sono presenti in essa i semi dei buoni frutti che verranno colti con le storie successive.
A partire dal protagonista principale e il mondo che lo circonda: una novella creatura di Frankenstein - il suo nome e cognome non sono casuali - che si ritrova catapultata in un mondo folle, che non comprende, fatto di scienziati pazzi, creature che sembrano uscite da un incubo, gangster alla ricerca dell'immortalità, ma anche donne affascinanti e straordinarie invenzioni scientifiche. Insomma, un grande omaggio alla Silver Age, ma calato in un contesto attuale - di follia e non di meraviglia - le cui storie Allred ha letto e ammirato sin da piccolo.
In tale mondo, il viaggio per ritrovare la propria identità per Madman, nonché il proprio vero volto - e non lo diciamo solo in senso figurato - rappresenta qualcosa di tortuoso e lui appare più come una persona problematica che come un supereroe con superproblemi.
Anche lo stile grafico di Allred è in divenire, non si è ancora pienamente formato, ma ha in sé già tutti quegli elementi caratteristici che saranno tipici delle storie successive di questo autore. Insomma, questa miniserie è un ottimo starting point in tutti i sensi.
Curioso infine il fatto che l'intera miniserie sia come un flipbook, una di quelle cose che facevamo anche da bambini: sono infatti presenti nel lato basso della storia una serie di immagini di Madman che, fatte scorrere in maniera rapida girando le pagine, danno l'impressione che l'eroe sia in movimento. Una piccola follia in una storia su un folle che folle non è.

giovedì 13 maggio 2021

A scuola di cinema: Talk Radio (1988)

18 giugno 1984: È sera quando il conduttore radiofonico Alan Berg sta tornando a casa, dopo una cena con la sua ex moglie Judith, con cui sta cercando di riallacciare i rapporti.
Alan Berg ha lavorato negli ultimi anni come speaker presso varie stazioni di Denver ed è noto per il suo stile di conduzione poco ordinario, se così possiamo definirlo. Nel corso delle sue trasmissioni prende posizione in maniera dichiarata su temi delicati quali la religione o le discriminazioni e non fa sconti a nessuno, nonostante le molte critiche che gli arrivano da chiunque, aldilà della razza o della religione. E quando qualcuno lo chiama in trasmissione, costui rischia di essere ripreso o criticato da Berg.
In particolare, il deejay se la prende contro i suprematisti bianchi e gli antisemiti, a cui nelle sue trasmissioni rivolge pesanti appellativi. Berg non ha paura di ricevere le chiamate da parte di chiunque appartenga a questi gruppi e ribatte colpo su colpo.
A volte accade addirittura il contrario: è Alan Berg a chiamare a casa persone che si sono rese protagoniste di eventi che hanno avuto risalto mediatico e non esita mai a criticarle per ciò che hanno fatto. Per questo motivo, almeno in un'occasione subisce una sospensione dalla stazione radiofonica per cui lavora.
Tutto questo, però, ha termine quella sera di giugno. Come scende dalla sua auto, Berg viene colpito da numerosi colpi di arma da fuoco che lo uccidono all'istante. Il Federal Bureau of Investigation inizia a indagare e concentra le proprie attenzioni su The Order, un gruppo suprematista ariano, e su due dei loro componenti - David Lane e Bruce Pierce - i quali vengono infine processati e condannati.
Durante il processo, emerge che Alan Berg è stato assassinato da The Order perché ebreo e per le sue opinioni contro il suprematismo bianco, che esprimeva nel corso delle trasmissioni radiofoniche da lui condotte.
Una vicenda incredibile, che scuote l'opinione pubblica americana e poco tempo dopo viene anche trattata sul grande schermo.


1987: Escono due opere in quest'anno incentrate sull'assassinio di Alan Berg. La prima è Talked to Death: The Life and Murder of Alan Berg, di Stephen Singular, che descrive la vita del deejay e il processo ai suoi assassini. La seconda è Talk Radio, un dramma teatrale scritto da Eric Bogosian e Tad Savinar.
In quest'ultima opera, il protagonista è Barry Champlain (un omologo di Berg), un deejay di una piccola radio di Cleveland, interpretato sul palco dallo stesso Bogosian, il quale riceve una generosa offerta perché la radio inizi a trasmettere su tutto il territorio nazionale. Ma ciò non si concretizzerà, poiché sarà ucciso da uno degli ascoltatori che si è ritenuto offeso per come è stato trattato in trasmissione. 
Questo dramma riceve grandi consensi, venendo più volte messo in scena nel suo anno d'uscita e ottenendo persino una candidatura al Premio Pulitzer. Viene dunque subito opzionato, unitamente alla biografia di Stephen Singular, dalla Universal Pictures per un adattamento cinematografico, e Oliver Stone viene scelto come regista. 
Eric Bogosian lavora a stretto contatto con Stone per la sceneggiatura cinematografica. L'azione viene spostata da Cleveland a Dallas e vengono aggiunte alcune scene in esterno per esigenze di narrazione. Bogosian riprende il ruolo che interpreta a teatro e per lui, che pure ha grande esperienza di rappresentazioni teatrali e ha collezionato qualche apparizione in alcuni telefilm in passato, questa pellicola rappresenta il suo debutto da protagonista sul grande schermo (aveva fino a quel momento fatto pochi cameo in una manciata di film).
Anche altri attori che hanno partecipato alle rappresentazioni del dramma teatrale quali John C. McGinley e Michael Wincott compaiono nella pellicola.
Per prepararsi alla parte, Eric Bogosian, oltre a basarsi sui programmi di Alan Berg, si reca a Los Angeles per visionare alcune trasmissioni radiofoniche del deejay Tom Leykis, a cui si ispira per il modo di parlare e la gestualità.
Le riprese si svolgono nell'arco di un mese, tra aprile e maggio del 1988, a Dallas. Per l'occasione un magazzino della città viene affittato dalla produzione e ristrutturato come stazione radio per tutto il periodo delle riprese.
Nel ruolo secondario di Dan vi è Alec Baldwin, il quale non si trova molto a proprio agio con lo stile di regia di Stone, per nulla soggetto a compromessi o consigli in merito alle inquadrature da realizzare o alle battute da pronunciare. Per questo motivo, ogni sera al termine dei lavori - al fine di stemperare la tensione - il regista invita la troupe e gli attori a bere qualcosa, ma ogni volta Baldwin rifiuta rispettosamente. Sembra quasi superfluo aggiungere che Alec Baldwin non ha poi più lavorato al fianco di Oliver Stone.
Talk Radio viene distribuito nei cinema americani a partire dal 21 dicembre 1988. A fronte di un budget di 4 milioni di dollari, la pellicola arriva infine a incassare sul territorio statunitense 3 milioni e mezzo di dollari. Non rappresenta un successo memorabile dal punto di vista degli incassi, ma questo non impedisce che la pellicola vinca un Orso d'Argento al Festival Internazionale del Cinema di Berlino l'anno successivo.
Oliver Stone, invece, per il progetto seguente decide di tornare a parlare del conflitto in Vietnam con Nato il Quattro Luglio (Born on the Fourth of July).
Per quanto riguarda le due persone incriminate per l'omicidio di Alan Berg, David Lane viene condannato a 190 anni di carcere, morendo nel 2007 a causa di un attacco epilettico, mentre Bruce Pierce riceve una condanna pari a 252 anni di carcere, morendo nel 2010. Altre persone sospettate dell'assassino del deejay non arrivano mai al processo oppure non vengono condannate.
Il gruppo The Order e i suoi componenti, tuttavia, subiscono altre pesanti condanne nel 1984 per altri gravi reati. Cosa che porta infine al suo scioglimento poco tempo dopo, permettendo alla società statunitense di porre un epilogo a questa infelice pagina.
A vent'anni dal suo debutto, nel 2007, il dramma teatrale esordisce infine a Broadway, ottenendo ancora un ottimo riscontro e contribuendo a commemorare nuovamente quanto accaduto in quella tragica notte del giugno 1984. E questa è la fine della storia.

martedì 11 maggio 2021

Libri a caso: Morte a Domicilio


Dopo i drammatici eventi del luglio 2001, concomitanti con la riunione del G8 e che trovano il loro culmine nella morte di Carlo Giuliani e nell'assalto alla Scuola Diaz, per qualche tempo Genova è sembrata diventare una città maledetta.
La società italiana ha fatto fatica e fatica ancora a venire a patti con quanto accaduto in quei giorni, mentre la narrativa si trova nella difficoltà di dover trattare di argomenti molto sensibili, a maggior ragione quando escono a breve distanza da suddetti eventi.
Morte a Domicilio, romanzo scritto da Maria Masella e pubblicato nel 2002 da Fratelli Frilli Editori, è la prima storia che vede protagonista il commissario Antonio Mariani, il quale agisce appunto a Genova.
Sgombriamo subito il campo da equivoci: nel libro non si fa riferimento ai fatti del 2001 (ancora troppo recenti e non metabolizzati), ma la Genova che ne viene ritratta ha quell'aura maledetta che sembrava aleggiare su di lei in passato.
Antonio Mariani è uno dei più valenti commissari in servizio a Genova: esigente, preciso, ma anche pieno di difetti. Se la sua vita professionale non sembra presentare sbavature, quella personale è allo sbando, poiché il rapporto di matrimonio con sua moglie Francesca è in crisi a causa dei continui tradimenti di lui.
In questa situazione poco idilliaca, a complicare le cose giungono una serie di messaggi indirizzati proprio a Mariani, a cui fanno seguito dei brutali omicidi. Messaggi che sembrano ben conoscere le abitudini di Mariani e quelle della sua famiglia. Che si tratti davvero di un serial killer? E perché lo ha preso di mira?
Antonio Mariani, prima di essere un detective, è un uomo sconfitto dalla vita. Una sconfitta che si è procurato con le sue stesse mani. La sfida che gli lancia dunque il presunto serial killer ha duplice valenza: la prima, più evidente, è un invito a essere scoperto. La seconda, più intima, rappresenta per Mariani una possibilità di rinascita, di provare a sistemare le cose in famiglia e ritrovare un'identità perduta.
Una rinascita che tuttavia passa attraverso un viaggio infernale nella mente di una persona indecifrabile e nelle vie "infernali" di Genova, popolate da persone che a volte rimangono avvinte nelle spire di questi gironi, a volte invece riescono a uscirne.
La rinascita inoltre passa dall'accettazione di Mariani delle figure femminili della sua vita. Figure femminili tutte forti e indipendenti, non solo sua moglie Francesca, ma anche la madre e la figlia. Figure di fronte alle quali appare in principio incapace di costruire un rapporto, di comprenderne le esigenze, proprio perché è un mondo con cui non si è voluto confrontare in passato.
Il romanzo ha un ritmo lento in principio, non so quanto voluto, dopodiché poco prima della seconda metà - mano a mano che il mistero inizia a prendere forma - suddetto ritmo diventa più frenetico. Fino al finale, un po' spiazzante.
Di sicuro il commissario Mariani tornerà nelle nostre letture.

domenica 9 maggio 2021

A scuola di cinema: RoboCop (1987)

1980: Alle elezioni presidenziali statunitensi trionfa Ronald Reagan, il quale batte George Bush Senior. Nei primi anni della sua presidenza, la politica americana e le megacorporazioni statunitensi diventano più aggressive rispetto al passato per contrastare lo strapotere delle megacorporazioni giapponesi. Il tutto causa anche inevitabili effetti deleteri, come la chiusura di molte fabbriche - in particolare quelle automobilistiche di Detroit - e l'aumento della disoccupazione.
In questo scenario presente incerto, nasce un eroe del futuro che diventa un caposaldo del cinema: RoboCop.


1981: Lo sceneggiatore Edward Neumeier lavora come correttore di bozze cinematografiche in un camper vicino agli studi della Warner Bros. quando nota la costruzione di un grande set a poca distanza da dove si trova, qualcosa che cattura la sua attenzione.
Il set è quello del film Blade Runner e di notte, quando Neumeier termina di lavorare, si reca presso di esso a osservare Ridley Scott e la troupe lavorare alla pellicola e dà una mano laddove serve. Non essendoci all'epoca rigide procedure di sicurezza, nessuno cerca di allontanarlo.
Neumeier rimane lì per quattro notti, durante le quali nota il modellino dell'auto volante utilizzata nel film, rimanendone affascinato. Appassionato di fantascienza e fumetti, Neumeier - pensando alla trama del film che vede un poliziotto umano cacciare dei robot ribelli - concepisce in quelle notti l'idea di RoboCop. Ovvero di un robot che punisce i criminali umani. Un'idea poco più che abbozzata, la quale viene concentrata in un primo trattamento di 40 pagine che lo sceneggiatore decide di non sviluppare nell'immediato.
Nel 1984, Neumeier conosce un aspirante regista cinematografico, che per sbarcare il lunario dirige video musicali, Michael Miner.
Quando scopre che Miner sta dirigendo un video musicale incentrato su un robot - Don't Stop Runnin' degli Y & T - e ha in mente un film su un robot intitolato SuperCop, Neumeier lo mette a parte del suo progetto. I due autori cominciano a collaborare e, lavorando durante le notti e nel tempo libero durante i weekend, dopo tre mesi di lavoro nel dicembre 1984 la prima bozza, intitolata RoboCop: The Future of Law Enforcement, viene completata.
Grazie alle loro, seppur limitate, conoscenze nell'ambiente cinematografico, i due fanno circolare la sceneggiatura. Poco tempo dopo ricevono due proposte: la prima da parte della società indipendente Atlantic Releasing, la seconda della Orion Pictures per tramite del produttore Jon Davison.
Viene accettata questa seconda proposta e Neumeier e Miner si mettono al lavoro per rifinire la sceneggiatura, ricevendo un ingaggio di 25.000 dollari più la promessa di una piccola percentuale sui profitti della pellicola.
Una volta completata la seconda bozza, Neumeier chiede di essere uno dei produttori del film, mentre Miner si propone come regista. Al primo viene dato un ruolo da co-produttore, mentre al secondo viene offerta la regia della seconda unità, considerata la sua scarsa esperienza. Una proposta che Miner rifiuta.
Trovare un regista interessato al progetto non è comunque semplice. Il primo a cui viene assegnato l'incarico è Jonathan Kaplan, che però vi rinuncia per andare a dirigere Fuga dal Futuro (Project X). Altri registi vengono dunque contattati, ma rifiutano, alcuni non appena vengono a conoscenza del titolo del film, ora abbreviato solo in RoboCop, ritenuto troppo stupido.
Fino a quando una dirigente della Orion, Barbara Boyle, suggerisce il nome di Paul Verhoeven, un regista olandese un cui film ha esordito di recente negli Stati Uniti, L'Amore e il Sangue (Flesh and Blood), distribuito appunto dalla Orion.
Barbara Boyle manda la sceneggiatura a Verhoeven che, come nota il titolo in prima pagina, la butta nel cesto della spazzatura. Senza arrendersi, Barbara Boyle gliela rimanda, chiedendogli di andare oltre. Verhoeven consegna allora la sceneggiatura a sua moglie Martine Tours che, dopo averla letta, gli consiglia di accettare l'incarico, poiché la storia parla di un uomo che perde la propria identità e deve lottare per riacquisirla.
Verhoeven dunque inizia a leggere la sceneggiatura a sua volta, con accanto un dizionario, non essendo ancora fluente nella lingua inglese e non capendo perciò alcuni giochi di parole. Alcuni dovrà farseli spiegare dai due sceneggiatori. Quando arriva alla parte in cui il personaggio di Alex Murphy torna a casa e ha flash di memoria su sua moglie e suo figlio, il regista decide di accettare.
Verhoeven si presenta dai due sceneggiatori, chiedendo di dare alla storia toni più seri, ma quando legge la terza bozza prodotta, incompleta - che prevede anche una relazione tra Alex Murphy e Anne Lewis - decide che è meglio utilizzare la seconda, dai toni più satireggianti.
Per il ruolo principale, vengono considerati vari attori, tra cui Michael Ironside, Tom Berenger e dietro richiesta di Verhoeven Rutger Hauer, ma il loro fisico, per quanto possa apparire strano, è troppo esile per poter adattarsi all'armatura e all'elmetto di RoboCop. Orion propone dunque Arnold Schwarzenegger, ma qui si presenta il problema contrario: la sua stazza è troppo imponente e dunque non risulterebbe credibile come RoboCop.
Si arriva dunque a Peter Weller, che non solo ha il fisico adatto grazie al fatto che compete spesso e volentieri a titolo amatoriale in delle maratone, ma il suo ingaggio è anche inferiore rispetto agli altri attori. E il suo mento, secondo Verhoeven, si adatta alla perfezione all'elmetto.
Per prepararsi alla parte, Weller entra in contatto col mimo Moni Yakim per ideare i movimenti ideali del suo personaggio quando è in armatura.
Per il ruolo di Anne Lewis, la prima scelta ricade su Stephanie Zimbalist, che ritiene aver concluso i suoi impegni televisivi per il telefilm Mai Dire Sì (Remington Steele). Tuttavia a sorpresa la NBC decide di produrre una nuova stagione del serial ed essendo l'attrice obbligata contrattualmente a parteciparvi è costretta a declinare la proposta. In sua sostituzione viene scelta Nancy Allen, che accetta dopo aver letto la sceneggiatura, pur ritenendo il titolo orribile.
L'attrice ha una fluente chioma di capelli biondi e Paul Verhoeven le chiede di accorciarli perché - almeno a suo dire - con un aspetto mascolino il pubblico non penserà che ci possa essere del tenero o un sottotesto sessuale tra il suo personaggio e RoboCop. Le viene anche chiesto di mettere su qualche chilo, cosa che l'attrice ottiene semplicemente smettendo di fumare.
Per prepararsi alla parte, visto che in vita sua non ha mai maneggiato armi, Nancy Allen frequenta un'accademia di polizia, ricevendo lezioni dal reclutatore Steve Estrada.
Per l'ideazione dell'armatura di RoboCop viene contattato l'esperto di effetti speciali Rob Bottin. Costui si trova subito di fronte alla difficoltà di realizzare un'armatura il più possibile robotica, ma con la consapevolezza che dovrà essere indossata e manovrata da un attore in maniera il più possibile fluida. Bottin concepisce circa 50 design dell'armatura prima che Verhoeven si dichiari soddisfatto, cosa che causa in lui grande frustrazione.
Ma la parte più difficile arriva quando si tratta di costruire l'armatura, per cui si decide di utilizzare come materiale principale la gommapiuma. Il team capitanato da Bottin impiega ben sei mesi per completare quest'incarico, dovendo costruire più modelli per esigenze di riprese e lavorazione, saranno alla fine sette i modelli prodotti. Senza contare la difficoltà intrinseca che si tratta di un lavoro che non ha precedenti nell'ambito dell'industria cinematografica.
Il lavoro viene dunque completato a riprese sostanzialmente già iniziate, cosa che non permette a Peter Weller di provare l'armatura in maniera preventiva come si era prefisso.
Le riprese iniziano in via ufficiale il 6 agosto 1986. Anche se la storia si svolge a Detroit - simbolo della decadenza economica statunitense dell'epoca, ma ritenuta poco futuristica - i lavori vengono eseguiti in Texas, Pennsylvania e California.
Quando l'armatura di RoboCop giunge sul set, a due settimane dall'inizio dei lavori, Weller impiega non meno di undici ore per entrarvi, ma riesce a muoversi a malapena. Inoltre non riesce a vedere bene dall'elmetto. Irato in quanto tutto il lavoro di preparazione coordinato da Moni Yakim è da gettare al vento, Weller chiede di bloccare la produzione e trovare una soluzione al problema.
La Orion a quel punto vorrebbe affidare la parte a Lance Henriksen, ma Bottin ha modellato l'armatura sulle fattezze di Weller, così Yakim viene chiamato sul set mentre l'armatura viene rimodellata e idea in tre giorni insieme a Weller e Verhoeven dei nuovi movimenti per il personaggio.
Anche quando finalmente Weller può muoversi, i problemi non sono finiti. Essendo comunque l'armatura ingombrante, non gli permette di entrare nelle auto o di scendere le scale. Così, quando vi è una scena che coinvolge questi aspetti, l'attore viene inquadrato solo dal petto in su, mentre sotto è in mutande.
Le alte temperature texane inoltre fanno sì che, ogni volta che esce dall'armatura, Weller abbia perso circa un chilo e mezzo di peso. Oltre a reidratarsi, per far abbassare la temperatura interna vengono diretti in primo luogo verso l'attore getti di aria condizionata ogni venti minuti. Fino a quando viene inserito un piccolo ventilatore dentro l'armatura.
Edward Neumeier è presente ogni giorno sul set, cosa che aiuta la produzione quando si tratta di riscrivere una scena al volo o estenderla dietro richiesta di Verhoeven. Nonostante ciò, sia la tempistica che il budget iniziale previsto di 11 milioni di dollari vengono sforati, costringendo il regista della seconda unità Monte Hellman a dirigere di persona alcune scene, poi chiaramente approvate da Verhoeven.
Per questo motivo, in un primo momento si decide di non girare la scena dell'uccisione di Alex Murphy, ma quando i dirigenti della Orion visionano il materiale filmato mettono a disposizione una somma aggiuntiva perché tale scena sia girata.
Le riprese si concludono l'otto novembre 1986.
La pellicola, contenente per l'epoca scene molto violente, seppur alcune di esse presentate in chiave caricaturale, fatica a ottenere l'approvazione da parte della Motion Picture Association of America (MPAA), che vuole applicare un rating X, vietato ai minori. Solo dopo otto rimontaggi, ottiene infine un Rating R (minori fino ai 13 anni ammessi se accompagnati da almeno un genitore).
RoboCop viene distribuito nei cinema americani a partire dal 17 luglio 1987. A fronte di un budget di tredici milioni e settecentomila dollari, la pellicola arriva infine a incassare solo sul territorio statunitense oltre 53 milioni di dollari.
Un buon successo, pur se non eccezionale, che convince la Orion Pictures a mettere subito in produzione un sequel. La cosa non si rivelerà così semplice... ma questa è un'altra storia.

venerdì 7 maggio 2021

Fabolous Stack of Comics: Stormwatch - Colpisce il Fulmine


Fino al numero 36 del giugno 1996, Stormwatch era una delle tante serie prodotte dalla Image Comics. Creata da Jim Lee e Brandon Choi, si distingueva per essere un gruppo sotto la tutela delle Nazioni Unite - concetto non così originale, visto che quantomeno lo SHIELD della Marvel possedeva la stessa caratteristica - e con supereroi provenienti da varie nazioni... no, neanche questo originale a pensarci bene, anticipati dagli X-Men molti anni prima.
Insomma, Stormwatch rischiava di divenire col tempo una serie come tante, ricordata solo perché fu una delle prime serie Image dei transfughi della Marvel Comics (anche quest'evento, peraltro, ormai sepolto dal tempo e di cui i lettori più giovani non sanno nulla, e credo nemmeno vogliano saperne nulla)... poi è arrivato il numero 37 del luglio 1996. Una nuova gestione, un nuovo punto di partenza, un nuovo autore: Warren Ellis.
Lo sceneggiatore, coadiuvato da alcuni disegnatori il cui elemento principale è Tom Raney, inizia da questo numero a imbastire una lunga saga - tramite racconti singoli che si scoprono poi essere interconnessi - che si protrae fino al numero 47 intitolata Colpisce il Fulmine (Lightning Strikes).
Nel primo numero di questa saga viene subito introdotto un personaggio fondamentale per questa nuova gestione: Jenny Sparks, lo Spirito del Ventesimo Secolo. Tramite un seminale colloquio tra lei e Henry Bendix/Weatherman viene identificato il problema principale della narrativa dei supereroi a più di 35 anni dalla creazione dei Fantastici Quattro. Il ripetersi mese dopo mese dello scontro tra supereroi e supercriminali e il mantenimento perpetuo dello status quo.
Bendix rifonda Stormwatch creando tre branche di questo gruppo: Stormwatch Primo, il gruppo principale e pubblico, Stormwach Nero (capitanato da Jenny Sparks e di cui fa parte anche Jack Hawksmoor), per le missioni sotto copertura, e Stormwatch Rosso, incaricato delle ritorsioni. Mentre nel frattempo alcuni componenti del gruppo subiscono misteriosi attacchi che sembrano fare capo a un ignoto mandante.
Bendix e Jenny Sparks condividono due visioni diverse della gestione del potere ed entrambi sono convinti che il loro punto di vista sia quello più ottimale. Per Bendix, al fine di garantire la sicurezza di tutti, occorre anche sporcarsi le mani, privare qualcuno di alcune sue libertà, usare le maniere forti spesso e volentieri. Per Jenny Sparks invece bisogna andare al cuore del problema, colpendo non i sottoposti, ma eliminando alla radice l'origine del problema stesso, coloro che manovrano i burattini.
Entrambe queste visioni presentano molte criticità, infatti Ellis non presenta nessuna di esse come risolutiva - pur indicando Bendix come il principale "criminale" - e attraverso di esse rappresenta un'allegoria della politica militare "interventista" degli Stati Uniti (la prima Guerra del Golfo si era conclusa da pochi anni).
Quello che un po' inficia (ma solo un po') la saga è la parte grafica poiché molto "pompata" secondo quello che era lo stile imperante dell'epoca. Uno stile che tuttavia mal si adatta a queste atmosfere create da Ellis. Ma il disegnatore adatto sta per arrivare.

giovedì 6 maggio 2021

Libri a caso: Il Mistero di Abbacuada


Uno dei classici topos narrativi che si è soliti vedere nei romanzi gialli è quello dell'investigatore di turno che - per le più svariate ragioni - si ritrova a un certo punto fuori dal proprio elemento. Cosa che avviene già dai tempi di Sherlock Holmes, il cui esempio più significativo in tal senso è con ogni probabilità Il Mastino dei Baskerville.
Un topos che ritroviamo anche nel romanzo Il Mistero di Abbacuada di Gavino Zucca, pubblicato nel 2017 da Newton Compton Editori.
L'opera rappresenta la prima parte di un ciclo incentrato sul Tenente Giorgio Roversi, composto alla data odierna da quattro romanzi. La storia è ambientata tra novembre e dicembre del 1961. Giorgio Roversi è un carabiniere di Bologna che, per un motivo che rimane per il momento ignoto, viene trasferito in Sardegna, presso la città di Sassari. Qui fa la conoscenza di un suo ex collega, Luigi Gualandi, divenuto tenutario e imprenditore agricolo, e della sua governante Caterina.
Mentre con l'aiuto di Gualandi cerca di abituarsi a una realtà per lui del tutto inedita, Roversi si ritrova coinvolto nell'indagine sull'omicidio di Carlo Ferrero, un vicino di Gualandi che in apparenza non aveva alcun nemico: ma allora perché le modalità del suo assassinio ricordano quelle di un codice criminale del posto?
Due argomenti appaiono interessanti in questo romanzo: in primo luogo l'ambientazione della storia, non solo la terra sarda, sassarese, con tutte le sue peculiarità, ma anche il periodo temporale. Un periodo in cui l'Italia, con finalmente alle spalle le conseguenze del secondo conflitto mondiale, si appresta a vivere un nuovo boom economico.
Un'epoca senza telefoni cellulari, senza Internet, senza computer, e dove la televisione inizia a far breccia nelle case degli italiani. L'opera riesce a catturare bene quello spirito dei tempi passati (passati non significa necessariamente migliori di quelli di oggi, è doveroso precisarlo), almeno dalla mia visione di persona che quell'epoca non l'ha vissuta, ma ne ha sentito parlare più volte dai propri genitori o conoscenti.
Il secondo aspetto è il legame tra i due protagonisti principali della storia, ovvero Roversi e Gualandi. Un rapporto alla Holmes/Watson intercambiabile, con una succedanea di Irene Adler (Caterina) stavolta dalla loro stessa parte.
Per chi è appassionato di fumetti, sarà una sorpresa scoprire che i due protagonisti sono entrambi appassionati lettori di Tex Willer - tanto che su di lui modellano persino il loro modo di agire durante le indagini - e più volte nel corso del romanzo si fa riferimento al celebre personaggio ideato da Gianluigi Bonelli, con tanto di indicazione di celebri storie del passato del ranger.
Rappresenta sempre una sfida sviluppare un personaggio femminile calato in un'epoca dove purtroppo alle donne non era concesso molto spazio, ma in questo caso il personaggio di Caterina ha quella giusta e necessaria indipendenza e spirito di iniziativa che non va a cozzare contro l'epoca storica di cui lei fa parte.
Questi due aspetti sono prevalenti, soprattutto nella prima parte, rispetto al mistero presentato, che viene comunque trattato nel solco della tradizione dei romanzi gialli, trovando infine una conclusione adeguata.
Credo che sia Roversi che Gualandi siano riflessi narrativi dell'autore, il quale è nato e vive in Sardegna, ma per lungo tempo ha soggiornato a Bologna. Un uomo di due mondi. E una Sardegna che non rappresenta un mondo a parte, bensì diviene crocevia delle varie anime dell'Italia.
L'unico problema che ho - ma questo è un mio limite - è che ogni volta che ci sono personaggi che iniziano a parlare sardo mi parte subito nella testa il flash di Nico di Aldo, Giovanni e Giacomo.

martedì 4 maggio 2021

A scuola di cinema: Rambo (1982)

1972: Viene pubblicato il romanzo Primo Sangue (First Blood) di David Morrell. L'opera è incentrata su un reduce del Vietnam di cui viene rivelato solo il cognome, Rambo. Costui, vagando senza meta per le strade di una contea del Kentucky, viene intercettato dallo sceriffo Wilfred Teasle e fatto allontanare.
Rambo non ci sta e torna indietro, venendo così arrestato. La detenzione in una piccola cella buia che subisce da parte degli agenti di polizia del posto gli riporta alla memoria quanto ha dovuto patire in Vietnam e qualcosa nella sua mente si spezza. Riuscito a fuggire, Rambo si nasconde nei boschi, ma Teasle ordina una caccia all'uomo.
Una caccia che si rivela un massacro, poiché Rambo, grazie alla sua esperienza militare, uccide molti uomini incaricati di catturarlo. Finché, nel conflitto finale con Teasle, sia lui che lo sceriffo muoiono a causa delle ferite riportate.
Questo libro si rivela un successo e viene subito opzionato per essere adattato sul grande schermo, dando vita a un personaggio cinematografico memorabile.


Nello stesso anno in cui Primo Sangue viene pubblicato, Morrell - tramite il suo agente - ne vende i diritti di sfruttamento a Lawrence Turman della Columbia Pictures, per la cifra di 75.000 dollari. La Columbia affida il progetto al regista Richard Brooks, il quale vi lavora per circa un anno, ma rimanendo infine insoddisfatto dalla sua stessa sceneggiatura che rimane incompleta.
La Columbia allora vende i diritti alla Warner Bros. per 125.000 dollari. L'idea dello studio è quella di affidare la parte del protagonista a Robert De Niro o Clint Eastwood. Inizia così una lunga sequela di attori a cui viene proposto questo ruolo nel corso degli anni (tra questi John Travolta, Nick Nolte, Jeff Bridges, Michael Douglas), un ruolo che tutti rifiutano per varie ragioni, la principale delle quali è che il film - basato sulle sceneggiature dell'epoca - sia troppo violento.
Nel 1974, Sydney Pollack cerca di far rivivere il progetto, proponendo Steve McQueen - nonostante la sua non più giovane età - come Rambo e Burt Lancaster nella parte dello sceriffo Teasle. Ma decide infine di rinunciare.
Nel 1975, il produttore Martin Bregman tenta di rilevare i diritti facendo scrivere una nuova sceneggiatura a David Rabe e cercando di affidare il ruolo ad Al Pacino, che tuttavia non è interessato perché ritiene i toni della storia troppo poco estremi. La sceneggiatura di Rabe arriva all'attenzione del regista Martin Ritt e poi di Mike Nichols, che ha in mente Dustin Hoffman come protagonista, ma anche stavolta si risolve in un nulla di fatto.
Nel 1976, il regista Ted Kotcheff viene contattato per sviluppare il progetto, che tuttavia non va nuovamente in porto. La conclusione del conflitto in Vietnam rappresenta ancora una ferita fresca per la società statunitense e un soggetto come quello di Rambo risulta alquanto delicato in quel periodo storico.
Nel 1977, gli sceneggiatori Michael Kozoll e William Sackheim ideano una nuova bozza di sceneggiatura. Sackheim intende anche essere il produttore del film, individuando il regista in John Badham e cercando per mesi dei finanziamenti, ma invano, e sempre per la stessa motivazione: che l'argomento è troppo delicato. Tutte queste prime sceneggiature sono abbastanza fedeli al romanzo di Morrell, dunque in esse Rambo uccide molte persone e muore alla fine.
Il progetto rimane perciò ancora nel limbo e viene rilevato nel 1978 dal produttore Carter DeHaven, che sceglie come regista John Frankenheimer. Stavolta qualcosa sembra concretizzarsi, poiché vengono trovati i finanziamenti e la Filmways si dichiara disponibile alla distribuzione, mentre Brad Davis viene scelto nel ruolo del protagonista. La Filmways però incontra qualche difficoltà finanziaria e tutto si arena di nuovo. Poco dopo, questa società viene acquisita dalla Orion Pictures.
Poco tempo dopo Mario Kassar e Andrew Vajna della Carolco Pictures, una piccola società di produzione che fino a quel momento si è limitata a finanziare progetti a basso costo, rilevano i diritti dalla Warner Bros. e acquisiscono la sceneggiatura di Sackheim e Kozoll. I due produttori offrono la regia a uno dei precedenti registi che si era dimostrato interessato, Ted Kotcheff, con la promessa di finanziare uno dei suoi prossimi progetti.
Per il ruolo di Rambo occorre una star di primo piano. Kotcheff vorrebbe James Woods, con cui ha già collaborato, ma questo non è possibile. Il regista manda allora la sceneggiatura a Sylvester Stallone, un attore sulla cresta dell'onda grazie ai due film usciti su Rocky Balboa fino a quel momento. Stallone la legge in un solo giorno e richiama subito Kotcheff, dichiarandosi disposto ad accettare, ma a due condizioni: un ingaggio di tre milioni e mezzo di dollari e la possibilità di riscrivere la sceneggiatura.
Il compenso che Kassar e Vanja possono offrirgli è di due milioni di dollari, ma la somma rimanente viene garantita tramite le future vendite dei diritti televisivi internazionali. Per quanto riguarda la sceneggiatura, Stallone ha intuito come mai tanti attori prima di lui hanno rifiutato la parte: ciò che funziona su un libro può non funzionare in uno script e nelle varie sceneggiature prodotte Rambo appare troppo selvaggio e sanguinario, non si riesce a provare alcuna forma di empatia per lui.
Stallone mette dunque mano alla sceneggiatura: oltre a dare un nome di battesimo a Rambo, John, ne modifica la personalità rendendolo una persona senza un vero scopo nella vita, preda di uno stress post-traumatico a causa del conflitto in Vietnam e vittima degli eventi.
Inoltre, fa in modo che Rambo non uccida mai in maniera intenzionale nessuno, neanche i poliziotti che gli danno la caccia (laddove nella bozza di Kozoll e Sackheim le sue vittime erano almeno diciassette). Infine, si impunta perché il finale sia cambiato, facendo sì che Rambo sopravviva.
Kotcheff fa compiere un'ulteriore revisione della sceneggiatura da Larry Gross e David Giler, i quali però non vengono alla fine accreditati. In tutto nel corso degli anni sono state preparate non meno di ventisei bozze.
Per il ruolo di Will Teasle, dopo i rifiuti di Gene Hackman and Robert Duvall, Kotcheff suggerisce il nome di Brian Dennehy, con cui ha lavorato nella pellicola Punto Debole (Split Image).
Per il ruolo del Colonnello Sam Trautman, la prima scelta ricade su Kirk Douglas. Costui fa anche foto promozionali vestito come il personaggio che deve interpretare e si presenta sul set pochi giorni prima dell'inizio delle riprese. Comincia però a mettere in dubbio certe parti della sceneggiatura e insiste perché il finale del film veda il suo personaggio uccidere Rambo. Kotcheff e i produttori non lo accontentano e l'attore abbandona il set.
In sua sostituzione viene contattato Rock Hudson, ma costui sta per essere sottoposto a un delicato intervento chirurgico al cuore - a seguito di un lieve infarto - ed è costretto a declinare. La parte viene infine assegnata a Richard Crenna, pochi giorni prima che le riprese incentrate su Trautman abbiano inizio. Sarà il ruolo a cui questo attore rimarrà più associato nel corso degli anni.
Le riprese si svolgono durante l'inverno del 1981, nella regione del British Columbia, in Canada. La città dove si tengono principalmente le riprese, Hope, è stata colpita di recente da una serie di licenziamenti da parte della principale ditta agraria del posto, che ha chiuso i battenti. Molti ex suoi dipendenti, dunque, vengono assunti come comparse.
Stallone cerca di effettuare in autonomia il maggior numero di riprese acrobatiche, ma non senza conseguenze. Durante un salto da una parete rocciosa in cui il suo personaggio deve restare ferito, l'attore si frattura una costola atterrando con un forte impatto sul ramo di un albero. L'esclamazione di dolore che ne consegue non è frutto di recitazione.
In un'altra scena in cui Rambo fugge dalle autorità, Stallone posa la mano su un pezzo di legno dove è presente un petardo esplosivo che si attiva un istante dopo. Stallone rimane ferito alla mano e per qualche momento teme anche di aver perso il pollice.
Anche ai colleghi di Stallone non va altrettanto bene. Brian Dennehy realizza personalmente la scena del confronto finale con Rambo, compresa la caduta finale dal tetto, ma atterrando si rompe un paio di costole. Nella scena dell'evasione, inoltre, Stallone con una gomitata procura involontariamente una frattura al setto nasale all'attore Alf Humphreys, motivo per cui nelle riprese successive costui compare con un cerotto sul naso.
Questo senza contare le temperature canadesi, che spesso e volentieri vanno sottozero, con rischio di ipotermia. Un altro curioso problema invece si verifica quando un camion che contiene un set di armi da fuoco da utilizzare sul set viene rubato da ignoti. A causa di questa e altre problematiche, compreso un allungamento della tempistica iniziale, il budget iniziale previsto di 11 milioni di dollari viene superato.
Anche se si è deciso di far sopravvivere il personaggio di Rambo, diversamente da quanto accade nel libro, viene comunque girata una scena in cui Trautman lo uccide, di modo tale che si scelga quale possa essere l'epilogo più efficace.
Un primo montaggio della pellicola è superiore alle tre ore e Stallone lo giudica orribile, tanto che lui e il suo agente si dichiarano disposti ad acquistarne tutte le copie per distruggerle. Viene dunque creato un filmato di test della durata di 40 minuti, che consente una rapida vendita dei diritti internazionali. Dopo un nuovo montaggio, infine, il minutaggio scende a poco più di 90 minuti. Tra i tagli ci sono numerose scene di dialogo di Stallone, il che spiega come mai Rambo nel corso del film non parli così tanto.
Rambo (First Blood) viene distribuito nei cinema americani a partire dal 22 ottobre 1982. A fronte di un budget non inferiore a 15 milioni di dollari, la pellicola arriva infine a incassare a livello internazionale oltre 125 milioni di dollari.
Dopo Rocky Balboa, Sylvester Stallone ha contribuito a creare un nuovo personaggio iconico. Un personaggio che comparirà in futuro in altre pellicole... ma questa è un'altra storia.

lunedì 3 maggio 2021

Libri a caso: Harry Potter e la Pietra Filosofale


Prima che si intestardisse a voler disquisire sul sesso degli angeli, J.K. Rowling aveva concepito una delle saghe fantasy e mediatiche più di successo di sempre, la saga di Harry Potter. Composta da sette libri, qualche spin-off e pure un'opera teatrale, ha conquistato il mondo intero e... e penso che non serva aggiungere altro.
Il primo libro di questa saga si intitola Harry Potter e la Pietra Filosofale (Harry Potter and the Philosopher's Stone), pubblicato nel 1997. Giusto per completezza di informazione, la storia si incentra sull'orfano Harry, il quale un giorno scopre di essere figlio di due maghi uccisi alcuni anni prima da uno stregone malvagio di nome Voldemort, un agguato a cui lui - ancora neonato - è misteriosamente sopravvissuto.
Invitato come studente alla scuola di magia di Hogwarts presieduta da Albus Silente e che può vantare insegnanti del calibro dell'inflessibile Melinda McGonagall e dell'insidioso Severus Piton, Harry entra nella casata di Grifondoro, scopre alcuni segreti di una scuola popolata da fantasmi e troll e inizia a stringere amicizia con altri studenti quali Ron Weasley, Hermione Granger e Neville Longbottom.
Ma la minaccia di Voldemort non è stata debellata. Costui ha un ultimo conto in sospeso, proprio con Harry Potter, ed è pronto a sfidare le leggi della natura e della magia pur di vendicarsi.
C'è un particolare interessante che va subito sottolineato. Io (e, come immagino, moltissimi altri lettori di quest'opera) non sono il target di riferimento del libro, concepito in special modo per i bambini pre-adolescenti. Eppure la lettura non ne risulta inficiata e - sarà per le tematiche trattate, sarà per la scrittura comunque non infantile - può essere fruita anche da chi ha qualche annetto in più sulle spalle.
Quando si tratta di "worldbuilding", il pericolo è sempre dietro l'angolo. Nel caso però dell'universo di Harry Potter, tale pericolo viene affrontato e superato con quella che appare una semplicità fuori dal comune.
Non avendo letto tutti i libri del mondo, non posso essere certo che l'idea di una scuola per magia per giovani maghi fosse già stata sfruttata in passato, di sicuro però l'ambientazione che J.K. Rowling costruisce intorno a quest'idea è qualcosa di inedito, con un mondo dove convivono allo stesso tempo spiriti benigni, maligni e burloni, centauri, foreste misteriose, labirinti pieni di enigmi, creature fiabesche e molto altro.
Inizia inoltre a delineare con grande efficacia quella che già sappiamo essere la trama a lunga gittata che caratterizzerà l'intera saga, ovvero la minaccia di Voldemort. Anche se in questo libro rimane sullo sfondo, in realtà ne permea l'intera struttura tramite piccoli frammenti piazzati con maestria che vanno poi a comporre il mosaico finale di quest'opera.
Se si volesse fare un paragone con la versione cinematografica, si può dire che quest'ultima è stata molto fedele, ma inevitabilmente ha tagliato qualcosa. Soprattutto la parte precedente all'arrivo di Harry Potter a Hogwarts e la visita a Diagon Alley contengono molti più particolari che vale la pena di conoscere, anche se avete visto e rivisto i film di questa saga.
Il primo anno di studi si è dunque concluso con successo e i prossimi promettono faville.

domenica 2 maggio 2021

Fabolous Stack of Comics: Terminator - Il Nemico del Mio Nemico


Ogni volta che una storia termina, ogni volta che vediamo comparire la fatidica parola "FINE", molti di noi si chiedono: e ora? Sì, perché la minaccia di turno può essere stata sventata, la situazione problematica può essere stata risolta... ma cosa accade il giorno dopo? O nei mesi successivi?
Sono anche questi i motivi per cui ogni tanto si scopre che quella certa storia non è proprio terminata, che c'è un altro capitolo da narrare, che quell'epilogo così finale tanto finale non era. Le saghe cinematografiche lo sanno bene e Terminator non ne è esente, visto quanti reboot ha subito nel corso degli anni.
E i fumetti hanno ampliato questo desiderio di voler ammirare un nuovo capitolo di questa saga. Come nel caso della miniserie in sei numeri pubblicata nel 2014 Il Nemico del Mio Nemico (The Terminator: Enemy of My Enemy), scritta da Dan Jolley e disegnata da Jamal Igle.
La storia si svolge nel 1985, un anno dopo il fallito tentativo di uccidere Sarah Connor. Arriva un nuovo Terminator dal futuro, ma stavolta ha un altro incarico, sempre sanguinario: uccidere la scienziata Elise Fong, per motivi che lei stessa ignora. Sulle sue tracce, in realtà, vi è anche Farrow Greene, un'ex agente della CIA con un passato oscuro alle proprie spalle divenuta una mercenaria.
Farrow Greene deve uccidere Elise Fong per conto dei suoi mandanti, ma l'arrivo del Terminator cambierà le carte in tavola, portando a rapidi capovolgimenti di fronte, battaglie sanguinarie e... alleanze all'apparenza improbabili.
Come era accaduto in Guerra Parallela, anche in questa miniserie i riflettori si incentrano su una donna fuori dall'ordinario, cazzuta per usare un termine immediato. Pur essendo questa principalmente una storia dominata dall'azione e dalle sparatorie, tante sparatorie, vi è qui e là qualche momento in cui si analizza la personalità di Farrow Greene.
Il segreto del suo oscuro passato è presto rivelato, ma le conseguenze che ciò causa alla sua psicologia vengono esplorati capitolo dopo capitolo. Il tutto però senza dimenticare che questa è una storia inserita nell'universo di Terminator, dunque rispettandone quei requisiti indispensabili.
In conclusione, di certo non una storia imprescindibile, ma comunque gradevole. Da leggere in velocità, tra un fumetto e l'altro.