Si torna a esplorare la tensione e l'orrore in un ambito domestico dopo Sono la Bella Creatura che Vive in Questa Casa (I Am the Pretty Thing That Lives in the House), anche se stavolta troviamo atmosfere leggermente differenti.
The Open House è un film scritto e diretto da Matt Angel e Suzanne Coote e distribuito su Netflix a partire dal 19 gennaio 2018.
Dopo la morte del marito a causa di un incidente, Naomi Wallace (Piercey Dalton) e suo figlio Logan (Dylan Minnette) si trasferiscono in via temporanea presso la casa della sorella della donna. L'abitazione è libera, ma in vendita, quindi vi sono ogni tanto delle visite da parte di potenziali compratori.
Ben presto a seguito del loro ingresso, Naomi e Logan Wallace iniziano a notare strane cose: oggetti che scompaiono, insoliti rumori che provengono dal sottoscala e la caldaia che viene in apparenza manipolata. Che ci sia qualcuno dentro la casa nascosto? E cosa vuole da loro?
Questo film si appoggia a un canovaccio consolidato, ovvero che il vero orrore può essere dietro l'angolo, nella vita di tutti i giorni, e può provenire anche dal tuo vicino di casa. Ma poi crea attorno a questo concetto una storia che non si pone un vero e proprio obiettivo.
Viene infatti costruita tensione attorno a un solo elemento - e ci può stare - trascinandolo in un ritmo lento di narrazione - e ci può stare anche questo - che però per buona parte del tempo non porta da nessuna parte... e questo ci sta un po' meno.
L'idea che ci possa essere un assassino o persecutore invisibile, che noi non vedremo mai, può risultare anche affascinante (come accade ad esempio in The Strangers), ma questo non significa che la tematica non vada approfondita. Tra l'altro non si capisce perché il tizio stia lì giorni, forse un'intera settimana, se fin dall'inizio voleva solo uccidere madre e figlio per poi passare a un'altra casa.
Posso capire che l'intento a monte sia stato:"Caro spettatore, ti aspetti che l'assassino sia una persona nota con delle motivazioni ben precise, vero? E invece no, vogliamo farti capire che l'orrore può colpirti in ogni momento!". Ma dove c'è fumo ci deve essere anche l'arrosto e deve essere anche ben cucinato.
Una storia senza storia è come una persona senz'anima: priva di empatia, che non riesce a trasferire ad altri alcuna emozione. La sensazione di vuoto che ti lascia è differente da quei film che non hanno un vero e proprio finale. Qui infatti il finale c'è, la storia ha una sua conclusione, ma non si capisce bene perché si sia arrivati a quella conclusione: c'è ne potevano essere mille altre e non sarebbe cambiato nulla.
E non basta caricare la colonna sonora a palla... per non far accadere nulla... per migliorare la situazione.
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