martedì 7 febbraio 2023

Netflix Original 105: Brain On Fire


Si torna a parlare di malattia, un momento difficile nella vita di ognuno e che magari non vorremmo, a livello conscio o inconscio, veder riflesso in un film che dovrebbe darci attimi di pace e relax. Ma il cinema è anche e soprattutto uno specchio della realtà.
Il tema delle malattie mentali è molto difficile da affrontare. Si corre ancor di più il rischio di cadere nella retorica e descrivere eventi che nella realtà sono difficili a vedersi (molti abbandonano il malato quando inizia a dare segni di squilibrio, nei film invece gli rimangono tutti accanto), quindi la cosa migliore è descrivere degli eventi reali.
Questo è ciò che accade in Brain On Fire, scritto e diretto da Gerard Barrett e distribuito su Netflix a partire dal 22 giugno 2018.
La giovane e promettente giornalista del New York Post Susannah Cahalan (Chloë Grace Moretz) sta iniziando a ottenere incarichi prestigiosi e scrivere articoli importanti, ma all'improvviso inizia a sperimentare sensazioni di astrazione dalla realtà e vede e sente cose che non ci sono.
Quella che sembra un semplice stato di stress, ben presto peggiora e Susannah Cahalan comincia ad avere crisi sempre più gravi. Eppure tutti i test medici, ripetuti più volte, affermano che la donna si trova in un perfetto stato di salute. Qual è davvero la malattia che la affligge?
Come detto, il film è ispirato a fatti reali. Susannah Cahalan è un'apprezzata scrittrice e giornalista che ha parlato di questa sua drammatica esperienza in un libro autobiografico intitolato Brain on Fire: My Month of Madness.
Per chi dunque ha vissuto accanto a un parente o un amico malato, mentre i dottori cercavano di capire cosa fosse accaduto, non sarà semplice guardare questa pellicola poiché grazie alla bravura dei vari attori (nel cast vi sono anche Richard Armitage e Carrie-Anne Moss nella parte dei genitori della giornalista) si ricreano con efficacia quelle sensazioni di angoscia e impotenza che ci si ritrova ad affrontare in queste occasioni.
Il film riflette il messaggio che il libro trasmette. Prima di tutto sottolinea come Susannah Cahalan abbia avuto sempre al proprio fianco i suoi genitori e il fidanzato, anche quando la situazione appariva tragica, e si siano battuti per lei, impedendo che venisse trasferita in un istituto psichiatrico. Come detto non è sempre così semplice e la tentazione di fuggire per molti è forte, ma è anche la soluzione più semplice e inutile: la malattia e il dolore non scompaiono magicamente grazie a questo.
L'altro messaggio è riflesso nel fatto che la giornalista abbia potuto parlare di quanto accadutole. E lo ha potuto fare perché c'è stato infine un medico che ha preso a cuore la sua situazione e analizzando tutti i dati possibili ha scoperto da cosa era afflitta.
Una diagnosi precoce può essere spesso la ricetta migliore per evitare drammatiche conseguenze e il caso di Susannah Cahalan non è così isolato. La sua storia, stando alle dichiarazioni finali, ha contribuito a migliorare la situazione. E in un'era dove la professione medica viene così osteggiata da una rumorosa minoranza, non può esserci epilogo più adatto.

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