Ogni città deve affrontare la propria dose di criminalità, sia che si parli di grandi metropoli sia che l'azione si svolga in una piccola cittadina.
La lotta tra polizia e criminalità, tra ordine e caos con moltissime zone di grigio nel mezzo, è un cardine del cinema di ogni paese, che tratta questo tema a seconda della propria sensibilità. Un confine netto e quasi filosofico, come in Heat - La Sfida, oppure più fracassone come in L'Ultimo Boy Scout. Senza dimenticare i nostri amati "poliziotteschi".
Ma difficilmente ci saremmo aspettati una visione filtrata dalla sensibilità della Malesia. Eppure questo accade in Crossroads: One Two Jaga, diretto da Nam Ron, scritto da Ayam Fared, Pitt Hanif, Amri Rohayat, Nam Ron e Muhammad Syafiq e distribuito su Netflix a partire dal primo dicembre 2018.
Nella Malesia del recente passato, il giovane poliziotto Hussein (Zahiril Adzim) è un idealista che crede ancora nella giustizia, ma si scontra subito con la dura realtà quando intuisce che la corruzione all'interno del dipartimento di polizia è profonda e arriva fino ai vertici.
La sua strada si incrocerà in maniera drammatica con quella di Sumiyati (Asmara Abigail), un'immigrata clandestina a cui è stato sottratto il passaporto che vuole tornare in Indonesia, sfuggendo al suo tirannico datore di lavoro.
In un mondo dominato dal male, è davvero difficile che un raggio di luce possa giungere, questo almeno sembra suggerire il film, popolato da figure perlopiù negative (bambini compresi) la cui natura di esseri caotici travolge le vite di quei pochi innocenti che popolano il loro stesso mondo.
Uno di questi è il poliziotto Hussein, che vive una sorta di Training Day alla malese venendo affiancato a un collega più esperto e corrotto, anche se per motivazioni differenti da quelle per cui agiva il personaggio di Denzel Washington.
Per come la pellicola è girata e per i dialoghi che non cercano in alcuna maniera le frasi ad effetto, ovviamente radicati nel modo di parlare locale, sembra quasi di vivere una sorta di Gomorra ambientata in Malesia. Ovvero diverse "finestre" che si spalancano su questo micromondi criminali ma che, diversamente dal film di Matteo Garrone, arrivano infine a incrociarsi, anche se in principio sembrano procedere lungo differenti binari.
Sembra quasi di assistere a un documentario, che con sguardo neutrale indaga nei bassifondi della città e sulla criminalità malese, intrufolandosi nelle vite dei boss, degli sfruttatori e dei semplici "sgherri".
E quel raggio di luce alla fine sembra arrivare, ma quanta sofferenza lungo la via.
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