giovedì 5 giugno 2025

Netflix Original 182: Tyler Rake


Se vi si chiedesse di immaginare la tipologia classica dell'eroe dei film action americani, credo non fareste molta fatica, visto che questo tipo di personaggio è comparso decine di volte (paradossalmente, anche se si detestano i film action, è quasi impossibile non imbattervisi).
Anticipato da Charles Bronson (e volendo anche da John Wayne) nel contesto metropolitano in cui spesso agisce, ha iniziato a trovare gloria da Rambo in poi. Le caratteristiche sono consolidate: un eroe, il 99% delle volte con un passato militare alle spalle, che non ha più nulla da perdere e ha subito qualche tragedia che lo ha segnato. Tragedie che il più delle volte sono di natura familiare.
Passano i decenni e questa figura non vuole proprio saperne di scomparire. Ne è una prova Tyler Rake (Extraction), diretto da Sam Hargrave, scritto da Anthony Russo e Joe Russo e distribuito su Netflix a partire dal 24 aprile 2020.
Ovi Mahajan (Rudhraksh Jaiswal), il figlio di un boss della droga del Bangladesh rinchiuso in prigione, viene rapito da persone al servizio di un signore della droga rivale.
Non volendo pagare il riscatto e mostrarsi così debole, il padre del ragazzo fa contattare la squadra di mercenari capeggiata da Tyler Rake (Chris Hemsworth) perché prelevi Ovi Mahajan e lo porti fuori da Dacca, la capitale del Bangladesh.
Tyler Rake si infiltra dunque nella città, ottenendo come conseguenza di iniziare a essere perseguitato e inseguito da numerosi mercenari e la quasi totalità delle forze di polizia corrotte al servizio del rivale per una battaglia all'ultimo sangue.
Vediamo dunque cosa abbiamo qui. Un eroe in apparenza tutto d'un pezzo che compie imprese da supereroe (visto l'attore coinvolto è il minimo, direi)? Confermato.
Vi è un tragico passato alle spalle e la moglie lo ha pure abbandonato? Confermato.
Per via di questo l'eroe coltiva un mica tanto inconscio desiderio di morte e si butta a capofitto nelle situazioni più rischiose? Confermato anche questo.
Siamo proprio nell'ambito della tipologia del più classico film action, che possa appagare i gusti del pubblico senza troppe pretese (e non c'è nulla di male in questo).
Da sottolineare, forse anche per via dell'ambientazione, come la pellicola cerchi di mixare sia la scuola action americana (quindi sparatorie e manovre acrobatiche a farla da padrone), sia quella asiatica, principalmente quella dei film indonesiani, con scene di lotta fisica rapide, uso di oggetti domestici, arti marziali e coltellate.
Ne diventa un'emblema un piano sequenza di circa 12 minuti - chiaramente con abili tagli alla Hitchcock realizzati col montaggio e gli effetti speciali - in cui tutti questi stili si fondono e numerose ambientazioni vengono toccate, dalle abitazioni diroccate alle strade affollate. Occorre ammettere che appare davvero ben realizzata, pur essendo subito intuibile la sua natura artificiosa.
Quella che vedrete è una suicide run che, come un videogioco, diventa sempre più ardua e con "livelli" sempre più difficili da superare. Ma alla fine, non temete, gli americani porteranno di nuovo la giustizia con le proprie mani.
Se quindi volete vedere Thor che decima l'intero corpo di polizia del Bangladesh, questo è il film che fa per voi. Un popcorn movie, come si sarebbe detto un tempo.

mercoledì 4 giugno 2025

Italians do it better? 58: 50 Km All'Ora (2024)


Il road movie: recarsi da una destinazione di partenza a un punto d'arrivo cambiando lungo la via e maturando come persona.
La famiglia disfunzionale: nuclei familiari che hanno affrontato difficoltà e separazioni che trovano il coraggio e la possibilità di ritrovarsi.
Il cinema italiano, ma più in generale il cinema di tutto il mondo, ha ormai da decenni utilizzato più volte questo stratagemma di unire entrambi questi concetti. L'idea di partenza in effetti è semplice da mettere in scena e quello che conta principalmente è come si sviluppano poi gli eventi.
Un nuovo road movie si ritrova in 50 Km All'Ora, diretto da Fabio De Luigi, scritto da Fabio De Luigi e Giovanni Bognetti e distribuito nei cinema nel gennaio 2024.
Rocco (Fabio De Luigi) e Guido (Stefano Accorsi) sono due fratelli che non si vedono da molti anni, dopo che i loro genitori si sono separati in malo modo e Guido ha deciso di abbandonare casa per girare il mondo e fare fortuna.
Dopo la morte del padre Corrado (Alessandro Haber), Guido si presenta al suo funerale e trova una lettera che costui gli ha scritto, dove afferma di non portar più alcun rancore e gli chiede di portare le sue ceneri presso la tomba della madre.
Guido salta allora in sella a un motorino e, nel viaggio, viene accompagnato da Rocco. Un viaggio che sarà occasione per entrambi di chiarire le loro divergenze e scoprire lati inediti delle loro vite.
La formula è davvero consolidata: vi è una tragedia di partenza che riunisce la famiglia, le cui differenze sembravano ormai inconciliabili, e da lì inizia un processo di riavvicinamento morale che annulla in poco tempo tutte le distanze che si sono creati in un arco di molti anni.
Nella vita con ogni probabilità non è così semplice, ma il road movie è anche un percorso di crescita condensato in breve tempo. Quando si parte si è in possesso della vecchia personalità, con tutti i suoi pregi e difetti, ma all'arrivo si è una persona diversa. Sempre con pregi e difetti, ma con un diverso approccio all'esistenza e ai rapporti interpersonali. Un viaggio interiore ed esteriore, dunque.
La formula quindi si ripete anche qui, con poche varianti. Ma non è un film che cercava l'originalità a tutti i costi.
Con due quasi cinquantenni che, a vario titolo, sono stati segnati dalla vita, ma che tentano entrambi di avere un approccio positivo di tanto in tanto venato di cinismo. Il primo, Rocco, più misurato e concreto. Il secondo, Guido, più esuberante e sbrigativo nelle cose. Poli opposti che si attraggono.
E con scenette comiche annesse, caratteristica basilare di questo tipologia di film italiani.
Vi è un curioso ribaltamento di prospettiva alla fine, che rimescola tutte le carte che abbiamo visto gettate sul tavolo fino a quel momento. Perché il viaggio ha bisogno di una motivazione concreta e tale motivazione a volte va creata dal nulla.

sabato 31 maggio 2025

A scuola di cinema: Urban Cowboy (1980)

12 Settembre 1978: Viene pubblicato sulla rivista Esquire l'articolo The Ballad of the Urban Cowboy: America’s Search for True Grit, scritto da Aaron Latham.
Il mito del selvaggio West oramai è scomparso e al suo posto hanno cominciato ad apparire decine di metropoli, popolate da milioni di persone. In quest'era di cambiamenti e incertezze, c'è chi si affida alla religione e chi invece al cappello da cowboy in un nuovo contesto urbano. Un Urban Cowboy.
L'articolo si incentra su Dew Westbrook, un giovane operaio che lavora presso un impianto chimico texano e vive in una casa mobile. Dopo essere uscito dal lavoro, le sue serate le passa in un locale chiamato Gilley's, sito in Pasadena e inaugurato nel 1971, vestito come un perfetto cowboy. Il Gilley's è un locale immenso, grande più di un campo da football, ed è capace di ospitare anche 5.000 persone.
Qui Dew conosce Betty Jo Helmer, l'ex moglie. Le loro vite sono fortemente intrecciate col locale tanto che, quando si sono sposati, si sono poi recati al Gilley's a festeggiare e lì Betty si è fatta scattare qualche foto con l'abito da sposa.
Le serate dei due si dividono tra i balli, i drink con gli amici e l'ascolto della musica country per cui il locale è diventato famoso nel corso degli anni. Fino a quando al Gilley's viene installato un toro meccanico, che chiunque può cavalcare. In breve tempo diventa l'attrazione preferita di Dew, ma anche Betty Jo vuole provare il toro meccanico, nonostante le proteste del compagno.
In breve tempo diviene abilissima, molto più brava di Dew. Questo è solo il primo di molti argomenti di discussione che avvengono nella coppia e che portano Dew a tradire Betty Jo con un'altra donna.
Pur essendo consapevole di questa relazione extraconiugale (l'uomo non si fa alcun problema a portare l'amante al Gilley's), la donna continua a essere innamorata di Dew e tenta di riconquistarlo cercando di suscitare la sua gelosia.
Ma forse Dew ha deciso di cambiare vita e così per un po' smette di frequentare il locale. A Betty Jo, dunque, rimangono solo la sua solitudine e il toro meccanico.
Una storia, quella di questi due giovani, profondamente radicata nella società americana, che qualche tempo dopo diviene oggetto di un adattamento cinematografico.


L'articolo di Aaron Latham viene notato dai produttori Irving Azoff e Robert Evans, per la Paramount Pictures. Azoff è anche produttore musicale e ha intravisto le potenzialità nel creare un album dedicato, incentrato su questo progetto.
Il primo regista scelto è Floyd Mutrux, ma viene ben presto scartato in favore di James Bridges. Costui scrive anche la sceneggiatura, in collaborazione con lo scrittore dell'articolo di riferimento, Aaron Latham.
Per il ruolo del protagonista, Buford Davis, la prima scelta di James Bridges ricade su Dennis Quaid, ma viene infine scelto John Travolta, che si è appena allontanato dalla produzione di American Gigolò. A causa di questa uscita improvvisa, la Paramount gli impone di girare altri due film e questo progetto è il primo di essi.
In preparazione alla parte, l'attore frequenta il Gilley's, nonché altri locali del Texas, conoscendo e chiacchierando con alcuni avventori. Inoltre si fa installare presso la propria abitazione un toro meccanico.
John Travolta inizia ad allenarsi su base quotidiana, con l'assistenza dello stuntman Chris Howell, divenendo talmente bravo che alla fine l'esigenza di avere una controfigura diviene praticamente superflua.
Per il ruolo della protagonista, Sissy, le prime scelte ricadono su Sissy Spacek e Michelle Pfeiffer. Soprattutto quest'ultima è l'attrice su cui i produttori puntano di più, ma James Bridges si impunta su un'altra attrice, Debra Winger. all'epoca ancora poco conosciuta. Il regista è supportato da John Travolta per questa decisione e arriva anche a minacciare di ritirarsi dalla lavorazione se Debra Winger non viene scelta e così alla fine anche la produzione si adegua alla sua preferenza.
Le riprese iniziano in via ufficiale il 2 luglio 1979. La programmazione originaria prevede l'inizio a giugno, ma vi è uno slittamento di tre settimane quando John Travolta rimane ferito a un labbro dopo essere stato morso dal proprio cane.
La lavorazione si svolge in Texas e, tra i luoghi delle riprese, vi è anche il Gilley's, approfittando di quando il locale è chiuso al mattino. Tra le comparse in queste scene vi sono anche i baristi, i proprietari e alcuni clienti regolari del locale, regolarmente pagati trenta dollari al giorno.
La produzione viene flagellata da avverse condizioni atmosferiche, che in alcuni casi portano alcuni componenti del cast e della troupe ad ammalarsi. Per questo e altri motivi, la lavorazione va oltre le tempistiche e il budget preventivati.
Le riprese si concludono il 6 novembre 1979.
Urban Cowboy viene distribuito nei cinema americani a partire dal 6 giugno 1980. A fronte di un budget sui 13 milioni di dollari, la pellicola arriva infine a incassare circa 50 milioni di dollari.
Le aspettative di Irving Azoff vengono accontentate, poiché la soundtrack della pellicola riaccende negli Stati Uniti la passione sopita per la musica country, garantendo così grandi incassi anche in questo contesto.
Se nel film il finale è lieto, la realtà risulta invece ben diversa. Dew Westbrook e Betty Jo Helmer alla fine divorziano e scompaiono dai riflettori pubblici pochi anni dopo la pubblicazione dell'articolo di Aaron Latham.
Dopo l'uscita del film, la popolarità di Gilley's, locale già prima ben noto nell'ambito della musica country e non solo, avendo ospitato numerose band e cantanti celebri, giunge alle stelle. Oltre a una gran varietà di merchandising brandizzato, il locale negli anni successivi organizza decine di altri eventi, musicali e non solo.
Ma il successo causa anche degli attriti tra i due proprietari, Sherwood Cryer e Mickey Gilley, da cui il locale prende il nome, un celebre cantante country, cugino di Jerry Lee Lewis. Visto che, a detta di quest'ultimo, Gilley's si è troppo allontanato dalle radici per cui è nato, ovvero organizzare piccoli concerti country con vari gruppi e artisti, Mickey Gilley decide di ritirare la propria associazione col locale, togliendo dunque anche il proprio nome.
Nel 1989 Sherwood Cryer trascina il suo ex socio in tribunale, ma perde la causa e gli viene intimato di pagare una somma compensatoria a Mickey Gilley. La conseguenza immediata è che Gilley's chiude per sempre i battenti, ponendo così fine anche a un'epoca.
L'anno successivo il locale, ormai chiuso, diviene oggetto di un incendio che lo distrugge quasi del tutto. Si insinua la voce che sia stato Sherwood Cryer a causare quest'incendio, in segno di rivalsa per la sentenza del tribunale, ma nessuna prova concreta viene mai portata al riguardo. Al suo posto viene costruita una scuola.
Nel 2015 comincia a circolare la voce che la Paramount stia producendo una serie televisiva basata sulla pellicola. Tali voci sembrano svanire già sul nascere, ma nel 2022 ritornano in auge per un progetto per Paramount+ che dovrebbe approfondire l'arrivo di Buford Davis in Texas e l'inizio della sua relazione con Sissy.
Dopo questo film, James Bridges e John Travolta rinnoveranno la loro collaborazione qualche anno dopo con Perfect... ma questa è un'altra storia.

lunedì 26 maggio 2025

Netflix Original 181: L'Incredibile Storia dell'Isola delle Rose


Può accadere che vediamo pellicole, di produzione americana, basate su fatti realmente accaduti modificati a uso e consumo della macchina cinematografica, per pensare alla fine:"Queste cose solo negli Stati Uniti possono accadere".
Si potrebbe dunque pensare che la storia di un ingegnere che costruisce un'isola artificiale, la dichiara una nazione indipendente ed entra per questo in conflitto col proprio Stato sia qualcosa di prettamente americano. E invece no, tutto quello che segue è accaduto in Italia.
Una pagina un tempo poco nota del secondo dopoguerra e dell'era del boom economico riemerge in L'Incredibile Storia dell'Isola delle Rose, diretto da Sydney Sibilia, scritto da Sydney Sibilia e Francesca Manieri e distribuito su Netflix a partire dal 9 dicembre 2020.
1968: Giorgio Rosa (Elio Germano) è un ingegnere pieno di inventiva e al tempo stesso uno spirito libero, insofferente delle troppe regole che limitano la capacità espressiva di una persona.
Dopo essersi separato dalla fidanzata Gabriella (Matilda De Angelis), Giorgio Rosa ha l'idea di creare - fuori dalle acque territoriali italiane - una piattaforma che funga da isola artificiale, dove dunque non sussistano regole di alcun tipo e possa vivere libero.
A lui si uniscono ben presto altre persone, animate dallo stesso desiderio, e in principio l'isola sembra nulla più che una divertente e insolita attrazione turistica. Ma quando quest'Isola delle Rose chiede ufficialmente alle Nazioni Unite lo status di nazione indipendente, Giorgio Rosa entrerà in conflitto con quel tremendo nemico che ha nome Democrazia Cristiana.
Certe storie sono così surreali che si fa fatica a credere siano davvero accadute, e spesso quando si fa questo pensiero non si tiene conto del contesto storico e sociale in cui suddette storie si sono svolte.
La breve epopea dell'Isola delle Rose, durata poco più di un mese da quando ha richiesto lo status di indipendenza, è anche figlia di quel preciso periodo della storia italiana. La Seconda Guerra Mondiale era ormai alle spalle, una nuova generazione era emersa sulla scena, con nuove idee (che in quell'anno esplosero con le rivolte studentesche) che non incontravano il gusto della precedente generazione e vi era un generale benessere economico che permetteva un tenore di vita migliore.
Ovviamente c'erano molte ombre dietro questo scenario da fiaba e la pellicola riesce a catturare tutte queste sfumature, altrettanto ovviamente modificando la storia e gli eventi reali per renderli più appetibili da un punto di vista cinematografico (anche se le cose più incredibili sono davvero accadute, compresa alla data odierna l'unica "dichiarazione di guerra" - molto sui generis - compiuta dallo stato italiano nel dopoguerra).
Il peana di libertà e inventiva di Giorgio Rosa mal si concilia col sentore della politica e della chiesa di stampo conservatrice dell'epoca... questi due organi lo sono sempre stati, dopotutto, a seconda della convenienza.
Luca Zingaretti e soprattutto Francesco Bentivoglio creano dei perfetti "villain", nel ruolo di alcuni storici rappresentanti della Democrazia Cristiana, la forza di maggioranza dell'epoca, di persone che non hanno capito di essere ormai fuori dalla realtà, ma rimangono disperatamente aggrappate al potere distruggendo quel buono che la società italiana aveva creato fino a quel momento.
Dopo la trilogia "americana" di Smetto Quando Voglio e prima di Mixed By Erry, Sydney Sibilia ricrea un'altra piccola pagina della storia italiana poco conosciuta. Quegli eventi per cui qualcuno potrebbe dire:"Solo negli Stati Uniti sarebbero potuti accadere".
E invece no, la società italiana è di certo piena di queste piccole storie di coraggio, di libertà e volontà che sono andate a scontrarsi contro lo status quo. Anche se in questi casi è difficile che vinca lo sfavorito, ricordare e approfondire certi eventi potrebbe allargare gli orizzonti e ridurre i confini, di spazio e mentali, che albergano nelle menti umane.

venerdì 23 maggio 2025

Netflix Original 180: Woman of the Hour


La televisione ha offerto e può offrire spezzoni e trasmissioni inquietanti. Tanto più se quelle trasmissioni hanno le loro radici nel passato e in una società, la quale cambia a ogni decennio che passa, che risulta molto diversa rispetto a quella attuale.
Tra questi momenti inquietanti vi possono essere le interviste ai serial killer, durante le quali questi assassini plurimi parlano con apparente distacco delle atrocità che hanno commesso. Tuttavia che un serial killer abbia partecipato senza problemi a un programma televisivo di intrattenimento risulta con ogni probabilità l'involontario apice del concetto di inquietudine.
Per quanto possa apparire surreale, tutto ciò è accaduto e viene descritto in Woman of the Hour, diretto da Anna Kendrick, scritto da Ian McDonald e distribuito su Netflix a partire dal 18 ottobre 2024.
Anni '70 del ventesimo secolo. Sheryl Bradshaw (Anna Kendrick) è un'attrice di basso profilo che riesce a ottenere solo incarichi poco significativi e, a parte questo, le vengono proposte solo scene di nudo.
Per farsi conoscere dal grande pubblico, la sua agente la invita a partecipare a The Dating Game/Il Gioco delle Coppie, nella speranza che questa apparizione funga da lancio pubblicitario per essere ricontattata per incarichi più prestigiosi.
Nel 1978, dunque, Sheryl partecipa al programma. Ma non può sapere che tra i suoi tre pretendenti vi è il serial killer Rodney Alcala (Daniel Zovatto), che ha già ucciso numerose donne negli ultimi sette anni. E la sua prossima vittima potrebbe essere proprio Sheryl.
Per quanto surreale, questa non è una storia di invenzione. Rodney Alcala è stato uno dei più spietati serial killer di sempre - si stima che le sue vittime siano superiori al centinaio, ma non vi è mai stata conferma al riguardo - ed effettivamente nel 1978, con già dei precedenti penali alle spalle e senza che nessuno si accorgesse di nulla, partecipò a Il Gioco delle Coppie, venendo scelto infine come compagno per un viaggio dalla partecipante, Cheryl Bradshaw.
Viaggio che poi non avvenne mai in quanto la donna, per sua fortuna, si accorse solo in un secondo momento di quanto risultasse inquietante Rodney Alcala e fece così perdere le proprie tracce.
Ecco un angolo oscuro degli anni '70, quello stesso angolo oscuro (seppur legato a una tematica differente, ma sempre avente sullo sfondo Il Gioco delle Coppie) esplorato in Confessioni di una Mente Pericolosa. Un angolo oscuro che diviene occasione per una delle ex interpreti di Twilight, anche se quella saga è ormai lontana, di fare il proprio debutto come regista e in maniera molto apprezzabile per quanto mi riguarda.
Chi ha sul groppone qualche annetto ricorderà senza problemi anche una versione italiana de Il Gioco delle Coppie, uno di quei programmi preconfezionati e in apparenza rassicuranti dell'era televisiva berlusconiana.
La puntata dello show americano in questione è ovviamente facilmente reperibile in rete - visto il clamore mediatico che aveva già prima che uscisse questo film - e, col suo tono grottesco e surreale, reso ancora più assurdo dalla presenza di una persona che sappiamo essere un serial killer, non è adattabile così come è stata concepita: troppo glamour raffazzonato, con momenti che oggi si definirebbero cringe che danno un nuovo significato al termine cringe.
Il film adotta dunque un differente approccio, poiché in ultima analisi non vuole essere una pellicola dalla perfetta aderenza storica. Prendendo spunto da questo evento, il film diventa una metafora di quello che era il trattamento riservato alle donne in certi contesti in quel decennio specifico, sì, ma di cui si vedono riflessi anche nel presente.
Nella pellicola, come nella realtà, Rodney Alcala partecipa alla trasmissione senza che si facciano dei controlli su di lui, nonostante avesse già dei precedenti penali e più volte fosse stato denunciato, senza che le autorità intervenissero.
Nella pellicola, come nella realtà, le denunce avanzate da donne nei confronti di Rodney Alcala non vengono tenute in considerazione, non vengono credute e al limite ci si prende gioco di loro.
A volte non è semplice calarsi nella visione del mondo di un'altra persona e capire che ciò che noi riteniamo assurdo, fuori dalla nostra comprensione, è in realtà qualcosa di ordinario o sconvolgente per quest'altra persona. A volte si ignorano i segnali che ci sono attorno a noi. E i mostri sono liberi di agire.

giovedì 22 maggio 2025

Netflix Original 179: I Due Papi


In circa 20 anni, tre Papi sono stati eletti dopo la scomparsa di Giovanni Paolo II, il cui pontificato è invece durato ben più di questo periodo temporale, lasciando inevitabilmente un segno.
Eppure - nel bene e nel male, ognuno faccia le dovute proporzioni secondo il proprio punto di vista - anche i successivi due Papi hanno lasciato un segno. E per qualche anno hanno messo da parte l'adagio per cui morto un Papa se ne fa un altro.
Un momento focale nell'esistenza dei due predecessori di Leone XIV viene descritto in I Due Papi (The Two Popes), diretto da Fernando Meirelles, scritto da Anthony McCarten e distribuito su Netflix a partire dal 20 dicembre 2019.
2012: Rimasto deluso dalla piega che sta prendendo la chiesa cattolica negli ultimi anni e dalla mancata condanna degli atti di pedofilia dei sacerdoti, il cardinale Jorge Bergoglio (Jonathan Pryce) medita di dimettersi e invia così formale richiesta al Vaticano.
Viene dunque contattato dalla Santa Sede e ha modo di incontrare Josef Ratzinger/Papa Benedetto XVI (Anthony Hopkins). Quella che in origine appare essere come una decisione netta e senza ripensamenti, diventa l'occasione per l'attuale e futuro papa di discutere di varie tematiche, di confrontare le loro passioni e di raccontare eventi lieti e drammatici dei rispettivi passati.
Fino a quando un'incredibile rivelazione viene svelata.
Quando pensiamo al Papa, ovvero a un capo di Stato e rappresentate massimo della Chiesa Cattolica, lo vediamo anche come una sorta di figura eterea, irraggiungibile per certi versi. Eppure personalità come Giovanni Paolo II e, appunto, Papa Francesco hanno provato a proiettare una dimensione più umana verso i propri fedeli, di fronte a un mondo che cambiava sotto i loro stessi occhi e rendeva antiquate e superate certe regole e procedure del papato e della chiesa.
Questo film, di forte impostazione teatrale, è una sorta di lungo dialogo tra i due precedenti Papi, ben sostenuto da due navigati attori, durante il quale i due si confrontano su svariati temi quali la pedofilia all'interno dei ranghi della Chiesa, la corruzione economica e la perdita di fede.
Ma discutono anche, ricollegando così i due a quella dimensione umana in cui lo spettatore può identificarsi, delle loro passioni, peraltro note e quindi non frutto di invenzione cinematografica. Quindi il calcio per padre Bergoglio e la musica per Josef Ratzinger, che si scopre anche insolito fan de Il Commissario Rex (non è una bufala). Sempre in quest'ottica non mancano momenti divertenti, come quando i due mangiano la pizza.
Tuttavia il dialogo è in particolar modo un'occasione - volta anche questa a ricondurre i due protagonisti a una dimensione umana - per aprire degli squarci nel passato dei due Papi e di chiedere ammenda per alcune azioni che hanno commesso.
Il finale è ben noto, dopotutto stiamo parlando di un evento storico, ora consegnato a un passato in cui queste due figure, un giorno o l'altro ma di sicuro non durante le nostre esistenze, potranno essere inquadrate e analizzate nel giusto contesto e col giusto distacco.

mercoledì 21 maggio 2025

Libri a caso: Delitto in Cielo


Il delitto, così come l'amore, percorre tutto il mondo. Acqua, terra e pure cielo non sono esenti da questa insolita pratica. E quando la tecnologia avanza, in qualche modo chi compie un delitto troverà il modo di approfittarne.
Nel 1903 i fratelli Wright ideano il primo aeroplano e non passa molto tempo prima che questa invenzione inizi a fruttare denaro e sia utilizzata anche per scopi bellici, in special modo nel corso della Prima Guerra Mondiale.
Trent'anni dopo questa invenzione è ormai parte integrante della società, per chi può permettersela ovviamente. E li delitto giunge anche lì con Delitto in Cielo (Death on the Clouds) di Agatha Christie, pubblicato nel 1935.
Nell'aereo che parte da Parigi e deve giungere a Croydon ci sono svariate personalità: un dentista, due archeologi, una parrucchiera, due nobildonne... e un'usuraia. Il suo nome è madame Giselle Morisot e, come intuibile, nel corso degli anni si è procurata qualche nemico.
Così, quando l'aereo è in procinto di atterrare, un assistente di volo scopre con orrore che la donna, circondata da altre persone che non si sono accorte di nulla, è stata uccisa. L'arma che si ritiene sia stata usata è davvero particolare: una cerbottana utilizzata da alcune tribù africane che ha lanciato un minuscolo dardo intriso di veleno.
Tale cerbottana viene ritrovata sotto il sedile di uno dei passeggeri del volo, un detective belga di nome Hercule Poirot, il quale diviene così il primo sospettato!
Quando si tratta di delitti avvenuti in luoghi chiusi o in uno spazio confinato ben definito, la letteratura gialla va a nozze con questo tipo di concetto. Pensiamo solo ai celebri casi degli omicidi con la porta chiusa.
La gentile Agatha Christie si era già cimentata con questo topos narrativo l'anno precedente la pubblicazione di quest'opera, grazie ad Assassinio sull'Orient Express. Qui porta ancora più all'estremo quell'idea. Tra l'altro, per quanto ho potuto vedere, poi sfruttata davvero poco (in effetti quanti omicidi possono avvenire in un aereo, più consono per scene di azione alla Mission Impossible?).
Uno spazio ancora più ristretto, un delitto che è impossibile non vedere eppure avviene all'insaputa di tutti e la consueta rosa di sospettati che in apparenza non ha nulla a che fare con la vittima. Insomma, un Orient Express trasferitosi in cielo.
E un altro elemento in comune è la presenza di Hercule Poirot e delle sue cellule grigie. Agatha Christie ormai è più che a suo agio nel descrivere gli eventi: gli esordi sono ben lontani e anche quelli erano signori esordi. E dopo aver superato alcuni tragici eventi personali, la sua vena artistica non è venuta meno.
Tornano così, o meglio non sono mai scomparse, le descrizioni alla sua impeccabile maniera delle persone coinvolte nella vicenda e soprattutto le loro eccentricità. Qualche relazione amorosa lungo la via con tanto di Poirot nel ruolo di insolito Cupido. E i consueti trucchi di prestigio narrativi.
Alla fine Agatha Christie aderisce alla celebre teoria di Edgar Allan Poe per cui qualcosa di misterioso che avviene alla luce del sole, davanti a tutti, non viene notato. Anche un delitto tra le nuvole, dove il bianco candore viene macchiato dal rosso sangue.

venerdì 16 maggio 2025

Netflix Original 178: Murder Mystery 2


Nel 2019 gli affiatati coniugi Nick Spitz e Audrey Spitz si sono ritrovati coinvolti in un insolito e caotico caso da risolvere in Murder Mystery. Tuttavia, grazie al loro affiatamento (appunto), alla capacità di saper cogliere alcuni indizi... e a molta, molta fortuna sono venuti a capo del mistero tra una battuta e una situazione comica.
Un'alchimia che ha funzionato. Non stupisce, dunque, che un sequel giunga poco tempo dopo. Ecco così Murder Mystery 2, diretto da Jeremy Garelick, scritto da James Vanderbilt e distribuito su Netflix a partire dal 31 marzo 2023.
Dopo aver brillantemente, diciamo così, risolto il loro primo caso, Nick Spitz (Adam Sandler) e Audrey Spitz (Jennifer Aniston) hanno aperto un'agenzia investigativa, ma gli affari non stanno andando affatto bene.
Un momento di distensione giunge quando un amico incontrato durante il primo caso, il Maharajah Vikram (Adeel Akhtar) li invita in India per il suo matrimonio. Ma va tutto storto quando Il Maharajah viene rapito e viene chiesto un riscatto.
Mentre alcuni omicidi vengono commessi, i principali sospettati di quanto accaduto... esatto, sì... sono ritenuti Nick e Audrey. E come se non bastasse devono anche fare i conti con un detective professionista, Connor Miller (Mark Strong), che cerca di metterli in pessima luce.
Ebbene, quando si ritiene una formula vincente si tende a ripeterla nella speranza che funzioni una seconda volta. E questo è quanto è avvenuto in questo sequel.
Le dinamiche tra i due coniugi, reminiscenti della saga dell'Hollywood vintage dell'Uomo Ombra e di certi batti e ribatti stile Woody Allen/Diane Keaton, ritornano più spumeggianti che mai (è un'iperbole la mia, si sappia). Caratterialmente diversi, ma che in questa loro diversità trovano un punto di incontro e una relazione stabile di cui il lavoro da investigatori è parte integrante.
Tutto questo viene condito, esattamente come la prima volta, con scene da commedia slapstick e con personaggi che circondano i due protagonisti che risultano se possibile più surreali di loro. Credetemi, ce ne vuole.
Il film è praticamente un susseguirsi di colpi di scena e battute, senza soluzione di continuità, come a voler lasciare lo spettatore senza fiato. Quindi stavolta non si bada troppo alla trama (certo, neanche nel primo film, ma lì la cosa era più velata), che procede lungo binari prevedibili, per dare occasione di mostrare - secondo un'ottica americana - la superiorità degli Spitz nei confronti degli europei e asiatici.
Un diversivo, rispetto ai thriller drammatici e seriosi che di solito imperversano.

mercoledì 14 maggio 2025

Libri a caso: I Medici - Una Regina al Potere


Continua la saga della famiglia Medici a opera di Matteo Strukul. Dopo Una Dinastia al Potere e Un Uomo al Potere, è giunto ora il momento di puntare i riflettori sulla prima donna di questa famiglia che ha occupato un posto molto importante nella storia, non solo italiana.
Ecco dunque il terzo capitolo, Una Regina al Potere, pubblicato da Newton Compton nel 2017.
1536: La morte improvvisa per avvelenamento di Francesco di Valois, primo in discendenza per il trono di Francia, getta nello scompiglio la nazione e il regno.
Il nuovo primo discendente diviene Enrico di Valois, il quale ha sposato un'italiana costretta a fuggire dalla propria patria: il suo nome è Caterina De' Medici.
Mentre su Caterina, delfina di Francia, si abbattono sospetti e maldicenze, lei deve fare i conti con letali intrighi di corte, un'amante del marito che non vuole saperne di farsi da parte e una presunta sterilità che potrebbe causarle l'allontanamento dalla corte. Ma in suo aiuto giunge uno degli alleati più particolari e insospettabili: il suo nome è Michel de Nostradame, ma è più noto come Nostradamus.
La struttura è ormai consolidata, si prendono gli eventi storici - nulla di quello che viene descritto è stato inventato, anche alcune cose in apparenza inverosimili - e li si plasma quel tanto che basta per adeguarli alle esigenze narrative, che hanno obiettivi diversi nei confronti dei lettori rispetto ai libri di storia, che devono essere più rigorosi e tecnicamente obiettivi.
Anche in questo caso, il periodo in questione è molto lungo: dal 1536 fino al 1589, anno della morte di Caterina De' Medici (sorry per lo spoiler).
Data questa premessa finora comune a tutti e tre i romanzi della saga, vi si operano anche due - per quanto piccoli - significativi cambiamenti.
Il primo, evidente, è che stavolta la protagonista assoluta è una donna, ovvero Caterina De' Medici. Con un diverso approccio rispetto agli eventi e agli intrighi che avevano Cosimo e Lorenzo il Magnifico, i quali potevano intervenire direttamente, essendo un periodo storico differente.
Il secondo, in principio quasi non lo si nota, è che l'azione si sposta dall'Italia alla Francia. Altra nazione focale della storia europea, e in questo caso ai livelli più alti del potere, fino a giungere al trono stesso, al centro del potere. Quindi terreno perfetto per intrighi, tradimenti e piani segreti.
La figura di Caterina De' Medici è stata per molto tempo controversa, ritenuta una delle principali fautrici di conflitti religiosi che causarono centinaia di vittime, nonché responsabile di molte altre nefandezze.
Pur non essendo stata esattamente una persona moralmente ineccepibile, un piccolo atto di revisione storica e analisi degli eventi ha inquadrato dopo secoli questa personalità in una luce diversa. Qui Matteo Strukul la ritrae come una donna, che quindi parte sfavorita già in partenza, guidata da sentimenti puri come l'amore e il rispetto, ma che eventi a lei avversi la costringono a prendere decisioni controverse. Decisioni che a un certo punto chiederanno conto alla storia e al popolo di ciò che ha fatto.
Ne esce il ritratto di una donna divisa profondamente tra luce e oscurità, tra bontà d'animo e istinto di sopravvivenza, nessuno dei quali ha il sopravvento. Una figura lacerata, come lacerata è stata la Francia in quel secolo, prima che altri uomini di potere facessero il loro ingresso nella storia.
Coprotagonista è il celebre Nostradamus, l'ideatore delle Centurie. Seppur Caterina De' Medici lo consultasse in materia di astrologia e oroscopi, in questo caso il suo ruolo per scopi narrativi viene ampliato, essendo mediaticamente più conosciuto e riconoscibile. Ma non è necessariamente un male.
Perché sapete come dice quel vecchio detto: accanto a una grande donna...

giovedì 8 maggio 2025

Italians do it better? 57: Cento Domeniche (2023)


Le cronache finanziarie e anche giudiziarie di questi ultimi anni hanno parlato anche delle difficoltà di alcune banche, causa per certi versi di varie crisi economiche, nonché di scelte aziendali errate. Scelte che però si riverberano sui clienti delle banche, che sono perlopiù consumatori, esponenti del ceto medio.
Crisi che hanno coinvolto banche di questi ultimi anni hanno riguardato il Monte dei Paschi di Siena, molto "chiacchierato" a livello mediatico, e la Banca Popolare di Vicenza, la quale invece ha proprio chiuso i battenti.
Da queste premesse parte Cento Domeniche, diretto da Antonio Albanese, scritto da Antonio Albanese e Piero Guerrera e distribuito nei cinema nel novembre 2023.
Antonio Riva (Antonio Albanese) è un umile e onesto operaio, separato, tornitore che deve andare in pensionamento anticipato per evitare guai di natura fiscale all'azienda per cui lavora.
La sua vita si ripete costante giorno dopo giorno: la partita a bocce con gli amici, l'accudire la madre malata e una relazione extraconiugale che prova invano a tenere segreta.
Questo cambia quando la figlia Emilia (Liliana Bottone) gli annuncia che si sposerà. Antonio è un uomo di vecchio stampo e vuole pagare lui tutte le spese per il matrimonio. La spesa che si prospetta però è ingente e così si reca a chiedere un prestito alla banca presso cui è cliente da sempre.
Qui, con abili parole e lusinghe, un consulente lo convince a sottoscrivere un acquisto di azioni a tutela del capitale. Ma iniziano a circolare poi strane voci: che la banca sia in difficoltà e queste siano manovre per capitalizzare sui conti dei clienti. Antonio non crede a queste voci, ma ben presto avrà modo di ricredersi.
Si può ben notare come questo sia un progetto a cui l'attore Antonio Albanese crede molto. Non solo ne é l'interprete protagonista, ma ha anche curato la regia e scritto la sceneggiatura, la prima per lui di stampo drammatico.
Ovviamente la pellicola vuole puntare i riflettori sul tema delle speculazioni bancarie ai danni dei consumatori, carpendo la loro fiducia. Problematica che ha messo in gravi difficoltà economiche molte famiglie e a cui il film è dedicato, come si legge in una dedica alla fine, e si evince anche dal titolo, che sottolinea un aspetto forse ai più ignoto che riguarda le famiglie appartenenti al ceto medio.
Partendo da questa tematica, tuttavia, l'attore descrive in maniera abile e magistrale la discesa all'inferno di un uomo umile e onesto. Un uomo umile e onesto, anche ingenuo ci mancherebbe, che lentamente vede crollare tutte le proprie certezze, di cui la banca presso cui è cliente da decenni rappresenta una delle fondamenta.
Tutti quei valori su cui il protagonista ha fondato la propria vita a uno a uno crollano, portandolo a uno scenario di depressione e rabbia descritto - seppur in termini cinematografici - in maniera non banale, soprattutto per quella che è la progressiva fase di alienazione dalla famiglia e dagli amici.
Antonio Albanese sottolinea tale discesa all'inferno con la sua recitazione, non solo vocale, ma anche col tremito delle mani, con i suoi sguardi che progressivamente perdono la luce iniziale, fino a spegnersi. Insomma, davvero un'ottima prova che questo progetto personale ha portato.
Qualcosa che di certo è difficile possa lasciare indifferenti. Perché è vero che è una tematica che non riguarda tutti noi, ma è al tempo stesso un argomento per cui dovremmo quantomeno essere sensibili e a conoscenza.

martedì 6 maggio 2025

Netflix Original 177: Cheerleader Per Sempre


Come possono mancare le cheerleader nei film ambientati nei licei/college americani? Come possono? A dire il vero, sì, possono, ma questa nota di colore - del tutto assente in molti altri istituti scolastici lungo tutto il mondo - è spesso divenuta oggetto di pellicole quali ad esempio Ragazze Nel Pallone.
Tuttavia ci sono sempre elementi originali anche in questo contesto. Come nel caso di Cheerleader Per Sempre (Senior Year), diretto da Alex Hardcastle, scritto da Andrew Knauer, Brandon Scott Jones e Arthur Pielli e distribuito su Netflix a partire dal 13 maggio 2022.
2002: Stephanie Conway (Angourie Rice) è la capo cheerleader del liceo da lei frequentato, dopo anni in cui è stata emarginata dagli altri studenti. La sua popolarità è tuttavia messa in pericolo dalla rivale Tiffany, che un giorno sabota una coreografia da lei preparata e senza volerlo la fa precipitare in coma.
Passano 20 anni: una ora trentasettenne Stephanie (Rebel Wilson) si risveglia dal coma, ma il mondo è decisamente cambiato nel frattempo. Certi termini non si utilizzano più in pubblico, i social hanno preso il sopravvento, il cheerleading è ridotto ad attività di secondo piano e il nuovo idolo del college è ora la figlia di Tiffany.
Ma c'è una cosa che Stephanie può fare, qualcosa che le è stato sottratto venti anni prima. Finire gli studi, diplomarsi e ritornare ad essere la studentessa più popolare vincendo il titolo di reginetta del ballo.
Fin dai tempi di John Hughes, che ha "canonizzato" questo specifico genere cinematografico, i film ambientati al liceo si configurano come il riscatto degli ultimi. I nerd, gli "sfigati", quelli attraversati con un rullo compressore dalla vita qui trovano la rivincita. Una rivincita che spesso manca nella realtà.
Anche se qui stavolta si prova un po' a rimescolare le carte. Nel senso che la protagonista è sì popolare, ma dopo aver modellato sé stessa come tale, vestendosi in un certo modo e frequentando certe persone, immaginandosi un futuro mondo perfetto per lei, all'americana (quindi villone, piscina e marito ricco).
Il tutto, però, a discapito degli amici veri che non la giudicavano per ciò che era e per i suoi difetti e mettendo da parte la sua vera natura per indossare una maschera sociale.
In tutto questo il coma, che costituisce solo un pretesto narrativo in fondo (non ne verranno mai davvero analizzate le conseguenze e le responsabilità), arriva per dare alla protagonista un nuovo starting point.
Si gioca ovviamente molto con l'ironia e la comicità dovuta allo "shock culturale" dei venti anni perduti con varie battute sulla cultura pop e qualche easter egg, puntando infine a far riscoprire alla protagonista la sua vera identità.
Identità che chiaramente passa da un chiaro e scontato messaggio morale di essere sé stessi, di stare accanto agli amici veri e non quelli che stanno accanto a te per convenienza e non aver paura a fallire, poiché ci sarà sempre una seconda occasione.
Inoltre mi sembra che si metta abbastanza alla berlina chi sfrutta termini come "woke" solo per obiettivi personali e non perché creda davvero in quello che dice: è solo una parola per riempire un vuoto esistenziale, in fondo. Riempire invano.
A chi piace questo tipo di narrazione e di messaggio, credo potrà apprezzare questa pellicola e una comicità che non è mai davvero cattiva, al limite talvolta un po' sopra le righe. Ora, se però non vi dispiace, vado a rivedermi le coreografie di Kirsten Dunst ed Eliza Dushku.

mercoledì 30 aprile 2025

Fabolous Stack of Comics: Scarlet - La Strada delle Streghe


Ogni tanto Wanda Maximoff, alias Scarlet, viene fatta precipitare in un abisso di oscurità da cui con fatica riesce a riprendersi. E ogni volta la storia delle sue origini viene modificata.
In principio fu il dio del caos Chthon, che provò a usare Scarlet come suo araldo per spargere distruzione sulla Terra. Fu poi la volta di Pandemonio e Mefisto, che fecero letteralmente impazzire Wanda Maximoff rivelandole che i suoi figli non erano mai esistiti.
Un trauma che rimase sepolto nel suo subconscio, fino a quando emerse pienamente nella saga Vendicatori Divisi, che causò la temporanea morte di alcuni componenti del gruppo, il quale si sciolse poco dopo per rinascere sotto diversa forma.
Wanda Maximoff ebbe anche il tempo di farsi volere bene dai mutanti quando, pur sobillata dal fratello Pietro, cancellò i poteri di quasi tutti i portatori del Gene X sulla Terra, riuscendo solo in un secondo momento a ribaltare questa situazione.
Insomma, tanti peccati che dopo questi eventi lei sta cercando di farsi perdonare. E il suo percorso di redenzione continua nella maxiserie di quindici numeri La Strada delle Streghe (Witches' Road), pubblicata tra il 2015 e il 2017, scritta da James Robinson e disegnata da Vanesa Del Rey, Steve Dillon, Marco Rudy, Chris Visions, Javier Pulido, Marguerite Sauvage, Annie Wu, Tula Lotay, Joelle Jones, Kei Zama, Leila Del Duca, Annapaola Martello, Jonathan Marks-Barravecchia e Shawn Crystal.
Dopo aver da tempo abbandonato gli Avengers e aver scoperto che Magneto non è suo padre,, Scarlet si occupa saltuariamente di casi legati alla magia. La sua unica compagnia è lo spirito di Agatha Harkness, la quale non perde occasione per fare battute denigratorie nei suoi confronti e ricordarle che è la responsabile della sua morte.
Scarlet avverte a un certo punto una perturbazione che sta avvenendo nel regno della magia e che rischia di avere devastanti propaggini. Per scoprirne le radici e il responsabile, si imbarca in un viaggio ai quattro angoli del mondo e scoprirà infine le sue vere origini e... sua madre.
Una prerogativa del fumetto supereroistico americano, a volte un'abusata prerogativa ci mancherebbe altro, è che certi personaggi ogni tot anni vadano rivisti e riadattati, con conseguenti nuove origini e nuovo status quo.
Wanda Maximoff, Scarlet, rientra pienamente in questa prerogativa. Ogni tanto, forse anche per un desiderio di rimescolare le carte e tentare nuove strade narrative, questo personaggio ha subito cambiamenti dello status quo, anche di notevole impatto. I poteri, le pazzie e la virtù, ma soprattutto le origini.
Credo che qualunque personaggio che sia in giro da sessant'anni e più, sia stato oggetto di almeno un cambiamento di origini. Wanda Maximoff - e suo fratello Pietro - è l'emblema di ciò. Tuttavia la sua parentela con Magneto sembrava ormai essere diventata un punto di riferimento.
Ma, appunto, viviamo in un mondo in continua evoluzione e già da molti anni questo fatto non è più consolidato. James Robinson, che non è stato l'ideatore di questo nuovo status quo, parte dunque da qui per ricostruire il personaggio di Scarlet letteralmente dalle fondamenta.
Ridefinendo dunque i suoi poteri e ricontestualizzandoli. Ricostruendo il suo rapporto con Agatha Harkness (in effetti, da quel che ricordo, dopo la sua morte nessuno è più tornato sull'argomento) come se fossero quelle amiche che si incontrano per strada e si punzecchiano amorevolmente.
E infine raccontando e attualizzando per la terza o quarta volta le sue origini. Perché annullare le precedenti e non andare oltre rappresenta alla fin fine una lacuna se non si riempie quel vuoto. Con questa maxiserie quel vuoto viene riempito.
Attorniato da uno stuolo di disegnatori, ognuno col proprio stile per meglio contestualizzare il viaggio intorno al mondo, James Robinson delinea il nuovo passato di Wanda Maximoff, ci fa conoscere la sua vera madre e - nonostante la storia principale venga portata a compimento - lascia una porta aperta per riprendere questo argomento in futuro.
Di nuovo il personaggio di Scarlet è stato scosso nelle fondamenta, di nuovo l'eroina è pronta a ripartire. Ci sono nuove strade da percorrere, dalle potenzialità infinite. Infinita come la magia.

domenica 27 aprile 2025

Netflix Original 176: Un Piedipiatti a Beverly Hills - Axel F


Nel 1984, esce il primo Beverly Hills Cop. Per la prima volta, vediamo il detective di Detroit Axel Foley recarsi a Beverly Hills per indagare, in questo caso sulla morte di un suo amico. Una trasferta che sul grande schermo si sarebbe vista altre due volte, nel 1987 e nel 1994, durante la quale rivedremo, oltre a lui, anche i detective che ha conosciuto durante la sua prima indagine.
Quarant'anni dopo il primo film e trent'anni dopo il terzo, Axel Foley ritorna per la quarta (e ultima?) volta in Un Piedipiatti a Beverly Hills: Axel F, diretto da Mark Molloy, scritto da Will Beall, Kevin Etten e Tom Gornican e distribuito su Netflix a partire dal 3 luglio 2024.
Con un mondo e una società molto diversi rispetto ai suoi primi anni da poliziotto, Axel Foley (Eddie Murphy) pattuglia ancora con dedizione e un pizzico di esuberanza le strade di Detroit.
Il giorno in cui il suo amico Jeffrey Friedman (Paul Reiser) va in pensione, Foley viene contattato da Billy Rosewood (Judge Reinhold), che dopo aver abbandonato la polizia di Beverly Hills sta collaborando con la figlia di Foley, Jane (Taylour Paige), che non parla col padre da anni.
Quando la vita di quest'ultima è messa in pericolo, ad Axel Foley non resta altro che tornare a Beverly Hills, per risolvere il caso, ritrovare il nuovo capo della polizia, John Taggart (John Ashton) e cercare di riallacciare i rapporti con la figlia.
Il fatto che siano passati quattro decenni dalla prima pellicola e tre dall'ultima non può non notarsi, né questo viene nascosto.
In primo luogo nel personaggio di Axel Foley: un poliziotto rampante appena entrato in polizia nelle prime due pellicole, mentre ora è un navigato detective che ha alle spalle anche una famiglia e un matrimonio fallito (tecnicamente, già presenti al tempo del terzo film).
La tentata operazione di cesello che viene messa in atto è quella dunque di collegare questo personaggio, ora declinato in una diversa identità (a sessant'anni non si è più ventenni nel fisico e spesso neanche nella mente come lui stesso a un certo punto afferma), sia al suo presente che al suo glorioso passato, di modo tale da ricordarci che, sì, è ancora lui.
Tuttavia al tempo stesso si tiene a rimarcare, molte volte direi, che non si è più negli anni '80 e quello che Foley poteva fare all'epoca (distruggere decine di auto per una cattura e subire un semplice rimprovero) oggi non gli è più permesso. Così come certe cose (Foley che fa le sue scenate per ottenere informazioni) non funzionano più come un tempo. Traduzione: questo è un film che tenta di abbracciare la modernità, ma prova a non dimenticare il passato.
Quindi non stupisce che, dopo i criminali mascherati da imprenditori o i ricattatori, stavolta Axel Foley si ritrovi ad affrontare degli agenti corrotti, la creme de la creme della malvagità di questi tempi moderni dove si fa fatica a creare dei nuovi personaggi positivi in seno alla polizia.
Ma Foley è il passato che abbraccia il presente, quindi lui può porsi come espressione dell'ordine contro chi quell'ordine lo corrompe e si potrà chiudere un occhio.
Dunque una sorta di operazione nostalgia - chi del vecchio cast poteva apparire qui compare - mixata con la trama consolidata dei difficili rapporti familiari e il desiderio di provare a smarcarsi da quanto accaduto in passato.
Può essere il capitolo conclusivo della saga, così come un nuovo inizio. Il mondo cambierà ancora, le saghe action, invece, tenteranno di rimanere fedeli a sé stesse.

sabato 26 aprile 2025

Libri a caso: La Balera da Due Soldi


Quando il Commissario Maigret, ideato da Georges Simenon, conclude una sua indagine - molto spesso rimanendo amareggiato e deluso dall'umanità che ha incontrato lungo la via - l'ultimo atto è la condanna a morte del colpevole.
Perché, all'epoca in cui i primi romanzi furono scritti (ma anche gli ultimi, a onor del vero), la pena di morte era ancora presente in Francia. Ma nell'undicesimo romanzo della saga, La Balera da Due Soldi (La Guinguette à Deux Sous), pubblicato nel 1931, tale concetto viene ribaltato e la fine costituisce in realtà il principio.
Maigret si reca a trovare un condannato a morte, Jean Lenoir, nel giorno in cui la sua sentenza capitale sarà eseguita. Costui accetta il proprio destino, ma prima vuole togliersi un sassolino dalla scarpa o forse un peso sulla coscienza. Senza comunque fare nomi e dando poche indicazioni, afferma che presso un locale noto come la balera da due soldi vi è qualcuno che merita una condanna come e più di lui, avendo ucciso una persona sei anni prima.
Con fatica, Maigret individua questo locale ed entra in contatto con i principali avventori per capire chi possa essere questo ignoto assassino, ma la mattina successiva avviene un nuovo fatto delittuoso. Che questo sia in qualche modo connesso al delitto di sei anni fa?
Il Commissario stavolta indaga nella capitale francese, Parigi. Una Parigi mostrata sia per le sue vie principali, sia soprattutto per alcune zone periferiche, dove si aggira una strana umanità. Un'umanità composta da professionisti, commercianti e le loro famiglie, che ogni weekend si liberano delle proprie inibizioni sociali per dedicarsi all'alcool e a feste dove predominano gli scherzi e le finzioni.
Ma quella che appare come una maschera è in realtà il vero volto di queste persone, che dietro invece la loro vera maschera - quella che mostrano di giorno, ai loro clienti o conoscenti - nascondono tanti segreti che si sono ormai radicati nel profondo.
Georges Simenon è molto bravo a descrivere quest'umanità, quella che magari non sospettiamo ma incontriamo ogni giorno. Ma è anche eccelso a descrivere l'ambiente che li circonda. Un ambiente fatto di taverne, negozi, istituti creditizi e gli oggetti da arredamento. Descrizioni minute e dettagliate che ci rimandano a un mondo passato, un mondo che non esiste più, ma che lo scrittore ricrea davanti ai nostri occhi come se stessimo vivendo la scena in quel momento.
E anche stavolta, di fronte alla disillusione, di fronte a quell'amarezza che lo coglie alla fine di un caso, quando scopre a quali abissi possa giungere l'essere umano, Maigret trova un'ancora di salvezza nella moglie. Un appiglio a una diversa umanità, a quel lato buono che a volte però si seppellisce sotto troppi strati, lasciando via libera all'orgoglio e all'oscurità interiore.

venerdì 25 aprile 2025

Italians do it better? 56: Lo Chiamavano Jeeg Robot (2015)


Esistono i supereroi nel panorama italiano? Se guardiamo al medium principale su cui questa figura narrativa compare, ovvero il fumetto, la risposta è sostanzialmente no.
Non che non vi siano stati dei supereroi in passato a solcare le pagine di alcuni fumetti nostrani, ma sono sempre stati relegati a pubblicazioni indipendenti, parodie o progetti effimeri. I lettori italiani hanno infatti quasi sempre preferito gli eroi del western, dell'avventura e i titoli horror, e il principale editore italiano ha sempre voluto tenere le distanze da ogni discorso supereroistico... salvo qualche peccato di gioventù.
E nel cinema? Anche qui la risposta è no... o meglio, sarebbe stata no fino a qualche anno fa. Ma l'emergere del Marvel Cinematic Universe ha fatto sì che anche l'Italia avesse i propri supereroi che, per nostra fortuna, non hanno ricalcato quelli americani, ma sono stati inseriti in maniera adeguata in una cornice nostrana.
Pur non essendo il primo, il titolo più celebre a oggi rimane Lo Chiamavano Jeeg Robot, diretto da Gabriele Mainetti, scritto da Nicola Guaglianone Menotti e distribuito nei cinema nell'ottobre 2015.
Enzo Ceccotti (Claudio Santamaria) è un ladro di basso profilo, che non vuole saperne di nulla e nessuno e il cui unico scopo è sopravvivere alla giornata. Quando però, per sfuggire a una sparatoria, cade nel Tevere, il contatto con delle sostanze radioattive lì abbandonate gli fa acquisire dei superpoteri.
Questo gli permette di salvare una ragazza, Alessia (Ilenia Pastorelli), dall'assalto di alcuni delinquenti al servizio dello Zingaro (Luca Marinelli). La ragazza si affeziona ad Enzo, soprannominandolo Jeeg Robot, poiché è convinta che sia giunto per riparare alle ingiustizie.
Cambiando lentamente la sua visione del mondo, Enzo Ceccotti entra dunque in rotta di collisione con lo Zingaro, il quale a sua volta è interessato a capire come abbia acquisito i superpoteri per dominare la malavita romana.
Permane a volte questa strana convinzione che solo gli americani possano girare e produrre certe tipologie di film. Che una modalità "spartana" (e non nel senso di eroica) quale quella italiana non possa adattarvisi. Questo nonostante ci siano decine, centinaia di prove in senso contrario nel passato.
Quando il western lo facevano gli americani, noi italiani abbiamo ripreso quel genere e lo abbiamo reinventato con la nostra spiccata personalità. Il genere supereroistico, in questo specifico caso, rimane appannaggio del cinema americano e qui non viene reinventato, bensì inserito in un nuovo contesto.
Tutti quei topoi tipici del genere, l'eroe che salva la ragazza in difficoltà, il criminale che ha avuto un momento di gloria nel passato e vuole tornare a essere il numero uno, la persona disillusa che si riscatta e riemerge dagli abissi della sua personalità letteralmente per rinascere, neanche fosse Daredevil... sono tutti presenti in diversa forma.
Ecco, tutto questo e molto altro viene inserito alla perfezione in un contesto italiano. Nei film di supereroi americani ci sono i grattacieli, qui le strade di borgata e povere. I criminali statunitensi sono in stile Kingpin e diventano sindaco, qui vi è un ex aspirante divo della televisione italiana che è stato dimenticato (per inciso, questo film è precedente a Joker, che a sua volta comunque si rifaceva a Re Per Una Notte).
Infine, gli eroi americani combattono per salvare il mondo e i multiversi, Enzo Ceccotti lotta per sé stesso, il suo quartiere e la donna che ama e non ha altre ambizioni.
Ecco perché questo non è un film di supereroi all'americana, questo è un film con un supereroe italiano che vive la sua parabola ascendente. Che inizia e si chiude qui. Perché, appunto, questo non è un progetto all'americana e sequel e spin-off non sono tenuti in considerazione.

lunedì 21 aprile 2025

Fabolous Stack of Comics: Max Fridman - La Porta d'Oriente


La spia destinata a perdere, Max Fridman, personaggio creato da Vittorio Giardino, è comparsa per la prima volta nella storia Rapsodia Ungherese e dietro di sé aveva lasciato le macerie di una missione che faceva presagire futuri orrori. Gli orrori che avevano già generato il nazismo e, di lì a poco, avrebbero causato lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale.
Ma mentre un mondo intero sta per precipitare nel caos, Max Fridman vorrebbe solo godersi qualche attimo di pace. Eppure, questo non gli verrà concesso, neanche in La Porta d'Oriente, pubblicato nel 1985 sulla rivista Corto Maltese.
Estate del 1938. Max Fridman si trova a Istanbul. La sua permanenza nella capitale turca è dovuta a motivi di lavoro e il suo unico obiettivo è di godersi un periodo rilassante, ma qualcuno ha deciso diversamente.
Max Fridman viene infatti coinvolto in un gioco di spie russe per catturare Stern, un presunto traditore della madrepatria. Nonostante Fridman affermi più volte di aver abbandonato il mondo dello spionaggio, nessuno gli crede e si convincono che lui sappia dove si nasconda Stern.
A questo punto all'ex spia, per salvarsi la vita e proteggere una donna di cui si è innamorato, non rimane altro che sciogliere questo mistero.
Dopo averci guidato tra le vie e i misteri della fredda Budapest e le guerre segrete dell'Occidente, Vittorio Giardino volge ora il suo sguardo all'oriente e alla calda Istanbul. Ma anche qui le guerre segrete non tardano ad arrivare.
Interessante notare come Max Fridman sia un uomo che vuole sfuggire al proprio destino, ma non vi riesce non per sue incapacità, bensì per la testardaggine degli esseri umani che si ostinano a inquadrarlo in una categoria a cui ha deciso di non appartenere più. A dimostrazione che per quanto si cerchi di sfuggire al passato, quel passato e gli errori commessi prima o poi torneranno a tormentare le esistenze degli uomini.
Sì, perché, a ben vedere, noi del passato di Max Fridman sappiamo davvero poco, quel poco che Vittorio Giardino ha voluto concederci. Per quanto quello che conti nelle due storie che lo hanno visto protagonista sia il suo presente, il suo stato attuale, questa voluta ombra su ciò che è stato contribuisce ad alimentare il fascino di questo personaggio.
E a gettare nella confusione noi, che lo vediamo sballottato di qua e di là continuamente, quando ai nostri occhi è chiaro che lui non sappia nulla della vicenda riguardante il presunto traditore russo.
Anche in questo caso Vittorio Giardino rimane fedele alla tradizione della spy story, contornando il tutto di misteri, doppi e tripli giochi, belle donne/femme fatale e segreti svelati.
La fine sarà sempre quella: Max Fridman verrà a capo del mistero, ma questo non gli gioverà in alcun modo. La felicità - mai davvero a portata di mano - gli sfuggirà e lui subirà un'altra sconfitta. Una sconfitta che fa da preludio a eventi più drammatici che accadranno entro un anno e rappresenteranno una sconfitta per tutta l'umanità.
Ma anche un antieroe quale è Max Fridman presenta molta più dignità e amor proprio di quelle spie, funzionari e governi che hanno poi causato decine di tragedie e lutti.

mercoledì 16 aprile 2025

Libri a caso: Se Morisse Mio Marito


Continuo a essere convinto che Agatha Christie, la quale pure veniva da una famiglia agiata e che forse solo durante le guerre ha vissuto qualche ristrettezza, avesse il dente avvelenato contro un certo tipo di aristocrazia e "gente perbene". Da lei invece giudicata vanesia, arrogante e pretenziosa e che di fronte ai loro insignificanti problemi assumeva un atteggiamento di protesta a discapito di gente meno fortunata di loro.
Tanto che, appunto, arriva il delitto come metaforica pena del contrappasso di tale comportamento. Un'ulteriore prova sembra giungere da Se Morisse Mio Marito (Lord Edgware Dies), pubblicato nel 1933.
Da quando risiede a Londra, Hercule Poirot ne ha ricevute di strane richieste. Ma forse non così strane quanto quella proveniente dalla famosa attrice Jane Wilkinson. L'investigatore dovrebbe infatti intercedere presso il marito di lei, Lord Edgware, perché le conceda il divorzio, cosa di cui è restio.
Rimasto comunque intrigato da questa richiesta, Poirot, accompagnato da Arthur Hastings, si reca a parlare con Lord Edgware. Ma qui lo attende una sorpresa: l'uomo non è affatto contrario a concedere il divorzio, anzi, ha già acconsentito con una lettera sei mesi fa!
E la seconda, drammatica sorpresa non tarda ad arrivare quando, pochi giorni dopo, Lord Edgware viene ucciso e tutti i sospetti ricadono subito su Jane Wilkinson. Eppure questo non può essere possibile: in quel momento era a un ricevimento e circa una decina di persone possono confermarlo.
Chi è allora il misterioso assassino? E come mai la notizia del divorzio concesso non è mai giunta a Jane Wilkinson?
Di solito vediamo gli investigatori ideati da Agatha Christie agire nei paesi di provincia o in campagna, o al limite nelle località di villeggiatura, dove si annidano segreti inconfessabili. Qui invece l'azione si svolge nella grande città di Londra, tra rappresentazioni teatrali, cene di gala e party sfarzosi.
Un mondo appannaggio della gente ricca in cui Poirot e Hastings rappresentano i classici pesci fuor d'acqua, ma che il primo riesce a dominare con la consueta abilità e sagacia. Perché come direbbe il buon investigatore belga, fino a sfinire Hastings, quello che conta è la psicologia dell'assassino e delle persone che ruotano attorno al caso.
Ma anche in quest'ambientazione più sfarzosa e luccicante, l'investigatore belga rimane presente a sé stesso e, pur commettendo un paio di errori di giudizio lungo la via, rimane l'arbitro dell'ordine che riconfina il caos che è uscito dal proprio elemento.

lunedì 7 aprile 2025

Fabolous Stack of Comics: La Morte di Capitan Marvel


La morte di un eroe immaginario, di finzione, tecnicamente non dovrebbe colpirci. Dopotutto scompare un personaggio di carta, che non esiste nella realtà, che non conosceremo mai personalmente. Eppure, aver seguito le gesta di quell'eroe per mesi o anni rende quel personaggio molto vicino per alcuni lettori. Una sorta di amico immaginario per ragazzi cresciuti, e questo non sia visto come un difetto. Tanto che, quando un autore decide di sbarazzarsene, la cosa invece ci colpisce.
Talvolta, oppure spesso, la morte è solo temporanea, sin dai tempi di Sherlock Holmes o giù di lì. Perché dopotutto parliamo pur sempre di finzione narrativa. Ma a volte, invece, è insolitamente definitiva come nella realtà.
Tutto questo preambolo per giungere a La Morte di Capitan Marvel (The Death of Captain Marvel), pubblicato nel 1982, scritto e disegnato da Jim Starlin, che mette la parola fine all'epopea di un eroe le cui gesta abbiamo ammirato sin da L'Arrivo di Capitan Marvel.
Mar-Vell si è ormai ritirato su Titano, accolto da Mentore ed Eros, e ha iniziato una relazione con Elysius. Le sue giornate si dividono tra il dettare le sue memorie e la contemplazione, lontano da ogni battaglia.
Tuttavia c'è anche un male che si annida dentro il corpo di Mar-Vell, un male contratto a seguito del suo primo scontro con Nitro: il cancro. In una corsa contro il tempo, tutti gli amici - e anche alcuni nemici - dell'eroe si presentano al suo capezzale per rendergli omaggio e per testimoniare la sua grandezza.
Il concetto di eroe e supereroe si basa sul presupposto costui sia continuamente in battaglia. Ogni mese, oppure ogni certo periodo temporale, per ragioni commerciali e in caso di successo, deve affrontare nuove minacce che lo mettano alla prova.
Il patto di mutua accettazione tra lettore ed editore è che l'eroe può anche perdere in alcuni casi, ma non può certo morire. Altrimenti come si farebbe a leggere nuove storie? E così via, in un ciclo infinito.
C'è poi il caso dell'eroe che ha avuto successo per qualche anno, ma poi varie ragioni di natura economica e narrativa hanno bloccato la sua corsa. E in questo caso si adotta spesso l'idea di far sì che l'eroe si sacrifichi in maniera altruistica in un'ultima battaglia per la salvezza del mondo... salvo poi ritornare per tentare un rilancio. E così via, in un ciclo infinito.
Ma non è il caso di quest'opera. Quest'opera, diventata seminale per ovvie ragioni, scardina entrambi questi concetti. In questo caso l'eroe non ha più alcuna battaglia da affrontare, ha esaurito il suo tempo: forse si potevano narrare altre storie su di lui, ma sarebbe stato solo il prolungamento di un'agonia.
L'idea di una narrativa supereroistica infinita trova forse qui il primo brusco risveglio nella realtà: no, neanche essa è infinita, come piace pensare alla nostra mente per essere rassicurata. Anch'essa un giorno avrà fine, essendo un'esperienza umana.
L'eroe qui non si sacrifica in un'ultima, gloriosa battaglia (a meno che non si voglia vedere come tale il confronto finale con Thanos, che però altro non è che un'illusione), ma come molte altre persone muore nel proprio letto, colpito da un male che ahinoi ci è molto familiare, circondato dalle persone che hanno segnato la sua vita.
È noto che in questo caso l'autore ha voluto anche venire a patti con un evento che lo aveva colpito personalmente, ovvero la morte del padre proprio a causa di un cancro. Ancora una volta una catarsi artistica ci parla - in maniera metaforica - di quelle che sono le sofferenze della vita reale, per cercare di venirne a patti e accettarle.
Mar-Vell è poi tornato? Mentiremmo a dire di no: tra qualche flashback, due o tre ritorni occasionali dalla morte e, in senso lato, lasciando in eredità all'universo due figli. Ci sono anche in ballo questioni di copyright, ma forse questo "sporcherebbe" un po' il tutto.
Eppure questa storia di oltre quaranta anni fa rimane la sua ultima. Un punto fermo oltre cui non si è mai andati. Quella che potrebbe essere vista come una fine ingloriosa per un'eroe che ha combattuto tante battaglie è invece quella che lo riconcilia con la sua stessa umanità. E in quanto tale è rimasta nella storia, questo sì nel tempo infinito.

sabato 29 marzo 2025

A scuola di cinema: L'Uomo Venuto dall'Impossibile (1979)

1979: Viene pubblicato il romanzo Time After Time, scritto da Karl Alexander.
L'opera si incentra sul celebre scrittore inglese H.G. Wells, che una sera presenta a un gruppo di persone, incluso un certo Stevenson, una sua invenzione: la macchina del tempo.
All'improvviso la polizia irrompe nella dimora dello scrittore con l'intento di arrestare Stevenson, che è in realtà anche il serial killer noto come Jack lo Squartatore, ritenuto responsabile di atroci uccisioni ai danni di prostitute.
Per evitare la cattura, Stevenson utilizza la macchina del tempo di Wells, catapultandosi nel futuro, ovvero l'anno in cui il romanzo venne pubblicato.
H.G. Wells lo insegue e, per avere la meglio sul killer, si rivelerà fondamentale l'apporto di Amy Robbins, destinata ad avere un ruolo importante nella sua vita.
L'anno della pubblicazione del romanzo coincide anche, in maniera curiosa, con la sua trasposizione sul grande schermo.


Quando il romanzo è ancora in una fase embrionale, con poco più di cinquanta pagine completate e il titolo provvisorio di The Time Travelers, Karl Alexander - non del tutto convinto della sua bontà - lo presenta allo scrittore e sceneggiatore Nicholas Meyer per riceverne delle critiche, considerato che si basa sulla stesse premesse de La Soluzione Sette Per Cento (The Seven-Per-Cent Solution), ovvero, due personaggi dell'era vittoriana che si incontrano.
Ma non vi sono critiche da parte di Nicholas Meyer, anzi. Rimane così intrigato dall'opera che ne opziona i diritti e la propone al suo amico e produttore Herb Jaffe per scrivere una sceneggiatura basata su queste premesse. Al contempo, Karl Alexander, spronato da questo favorevole riscontro, procede nella stesura del romanzo.
Herb Jaffe trova infine un accordo con la Warner Bros. e la Orion Pictures, convincendo loro a scegliere Nicholas Meyer anche come regista, opzione che in un primo momento viene rifiutata poiché il progetto rappresenta il suo debutto cinematografico con questo incarico.
Per le parti di H.G. Wells e Jack lo Squartatore, Nicholas Meyer propone Derek Jacobi ed Edward Fox, ma la produzione vorrebbe l'insolita accoppiata - più appetibile da un punto di vista di marketing - di Richard Dreyfuss e Mick Jagger.
La scelta per H.G. Wells ricade infine su Malcolm McDowell, scelta che incontra anche i favori di Meyer, in quanto lo ritiene simile al giovane Wells. Per Jack lo Squartatore, l'intervento di Herb Jaffe si rivela fondamentale per il casting di David Warner.
Malcolm McDowell, reduce dalla travagliata lavorazione di Caligola, è ben lieto di avere la possibilità di cimentarsi in un ruolo più eroico e, in principio, visiona alcuni documenti e filmati relativi allo scrittore inglese. Quando scopre, tuttavia, che costui parlava con una voce abbastanza stridula, accompagnata inoltre da un forte accento inglese, abbandona ogni pretesa di riportare tali caratteristiche sul grande schermo per evitare una non intenzionale caricatura.
Per il ruolo di Amy Robbins, il regista Nicholas Meyer propone la sua fidanzata, Shelley Hack, ma la produzione si oppone e anche lei non è entusiasta della cosa, poiché non si ritiene pronta per un ruolo da protagonista e così facendo lo otterrebbe solo per essere la compagna del regista. 
La produzione propone la parte dunque a Sally Field, ma costei non accetta. Meyer cerca dunque un'attrice che le ricordi Jean Arthur e la scelta ricade infine su Mary Steenburgen.
Le riprese iniziano in via ufficiale nel settembre 1978, durando 52 giorni e tenendosi in California.
La macchina del tempo, denominata Argo e realizzata in fibra di vetro, viene concepita come una sorta di ibrido tra un macchinario vittoriano e il sottomarino di Ventimila Leghe Sotto i Mari. Il costo per la sua costruzione è di circa 70.000 dollari.
L'Uomo Venuto dall'Impossibile (Time After Time) viene distribuito nei cinema americani a partire dal 7 settembre 1979. A fronte di un budget di 3 milioni e mezzo di dollari, la pellicola arriva infine a incassare 13 milioni di dollari. Nello stesso anno, esce la versione definitiva dell'omonimo romanzo di Karl Alexander.
Dal titolo originale del film, la cantante Cindy Lauper prende spunto per una sua canzone uscita nel 1983 per il suo album di debutto, che presenta il medesimo titolo e in cui lei è incappata visionando una guida tv.
Una curiosa conseguenze delle riprese è che Malcolm McDowell e Mary Steenburgen, che si incontrano per la prima volta sul set di questo film, si innamorano e si sposano poco tempo dopo. Proprio come accade ai loro due personaggi. Rimangono insieme per circa 10 anni e hanno due figli.
Nel 2017 viene mandata in onda una serie televisiva basata su questo film, programmata sulla rete televisiva ABC e che sposta l'ambientazione nello stesso anno in cui viene programmata, come accaduto alla pellicola originale. Sviluppata da Kevin Williamson, vede Freddie Stroma nel ruolo che fu di Malcolm McDowell e Josh Bowman nella parte interpretata in origine da David Warner.
La serie, che mischia passato, presente e futuro, in realtà di futuro ne vede poco. La prima stagione interamente girata di dodici episodi viene interrotta, infatti, dopo che ne sono stati messi in onda solo cinque. Seppur tutti gli episodi vengano invece programmati senza problemi in alcuni mercati europei.
Nel 2009, Karl Alexander scrive un seguito del romanzo intitolato Jaclyn The Ripper. In esso Amy Robbins viaggia ancora nel futuro, nella Los Angeles del 2010, per ritrovare i suoi genitori e raccontare loro cosa le è accaduto.
Tuttavia la donna causa inavvertitamente anche l'evasione di Jack lo Squartatore e un mix dei loro DNA fa sì che il killer diventi una donna e inizi una nuova serie di uccisioni, con l'intento principale di vendicarsi di Amy Robbins e H.G. Wells.
Lo scrittore inglese, dunque, viaggia anch'egli nel futuro, un futuro molto diverso da quello da lui visitato la prima volta, per sconfiggere Jack lo Squartatore una seconda volta e ritrovare Amy.
Dubitiamo molto che questo sequel possa avere una trasposizione cinematografica.
Mary Steenburgen interpreterà di nuovo la parte di una donna che si innamora di un viaggiatore del tempo in Ritorno al Futuro Parte III (Back to the Future Part III)... ma questa è un'altra storia.

mercoledì 26 marzo 2025

Fabolous Stack of Comics: Tex/Zagor - Presagi di Guerra


Tex Willer e Za-gor-te-nay, alias Zagor. I due eroi simbolo della Sergio Bonelli Editore. Non i primi a esser stati creati, paradossalmente, ma di certo i più longevi non solo all'interno della casa editrice stessa ma nel panorama del fumetto italiano.
Per decenni i due hanno superato indenni crisi economiche, crisi del fumetto, cali di lettori e altre sventure, ma non si sono mai materialmente incontrati. Da un lato per volontà del gran capo della casa editrice, perlopiù refrattario ai team-up tra personaggi, dall'altro per difficoltà materiali di incontrarsi vivendo i due le loro avventure in periodi storici differenti.
Ma i tempi cambiano e in Bandera! abbiamo visto il maturo Zagor incontrare per la prima volta un ancora giovane Tex Willer per sventare una crisi tra degli abitanti di una piccola città e gli indiani Comanche. Un'alleanza che si rinnova in Presagi di Guerra, pubblicato nel dicembre 2023, scritto da Mauro Boselli e disegnato da Alessandro Piccinelli.
Nonostante Tex e Zagor siano riusciti per il momento a placare gli animi, le tensioni tra gli indiani Comanche e gli abitanti della frontiera rimangono alte. Tra gli indiani il più deciso ad attaccare è Quanah Parker, figlio di un Comanche e di una donna rapita dalla tribù, Cynthia Ann Parker.
Tex e Zagor cercano nuovamente di evitare quello che appare come un inevitabile conflitto, che viene fomentato anche da un ricco proprietario terriero di nome John Baylor, il quale vuole sfruttare la cosa per interessi personali al fine di acquisire le terre degli indiani a costo zero, eliminando anche quella che lui considera una razza inferiore.
Per sventare questa doppia minaccia i due eroi dovranno allearsi con amici e vecchi nemici e rivolgersi all'unica persona in grado di riportare alla ragione Quanah Parker: sua madre.
C'è qualcosa che questo nuovo team-up ha e al contempo che non ha più. Vede di nuovo insieme i due più grandi eroi della Bonelli agire in un medesimo contesto. L'impianto è quello classico, consolidato e da cui è pericoloso - in un'atmosfera tradizionalista che predomina questi esperimenti - allontanarsi: un sentiero già percorso è invece più sicuro.
Quindi di nuovo insieme, di nuovo i conflitti tra indiani e abitanti della frontiera, di nuovo il classico cattivo alla Tex Willer che vuole acquisire più potere ai danni delle persone più deboli. Cattivo che viene riportato a più saggi consigli a suon di pugni e pistole. E una piccola lezione morale sul razzismo, piaga che Tex e Zagor combattono da svariati decenni.
In aggiunta rispetto al racconto precedente, vi è anche la presenza degli storici comprimari che ruotano attorno ai due eroi. Prima si erano visti solo alcuni personaggi minori, qui invece compare Kit Carson e scopriamo anche cosa è successo a Cico.
Ma c'è anche una cosa che manca ed è inevitabile. Questo nuovo team-up... non è più una novità, non c'è più il sapore della scoperta, di come i due eroi si relazioneranno, essendo già stato assodato nella prima storia. La novità è subito scivolata nella tradizione: è questo necessariamente un male? Il giudizio è lasciato alla singola persona.
Forse questa storia ci ha anche consegnato l'ultima avventura di Zagor. Ma mentre l'eroe si allontana verso il sole che tramonta, nessuno può ancora prevedere quali sorprese lo attendano alla prossima svolta.