Per il giovane studente Cole l'incubo sembrava finito. In La Babysitter, aveva affrontato suo malgrado una setta di giovani aspiranti demoni immortali capeggiati dalla babysitter Bee, interessati al suo sangue di vergine per ottenere i poteri.
Ma tra acrobazie fortunate e imbarazzanti cadute, i giovani erano stati debellati. Però quel film era un omaggio parodistico degli slasher degli anni '80 del ventesimo secolo. E voi sapete bene cosa accadeva allora quando l'assassino era dichiarato morto, giusto?
Non sorprenderà dunque sapere che la storia continua in La Babysitter: Killer Queen, diretto da McG, scritto da McG, Dan Lagana, Brad Morris e Jimmy Warden e distribuito su Netflix a partire dal 10 settembre 2020.
Sono passati due anni dagli eventi del primo film. Ora Cole Johnson (Judah Lewis) frequenta il liceo e nessuno, inclusi i suoi genitori, crede che lui sia riuscito ad eliminare da solo i componenti di una setta satanica, tanto che sta per essere rinchiuso in un istituto psichiatrico. Ma c'è qualcuno forse più strano ancora, la nuova studentessa Phoebe (Jenna Ortega).
Per sfuggire a questo insolito destino, Cole si reca in vacanza con alcuni amici, ma lì lo aspetta una brutta sorpresa: tutti i componenti della setta sono riusciti in qualche modo a tornare in vita e intendono riprendere il discorso interrotto. E se ci sono loro, può Bee (Samara Weaving) essere troppo lontana? E l'unica persona su cui Cole può contare è proprio Phoebe.
La storia di Cole Johnson continua e lo fa riprendendo molti elementi del film originario e introducendone al contempo di nuovi, in termini di personaggi e ambientazioni.
Il primo film era una dichiarata parodia degli slasher movie del passato in stile Scream o giù di lì e anche in questo caso l'elemento parodistico è presente, seppur si concentri su alcune strategie narrative adottate negli ultimi anni in molte pellicole.
L'uso sproporzionato dello slow motion, non riferito a quel singolo regista il cui nome vi sarà subito venuto in mente, l'abuso abbondante dei flashback per spiegare come mai si è creata quella situazione contraddittoria, gli improbabili ritorni per creare un sequel, l'eccessivo desiderio di inclusività (con tanto di riferimento in senso positivo a Jordan Peele) e i cambi di barricata senza troppe spiegazioni sono gli stratagemmi narrativi che finiscono nel mirino.
Quindi una sorta di parodia del cinema blockbuster degli ultimi quindici anni circa, da quando il modello MCU ha preso piede (ma non è l'unico "colpevole"), facendo sì che la trama passasse in secondo piano. Sì, il regista ha anche diretto i film delle Charlie's Angels, ma quello era già un altro mondo.
E con la stessa surrealtà con cui si era conclusa la prima pellicola, termina anche questo sequel permettendosi - come fanno i blockbuster moderni - di lasciare quello spiraglio aperto per un nuovo capitolo. Se poi sarà realizzato o meno, dipende da differenti tipi di "sette".