Come possono mancare le cheerleader nei film ambientati nei licei/college americani? Come possono? A dire il vero, sì, possono, ma questa nota di colore - del tutto assente in molti altri istituti scolastici lungo tutto il mondo - è spesso divenuta oggetto di pellicole quali ad esempio Ragazze Nel Pallone.
Tuttavia ci sono sempre elementi originali anche in questo contesto. Come nel caso di Cheerleader Per Sempre (Senior Year), diretto da Alex Hardcastle, scritto da Andrew Knauer, Brandon Scott Jones e Arthur Pielli e distribuito su Netflix a partire dal 13 maggio 2022.
2002: Stephanie Conway (Angourie Rice) è la capo cheerleader del liceo da lei frequentato, dopo anni in cui è stata emarginata dagli altri studenti. La sua popolarità è tuttavia messa in pericolo dalla rivale Tiffany, che un giorno sabota una coreografia da lei preparata e senza volerlo la fa precipitare in coma.
Passano 20 anni: una ora trentasettenne Stephanie (Rebel Wilson) si risveglia dal coma, ma il mondo è decisamente cambiato nel frattempo. Certi termini non si utilizzano più in pubblico, i social hanno preso il sopravvento, il cheerleading è ridotto ad attività di secondo piano e il nuovo idolo del college è ora la figlia di Tiffany.
Ma c'è una cosa che Stephanie può fare, qualcosa che le è stato sottratto venti anni prima. Finire gli studi, diplomarsi e ritornare ad essere la studentessa più popolare vincendo il titolo di reginetta del ballo.
Fin dai tempi di John Hughes, che ha "canonizzato" questo specifico genere cinematografico, i film ambientati al liceo si configurano come il riscatto degli ultimi. I nerd, gli "sfigati", quelli attraversati con un rullo compressore dalla vita qui trovano la rivincita. Una rivincita che spesso manca nella realtà.
Anche se qui stavolta si prova un po' a rimescolare le carte. Nel senso che la protagonista è sì popolare, ma dopo aver modellato sé stessa come tale, vestendosi in un certo modo e frequentando certe persone, immaginandosi un futuro mondo perfetto per lei, all'americana (quindi villone, piscina e marito ricco).
Il tutto, però, a discapito degli amici veri che non la giudicavano per ciò che era e per i suoi difetti e mettendo da parte la sua vera natura per indossare una maschera sociale.
In tutto questo il coma, che costituisce solo un pretesto narrativo in fondo (non ne verranno mai davvero analizzate le conseguenze e le responsabilità), arriva per dare alla protagonista un nuovo starting point.
Si gioca ovviamente molto con l'ironia e la comicità dovuta allo "shock culturale" dei venti anni perduti con varie battute sulla cultura pop e qualche easter egg, puntando infine a far riscoprire alla protagonista la sua vera identità.
Identità che chiaramente passa da un chiaro e scontato messaggio morale di essere sé stessi, di stare accanto agli amici veri e non quelli che stanno accanto a te per convenienza e non aver paura a fallire, poiché ci sarà sempre una seconda occasione.
Inoltre mi sembra che si metta abbastanza alla berlina chi sfrutta termini come "woke" solo per obiettivi personali e non perché creda davvero in quello che dice: è solo una parola per riempire un vuoto esistenziale, in fondo. Riempire invano.
A chi piace questo tipo di narrazione e di messaggio, credo potrà apprezzare questa pellicola e una comicità che non è mai davvero cattiva, al limite talvolta un po' sopra le righe. Ora, se però non vi dispiace, vado a rivedermi le coreografie di Kirsten Dunst ed Eliza Dushku.
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