L'incontro tra culture e tra differenti popoli rappresenta sempre un elemento narrativo affascinante da esplorare, poiché tante sono le potenzialità che può offrire, dunque quello che occorre è solo sfruttarle al meglio.
Pensiamo poi a due mondi così distanti, non solo in termini di chilometri, quali gli Stati Uniti e l'India. Due mondi che si incontrano in Evil Eye, film diretto da Elan Dassani e Rajeev Dassani, scritto da Madhuri Shekar (basato su una sua omonima produzione Audible) e distribuito su Amazon Prime Video a partire dal 13 ottobre 2020.
Pallavi (Sunita Mani) è una ragazza indiana che si è trasferita dalla natia India e ora vive a New Orleans, ma è sempre in stretto contatto con sua madre Usha (Sarita Choudhury), che vive ancora in India, grazie a whatsapp e costanti call telefoniche.
Usha vorrebbe che sua figlia si sposasse e questo sembra possa avverarsi quando Pallavi conosce e si innamora di Sandeep (Omar Maskati). Eppure c'è qualcosa che non va: Usha non si fida di quest'uomo, che pure non ha mai conosciuto, ma flashback di un tragico evento del passato che l'ha coinvolta continuano a ossessionarla. Ma la sua stessa famiglia è contro di lei e la ritiene folle. Qual è, dunque, la verità?
Questo non è un film horror, non vi si trattano proprio tematiche di questo genere, pur traslate in un altro tipo di mentalità/società, o vi sono scene che possano inquadrarsi in questo genere. Mi verrebbe da dire che non è nemmeno un thriller poiché, tralasciando la quasi totale assenza di scene d'azione (ve ne è una sola che dura meno di due minuti), non vi è alcuna costruzione della tensione.
Si gioca dunque su un unico elemento narrativo, che va a parare esattamente in quel punto, cosicché alla fine vi chiederete "ma davvero"? tanto esso è intuibile sin dal principio.
Forse, però, non si voleva costruire un mistero troppo complicato in merito a questa trama e quella che vediamo è solo la rappresentazione di una relazione tossica capace di trascendere i limiti dello spazio e del tempo.
Più in generale, diviene una metafora della violenza sessuale ai danni delle donne (argomento molto sentito, seppur su livelli differenti, sia negli Stati Uniti che nell'India del ventunesimo secolo) e di come le donne debbano trovare il coraggio di chiedere aiuto e non siano sole. Nulla di male in questo, ovviamente, peccato che attorno vi si sia costruita una storia molto fragile e prevedibile.
Questo aveva vinto la palma come Welcome to the Blumhouse più noioso di sempre. Peccato sprecare così il potenziale di una cultura diversa dalla nostra...
RispondiEliminaNon dura neanche 90 minuti e sembra infinito.
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