Se oggi, pur con tutte le possibili discriminazioni del caso, l'omosessualità non rappresenta più un tabu e se ne può parlare apertamente, fino a qualche decennio fa la situazione non era così rosea.
Chi ha qualche anno in più sul groppone ricorda di certo periodi in cui l'omosessualità era un argomento che non andava toccato in famiglia, se se ne accennava al cinema era perlopiù proponendo personaggi stereotipati che parlavano in falsetto ed era anche ritenuta dall'Organizzazione Mondiale della Sanità una malattia mentale (sarebbe stato così fino al 1990).
Cerca di ricatturare lo spirito di quei tempi insoliti, e per certi versi anche pionieristici, ma con ovviamente una sensibilità moderna e differente, Zio Frank (Uncle Frank), scritto e diretto da Alan Ball e distribuito su Amazon Prime Video a partire dal 25 novembre 2020.
L'azione principale si svolge nel 1973, in un'America ritratta perlopiù nelle sue città rurali e di periferia, circondata da una natura incontaminata.
La giovane Beth Bledsoe (Sophia Lillis) non capisce come mai suo zio Frank (Paul Bettany) sia spesso osteggiato da suo nonno. Qualche tempo dopo, imbucandosi a una festa, la ragazza capisce che suo zio è omosessuale e, poco dopo, giunge la notizia della morte del nonno. Ne seguirà una riunione di famiglia che sarà dolorosa e risolutiva per tutti, con uno sguardo rivelatore a un tragico evento del passato.
Il film vuole trasmettere un messaggio positivo e rassicurante, di accettazione e inclusione dopo mille traversie, e per questo individua un periodo temporale adatto. Qualche anno dopo le prime lotte sociali e civili successive alla Seconda Guerra Mondiale, ma con appunto una società ancora non pronta a parlare di certe tematiche.
Da un lato ci sono le persone più anziane, quelle che non concepiscono l'omosessualità per i più svariati motivi, non solo quelli religiosi (il film non fa una condanna tout court del cattolicesimo, anzi), dall'altro ci sono le persone come Beth. Una ragazza nata in un nuovo mondo, quello che sta cambiando davanti ai suoi stessi occhi, ed è dunque pronta ad accettare più di buon grado ciò che persone nate e cresciute in un mondo differente non riescono a comprendere. E può trasmettere tale visione anche ad altri.
Non si tratta comunque di una pellicola straordinaria fino alla fine: per quanto vi siano dialoghi ben ideati e scritti (lo sceneggiatore è quello di American Beauty, dopotutto), vi è anche qualche retorica di troppo lungo la via. Forse inevitabile in un contesto del genere, eppure stona comunque.
Rimane comunque interessante, sia per chi quel mondo lo ha vissuto sia per chi è nato dopo, questo sguardo su quello che ci appare ora come un periodo lontano e che potrebbe non tornare più. Potrebbe.
Molto carino e a tratti anche commovente, ma Alan Ball ha fatto molto meglio.
RispondiEliminaSì, concordo.
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