Come noto, Silver Surfer è stato uno dei personaggi feticcio di Stan Lee. Pur essendo una creazione grafica di Jack Kirby volta a dare più linfa narrativa alla Trilogia di Galactus, Stan Lee ha poi utilizzato questo personaggio per dare voce ai propri tormenti e ai propri pensieri sull'umanità e sulle sue capacità autodistruttive, così come sulla sua magnificenza.
Silver Surfer, nella visione di Lee, è un'anima pura ma in pena, lontana dal proprio pianeta, che non comprende la follia dell'uomo e si interroga dunque sull'esistenza stessa.
Ma se qualcosa cambiasse? Se tale tormento divenisse anche di natura fisica, se quell'oscurità che Silver Surfer ha sempre cercato di evitare divenisse infine parte di lui?
Questo il tema che viene analizzato in Silver Surfer: Nero (Silver Surfer: Black), miniserie di cinque numeri pubblicata nel 2019, scritta da Donny Cates - il quale ne approfitta per recuperare una sua recente creazione - e disegnata da Tradd Moore.
A seguito di una battaglia al fianco dei Guardiani della Galassia, Silver Surfer e gli eroi cosmici rischiano di venir risucchiati in un buco nero. Utilizzando tutte le sue capacità, Silver Surfer riesce a salvare i suoi alleati, precipitando al contempo nel buco nero, che lo trascina all'alba dell'Universo, dove Surfer si imbatte nel regno dominato dal dio oscuro Knull.
Ma non è solo di lui che deve preoccuparsi Silver Surfer: la caduta nel buco nero ha infatti introdotto un elemento di oscurità nel suo corpo. Un'oscurità che si sta diffondendo e rischia di trascinare per sempre nel baratro il puro eroe cosmico.
Donny Cates unisce i dialoghi "esistenzialisti" alla Stan Lee di Silver Surfer, ovviamente modernizzandoli, con quel pizzico di follia di trama che caratterizza alcune sue storie. E un viaggio nella follia è proprio ciò che aspetta al varco l'eroe cosmico.
Il viaggio "esteriore" nel lontano passato da lui affrontato diventa infatti anche una metafora del viaggio "interiore" connesso alla sua personalità che, dopo tanti anni passati a vagare per lo spazio, lontano dall'affetto dei propri cari, si è macchiata di oscurità.
Un'oscurità che rischia di crescere ancor di più e che può essere spazzata via solo ritrovando una luce interiore che possa proiettarsi all'esterno, spazzando così via il buco nero.
Knull diviene dunque in questo contesto una sorta di diavolo tentatore, simile a quello che Gesù incontrò nel deserto (e no, non è così insolito associare Silver Surfer a una sorta di figura messianica).
Non è possibile inoltre parlare di quest'opera senza elogiare l'incredibile arte di Tradd Moore. L'artista concepisce ogni sorta di geometria possibile - facilitato in tal senso dalla trama che gli offre ampie possibilità di sbizzarrirsi - creando regni spaziali ed extradimensionali che non sfigurerebbero di fronte alle grandeur cosmiche alla Jack Kirby.
Inoltre sia Silver Surfer che Knull vengono plasmati in geometrie all'apparenza impossibili, l'anatomia diventa essa stessa un concetto astratto, ma nel contesto degli eventi descritti ciò è pienamente giustificato.
Sono quei disegni così coinvolgenti che bisogna poi tornare ad ammirarli almeno una seconda volta, per soffermarsi solo su di essi, lasciando da parte la storia principale.
Nelle storie di Stan Lee, Silver Surfer si interrogava sull'esistenza dell'umanità. In questa miniserie invece si è interrogato sulla propria esistenza, come metafora di quei momenti di cui tutti noi prima o poi siamo vittime, di quando anche noi veniamo travolti dall'oscurità. Surfer trova infine dentro di sé una propria luce e una propria ragione di vita.
E altrettanto dovremmo fare noi.
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