Dopo i capitoli introduttivi de Il Guerriero Nero, l'epopea di Berserk ideata da Kentarō Miura preme subito sull'acceleratore con la saga successiva, Gli Angeli Custodi dei Desideri, pubblicata tra il 1990 e il 1991 sulla rivista Young Animal.
Questa saga in sei capitoli introduce elementi fondamentali di quest'opera, che caratterizzeranno le storie successive.
Gatsu, sempre seguito dall'elfo Pak, approda in una città tiranneggiata da uno spietato Conte, il quale condanna a morte decine di persone proclamandole come eretiche, anche se in realtà questo è solo un modo per alimentare la propria malvagità.
Gatsu, però, non è interessato a fare giustizia per questa ragione e sfida apertamente il Conte. Costui in realtà è un altro degli Apostoli dei Cinque della Mano di Dio, a cui sono stati garantiti poteri sovrumani e una sorta di immortalità fondendolo con un demone.
Tra sanguinarie battaglie e demoni in apparenza indistruttibili, Gatsu verrà infine proiettato in un regno fuori dal tempo e dallo spazio, dove avrà modo di ritrovare una sua vecchia conoscenza.
Vi ricordate quando abbiamo detto che questo non è un fantasy classico, popolato da eroi impeccabili e con città e paesaggi incantati? Ecco, qualora non fosse stato troppo chiaro nei primi capitoli, Kentarō Miura sottolinea qui in maniera ulteriore questo aspetto.
Le strade delle città sono sporche, la distanza tra la classe nobile e i poveri è del tutto incolmabile e non vengono nascoste la tirannia e la crudeltà che la prima esercita sui secondi. Non c'è spazio per l'innocenza e, se questa emerge, è con ogni probabilità destinata a essere spazzata via e anche in modo atroce.
Qualche anno prima di George Martin, insomma, Miura invita a non affezionarsi troppo ai personaggi, potrebbero non restare sulla scena troppo a lungo.
La personalità complicata e contorta di Gatsu si amplia. Già sapevamo che non era un eroe, ma ora sorge il dubbio non sia neanche un antieroe, bensì un uomo guidato da motivazioni puramente egoistiche e pulsioni di rabbia.
Non salva un condannato a morte con la giustificazione che metterebbe solo a rischio la propria vita, non si crea alcuno scrupolo se la figlia del Conte viene trascinata nei regni infernali e continua a mostrare disinteresse e arroganza nei confronti di Pak. Di certo Aragorn non è un buon metro di paragone.
Ma quello che manca a Gatsu in umanità viene compensato dall'abilità con la sua lama, in manovre acrobatiche e sovrumane ritratte da Miura con un senso cinetico da far sentire ogni colpo e ogni schivata come realistica, grazie anche a un uso straordinario delle onomatopee che diventano parte integrante delle vignette e dei combattimenti.
Miura, tuttavia, non si limita a questo e mostra tutto il proprio affetto e rispetto nei confronti di grandi maestri dell'arte, citando in questa saga con altrettanta maestria artisti come Salvador Dalí, Maurits Escher, ma soprattutto Hieronimus Bosch, le cui macabre anatomie e spettrali paesaggi sono stati ben studiati dall'autore giapponese.
L'arte che cita l'arte. Ma non un'arte povera che omaggia quella più elevata, bensì due differenti forme artistiche che si completano a vicenda.
Alla fine della storia compare un personaggio destinato a diventare una sorta di secondo protagonista: Grifis. Nulla sappiamo di lui al momento, solo che Gatsu l'ha conosciuto in passato e nutre un profondo odio per lui. Misteri che si aggiungono ad altri misteri.
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