Continuano gli spin-off di Black Hammer che, analizzando aspetti finora poco noti o non ancora rivelati di questo universo, contribuiscono a gettare una nuova luce su Spiral City e i suoi incredibili abitanti.
Dopo Sherlock Frankenstein e la Legione del Male, giunge dunque Dottor Andromeda e il Regno dei Domani Perduti (Doctor Andromeda and the Kingdom of Lost Tomorrows), miniserie di quattro numeri pubblicata da Dark Horse nel 2018, scritta da Jeff Lemire e disegnata da Max Fiumara.
James Robinson, il Dottor Andromeda, è uno dei più grandi eroi della Golden Age: ha contribuito a debellare la minaccia nazista ed è stato uno dei membri fondatori del primo supergruppo della storia.
Ma, al termine di una missione nello spazio, l'eroe finisce in maniera avventata in un buco nero e, quando torna a casa, scopre che - se lui è rimasto giovane - sulla Terra sono passati diciotto anni. La moglie e il figlio lo odiano per essere stati abbandonati per così tanto tempo e chiudono ogni rapporto con lui.
Decenni dopo James Robinson sta ancora cercando di ricucire i rapporti con il figlio, ma ormai sembra troppo tardi perché quest'ultimo è affetto da un male incurabile. Ci potrà essere una redenzione per il Dottor Andromeda?
Il concetto di legacy, del manto di un eroe che può passare a qualcun altro, è stato presente nel fumetto americano - e nella narrativa in generale - fin dagli albori. Questo spiega la presenza di molti giovani sidekick durante la Golden Age, idea che oggi ci appare folle (ragazzini che consapevolmente vengono mandati a rischiare la vita combattendo il crimine?).
Jeff Lemire adotta e riadatta questo concetto, dandogli una nuova dimensione, più in sintonia con le atmosfere di Black Hammer, ovviamente. Stavolta il personaggio di riferimento è lo Starman della Golden Age, ma non così come originariamente pensato, bensì la reinterpretazione moderna attuata da James Robinson a partire dagli anni '90, dove il manto dell'eroe veniva preso dal figlio (magari un giorno ne parleremo su questi lidi).
Il fatto, dunque, che il protagonista di questa storia porti proprio quel nome non è un caso. Insomma, la reinterpretazione di una reinterpretazione.
Inoltre vi è anche un chiaro omaggio al corpo delle Lanterne Verdi, qui più nella versione Bronze Age che in quella Silver.
Detto questo, il Dottor Andromeda - rispetto alle altre personalità abbastanza borderline che abbiamo visto nelle storie principali - risulta come l'eroe più classico di questo universo, essendo forse profondamente radicato in quella Golden Age da cui non è mai sfuggito, mentre il tempo sfrecciava attorno a lui.
E questa miniserie che lo riguarda è incentrata sulle tematiche familiari, sulle perdite che si possono subire quando un dovere verso altre persone prevale sulle necessità personali e quelle dei propri cari. Ed ecco dunque giungere la tematica, molto cara al fumetto americano e non solo, del padre che deve recuperare il rapporto col figlio.
Proprio mentre quel tempo a disposizione, a cui il Dottor Andromeda ha cercato di sfuggire per tutta la vita, si stringe sempre più. La ricerca di una redenzione personale porta dunque l'eroe ad esaminare la propria esistenza passata per trovare la risposta alla domanda se sia stato davvero un buon genitore, oltre che un eroe perfetto.
In ultima analisi, se James Robinson sia stato un bravo essere umano, oppure se quella sua umanità sia andata perduta nel buco nero, insieme ai diciotto anni che hanno caratterizzato la sua scomparsa.
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