venerdì 9 settembre 2022

Netflix Original 76: Mute


Confido che molti di voi abbiano visto Moon, film gioiello del 2009 scritto e diretto da Duncan Jones e che vede come protagonista assoluto Sam Rockwell, il quale si sdoppia in quattro come Michael Keaton in una claustrofobica e angosciante atmosfera spaziale, mentre una terribile verità di un mondo futuro viene a galla.
Ebbene, nove anni dopo Duncan Jones ritorna a quel mondo narrativo grazie a Mute (di nuovo un titolo composto da quattro lettere che inizia con la lettera M), da lui sceneggiato insieme a Michael Robert Johnson e distribuito su Netflix a partire dal 23 febbraio 2018. Non si tratta di un vero e proprio sequel, quanto di una storia differente ambientata nello stesso universo narrativo di Moon, sulla Terra stavolta. Tranquilli, il cameo di Sam Rockwell c'è, ma non aspettatevi un prosieguo della sua storia.
Leo (Alexander Skarsgård) è un componente della comunità Amish che da piccolo è rimasto muto a causa del contatto con l'elica di una barca che ha danneggiato le sue corde vocali e il rifiuto da parte della sua famiglia di sottoporlo a un intervento chirurgico.
L'uomo lavora come barista in un locale di Berlino gestito dalla mafia russa ed è innamorato di Naadirah (Seyneb Saleh), la quale tuttavia un giorno scompare nel nulla dopo aver rivelato di volergli confessare un suo segreto.
Dietro la sua scomparsa sembrerebbe esserci una mano criminale e due loschi americani di nome Cactus Bill (Paul Rudd) e Duck (Justin Theroux). Leo intraprende così una missione di ricerca e vendetta, ma il suo handicap potrebbe rivelarsi il suo peggior nemico.
Penso che non vi lasci sconvolti sapere che questo secondo capitolo risulta inferiore a Moon, pur conservando una propria dignità. Come nel film originario, i temi principali sono quelli della solitudine e dell'alienazione dell'uomo, qui esemplificati attraverso l'incapacità di Leo di interagire col mondo esterno - anche per sua scelta - e di trovare un'ancora di salvezza solo e unicamente in Naadirah. Cosicché quando quell'ancora viene perduta, lui rischia di affondare ancor di più nel mare della sua solitudine e nella sete di sangue e deve trovare un nuovo appoggio morale.
Tuttavia, vi è qualche passo falso qua e là. Se può apparire interessante in principio che la storia progredisca attraverso i dialoghi altrui, visto che il protagonista non è in grado di parlare, a lungo andare diviene un artificio narrativo ripetitivo e in certi punti forzato.
Le caratteristiche degli antagonisti vengono sin troppo esasperate. Paul Rudd è un villain folle eccessivamente folle con cambi d'umore repentini troppo repentini, mentre Justin Theroux è un personaggio borderline eccessivamente borderline non pienamente sviluppato.
È stato comunque interessante ritornare su questo mondo e scoprirne un nuovo aspetto. E chissà se avremo mai un terzo capitolo.

Nessun commento:

Posta un commento