4 – EIC
Bisogna dire che ridotta ai minimi termine la scelta appare un po’ strana: un ventisettenne alla guida editoriale di una delle più importanti casi editrici statunitensi, quando forse sarebbe stato meglio scegliere qualcuno di più navigato. Ma come al solito la realtà dei fatti è molto diversa. Innanzitutto bisogna inquadrare il periodo storico dell’epoca: i fumetti attraversano una crisi nera, una crisi che fatti i dovuti distinguo fa impallidire anche quella vissuta a metà degli anni ’90. La DC è quella che se la passa peggio, non capisce che i lettori che aveva nel decennio precedente sono cresciuti ed apprezzerebbero anche storie più mature ed i telefilm di Batman, che avevano imposto salvo poche eccezioni a tutta la linea di supereroi un approccio quasi demenziale, alla lunga si rivelano controproducenti. E la dirigenza sembra, anzi è, fossilizzata su un passato che per quanto glorioso non consente un ricambio di lettori. La linea Vertigo, lo sperimentalismo inglese dovevano ancora arrivare. Risultato: la DC Implosion. Decine di serie chiudono i battenti da un giorno all’altro, persino personaggi storici come Aquaman, Freccia Verde e Lanterna Verde scompaiono nel semioblio.
Nemmeno la Marvel se la passa altrettanto bene: la voglia di osare e di rompere gli schemi che ha caratterizzato gli anni ’60 lentamente lascia il passo, con l’acquisto di quote sempre più ampie di mercato, a racconti banali, inconcludenti, a volte demenziali (come le storie dei Difensori). Lentamente il numero di pagine per albo, da 22, scende a 20, poi a 18, infine a 17: un approfondimento di un personaggio o di un tema trattato in una storia non è cosa impossibile, di certo comunque più difficile di prima. La Casa delle Idee evita una sua personale DC Implosion se non peggio nel 1977 quando, grazie all’arguzia di Roy Thomas, entra nella produzione di Guerre Stellari. Un film in cui, incredibile ma vero, pochi credono all’epoca della sua uscita ma che si rivela un successo (è proprio il caso di dirlo) planetario e che fa affluire una ingente e benefica somma di denaro nelle casse della Marvel. Certo è comunque che il problema del calo di lettori e della crisi di idee rimane.
E la figura cardine per la sua risoluzione si rivela proprio l’Editor-in-Chief. Come era inteso questo ruolo prima dell’arrivo di Shooter? In modo molto diverso da come è oggi. I suoi compiti infatti erano puramente editoriali, si limitava a controllare le varie serie (a quel tempo non erano poi moltissime, dunque poteva supervisionarle anche una sola persona) preoccupandosi di dare loro coerenza narrativa e cancellando eventuali argomenti scomodi. Solo che una cosa del genere non funzionava più dai tempi di Roy Thomas. È stata proprio questa l’intuizione di Shooter, che probabilmente gli ha permesso di essere promosso a quel rango (questioni anagrafiche a parte, Gerry Conway era più giovane di lui ed era stato Editor-in-Chief): l’EIC non deve più limitarsi ad essere il ‘padrone del vapore’ delle varie serie, ma deve anche occuparsi degli aspetti connessi al marketing, allo sfruttamento commerciale ed agli aspetti legali dei comics. Insomma, una figura multitalentuosa che necessita ovviamente di una persona che sia disposta a sobbarcarsi questi doveri: Len Wein, Marv Wolfman e Archie Goodwin evidentemente volevano concentrarsi solo sulla scrittura lasciando perdere tutto il resto. Shooter no.
L’ex editor/scrittore viene personalmente scelto da Stan Lee e Jim Galton, allora presidente della compagnia, ma dichiara che accetterà l’incarico solo se gli verrà concesso di effettuare dei cambiamenti. Come ad esempio royalties e tavole originali restituite ai disegnatori. La replica di Galton durante il primo incontro ufficiale dimostra quanto questo problema non fosse sentito:”Davvero non facciamo cose del genere?”. Sempre secondo Galton l’industria dei comics sta morendo, per via delle ragioni succitate, e non c’è modo di invertire la tendenza: dunque nel periodo in cui la Marvel entrerà in altri media (animazione, libri per bambini) Shooter dovrà ridurre al minimo le perdite del settore fumetti, prima che questo venga chiuso del tutto e la casa editrice percorra altre strade.
Ma il nuovo EIC è di diverso avviso: è vero, l’industria dei comics è in crisi e rischia di morire. È vero, la Marvel ha così tanti titoli che alcuni ne cannibalizzano altri. Ma la soluzione non è chiudere tutto, la soluzione è rinnovare il panorama, tornare di nuovo a rompere gli schemi come era accaduto negli anni ’60. Ma ciò può essere fatto solo se gli artisti sono incentivati a farlo. E da lì le proposte di cui sopra. Una delle sue prime azioni di Shooter è quella di incentivare la figura dell’editor: come detto, l’EIC poteva e doveva occuparsi anche di altre cose e dunque certi compiti editoriali dovevano essere demandati ad altre persone. Beninteso, siamo lontani anni luce dalla figura professionale dell’editor di oggi (con tanto di assistenti ed un direttore di produzione), semplicemente allora era grossomodo un altro sceneggiatore che controllava il lavoro di un suo collega e dava il benestare e saltuariamente qualche suggerimento. Ma comunque già dal primo mese della gestione Shooter si intuisce che qualcosa è cambiato e molti sembrano non prenderla bene, solo che la DC Implosion fa tornare tutti a più miti consigli.
Fatto il primo passo, ne arrivano altri. La Marvel non deve più adagiarsi sugli allori, deve tornare ad essere quella potenza editoriale che era. E lo era diventata rompendo degli schemi prefissati. Il cosiddetto Marvel Style? Va rinnovato. Ecco dunque i primi celebri cicli già nel 1979: Chris Claremont e John Byrne su UNCANNY X-MEN; il solo John Byrne su FANTASTIC FOUR; ma soprattutto Frank Miller su DAREDEVIL, che in pochissimi numeri fa tornare mensile una serie che prima non riusciva a sbloccarsi dalla bimestralità. Le oscure profezie di Galton vengono demolite in pochissimi mesi. In generale tutte le serie ritornano a buoni livelli di vendita e, all’inizio degli anni ’80, quelle che vengono chiuse sono quelle che stanno sotto le 100.000 copie. Alla faccia dei rami secchi.
Certo, non è tutto rose e fiori. Il primo a dimostrare malcontento è il veterano Roy Thomas: uno sceneggiatore che ha sempre mal digerito la figura dell’editor (preferiva supervisionarsi da solo) comincia a vedere con occhio critico queste continue ingerenze editoriali. E quando la sua creatura prediletta, INVADERS, gli viene sottratta lui fa armi e bagagli e si trasferisce alla DC Comics, dove darà vita al progetto ALL-STAR SQUADRON, le cui premesse non erano poi differenti da quelle degli Invasori. Il secondo “contestatore” è Gene Colan: chiusa la sua testata simbolo, TOMB OF DRACULA, torna ad occuparsi a tempo pieno di supereroi, ma secondo alcuni lo fa un po’ imbrogliando, cercando di disegnare il minor numero di tavole possibili ed alterando così le varie sceneggiature. Le proteste non si fanno attendere e Shooter prova a mettere in riga Colan, il quale però decide di seguire le orme di Roy Thomas e trasferirsi alla DC.
Ma sono tutto sommato contestazioni minori, che non inficiano il lavoro del nuovo EIC. Mese dopo mese le vendite tornano a livelli stellari, quasi impensabili. Fino al 1982 nessuno si sarebbe messo contro Shooter, nessuno avrebbe agito contro di lui, nessuno avrebbe avuto qualche ragione di protestare. Le cose sarebbero drasticamente cambiate.
Nemmeno la Marvel se la passa altrettanto bene: la voglia di osare e di rompere gli schemi che ha caratterizzato gli anni ’60 lentamente lascia il passo, con l’acquisto di quote sempre più ampie di mercato, a racconti banali, inconcludenti, a volte demenziali (come le storie dei Difensori). Lentamente il numero di pagine per albo, da 22, scende a 20, poi a 18, infine a 17: un approfondimento di un personaggio o di un tema trattato in una storia non è cosa impossibile, di certo comunque più difficile di prima. La Casa delle Idee evita una sua personale DC Implosion se non peggio nel 1977 quando, grazie all’arguzia di Roy Thomas, entra nella produzione di Guerre Stellari. Un film in cui, incredibile ma vero, pochi credono all’epoca della sua uscita ma che si rivela un successo (è proprio il caso di dirlo) planetario e che fa affluire una ingente e benefica somma di denaro nelle casse della Marvel. Certo è comunque che il problema del calo di lettori e della crisi di idee rimane.
E la figura cardine per la sua risoluzione si rivela proprio l’Editor-in-Chief. Come era inteso questo ruolo prima dell’arrivo di Shooter? In modo molto diverso da come è oggi. I suoi compiti infatti erano puramente editoriali, si limitava a controllare le varie serie (a quel tempo non erano poi moltissime, dunque poteva supervisionarle anche una sola persona) preoccupandosi di dare loro coerenza narrativa e cancellando eventuali argomenti scomodi. Solo che una cosa del genere non funzionava più dai tempi di Roy Thomas. È stata proprio questa l’intuizione di Shooter, che probabilmente gli ha permesso di essere promosso a quel rango (questioni anagrafiche a parte, Gerry Conway era più giovane di lui ed era stato Editor-in-Chief): l’EIC non deve più limitarsi ad essere il ‘padrone del vapore’ delle varie serie, ma deve anche occuparsi degli aspetti connessi al marketing, allo sfruttamento commerciale ed agli aspetti legali dei comics. Insomma, una figura multitalentuosa che necessita ovviamente di una persona che sia disposta a sobbarcarsi questi doveri: Len Wein, Marv Wolfman e Archie Goodwin evidentemente volevano concentrarsi solo sulla scrittura lasciando perdere tutto il resto. Shooter no.
L’ex editor/scrittore viene personalmente scelto da Stan Lee e Jim Galton, allora presidente della compagnia, ma dichiara che accetterà l’incarico solo se gli verrà concesso di effettuare dei cambiamenti. Come ad esempio royalties e tavole originali restituite ai disegnatori. La replica di Galton durante il primo incontro ufficiale dimostra quanto questo problema non fosse sentito:”Davvero non facciamo cose del genere?”. Sempre secondo Galton l’industria dei comics sta morendo, per via delle ragioni succitate, e non c’è modo di invertire la tendenza: dunque nel periodo in cui la Marvel entrerà in altri media (animazione, libri per bambini) Shooter dovrà ridurre al minimo le perdite del settore fumetti, prima che questo venga chiuso del tutto e la casa editrice percorra altre strade.
Ma il nuovo EIC è di diverso avviso: è vero, l’industria dei comics è in crisi e rischia di morire. È vero, la Marvel ha così tanti titoli che alcuni ne cannibalizzano altri. Ma la soluzione non è chiudere tutto, la soluzione è rinnovare il panorama, tornare di nuovo a rompere gli schemi come era accaduto negli anni ’60. Ma ciò può essere fatto solo se gli artisti sono incentivati a farlo. E da lì le proposte di cui sopra. Una delle sue prime azioni di Shooter è quella di incentivare la figura dell’editor: come detto, l’EIC poteva e doveva occuparsi anche di altre cose e dunque certi compiti editoriali dovevano essere demandati ad altre persone. Beninteso, siamo lontani anni luce dalla figura professionale dell’editor di oggi (con tanto di assistenti ed un direttore di produzione), semplicemente allora era grossomodo un altro sceneggiatore che controllava il lavoro di un suo collega e dava il benestare e saltuariamente qualche suggerimento. Ma comunque già dal primo mese della gestione Shooter si intuisce che qualcosa è cambiato e molti sembrano non prenderla bene, solo che la DC Implosion fa tornare tutti a più miti consigli.
Fatto il primo passo, ne arrivano altri. La Marvel non deve più adagiarsi sugli allori, deve tornare ad essere quella potenza editoriale che era. E lo era diventata rompendo degli schemi prefissati. Il cosiddetto Marvel Style? Va rinnovato. Ecco dunque i primi celebri cicli già nel 1979: Chris Claremont e John Byrne su UNCANNY X-MEN; il solo John Byrne su FANTASTIC FOUR; ma soprattutto Frank Miller su DAREDEVIL, che in pochissimi numeri fa tornare mensile una serie che prima non riusciva a sbloccarsi dalla bimestralità. Le oscure profezie di Galton vengono demolite in pochissimi mesi. In generale tutte le serie ritornano a buoni livelli di vendita e, all’inizio degli anni ’80, quelle che vengono chiuse sono quelle che stanno sotto le 100.000 copie. Alla faccia dei rami secchi.
Certo, non è tutto rose e fiori. Il primo a dimostrare malcontento è il veterano Roy Thomas: uno sceneggiatore che ha sempre mal digerito la figura dell’editor (preferiva supervisionarsi da solo) comincia a vedere con occhio critico queste continue ingerenze editoriali. E quando la sua creatura prediletta, INVADERS, gli viene sottratta lui fa armi e bagagli e si trasferisce alla DC Comics, dove darà vita al progetto ALL-STAR SQUADRON, le cui premesse non erano poi differenti da quelle degli Invasori. Il secondo “contestatore” è Gene Colan: chiusa la sua testata simbolo, TOMB OF DRACULA, torna ad occuparsi a tempo pieno di supereroi, ma secondo alcuni lo fa un po’ imbrogliando, cercando di disegnare il minor numero di tavole possibili ed alterando così le varie sceneggiature. Le proteste non si fanno attendere e Shooter prova a mettere in riga Colan, il quale però decide di seguire le orme di Roy Thomas e trasferirsi alla DC.
Ma sono tutto sommato contestazioni minori, che non inficiano il lavoro del nuovo EIC. Mese dopo mese le vendite tornano a livelli stellari, quasi impensabili. Fino al 1982 nessuno si sarebbe messo contro Shooter, nessuno avrebbe agito contro di lui, nessuno avrebbe avuto qualche ragione di protestare. Le cose sarebbero drasticamente cambiate.
5 – VENTI DI CAMBIAMENTO
Ma prima di parlare di ciò, occorre citare altri esperimenti introdotti da Shooter, soprattutto all’inizio degli anni ’80 quando in virtù dei suoi successi editoriali la sua posizione come EIC si era rafforzata. Il percorso di autorialità, con i diritti che rimanevano in mano agli autori, viene realizzato grazie alla linea EPIC, dove dominava la parola sperimentazione e dove in generale si preferiva battere strade diverse da quelle supereroistiche, più consolidate. Il successo di questa linea lo si deve soprattutto al suo editor, Archie Goodwin, per cui la parola ‘limite’ non esisteva. Il fiore all’occhiello di questa linea editoriale è la rivista EPIC ILLUSTRATED MAGAZINE, mentre i prodotti di punta sono DREADSTAR di Jim Starlin ed ELEKTRA ASSASSIN di Frank Miller e Bill Sienkiewicz. Anche le riviste in bianco e nero come MARVEL PREVIEW, in bilico tra supereroismo e fantasy, vengono potenziate.
Shooter introduce poi in Marvel due elementi già presenti nel panorama del comicdom. Il primo è la cosiddetta miniserie, che aveva fatto capolino sia in DC che in alcune case editrici minori già qualche anno prima, la quale consente di narrare una storia e portarla a conclusione all’interno di pochi albi. Storie perfette anche per il lettore occasionale. WOLVERINE di Claremont/Miller è il primo e miglior biglietto da visita che si possa presentare. La mania attuale dei Trade Paperback trae da qui le sue origini. Il secondo elemento è il cosiddetto romanzo grafico alla Will Eisner, la graphic novel: un albo di grande formato e con molte più pagine del consueto (anche un centinaio, a volte) adatto a presentare storie dal forte impatto. Ed in effetti la prima Graphic Novel Marvel è di quelle che lascia il segno: LA MORTE DI CAPITAN MARVEL. Questa storia sconvolse moltissimo i lettori di allora e non poteva essere altrimenti. Rifacendosi ad una tragica esperienza personale (la morte del proprio padre), Jim Starlin scrive l’ultima avventura del celebre eroe spaziale, il quale ha contratto il cancro dopo un’esposizione ad un gas nervino alcuni mesi prima. E la sua fine non avviene in battaglia, ma in un letto d’ospedale. In generale la storia si segnala poiché profondamente intimista e non contenente alcuno scontro, molto toccante. Il formato Graphic Novel diviene molto gradito e viene utilizzato per proporre altri prodotti supereroistici d’elite (come ad esempio la celebre storia Dio Ama l’Uomo Uccide) o addirittura racconti mainstream, qualcosa per l’epoca di molto raro.
Ma sono due le principali intuizioni di Shooter che meritano di essere segnalate, poiché frutto di una attenta analisi del mercato di allora e che ancora oggi sono incredibilmente attuali. Da quando lo spilungone era diventato EIC, il mercato dei comics era cambiato: prima i fumetti si vendevano al 100% in vari esercizi commerciali (drugstore, bar, empori, in certi casi addirittura farmacie), ma dall’inizio degli anni ’80 erano sorti i cosiddetti comic shop, le fumetterie per intenderci. Locali dediti solo alla vendita di fumetti e gestiti da gente competente, che doveva saper vendere quel tipo di prodotto. Shooter pensa che questo possa essere un buon canale di distribuzione e concepisce una linea di comics da vendere esclusivamente attraverso i comic shop, con carta pregiata e maggiore foliazione. Non solo, poteva essere un viatico attraverso cui far passare quei fumetti che nel circuito classico vendevano poco, ma filtrati attraverso questo nuovo esercizio potevano raggiungere risultati differenti e suscitare la curiosità di altri lettori. Certo, rivisti a distanza di anni le serie che vennero lanciate per i comic shop (DAZZLER, KA-ZAR THE SAVAGE) fanno un po’ sorridere, ma le aspettative di vendita vennero pienamente soddisfatte e se pensiamo che costavano un po’ di più rispetto agli altri comics…
Oggi i fumetti si vendono praticamente solo nei comic shop, si è invertita la tendenza rispetto a venti anni prima (fatta eccezione per alcuni prodotti, come i fumetti per bambini): il primo a capire che il mercato sarebbe andato in quella direzione è stato Jim Shooter.
Un’altra intuizione ancora oggi fa sentire i suoi segni. Verso la fine degli anni ’70 Shooter sancisce dei contratti di collaborazione reciproca con alcune case produttrici di giocattoli: in sintesi la Marvel avrebbe pubblicato fumetti con protagonisti le creazioni di queste case e avrebbe fatto loro pubblicità, e viceversa. E’ quello che l’EIC si proponeva di fare fin dall’inizio: portare il mondo del fumetto fuori dal ghetto in cui si era cacciato, sfruttando altri media ed altri prodotti che in qualche modo potevano incrociarsi con le esigenze di una casa editrice. Il direct marketing, verrebbe da dire. All’inizio si disse che con questa manovra la Marvel aveva venduto la propria anima al mondo dell’economia, soprattutto quando si vide che questi nuovi fumetti non appartenevano ad un altro universo narrativo come era accaduto per altri franchise (es. STAR WARS), ma erano ambientati nel Marvel Universe vero e proprio apportando talvolta significativi cambiamenti. Polemiche che i fatti demolirono senza appello. Come detto per le serie vendute solo nei comic shop, riviste oggi queste serie fanno (nel più gentile dei casi) sorridere per la loro ingenuità, e qualcuna si rivelò anche un terribile flop, ma alcune diventarono rapidamente dei prodotti di punta della Marvel. Narra la leggenda che i primi numeri di ROM SPACEKNIGHT vendettero addirittura poco meno degli UNCANNY X-MEN di Claremont/Byrne, ed anche MICRONAUTS fu un insperato successo. Ancora oggi queste due serie hanno una fanbase regolare e si spera sempre in una ripresa (narra una seconda leggenda, e questa è vera, che poco più di una decina di anni fa Mark Millar e Grant Morrison volevano produrre una seconda serie di ROM). Ironia della vicenda: i giocattoli di Rom e dei Micronauti furono un tremendo insuccesso e sparirono in pochi mesi dagli scaffali dei negozi, le loro serie invece durarono più di otto anni. L’apoteosi di questa manovra commerciale si sarebbe avuta con SECRET WARS.
Shooter come EIC ha in mente un obiettivo ben preciso: far sì che si parli della Marvel, a qualsiasi costo. Parlarne significa attrarre interesse. Attrarre interesse vuol dire conquistare nuovi lettori. Ci riesce e, grazie anche al fatto che nei primi anni ’80 la DC vive una crisi editoriale e di contenuti, a quel tempo la Casa delle Idee conquista circa il 75% del mercato fumettistico. Ma questa stessa manovra presto si sarebbe ritorta contro Shooter stesso.
Shooter introduce poi in Marvel due elementi già presenti nel panorama del comicdom. Il primo è la cosiddetta miniserie, che aveva fatto capolino sia in DC che in alcune case editrici minori già qualche anno prima, la quale consente di narrare una storia e portarla a conclusione all’interno di pochi albi. Storie perfette anche per il lettore occasionale. WOLVERINE di Claremont/Miller è il primo e miglior biglietto da visita che si possa presentare. La mania attuale dei Trade Paperback trae da qui le sue origini. Il secondo elemento è il cosiddetto romanzo grafico alla Will Eisner, la graphic novel: un albo di grande formato e con molte più pagine del consueto (anche un centinaio, a volte) adatto a presentare storie dal forte impatto. Ed in effetti la prima Graphic Novel Marvel è di quelle che lascia il segno: LA MORTE DI CAPITAN MARVEL. Questa storia sconvolse moltissimo i lettori di allora e non poteva essere altrimenti. Rifacendosi ad una tragica esperienza personale (la morte del proprio padre), Jim Starlin scrive l’ultima avventura del celebre eroe spaziale, il quale ha contratto il cancro dopo un’esposizione ad un gas nervino alcuni mesi prima. E la sua fine non avviene in battaglia, ma in un letto d’ospedale. In generale la storia si segnala poiché profondamente intimista e non contenente alcuno scontro, molto toccante. Il formato Graphic Novel diviene molto gradito e viene utilizzato per proporre altri prodotti supereroistici d’elite (come ad esempio la celebre storia Dio Ama l’Uomo Uccide) o addirittura racconti mainstream, qualcosa per l’epoca di molto raro.
Ma sono due le principali intuizioni di Shooter che meritano di essere segnalate, poiché frutto di una attenta analisi del mercato di allora e che ancora oggi sono incredibilmente attuali. Da quando lo spilungone era diventato EIC, il mercato dei comics era cambiato: prima i fumetti si vendevano al 100% in vari esercizi commerciali (drugstore, bar, empori, in certi casi addirittura farmacie), ma dall’inizio degli anni ’80 erano sorti i cosiddetti comic shop, le fumetterie per intenderci. Locali dediti solo alla vendita di fumetti e gestiti da gente competente, che doveva saper vendere quel tipo di prodotto. Shooter pensa che questo possa essere un buon canale di distribuzione e concepisce una linea di comics da vendere esclusivamente attraverso i comic shop, con carta pregiata e maggiore foliazione. Non solo, poteva essere un viatico attraverso cui far passare quei fumetti che nel circuito classico vendevano poco, ma filtrati attraverso questo nuovo esercizio potevano raggiungere risultati differenti e suscitare la curiosità di altri lettori. Certo, rivisti a distanza di anni le serie che vennero lanciate per i comic shop (DAZZLER, KA-ZAR THE SAVAGE) fanno un po’ sorridere, ma le aspettative di vendita vennero pienamente soddisfatte e se pensiamo che costavano un po’ di più rispetto agli altri comics…
Oggi i fumetti si vendono praticamente solo nei comic shop, si è invertita la tendenza rispetto a venti anni prima (fatta eccezione per alcuni prodotti, come i fumetti per bambini): il primo a capire che il mercato sarebbe andato in quella direzione è stato Jim Shooter.
Un’altra intuizione ancora oggi fa sentire i suoi segni. Verso la fine degli anni ’70 Shooter sancisce dei contratti di collaborazione reciproca con alcune case produttrici di giocattoli: in sintesi la Marvel avrebbe pubblicato fumetti con protagonisti le creazioni di queste case e avrebbe fatto loro pubblicità, e viceversa. E’ quello che l’EIC si proponeva di fare fin dall’inizio: portare il mondo del fumetto fuori dal ghetto in cui si era cacciato, sfruttando altri media ed altri prodotti che in qualche modo potevano incrociarsi con le esigenze di una casa editrice. Il direct marketing, verrebbe da dire. All’inizio si disse che con questa manovra la Marvel aveva venduto la propria anima al mondo dell’economia, soprattutto quando si vide che questi nuovi fumetti non appartenevano ad un altro universo narrativo come era accaduto per altri franchise (es. STAR WARS), ma erano ambientati nel Marvel Universe vero e proprio apportando talvolta significativi cambiamenti. Polemiche che i fatti demolirono senza appello. Come detto per le serie vendute solo nei comic shop, riviste oggi queste serie fanno (nel più gentile dei casi) sorridere per la loro ingenuità, e qualcuna si rivelò anche un terribile flop, ma alcune diventarono rapidamente dei prodotti di punta della Marvel. Narra la leggenda che i primi numeri di ROM SPACEKNIGHT vendettero addirittura poco meno degli UNCANNY X-MEN di Claremont/Byrne, ed anche MICRONAUTS fu un insperato successo. Ancora oggi queste due serie hanno una fanbase regolare e si spera sempre in una ripresa (narra una seconda leggenda, e questa è vera, che poco più di una decina di anni fa Mark Millar e Grant Morrison volevano produrre una seconda serie di ROM). Ironia della vicenda: i giocattoli di Rom e dei Micronauti furono un tremendo insuccesso e sparirono in pochi mesi dagli scaffali dei negozi, le loro serie invece durarono più di otto anni. L’apoteosi di questa manovra commerciale si sarebbe avuta con SECRET WARS.
Shooter come EIC ha in mente un obiettivo ben preciso: far sì che si parli della Marvel, a qualsiasi costo. Parlarne significa attrarre interesse. Attrarre interesse vuol dire conquistare nuovi lettori. Ci riesce e, grazie anche al fatto che nei primi anni ’80 la DC vive una crisi editoriale e di contenuti, a quel tempo la Casa delle Idee conquista circa il 75% del mercato fumettistico. Ma questa stessa manovra presto si sarebbe ritorta contro Shooter stesso.
6 – LA CALUNNIA E’ UN VENTICELLO
Sciaf! |
Seppur oberato di impegni come EIC, Shooter ogni tanto ritorna a scrivere alcune sceneggiature. Tuttavia la sua unica run come sceneggiatore regolare avviene su AVENGERS, serie su cui aveva già lavorato in passato, e comunque sono poco più di una decina di episodi pubblicati nel biennio 1981/1982. Episodi che ancora oggi vengono ricordati per il loro tema centrale: la caduta dal paradiso di Hank Pym, preda come non mai delle sue nevrosi. Calabrone arriva addirittura ad attaccare i suoi stessi compagni ed a schiaffeggiare sua moglie Janet pur di farsi notare: quest’ultimo gesto in particolare ha gettato una macchia praticamente indelebile sul personaggio. Indelebile poiché, diversamente magari dal nostro paese, la violenza domestica è un fatto molto sentito e condannato negli Stati Uniti. In questo caso Shooter porta all’estremo le psicosi nervose di Hank Pym, che già negli anni ’60 avevano generato trame interessanti ma alfine confinate nella ingenuità di quel periodo. Qui no, qui l’eroe e la sua percezione cambiano totalmente davanti ai nostri occhi, nessuno ha poi più visto Hank Pym come lo vedeva prima.
Come abbiamo accennato, Shooter voleva che l’attenzione di tutti tornasse a concentrarsi sui fumetti di modo che uscissero dal ghetto in cui si erano cacciati. Ci è riuscito, ma subito dopo questa manovra gli si è ritorta contro. Fino al 1982, salvo alcune sporadiche defezioni, nessuno aveva messo in dubbio la sua gestione, ma negli anni successivi numerose polemiche sarebbero piovute sul suo capo. La prima accusa è nientemeno che di omofobia: la materia del contendere nasce da un episodio di RAMPAGING HULK (rivista in bianco e nero che usciva, per i temi trattati, senza che venisse sottoposta all’approvazione del Comics Code Authority), durante il quale Bruce Banner subisce un tentativo di stupro da parte di due omosessuali in un YMCA. Apriti cielo, la storia e le sue polemiche escono subito dai confini del fumetto ed arriva nel “mondo reale”, laddove alcune associazioni pro-omosessuali (chiedo scusa per il termine un po’ brusco) accusano Shooter appunto di omofobia. La difesa dell’EIC a dire il vero è un po’ blanda, in quanto afferma che con quella storia non ha voluto offendere nessuno, solo mettere in mostra un episodio di vita reale, ed infatti nessuno gli crede. A complicare le cose c’è una successiva dichiarazione di Shooter ad una rivista specializzata nella quale dichiara categorico che non esistono supereroi gay nel Marvel Universe. Anche se è vero che a quell’epoca il Comics Code censurava ancora riferimenti espliciti all’omosessualità, non era sfuggito a nessuno il fatto che il Northstar di ALPHA FLIGHT fosse tutto tranne che eterosessuale. Come risultato lo sceneggiatore della serie, John Byrne, inizia a mitigare questo tipo di riferimenti ed in seguito si arriverà addirittura a dire che Northstar appartiene ad una razza elfica eccetera eccetera (anche se negli anni successivi la sua omosessualità verrà fin troppo sbandierata). A tutt’oggi non è ben chiaro se Shooter sia o meno omofobo, per quanto questa cosa possa importare a qualcuno, mi limito solo a dire che dopo questi fatti lo sceneggiatore non è più voluto tornare a discutere della faccenda.
Alla prima pietra dello scandalo se ne aggiunge immediatamente un’altra, di cui sicuramente avrete sentito parlare, la cosiddetta querelle Kirby. Questa vicenda ha lunghe radici. L’ultimo contratto con la Marvel di questo grande artista termina nel 1978, incidentalmente il primo anno di Shooter come EIC, e subito dopo comincia a reclamare diritti legali sui personaggi che aveva creato o co-creato (una vecchia polemica con Stan Lee). In questo tentativo si inserisce una manovra legale dei suoi avvocati, i quali chiedono che a Kirby venissero restituite le sue tavole originali. Per la Marvel questa è una sorta di “trappola”, poiché restituire le tavole sarebbe stata una tacita ammissione che Kirby ne era il legittimo proprietario e non le aveva realizzate con un contratto di lavoro salariato, che sanciva in questo caso che la casa editrice ne era sia l’”autore” che il proprietario. Contorto? Siamo ancora all’inizio. Insomma, agendo in quel modo la Marvel avrebbe dimostrato che la rivendicazione di Kirby aveva ragion d’essere, pur non potendo nascondere che alcune di quelle tavole a causa dell’incuria e della disattenzione erano ormai ridotte in pessimo stato.
Ora il problema di fondo è che a quell’epoca la Marvel già restituiva le tavole originali ai suoi autori, per via appunto di quella politica di cambiamento voluta da Shooter durante il suo primo incontro con le alte sfere della Casa delle Idee. Ed in effetti Kirby ne aveva già ricevute molte. Una politica che si interrompe bruscamente, ed in toto, per le ragioni succitate. Si arriva dunque ad una situazione di stallo che dura parecchi mesi, una situazione in cui Jim Shooter si ritrova a fare da mediatore tra la casa editrice ed il grande artista che per così tanti anni aveva lavorato per essa. Una posizione che, all’esterno, pare non trasparire dal momento che negli anni successivi Shooter sarebbe stato identificato grossomodo come colui che si rifiutava di restituire a Kirby (uno dei personaggi più amati del mondo dei comics) le sue tavole. A dar man forte a Kirby c’è anche un altro grande artista recentemente scomparso: Steve Gerber. Un uomo che per aiutare il creatore dei Fantastici Quattro aveva scritto un fumetto volto unicamente a raccogliere fondi da utilizzare per la causa. Un artista che vanta anche lui diritti legali, su di un personaggio stavolta: Howard il Papero. La posizione di Gerber è che la Marvel non è titolare del personaggio in quanto esso è apparso come comprimario su altre testate prima di ricevere la propria serie ed un trademark, dunque il suo legittimo ideatore è proprio Gerber (in realtà dietro c’è anche una vicenda di sospensione di strisce sindacate, sempre dedicate ad Howard il Papero).
Alla fine la situazione di stallo si risolve, Shooter dice di esserne stato il principale se non l’unico risolutore, ma mi permetto di dire che anche gli avvocati della Marvel abbiano avuto voce in capitolo. Kirby infatti riceve indietro tutte le sue tavole, ma prima che possa portare avanti altre rivendicazioni la Casa delle Idee produce una pila di documenti, tutti regolarmente sottoscritti da Kirby, i quali affermano per farla breve lo status di dipendente salariato del grande artista durante il suo periodo presso la casa editrice. La vicenda si chiude qui, anche se viene strumentalizzata dal giornalista/fanzinaro Gary Groth per lanciare un attacco contro la Marvel e più in generale contro Stan Lee. A detta di Shooter, gli avvocati di Kirby mandarono poi una lettera di scuse ufficiali alla Marvel e Kirby non ebbe mai nei suoi confronti motivi di risentimento. Diversamente da altri, come adesso vedremo.
Già, perché l’accusa principale (motivata in più di un caso) rivolta a Shooter durante i suoi ultimi cinque anni di gestione Marvel è quella di ingerenza editoriale. E non solo. Shooter stesso ha più a volte affermato di avere un caratteraccio, che gli ha spesso precluso alcune scelte. Durante il suo run come EIC, Shooter è come certi imprenditori che vogliono il massimo dai propri dipendenti imponendo la propria legge ed a volte non tenendo in considerazione le loro richieste. L’esempio più lampante di questa cosiddetta ingerenza è quello capitato per il finale di UNCANNY X-MEN 137, del 1980. Se la storia vi dice qualcosa non mi sorprende, poiché è l’epilogo della celeberrima Saga di Fenice Nera, durante la quale Jean Grey viene sedotta al lato oscuro da Mastermind e dal Club Infernale (tralasciamo le future retcon, per la salute mentale di questo articolo). Portata sul pianeta Shi’Ar per essere giudicata, infine si uccide, consapevole di non poter gestire un potere così grande. Ora nei piani originali di Claremont alla fine della saga Jean non moriva e la sua trama durava ancora circa un annetto, culminando col nr. 150 ed uno scontro con Magneto che l’avrebbe fatta rinsavire. Ma accade qualcosa. Nel corso della saga, Jean distrugge un intero pianeta e stermina tutti i suoi abitanti, circa cinque miliardi di persone. Shooter viene a sapere dei piani originali di Claremont e li boccia, poiché a suo dire per una persona che ha ucciso tutti quegli esseri viventi non si può semplicemente cancellare la lavagna e ricominciare da capo. Dunque, andando contro le decisioni dello sceneggiatore della serie e del suo supervisore che aveva approvato il piano iniziale, Shooter cambia le carte in tavola a storia praticamente già conclusa (il disegnatore infatti aveva completato le sue tavole). Serve una punizione adeguata. E la punizione arriva ed è quella che conoscete tutti. In realtà dietro a questa decisione pare ci sia stata anche una imbeccata di John Byrne (toh, guarda chi rispunta), nemmeno lui convinto del finale originario. Un evento che, insieme a tante altre cose, avrebbe poi portato alla rottura dei rapporti tra lui e Claremont.
Questo diviene all’epoca il più noto caso di ingerenza editoriale, anche perché qualche tempo dopo viene pubblicato il finale originario ed il dibattito si apre. Non che ingerenza editoriale non ci sia stata in precedenza, tutt’altro, ma forse in questo caso per la prima volta i lettori (in un’epoca in cui Internet non era diffuso) hanno la percezione di come il prodotto che giunge nelle loro mani sia a volte il frutto di un compromesso. O di una decisione arbitraria.
Come abbiamo accennato, Shooter voleva che l’attenzione di tutti tornasse a concentrarsi sui fumetti di modo che uscissero dal ghetto in cui si erano cacciati. Ci è riuscito, ma subito dopo questa manovra gli si è ritorta contro. Fino al 1982, salvo alcune sporadiche defezioni, nessuno aveva messo in dubbio la sua gestione, ma negli anni successivi numerose polemiche sarebbero piovute sul suo capo. La prima accusa è nientemeno che di omofobia: la materia del contendere nasce da un episodio di RAMPAGING HULK (rivista in bianco e nero che usciva, per i temi trattati, senza che venisse sottoposta all’approvazione del Comics Code Authority), durante il quale Bruce Banner subisce un tentativo di stupro da parte di due omosessuali in un YMCA. Apriti cielo, la storia e le sue polemiche escono subito dai confini del fumetto ed arriva nel “mondo reale”, laddove alcune associazioni pro-omosessuali (chiedo scusa per il termine un po’ brusco) accusano Shooter appunto di omofobia. La difesa dell’EIC a dire il vero è un po’ blanda, in quanto afferma che con quella storia non ha voluto offendere nessuno, solo mettere in mostra un episodio di vita reale, ed infatti nessuno gli crede. A complicare le cose c’è una successiva dichiarazione di Shooter ad una rivista specializzata nella quale dichiara categorico che non esistono supereroi gay nel Marvel Universe. Anche se è vero che a quell’epoca il Comics Code censurava ancora riferimenti espliciti all’omosessualità, non era sfuggito a nessuno il fatto che il Northstar di ALPHA FLIGHT fosse tutto tranne che eterosessuale. Come risultato lo sceneggiatore della serie, John Byrne, inizia a mitigare questo tipo di riferimenti ed in seguito si arriverà addirittura a dire che Northstar appartiene ad una razza elfica eccetera eccetera (anche se negli anni successivi la sua omosessualità verrà fin troppo sbandierata). A tutt’oggi non è ben chiaro se Shooter sia o meno omofobo, per quanto questa cosa possa importare a qualcuno, mi limito solo a dire che dopo questi fatti lo sceneggiatore non è più voluto tornare a discutere della faccenda.
Alla prima pietra dello scandalo se ne aggiunge immediatamente un’altra, di cui sicuramente avrete sentito parlare, la cosiddetta querelle Kirby. Questa vicenda ha lunghe radici. L’ultimo contratto con la Marvel di questo grande artista termina nel 1978, incidentalmente il primo anno di Shooter come EIC, e subito dopo comincia a reclamare diritti legali sui personaggi che aveva creato o co-creato (una vecchia polemica con Stan Lee). In questo tentativo si inserisce una manovra legale dei suoi avvocati, i quali chiedono che a Kirby venissero restituite le sue tavole originali. Per la Marvel questa è una sorta di “trappola”, poiché restituire le tavole sarebbe stata una tacita ammissione che Kirby ne era il legittimo proprietario e non le aveva realizzate con un contratto di lavoro salariato, che sanciva in questo caso che la casa editrice ne era sia l’”autore” che il proprietario. Contorto? Siamo ancora all’inizio. Insomma, agendo in quel modo la Marvel avrebbe dimostrato che la rivendicazione di Kirby aveva ragion d’essere, pur non potendo nascondere che alcune di quelle tavole a causa dell’incuria e della disattenzione erano ormai ridotte in pessimo stato.
Ora il problema di fondo è che a quell’epoca la Marvel già restituiva le tavole originali ai suoi autori, per via appunto di quella politica di cambiamento voluta da Shooter durante il suo primo incontro con le alte sfere della Casa delle Idee. Ed in effetti Kirby ne aveva già ricevute molte. Una politica che si interrompe bruscamente, ed in toto, per le ragioni succitate. Si arriva dunque ad una situazione di stallo che dura parecchi mesi, una situazione in cui Jim Shooter si ritrova a fare da mediatore tra la casa editrice ed il grande artista che per così tanti anni aveva lavorato per essa. Una posizione che, all’esterno, pare non trasparire dal momento che negli anni successivi Shooter sarebbe stato identificato grossomodo come colui che si rifiutava di restituire a Kirby (uno dei personaggi più amati del mondo dei comics) le sue tavole. A dar man forte a Kirby c’è anche un altro grande artista recentemente scomparso: Steve Gerber. Un uomo che per aiutare il creatore dei Fantastici Quattro aveva scritto un fumetto volto unicamente a raccogliere fondi da utilizzare per la causa. Un artista che vanta anche lui diritti legali, su di un personaggio stavolta: Howard il Papero. La posizione di Gerber è che la Marvel non è titolare del personaggio in quanto esso è apparso come comprimario su altre testate prima di ricevere la propria serie ed un trademark, dunque il suo legittimo ideatore è proprio Gerber (in realtà dietro c’è anche una vicenda di sospensione di strisce sindacate, sempre dedicate ad Howard il Papero).
Alla fine la situazione di stallo si risolve, Shooter dice di esserne stato il principale se non l’unico risolutore, ma mi permetto di dire che anche gli avvocati della Marvel abbiano avuto voce in capitolo. Kirby infatti riceve indietro tutte le sue tavole, ma prima che possa portare avanti altre rivendicazioni la Casa delle Idee produce una pila di documenti, tutti regolarmente sottoscritti da Kirby, i quali affermano per farla breve lo status di dipendente salariato del grande artista durante il suo periodo presso la casa editrice. La vicenda si chiude qui, anche se viene strumentalizzata dal giornalista/fanzinaro Gary Groth per lanciare un attacco contro la Marvel e più in generale contro Stan Lee. A detta di Shooter, gli avvocati di Kirby mandarono poi una lettera di scuse ufficiali alla Marvel e Kirby non ebbe mai nei suoi confronti motivi di risentimento. Diversamente da altri, come adesso vedremo.
Già, perché l’accusa principale (motivata in più di un caso) rivolta a Shooter durante i suoi ultimi cinque anni di gestione Marvel è quella di ingerenza editoriale. E non solo. Shooter stesso ha più a volte affermato di avere un caratteraccio, che gli ha spesso precluso alcune scelte. Durante il suo run come EIC, Shooter è come certi imprenditori che vogliono il massimo dai propri dipendenti imponendo la propria legge ed a volte non tenendo in considerazione le loro richieste. L’esempio più lampante di questa cosiddetta ingerenza è quello capitato per il finale di UNCANNY X-MEN 137, del 1980. Se la storia vi dice qualcosa non mi sorprende, poiché è l’epilogo della celeberrima Saga di Fenice Nera, durante la quale Jean Grey viene sedotta al lato oscuro da Mastermind e dal Club Infernale (tralasciamo le future retcon, per la salute mentale di questo articolo). Portata sul pianeta Shi’Ar per essere giudicata, infine si uccide, consapevole di non poter gestire un potere così grande. Ora nei piani originali di Claremont alla fine della saga Jean non moriva e la sua trama durava ancora circa un annetto, culminando col nr. 150 ed uno scontro con Magneto che l’avrebbe fatta rinsavire. Ma accade qualcosa. Nel corso della saga, Jean distrugge un intero pianeta e stermina tutti i suoi abitanti, circa cinque miliardi di persone. Shooter viene a sapere dei piani originali di Claremont e li boccia, poiché a suo dire per una persona che ha ucciso tutti quegli esseri viventi non si può semplicemente cancellare la lavagna e ricominciare da capo. Dunque, andando contro le decisioni dello sceneggiatore della serie e del suo supervisore che aveva approvato il piano iniziale, Shooter cambia le carte in tavola a storia praticamente già conclusa (il disegnatore infatti aveva completato le sue tavole). Serve una punizione adeguata. E la punizione arriva ed è quella che conoscete tutti. In realtà dietro a questa decisione pare ci sia stata anche una imbeccata di John Byrne (toh, guarda chi rispunta), nemmeno lui convinto del finale originario. Un evento che, insieme a tante altre cose, avrebbe poi portato alla rottura dei rapporti tra lui e Claremont.
Questo diviene all’epoca il più noto caso di ingerenza editoriale, anche perché qualche tempo dopo viene pubblicato il finale originario ed il dibattito si apre. Non che ingerenza editoriale non ci sia stata in precedenza, tutt’altro, ma forse in questo caso per la prima volta i lettori (in un’epoca in cui Internet non era diffuso) hanno la percezione di come il prodotto che giunge nelle loro mani sia a volte il frutto di un compromesso. O di una decisione arbitraria.
Una volta un mocciosetto magro con gli occhiali disse che i post dei blog devono essere brevi, qualche riga, per essere fruibili e blabla...^^'
RispondiEliminaChissà che fine ha fatto...
Inghiottito dalla Zona Negativa... e poi diceva tante di quelle cavolate quel mocciosetto, meglio che non si faccia più vedere in giro.
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