venerdì 30 agosto 2019

A scuola di cinema: Scarface (1983)

Ci sono vari tipi di remake cinematografici. Ci sono remake che "ricalcano" in maniera pedissequa il film originale, aggiungendo poco o nulla. Ci sono poi remake che stravolgono del tutto il film originale, di cui non resta quasi più traccia. E ci sono infine quei remake unici nel loro genere. Il film di cui parliamo ora appartiene a quest'ultima categoria.


Nel 1932 esce il film Scarface, prodotto da Howard Hughes, diretto da Howard Hawks e con protagonista Paul Muni nei panni di Tony Camonte, un'allegoria di Al Capone.
Decenni dopo, Al Pacino, dopo aver ammirato la pellicola in un cinema di Los Angeles, vi vede del potenziale per un remake ed esterna questa sua idea al produttore, nonché suo agente, Martin Bregman, il quale ne rimane intrigato.
L'idea originale è quella di ambientare il film nello stesso periodo della pellicola originaria, ovvero la Chicago degli anni '20 del ventesimo secolo. Bregman contatta per la stesura della sceneggiatura Oliver Stone, ma costui è reduce dal fallimento del film La Mano, che lo ha lasciato molto provato e, come se non bastasse, ha peggiorato la sua dipendenza dalla cocaina. Inoltre, non è interessato a scrivere di un film di gangster, basato su una pellicola che peraltro non ha suscitato la sua attenzione. Quindi rifiuta la proposta.
Poco dopo, però, Sidney Lumet - il regista che è stato contattato per questo progetto - propone un'idea alternativa. Tra aprile e ottobre del 1980 vi è stato il cosiddetto Esodo di Mariel, che ha visto circa 125.000 cubani approdare sulle coste statunitensi, per la precisione in Florida.
Il regista suggerisce dunque di spostare il film in un'epoca contemporanea, rendendo il protagonista uno di questi rifugiati. Bregman decide di seguire questo consiglio e ricontatta Oliver Stone, proponendo l'idea di Lumet e catturando stavolta la sua attenzione.
Stone si reca dunque a Miami, dove legge tutti gli atti pubblici relativi all'Esodo di Mariel, dopodiché, pur tra mille difficoltà, intervista sia rappresentanti della legge che immigrati cubani per ottenere il maggior numero possibile di informazioni sull'ambiente dell'epoca.
Consapevole che la sua dipendenza da cocaina non possa aiutare il processo creativo, Stone si trasferisce in via temporanea a Parigi, dove scrive la sceneggiatura, riuscendo nel contempo anche a liberarsi da questa dipendenza. Stone dà al protagonista il cognome Montana, in onore al suo giocatore di football preferito, Joe Montana.
Quando la sceneggiatura arriva nelle mani di Bregman e Lumet, il primo l'adora, il secondo invece no. Lumet vorrebbe una pellicola molto più politicizzata ed entra dunque in contrasto con Bregman. Non trovando i due un accordo, il regista decide di abbandonare l'incarico.
In sua sostituzione, Bregman contatta Brian De Palma, a cui è stata offerta anche la direzione di Flashdance, che è già entrato in fase di pre-produzione. I produttori di questo film tuttavia non intendono sviluppare un altro progetto personale di De Palma intitolato Acts of Vengeance e, irritato dal loro atteggiamento, il regista chiede un compenso notevole per dirigere la pellicola, pur di liberarsi da questo impegno e poter dunque accettare l'offerta di Bregman. Così da portare sullo schermo la sceneggiatura di Oliver Stone, da cui è stato conquistato.
Anche se il ruolo di Tony Montana è stato pensato per Al Pacino, costui si cala fino in fondo nel personaggio: prende lezioni di combattimento e utilizza sia un coach vocale che l'assistenza del suo collega attore Steven Bauer per sviluppare un credibile accento spagnolo. Chiede anche al direttore della fotografia John A. Alonzo, che parla spagnolo, di rivolgersi a lui solo con questa lingua.
Per il ruolo della protagonista femminile, Elvira Hancock, vengono selezionate varie attrici, a partire da Glenn Close, che pare essere la prima scelta. Fino a quando Bregman propone Michelle Pfeiffer
Sia Pacino che De Palma sono contrari a questa scelta: è un'attrice sconosciuta e l'unico film di rilievo da lei interpretato è stato il fallimentare Grease 2. Bregman però alla fine impone questa sua scelta, che va sia a vantaggio della pellicola che della carriera dell'emergente attrice, la quale viene lanciata nel firmamento delle stelle.
Le riprese iniziano in via ufficiale il 22 novembre 1982, dipanandosi tra Los Angeles, la California e Miami, per concludersi il 6 maggio 1983. Durante questo periodo, la produzione viene interrotta per circa due settimane, poiché Al Pacino, toccando inavvertitamente la canna di una pistola che aveva appena sparato, si procura un'ustione a una mano.
Conclusa questa fase, la pellicola viene inviata alla Motion Picture Association of America, la quale, con la motivazione che vi sia un eccessivo uso di violenza e linguaggio scurrile, la classifica come vietata ai minori, cosa che a quell'epoca accadeva solo alle pellicole pornografiche. De Palma effettua, in tre diverse occasioni, tre tagli al film, ma la decisione non cambia.
Così lui e Bregman si recano di persona presso la sede della Motion Picture Association of America, chiedendo di ribaltare la sentenza e portando a sostegno di questa tesi anche le testimonianze di alcuni agenti di polizia, i quali si pronunciano a favore della veridicità della pellicola e del suo messaggio contro la droga. La cosa va a buon fine e dunque si decide che il film possa essere visto anche dai minori, se accompagnati da un adulto.
A quel punto, tuttavia, De Palma pensa che i tagli che ha apportato non siano stati poi così invasivi e nessuno si accorgerebbe se venisse distribuita la versione originaria, quella cassata senza appello. Ed è quella che dunque passa alla produzione. La Universal Pictures non si accorge della cosa e nei cinema arriva perciò la versione che De Palma aveva concepito fin dal principio, in un'insolita manovra che ha permesso di evitare ogni censura.
Scarface viene distribuito nei cinema americani a partire dal 9 dicembre 1983. A fronte di un budget di 37 milioni di dollari, il film arriva infine a incassare a livello internazionale 66 milioni di dollari. Un risultato che premia la volontà e determinazione soprattutto del produttore Martin Bregman, colui che più si è impegnato per la buona riuscita di questo progetto.
Un progetto che darà benefici a tutti i soggetti coinvolti... ma questa è un'altra storia.

venerdì 23 agosto 2019

A scuola di cinema: Krull (1983)

Grazie anche alle migliorie della tecnica e della tecnologia, i film di fantascienza fecero un deciso balzo in avanti nella seconda metà degli anni '70 del ventesimo secolo. L'apice di ciò si ebbe - neanche a dirlo - con Star Wars.
Tuttavia, vi era un altro genere che poteva beneficiare di questi progressi degli effetti speciali, il fantasy, fino a quel momento sfruttato in maniera limitata. Negli anni '80 ci furono i primi tentativi in tal senso... ma non tutti ebbero successo.


Nel 1980 l'allora presidente della Columbia Pictures Frank Price contatta il produttore Ron Silverman, chiedendogli se sia interessato a sviluppare un film fantasy. Costui accetta l'incarico e poco dopo ha già in mente chi potrebbe scriverlo e chi dirigerlo.
Per la sceneggiatura, Silverman contatta Stanford Sherman, che ha già incontrato alcune volte e di cui ha apprezzato il lavoro sul film Fai Come ti Pare. Costui concepisce una prima bozza di sceneggiatura intitolata The Dragons of Krull, che la Columbia approva dando così il via alla pre-produzione.
Per la regia, Silverman si reca sul set delle riprese di Uno Scomodo Testimone, dove incontra il britannico Peter Yates. Costui legge la sceneggiatura solo due mesi dopo, quando si è liberato dal suo precedente impegno, e rimane intrigato dal fatto di poter dirigere un film fantasy dove poter dare sfogo alla sua immaginazione e si dichiara interessato.
La sceneggiatura di Sherman viene revisionata da Steve Tesich, ma il risultato finale non convince la Columbia, che chiede dunque a Sherman una nuova bozza. Al termine, viene tolto al titolo The Dragons of..., anche perché in questa ultima e definitiva revisione di draghi nella storia non vi è nemmeno l'ombra.
Dopodiché passa circa un anno, durante il quale Yates crea o supervisiona gli storyboard della storia e una troupe di circa cento persone costruisce presso i Pinewood Studios di Londra i 23 set che ricreano il pianeta Krull. Va da sé che, con queste premesse, il budget della pellicola lievita non poco.
Sia per questo motivo che per precisa scelta della produzione, il cast è composto da attori inglesi poco noti o provenienti dal teatro. Tra questi, un semi-esordiente Liam Neeson.
Le riprese iniziano in via ufficiale il 25 gennaio 1982. Dopo alcuni mesi, dai Pinewood Studios di Londra ci si trasferisce prima in Italia (per la precisione, a L'Aquila e a Cortina d'Ampezzo), infine presso le Isole Canarie in Spagna, per girare alcune riprese in esterno. Laddove possibile, gli attori stessi effettuano anche le riprese più pericolose, riportando in un paio di casi dei piccoli infortuni.
Krull viene distribuito nei cinema americani a partire dal 29 luglio 1983. A fronte di un budget che si stima essere stato non inferiore a 30 milioni di dollari, il film arriva a incassarne sul territorio statunitense poco meno di 17, rendendo il progetto da un punto di vista commerciale un flop e bloccando sul nascere eventuali seguiti.
Nonostante ciò il genere fantasy al cinema continua a prosperare negli anni successivi, rendendo Krull negli anni successivi una sorta di piccolo gioiello che avrebbe potuto conseguire maggiore fortuna. Tale sviluppo del genere avrebbe generato altri capolavori... ma questa è un'altra storia.

mercoledì 21 agosto 2019

A scuola di cinema: Fuori Orario (1985)

Al termine delle riprese di Re per una Notte, Martin Scorsese si imbarca nella produzione di un film che intende realizzare da alcuni anni, L'Ultima Tentazione di Cristo.
Nel dicembre 1983, tuttavia, la Paramount - la quale avrebbe dovuto finanziare la pellicola - cancella il progetto, temendo che possa risultare troppo costoso e per evitare le critiche di alcune organizzazioni religiose. Da questa vicenda, il regista si ritrova così proiettato alla direzione di un altro film.


Rimasto amareggiato da questa esperienza, Scorsese pensa di ritirarsi dalla regia di altri film per concentrarsi su dei progetti di basso profilo, fino a quando il suo avvocato di fiducia, Jay Julien, lo mette in contatto con l'attore Griffin Dunne.
Costui, attraverso una propria società di produzione, la Double Play Productions, intende sviluppare un film con lui come protagonista e incentrato su una tesi universitaria. La storia si intitola A Night in Soho ed è stata scritta da Joseph Minion mentre frequentava il corso di cinematografia alla Columbia University. Una tesi che gli ha fatto guadagnare una laurea col massimo dei voti.
Essendo giovane e inesperto, Minion ha attinto per parte della sceneggiatura a un monologo intitolato Lies ideato dallo scrittore Joe Frank. Appena viene a sapere di ciò, quest'ultimo intenta causa e, pur non essendo riconosciuto il suo contributo alla pellicola, ottiene un risarcimento finanziario.
La sceneggiatura di Minion viene rifinita e revisionata da Scorsese, il quale gli affibbia anche il titolo definitivo. Vengono concepiti - e girati - diversi finali, fino a quando viene accettato il consiglio del regista Michael Powell, che suggerisce di riportare il protagonista esattamente da dove era partito.
In origine, Scorsese non intende dirigere il film, ma più va avanti nella revisione della sceneggiatura, più il suo desiderio di tornare dietro la macchina da presa cresce. Il fatto è che è già stato individuato un altro regista per questa pellicola, l'allora esordiente Tim Burton (notato da Dunne grazie alla produzione del corto animato Vincent), il quale però dopo aver saputo dell'interesse di Scorsese decide di farsi da parte.
Le riprese si svolgono nell'estate del 1984 in varie location di New York, in particolare - come è intuibile immaginare - il quartiere di Soho.
Fuori Orario (After Hours) viene infine distribuito nei cinema americani a partire dal 13 settembre 1985. A fronte di un budget di 4 milioni e mezzo di dollari, il film arriva infine a incassarne sul territorio statunitense dieci milioni e mezzo. Non solo, permette a Scorsese di vincere l'anno successivo il premio come miglior regista al Festival di Cannes.
Il giorno prima di essere coinvolto in questo progetto, Martin Scorsese meditava di abbandonare la regia, il giorno dopo il suo entusiasmo era rinato. E alla fine sarebbe riuscito a dirigere L'Ultima Tentazione di Cristo... ma questa è un'altra storia.

martedì 20 agosto 2019

Libri a caso: E liberaci dal Padre

Abbiamo già parlato di Elizabeth George e di uno dei suoi romanzi appartenenti alla saga delle indagini di Thomas Lynley (e Barbara Havers), Il Morso del Serpente. Non il primo, però.


La prima opera, che mette insieme questi due personaggi, viene infatti pubblicata nel 1988 e si intitola E liberaci dal Padre (A Great Deliverance). La coppia che scoppia si forma quando un sovrintendente di polizia di Scotland Yard, con motivazioni un po' labili ma comprensibili, pensa che la loro alchimia possa funzionare per un'indagine su un omicidio già risolto, visto che l'assassino ha confessato. Ma qualche dubbio rimane.
Anche al lettore più disattento, non può sfuggire che i due protagonisti, sia dal punto di vista caratteriale che sociale, provengono da due mondi differenti. Lynley discende da una famiglia nobile e vive in un quartiere elegante, cosa che gli ha permesso di conquistarsi una posizione in polizia con relativa facilità, è acculturato ed elegante ed è un tipo perlopiù calmo e riflessivo.
Barbara Havers invece è figlia di povera gente, vive in un quartiere di periferia dovendo occuparsi da sola della sua famiglia, ha ricevuto una educazione ordinaria e ha un temperamento incline all'ira e all'autodistruzione psicologica che ha compromesso una possibilità di carriera in Scotland Yard.
A ben vedere, pensando a quando il romanzo è stato pubblicato, si può pensare che i due siano "figli" della morente Era Thatcher, la quale aveva creato qualche disparità sociale tra le classi abbienti e quelle meno fortunate. La Lady di Ferro avrebbe dato le dimissioni da Primo Ministro due anni dopo la pubblicazione di questo romanzo.
Quindi, prima dell'indagine, l'autrice impiega più di 100 pagine a descrivere con - forse - fin troppa dovizia di particolari il background dei due personaggi, calati in una Londra che appare priva di umanità e compassione. Salvo poi, quando inizia davvero l'indagine, spostarsi in piccole città dello Yorkshire dove, almeno in apparenza, vi è più interazione e apertura mentale. Ma si sa, molto spesso è in luoghi come questi che la gente non si avvede del mostro che vive accanto alla propria porta. O finge di non vedere.
Ne consegue che l'epilogo è molto più che un metaforico pugno allo stomaco, anche a distanza di tempo.
Torneremo a parlare di Lynley & Havers? Solo il tempo lo dirà.

lunedì 19 agosto 2019

A scuola di cinema: Sugarland Express (1974)

2 Maggio 1969, notte: Due coniugi, Bobby Dent e Ila Fae Holiday-Dent, stanno percorrendo con la loro auto la State Highway 73 lungo Port Arthur, in Texas. Senza che i due ne siano consapevoli, gli abbaglianti sono rimasti accesi.
Un poliziotto nota la cosa e cerca di fermarli, ma per tutta risposta Bobby Dent accelera. Il motivo per cui lo fa è che è uscito di prigione da due settimane, dopo aver scontato una pena per atti di vandalismo, e non desidera avere a che fare a distanza di così breve tempo con la polizia.
Alcuni minuti dopo, tuttavia, il motore dell'auto smette di funzionare e, colti dalla disperazione avendo capito il loro errore, i due coniugi si precipitano in una fattoria chiedendo ai loro residenti di contattare la polizia, dichiarandosi vittime di una rapina.
Giunge sul posto l'agente di pattuglia James Kenneth Crone, il quale viene disarmato, ammanettato e ricondotto alla sua auto, mentre Bobby Dent gli punta contro un fucile, costringendolo a ripartire.
Ben presto la polizia si avvede del rapimento dell'agente Crone e, alle prime luci dell'alba, inizia un inseguimento, durato alcune ore, che coinvolgerà infine circa 100 vetture, inclusi due furgoncini di notiziari locali. Giunti a Houston, Bobby Dent chiede che sua moglie (reduce da un divorzio) possa vedere i suoi figli, i quali sono stati affidati ai nonni.
La polizia acconsente e i due, con Crone sempre loro ostaggio, si recano nella cittadina di Wheelock, dove però svariati agenti si sono già appostati. Così, quando Crone e i coniugi Dent entrano in un appartamento buio, il primo capisce cosa sta per accadere e si sdraia a terra. Bobby Dent, colto dal panico, non abbassa l'arma e prima che possa sparare viene colpito da numerosi colpi di pistola, morendo sul colpo.
Ila Fae Dent invece viene arrestata e sconta cinque mesi di prigione, prima che le venga concessa la libertà vigilata.
Questo drammatico fatto di cronaca costituisce la base di un film forse poco noto, ma che è importante per più di una ragione.


Nel 1972, Steven Spielberg è un regista ancora in cerca di una propria identità. Ha diretto molte produzioni televisive, tra cui Duel, che gli hanno fruttato una notorietà su cui deve ancora capitalizzare.
Essendo all'epoca sotto contratto con la Universal, Spielberg è in contatto coi produttori Richard Zanuck e David Brown e li convince ad affidargli il progetto di un film basato sulla vicenda dei coniugi Dent, per il suo debutto americano sul grande schermo (Duel era stato programmato infatti solo in Europa come pellicola cinematografica).
Spielberg scrive la sceneggiatura in collaborazione coi suoi amici Hal Barwood e Matthew Robbins. Bobby Dent e Ila Fae Dent diventano Clovis Poplin e Lou Jean Poplin, mentre James Crone (che fa un cameo nel film nei panni di uno sceriffo) diventa Maxwell Slide. Come si può immaginare, i fatti vengono drammatizzati e modificati (l'azione si svolge in circa un paio di giorni invece che poche ore e l'agente simpatizza coi due coniugi, cosa mai accaduta) per motivi narrativi.
Le riprese iniziano in via ufficiale il 15 dicembre 1972, dipanandosi in varie località del Texas, per concludersi nel marzo del 1973. Per la colonna sonora, Spielberg contatta un compositore di cui ha apprezzato un paio di suoi precedenti lavori: il suo nome è John Williams. Questa pellicola rappresenta la prima di tante loro collaborazioni.
I piani iniziali della Universal sono di distribuire il film nell'autunno del 1973, ma questi vengono modificati quando ci si accorge che si potrebbe andare contro ad altre pellicole di rilievo quali, ad esempio, La Stangata. La data di uscita viene dunque spostata prima a febbraio del 1974, e infine a fine marzo.
Sugarland Express (The Sugarland Express) viene infine distribuito nei cinema americani a partire dal 30 marzo 1974. A fronte di un budget di 3 milioni di dollari, la pellicola arriva infine a incassarne quasi 13. Un buon risultato, seppur non quello che si attendeva la Universal, la quale non credendo fino in fondo nel progetto ritira il film dalle sale prima del previsto, rinunciando a ulteriori, possibili introiti.
Per Steven Spielberg, tuttavia, è stato un buon trampolino di lancio per farsi conoscere da un altro tipo di pubblico, rispetto a quello di Duel. Non solo, ha stretto conoscenza coi produttori Zanuck e Brown, i quali risulteranno determinanti per l'ottenimento dell'incarico che lancerà in via definitiva la sua carriera... ma questa è un'altra storia.

mercoledì 14 agosto 2019

A scuola di cinema: 48 Ore (1982)

Prima degli anni '80 del ventesimo secolo, la figura del poliziotto cinematografico - salvo rarissimi casi - era quella di una persona seria, dedita così tanto al suo lavoro da far sì che in apparenza non ci fosse spazio per altro. Ma negli anni '80, questa visione cambia, a partire in maniera particolare da Beverly Hills Cop.
C'è stato tuttavia una sorta di film predecessore in tal senso, che aveva visto protagonista lo stesso attore della pellicola succitata, Eddie Murphy, seppur si trovi stavolta dall'altra parte della barricata.


Verso la metà degli anni '70, il produttore Lawrence Gordon concepisce l'idea molto abbozzata di una pellicola incentrata sul rapimento di una figlia di un governatore, il cui riscatto deve essere pagato entro 48 ore, pena l'esecuzione della donna. Per liberarla, un poliziotto è costretto ad allearsi con un criminale incallito, ex compagno di cella del rapitore.
A quell'epoca, Gordon sta collaborando col regista esordiente Walter Hill al film L'Eroe della Strada. Montatore di questa pellicola è Roger Spottiswoode il quale, incoraggiato e supervisionato da Hill, si propone di scrivere la sceneggiatura dell'idea concepita da Gordon.
La bozza giunge nelle mani della Paramount, la quale nel 1978 medita di farne un film che veda Clint Eastwood nella parte del criminale incallito, e chiede a Hill di scriverne una revisione che tenga conto di questa esigenza.
Hill fa quanto gli è stato richiesto, ma non è convinto che l'idea della Paramount possa funzionare: sarebbe meglio a suo parere se Eastwood interpretasse il poliziotto e un attore in quel momento sulla cresta dell'onda, Richard Pryor, capace di raggiungere un'ampia fetta del pubblico afroamericano, il criminale. Quindi capovolge i ruoli, incentrando di più la storia sulle dinamiche e l'interazione tra il poliziotto e il criminale, che ha nome Willie Biggs.
La cosa tuttavia non si concretizza e il progetto finisce nel limbo per circa un paio di anni. In questo periodo di tempo, Lawrence Gordon inizia una fruttuosa partnership lavorativa con Joel Silver. I due pensano che la sceneggiatura di Spottiswoode e Hill possa rappresentare una perfetta prima collaborazione tra loro due. Gordon ricontatta dunque Walter Hill, avendo già in mente l'attore per il personaggio del poliziotto: Nick Nolte.
Per il ruolo del criminale, scartata l'ipotesi Richard Pryor, Hill pensa a Gregory Hines, ma costui ha altri impegni e deve declinare. Il regista si lamenta di questo con la sua compagna di allora, Hildy Gottlieb, la quale è agente di alcuni attori e gli consiglia un suo assistito, Eddie Murphy.
Murphy all'epoca è ignoto alle grandi case di produzione e, per promuovere la sua figura, Hildy Gottlieb manda agli esecutivi della Paramount alcuni filmati tratti da Saturday Night Live, lo show dove l'attore è impegnato. Questo è sufficiente a convincere gli scettici e a far conseguire a Murphy il suo primo ruolo cinematografico.
Leggendo la sceneggiatura, Murphy fa notare come il nome del suo personaggio, Willie Biggs, sia fin troppo stereotipato e ottiene di fargli cambiare il nome in Reggie Hammond, ispirato a un suo amico d'infanzia. Una sceneggiatura che non convince ancora del tutto i produttori, i quali pensano manchi di alcuni momenti di leggerezza e alleviamento della tensione per bilanciare alcune forti, per l'epoca, scene di violenza. Così chiedono a Stephen De Souza una revisione.
Hill non ne rimane del tutto soddisfatto e nell'aprile 1982, alcune settimane prima dell'inizio delle riprese, chiede a un suo caro amico, Larry Gross, di effettuare un'ulteriore opera di rifinitura. Il che porta la sceneggiatura finale a essere stata concepita da otto mani.
Le riprese iniziano in via ufficiale il 17 maggio 1982, dividendosi tra San Francisco e Los Angeles. Essendo Murphy ancora impegnato con Saturday Night Live, si comincia con le scene che non prevedono la sua partecipazione. Le riprese si concludono in via ufficiale il 18 agosto.
48 Ore (48 Hrs.) esordisce nei cinema americani nel dicembre 1982. A fronte di un budget di 12 milioni di dollari, la pellicola arriva infine a incassarne solo sul territorio statunitense 79. Davvero un ottimo risultato per un film nato da un'idea casuale di quasi dieci anni prima.
Il miglior esordio cinematografico che Eddie Murphy potesse desiderare e che lo porterà negli anni successivi a interpretare altre memorabili pellicole... ma questa è un'altra storia.

venerdì 9 agosto 2019

Libri a caso: Perché non l'hanno chiesto a Evans? (ovvero di Agatha Christie e del sottile fascino della crudeltà)

Hercule Poirot. Jane Marple. Tommy & Tuppence. Queste sono le tre creazioni più famose, in ordine di importanza, di Agatha Christie, con i primi due che ancora oggi risultano essere oggetto di nuovi adattamenti cinematografici o televisivi.
Tuttavia, più di una volta Agatha Christie ha scritto dei romanzi in cui costoro non erano i protagonisti, romanzi in cui ha cercato di dare una visione diversa, seppur innestata negli stilemi classici dell'epoca, del romanzo giallo. Una di queste opere è Perché non l'hanno chiesto a Evans?


Perché non l'hanno chiesto a Evans? (Why didn't They Ask Evans?) è stato pubblicato nel 1934, quando la carriera della scrittrice era ormai lanciata. I protagonisti principali sono due: il "borghese" Bobby Jones e la "nobile" Francis Derwent. I due mondi distanti tra loro che si incontrano perché sono stati amici di infanzia, sotto sotto si vogliono bene, ecc...
La causa scatenante del dramma è il ritrovamento - casuale e forzato, ma ci sta - da parte di Bobby Jones di un uomo morente, che prima di andarsene pronuncia la fatidica domanda che dà il titolo all'opera. Dietro la risposta a questa domanda si cela un mondo ignoto a Jones, ma invece ben conosciuto da Francis Derwent, e che coinvolgerà entrambi in situazioni decisamente drammatiche (rischieranno la vita quelle 3 o 4 volte durante il romanzo, tra amorevoli tentativi di avvelenamento e agguati alle spalle) sempre affrontate con piglio giovanile...
Anzi, a volerla dire tutta, i due protagonisti alla fine potrebbero anche risultare detestabili agli occhi del lettore, cosa che non è da escludere fosse l'intenzione specifica della scrittrice. Se odiava Poirot, figuriamoci due personaggi usa e getta!
Decisamente particolare, invece, come il deus ex machina finale sia un ragazzo di umili origini, che compare in sole due scene, e affetto da handicap. Ha ricevuto uno spazio anche minore in quest'opera di Bard, il vero eroe de Lo Hobbit... perché, hey, i poveri non possono essere eroi nella società inglese pre-guerra! E allora Agatha fa quel che può e lancia il suo sassolino nello stagno, che fa molto rumore.
Quando non c'erano sulla scena Poirot o Miss Marple, Agatha Christie si permetteva di far sì che l'ordine sociale non fosse del tutto ristabilito al termine del romanzo. Lo abbiamo visto con Dieci Piccoli Indiani - dove è arrivata là dove nessuno è mai giunto prima - e succede anche qui, in questo romanzo pubblicato cinque anni prima di quel capolavoro, con la mente criminale che la fa franca e che cerca di trasparire ai nostri occhi come un personaggio motivato da intenti per cui si potrebbe anche simpatizzare, aldilà dei modi con cui cerca di raggiungerli.
Una dimostrazione da parte di Agatha Christie che certi punti fermi del romanzo giallo possono anche venir meno a volte, perché nella realtà i cattivi possono vincere, poiché non hanno nulla da perdere. Cattivi che nascondono la loro vera natura dietro una facciata rispettabile e un volto affascinante.

lunedì 5 agosto 2019

A scuola di cinema: Good Morning, Vietnam (1987)

Tra il 1965 e il 1966, il DJ Adrian Cronauer condusse un programma radiofonico intitolato Dawn Buster. La particolarità di questo programma era che veniva trasmesso da una stazione radiofonica in Vietnam dell'U.S. Air Force, per dare qualche ora di svago ai soldati americani impegnati nel conflitto che stava avendo luogo in quella nazione. Un conflitto che nessuno immaginava sarebbe durato così tanto.
Un conflitto che coinvolse, in maniera indiretta, anche Cronauer, il quale fu testimone dell'esplosione di un ristorante, dovuta a un atto doloso.
Tale esperienza divenne, circa venti anni dopo, il soggetto di un film indimenticabile, il cui titolo riprendeva la celebre frase d'esordio del programma di Cronauer.


Nel 1979, Cronauer scrisse una sceneggiatura basata sul suo periodo in Vietnam, includendo anche alcuni elementi di commedia, pensata per una sitcom televisiva in stile M*A*S*H. Il deejay era fortemente convinto che anche un argomento scottante come la guerra potesse contenere in sé alcuni elementi di comicità. Molti altri però non la videro allo stesso modo.
Così, dopo svariati rifiuti, si trovò infine solo nel 1982 un produttore interessato, Larry Brezner, che ne opzionò i diritti. Nonostante ciò, la sceneggiatura rimase nel limbo dei progetti mai sviluppati per quasi cinque anni, prima che capitasse sotto gli occhi di un ex attore televisivo che stava cercando di sfondare nel mondo del cinema. Il suo nome è Robin Williams.
Williams intuì le potenzialità del progetto e la sceneggiatura di Cronauer venne così affidata a Mitch Markowitz, il quale ne effettuò una revisione totale, tanto che alla fine poco del trattamento originario venne mantenuto. Prima che si arrivasse alla sceneggiatura finale, furono prodotte almeno cinque bozze e Cronauer riuscì a vedersi accettato qualche altro suo suggerimento.
Come regista della pellicola, Brezner scelse Barry Levinson, reduce dalla direzione di Piramide di Paura (Young Sherlock Holmes). Levinson fece sì che Cronauer e Williams non si incontrassero mai sul set, per far sì che la recitazione di quest'ultimo fosse ancora più spontanea e non influenzata dal carattere del deejay.
Le riprese ebbero luogo in Thailandia, nei primi mesi del 1987. Per le trasmissioni radiofoniche, praticamente non c'era copione. Levinson si affidò a Williams, il quale improvvisò tutti i suoi dialoghi. Ne risultò alla fine un ritratto della vicenda di Cronauer, per quanto anche drammatico, molto poco aderente a quelle che erano state le sue esperienze sul campo. Nella realtà di allora, un comportamento come quello tenuto da Williams avrebbe comportato per Cronauer la prigionia immediata.
Good Morning, Vietnam uscì nella sale cinematografiche statunitensi nel dicembre 1987. A fronte di un budget di 13 milioni di dollari, la pellicola arrivò infine a incassarne 124. Un successo che lanciò infine la carriera cinematografica di Robin Williams, il quale sarebbe stato il protagonista di altri capolavori negli anni successivi.
Ma questa... è un'altra storia.


giovedì 1 agosto 2019

Libri a caso: Dieci Piccoli Indiani (ovvero di Agatha Christie e del politically correct ante-litteram)

Se pronunciamo il nome di Agatha Christie, subito balza alla nostra mente il termine "romanzo giallo"... o "detective fiction", se volessimo proprio fare gli anglofoni.
No, non staremo qui a parlare delle sue due (e mezzo) più celebri creazioni, anche perché nel romanzo di cui tratteremo adesso di loro non c'è traccia. Pur essendo una delle sue opere più celebri. Forse addirittura la più celebre. Dieci Piccoli Indiani.


Sorvolo un attimo sulla trama, che sono certo chiunque di voi conosca, per farvi un'apparentemente semplice domanda: qual è il titolo originario di quest'opera, pubblicata nel 1939? Ten Little Indians? No, invece, dal momento che questo titolo è stato utilizzato solo a partire dagli anni '60 del ventesimo secolo.
Il titolo originario in realtà fu Ten Little Niggers, basato su una filastrocca del 1868 di Frank Green, riadattata dal musicista Septimus Winner... e col senno di poi con evidenti tematiche razziste, non solo per il termine offensivo verso la comunità afroamericana.
E così, quando il libro venne importato negli Stati Uniti, dove quel termine era già ritenuto una parola disdicevole, venne re-intitolato And Then There Were None, prendendo a spunto l'ultima riga della filastrocca ("E poi non ne rimase nessuno"). Ma nessuno se ne lamentò.
Come noto, il romanzo ebbe un incredibile successo, tanto che nel 1943 venne chiesto alla scrittrice di farne un adattamento teatrale. E qui arriva la parte più curiosa.
Dieci Piccoli Indiani è un romanzo dove il cattivo alla fine trionfa. Senza se e senza ma, il suo piano ha successo fin nei minimi particolari. Ora, se nella letteratura classica questo era già successo (gli scrittori russi in particolare ringraziano), non so se questo fosse invece già accaduto nella letteratura mainstream, soprattutto in un genere - quello giallo - dove per natura alla fine l'omicida viene scoperto e l'ordine sociale viene ristabilito.
E così, mentre scriveva l'adattamento teatrale, il suo agente le chiese di modificare il finale, perché fosse un po' più ottimista. Quando il romanzo venne pubblicato, nel 1939, la seconda Guerra Mondiale doveva ancora scoppiare. Nel 1943, invece, il conflitto era al suo apice e le persone vivevano nell'incubo di un possibile bombardamento.
In un tale scenario, un'opera teatrale col trionfo di un cattivo e senza speranza alcuna di redenzione, sarebbe potuta risultare sin troppo deleteria. Quindi Agatha Christe fece sì che due dei protagonisti, innocenti dei crimini a loro imputati nell'opera teatrale (non così invece nel romanzo), sopravvivessero fino alla fine e si sposassero.
E così, fin dal primo adattamento cinematografico, del 1945, ad opera di René Clair, si optò per questo epilogo. Gli spettatori di un film, si sa, amano i finali strappalacrime e rassicuranti che li affranchino anche solo per pochi secondi dalla loro vita piena di delusioni.
Pare forse superfluo far notare che Agatha Christie in persona avallò questa scelta e non ebbe mai motivo di lamentarsene.
Nell'epoca attuale, dove il politically correct viene sbandierato in ogni dove e indicato come il male assoluto dei nostri tempi moderni, non ci si rende conto invece che certi meccanismi - motivati magari da presupposti errati, ma non spetta a noi discuterne in questo contesto - sono stati presenti nella letteratura di genere fin dall'alba dei tempi.
Senza che questo però inficiasse sulla bontà dell'opera stessa. E sul fatto che essa sia ricordata ancora, a distanza di decenni.