giovedì 1 agosto 2019

Libri a caso: Dieci Piccoli Indiani (ovvero di Agatha Christie e del politically correct ante-litteram)

Se pronunciamo il nome di Agatha Christie, subito balza alla nostra mente il termine "romanzo giallo"... o "detective fiction", se volessimo proprio fare gli anglofoni.
No, non staremo qui a parlare delle sue due (e mezzo) più celebri creazioni, anche perché nel romanzo di cui tratteremo adesso di loro non c'è traccia. Pur essendo una delle sue opere più celebri. Forse addirittura la più celebre. Dieci Piccoli Indiani.


Sorvolo un attimo sulla trama, che sono certo chiunque di voi conosca, per farvi un'apparentemente semplice domanda: qual è il titolo originario di quest'opera, pubblicata nel 1939? Ten Little Indians? No, invece, dal momento che questo titolo è stato utilizzato solo a partire dagli anni '60 del ventesimo secolo.
Il titolo originario in realtà fu Ten Little Niggers, basato su una filastrocca del 1868 di Frank Green, riadattata dal musicista Septimus Winner... e col senno di poi con evidenti tematiche razziste, non solo per il termine offensivo verso la comunità afroamericana.
E così, quando il libro venne importato negli Stati Uniti, dove quel termine era già ritenuto una parola disdicevole, venne re-intitolato And Then There Were None, prendendo a spunto l'ultima riga della filastrocca ("E poi non ne rimase nessuno"). Ma nessuno se ne lamentò.
Come noto, il romanzo ebbe un incredibile successo, tanto che nel 1943 venne chiesto alla scrittrice di farne un adattamento teatrale. E qui arriva la parte più curiosa.
Dieci Piccoli Indiani è un romanzo dove il cattivo alla fine trionfa. Senza se e senza ma, il suo piano ha successo fin nei minimi particolari. Ora, se nella letteratura classica questo era già successo (gli scrittori russi in particolare ringraziano), non so se questo fosse invece già accaduto nella letteratura mainstream, soprattutto in un genere - quello giallo - dove per natura alla fine l'omicida viene scoperto e l'ordine sociale viene ristabilito.
E così, mentre scriveva l'adattamento teatrale, il suo agente le chiese di modificare il finale, perché fosse un po' più ottimista. Quando il romanzo venne pubblicato, nel 1939, la seconda Guerra Mondiale doveva ancora scoppiare. Nel 1943, invece, il conflitto era al suo apice e le persone vivevano nell'incubo di un possibile bombardamento.
In un tale scenario, un'opera teatrale col trionfo di un cattivo e senza speranza alcuna di redenzione, sarebbe potuta risultare sin troppo deleteria. Quindi Agatha Christe fece sì che due dei protagonisti, innocenti dei crimini a loro imputati nell'opera teatrale (non così invece nel romanzo), sopravvivessero fino alla fine e si sposassero.
E così, fin dal primo adattamento cinematografico, del 1945, ad opera di René Clair, si optò per questo epilogo. Gli spettatori di un film, si sa, amano i finali strappalacrime e rassicuranti che li affranchino anche solo per pochi secondi dalla loro vita piena di delusioni.
Pare forse superfluo far notare che Agatha Christie in persona avallò questa scelta e non ebbe mai motivo di lamentarsene.
Nell'epoca attuale, dove il politically correct viene sbandierato in ogni dove e indicato come il male assoluto dei nostri tempi moderni, non ci si rende conto invece che certi meccanismi - motivati magari da presupposti errati, ma non spetta a noi discuterne in questo contesto - sono stati presenti nella letteratura di genere fin dall'alba dei tempi.
Senza che questo però inficiasse sulla bontà dell'opera stessa. E sul fatto che essa sia ricordata ancora, a distanza di decenni.

1 commento:

  1. Vero, sono pratiche che sono sempre esistite, dettate dai tempi che corrono.
    Grande giallo, base di numerose rivisitazioni...

    Moz-

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