Si sa, la fantascienza può essere terreno di avventure spaziali e cosmiche, nella pura tradizione dell'avventura e dell'intrattenimento di massa, ma può anche essere utilizzata per storie più intimiste. Dove la fantascienza diviene lo specchio dei tempi, non necessariamente solo dei tempi in cui vive lo scrittore.
Ne è un esempio Il Tempo delle Metamorfosi (A Time of Changes), scritto da Robert Silverberg e pubblicato nel 1971.
Sul pianeta Borthan vi sono svariate regioni che vivono seguendo ognuna un proprio governo e un proprio codice. Ma per tutte queste vige il Comandamento, che vieta severamente di parlare di sé in prima persona, atto considerato esibizionista e blasfemo e punibile col carcere.
Kinnall Darival è il secondogenito della più importante autorità di una regione del pianeta. Quando il padre muore in un incidente di caccia, temendo di venire esiliato oppure ucciso dal proprio fratello maggiore, fugge in cerca di fortuna altrove.
Quella fortuna, se così la si può definire, si concretizza nell'incontro con un terrestre di nome Schweiz, il quale lo porterà a mettere in discussione il Comandamento e il suo stesso stile di vita.
Se la contestualizziamo nel periodo in cui è uscita, quest'opera è e rimane molto particolare. Poiché cerca di sfruttare le potenzialità della fantascienza, tra cui quella di descrivere probabili scenari futuri derivati dal presente, abbandonando ogni pretesa di un crescendo di azione o utilizzo di numerosi colpi di scena.
Infatti quello di Kinnall Darival, come il titolo stesso lascia presagire, non è un viaggio avventuroso, bensì un percorso interiore che lo porta a scoprire dei lati inediti di sé stesso, attivando quel cambiamento, quella metamorfosi prima mai immaginata. Una sorta di insolito romanzo di formazione, dunque.
Metamorfosi che avviene sia da un punto di vista fisico, tramite l'uso di una droga speciale che mette in comunione le anime, sia da un approccio metafisico, che porta da quella comunione a scoprire lati inediti di sé e delle persone che circondano il protagonista.
Siamo, al tempo della pubblicazione, agli inizi degli anni '70 del ventesimo secolo. I moti giovanili del 1968 e il festival di Woodstock sono eventi recenti e ancora ben scolpiti nella memoria. Così come era ben viva e pulsante la cultura hippie, che utilizzava le droghe per esplorare lati inediti della propria coscienza, approccio forse un po' semplicistico ma tant'è.
Quindi la metafora di un paria della società, che di quella società stessa diviene poi parte integrante e cerca di destabilizzarla mettendosi contro l'establishment che lo crocifigge per l'utilizzo di una droga, pare un'allegoria abbastanza evidente.
Noi non sapremo mai se la crociata di Kinnall Darival avrà successo, questo punto viene lasciato volutamente in sospeso. Il protagonista - e l'autore insieme a lui - lascia al lettore questo giudizio, chiedendogli di non farsi offuscare dai pregiudizi.
Cinquant'anni dopo la risposta a questa domanda ha ancora importanza? Se questa domanda è se valga la pena talvolta, in certi contesti, di mettere in dubbio ciò che altri ti impongono e cercare di cambiare le cose, allora forse sì, ha ancora importanza.
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