sabato 22 novembre 2014

Sharknado: l'evoluzione della specie (I)

Ci sono pellicole che trascendono la loro natura per entrare nell'olimpo dei capolavori cinematografici e divenire oggetto di culto, film il cui impatto visivo e le cui idee narrative sono così forti da costringere l'industria del cinema a rivedere le proprie posizioni. Pioniere di un nuovo modo di comunicare. E una di queste pellicole è senza ombra di dubbio Sharknado.


Esiste una casa di produzione chiamata Asylum, che ha un metodo di lavorazione e produzione a mio avviso eccezionale. Ci sono blockbuster che ogni tot mesi invadono le sale cinematografiche (in questi ultimi tempi ad esempio, per dire il primo titolo che mi viene in mente, Pacific Rim). La Asylum, basandosi sui trailer e sulle sinossi dei film distribuiti prima dell'uscita ufficiale, mette in piedi un cosiddetto mockbuster, cioè un film a basso costo e dal titolo quasi uguale che cavalchi l'onda del successo del blockbuster. Un film la cui produzione dura pochi mesi - dalla sceneggiatura al montaggio finale - di modo che quando il DVD del blockbuster viene messo in commercio contemporaneamente esce anche il DVD del mockbuster per cogliere di sorpresa lo spettatore e togliergli un paio di euro dal portafogli. Pacific Rim, dicevamo? Be', ecco arrivare Atlantic Rim! Ma ne parleremo in un'altra occasione.
Sì, perché a volte la Asylum ha idee tutte sue (adesso, idee...). Idee che devono molto a quel cinema catastrofista degli anni '70 in cui vecchie glorie del grande schermo potevano assaporare ancora una volta le luci della ribalta. Con la differenza che con la Asylum le vecchie glorie sono quelle dei telefilm degli anni '90, su un livello come dire leggermente diverso. Con Sharknado riemergono gli scheletri dall'armadio Ian Ziering, lo Steve Sanders faccia da schiaffi e da pirla di Beverly Hills 90210, e la meteora Tara Reid dopo un tuffo in una piscina di botox. Entrambi nel leggere la sceneggiatura capirono che la storia era "forse" un po' sopra le righe, ma dopotutto tutti noi dobbiamo mangiare.
Curiosa la storia del successo di questo film, che deve molto ai nuovi mezzi di comunicazione di questo millennio, i social network. La pellicola doveva essere una produzione originale a basso costo che sarebbe stata trasmessa dal canale a pagamento SyFy, la quale già in passato aveva trasmesso pellicole della Asylum e persino un "Marvel-Movie" (virgolette a più non posso) come Man-Thing. Canale che peraltro in passato aveva trasmesso anche telefilm di tutto rispetto come Battlestar Galactica o Farscape. Un primo passaggio di Sharknado nell'estate 2013 ottenne un'audience poco sotto i canoni della rete, anche se non nelle aspettative. Poi ci fu il diluvio, altro che il tornado: il film divenne un hashtag popolarissimo su Twitter commentato anche da celebrità come Damon Lindelof (che si sarà disperato per non aver pensato a questa idea come risoluzione del mistero di Lost) e Olivia Wilde. Un tam tam mediatico che convinse SyFy a trasmettere una replica del film la settimana seguente... con un incremento dell'audience vicino al 40%. Una terza replica ottenne un'audience ancora più alta, rendendolo il film più visto della storia della rete.
Venne poi organizzata addirittura una "premiere" cinematografica in cinema selezionati, che tuttavia non andò come sperato. Oramai però gli squali e i tornadi erano entrati nell'immaginario collettivo e anche Youtube si ritrovò invasa da spezzoni della pellicola, su cui trionfavano commenti entusiasti come:"WTF is that shit?". L'eco del successo di Sharknado travolse anche l'edizione 2013 di Lucca Comics, con una proiezione che ebbe un pubblico maggiore di quello di Thor: The Dark World (ehm, forse sto un tantino esagerando). Alla fine uscì il DVD del film, che venne distribuito anche in Europa e in Italia tramite la Minerva Pictures, che già in passato aveva importato alcuni film della Asylum (che culo).
Ma ora buio in sala, prego, è il momento della proiezione (sì, questo film ha un'aura così potente che abbiamo deciso di dedicargli due post!).

E CONTINUA PURE...

giovedì 13 novembre 2014

Stan Lee AKA Uatu


Stan Lee (insieme ad altri grandi creativi come Jack Kirby, Steve Ditko, ecc...) ha creato il moderno Marvel Universe. O (così nessuno rompe su questa questione) il suo nome compariva nei credits di quelle storie che hanno introdotto il moderno Marvel Universe... provate a negare questo.
Stan Lee, tuttavia (a differenza di quegli altri grandi creativi di cui sopra), è stato anche un perfetto uomo marketing: a suo tempo è stato capace di capire, se non addirittura prevedere i gusti del pubblico e offrire ciò che questo voleva. Storie di mostri? Eccoli, e dai nomi più improbabili. Storie romance? Dialoghi sdolcinati e la pietanza è servita. Storie anti-comuniste? Niente di più facile.
Dietro tutto questo c'era una redazione, il Bullpen, che Stan Lee portò all'attenzione dei suoi lettori, dando ad ognuno dei suoi componenti un volto e dei soprannomi. Si conosceva persino il nome della segretaria di redazione! Ma lui rimaneva sempre al centro dell'attenzione (che soffra di un po' di sano egocentrismo penso sia incontestabile), tanto che molto dopo che il suo nome smise di comparire nei credits la gente continuò ad associare la Marvel alla sua figura. E continua a farlo ancora oggi.
Quindi questo mix di sano egocentrismo, riconoscibilità e capacità di interagire col pubblico spiega perché Stan Lee in (quasi) tutti i film basati su personaggi Marvel faccia un cameo: a volte è un militare, a volte una guardia di sicurezza o un giudice di un concorso di bellezza, a volte un semplice passante... è stato persino il postino dei Fantastici Quattro! Tante identità per un sol uomo.
Tanto che qualcuno ha persino cercato di trovare una soluzione a un dilemma inespresso, una ragione che spieghi perché un uomo dallo stesso aspetto sia comparso più volte sulla scena di eventi legati al mondo dei supereroi cinematografici in ruoli differenti. E la teoria (chiaramente mai confermata dai Marvel Studios/Disney/Fox/Sony/chipiùnehapiùnemetta) di per sé scontata è anche spiazzante: Stan Lee è Uatu l'Osservatore in forma umana. Colui che nell'universo Marvel appunto compare nei momenti fondamentali della storia della Terra, solo e unicamente per assistervi.
Una teoria, astrusa quanto si vuole, che ha anche un suo fascino. Renderebbe gli universi cinematografici coesi come un unico Multiverso (mondo Marvel Studios, mondo Fox, mondo Sony): un Multiverso che Uatu/Stan attraversa senza problemi. A volte interviene personalmente in determinate situazioni - in Spider-Man ad esempio salva una passante - ma suvvia, quante volte Uatu ha infranto il suo giuramento di non interferenza? A volte non lo vediamo, ma chi ci dice che non si aggiri da qualche parte (anche se nei due film dedicati a Ghost Rider si è ben guardato dal partecipare)?
Anche se questa rimane solo una teoria, ci piace pensare a uno Stan Lee seduto comodo nella sua dimora nella Zona Blu della Luna, che ogni tanto soffre di noia e porta la sua dirompente personalità in questi mondi che stanno assistendo all'alba di una nuova era. Per esclamare alla fine il suo celebre:"Excelsior!".

venerdì 7 novembre 2014

Kick-Ass e la creazione dell'universo

Con Kick-Ass Mark Millar ha cercato di dare una nuova impronta al genere supereroistico e, nel contempo, ha creato attorno ad esso un universo narrativo col suo background, le sue regole e i suoi personaggi. Certe volte, però, la realtà (e le ipotesi di complotto) supera ogni più sfrenata fantasia.


Premessa all'articolo: se non avete letto tutte e tre le miniserie dedicate a Kick-Ass ci capirete poco o nulla. Dave Lizewski è un nerd sfigato: a scuola è deriso da tutti, il padre deve provvedere da solo al suo sostentamento e di sesso neanche a parlarne. L'unica sua via di fuga dalla realtà è la lettura dei fumetti di supereroi, che però su di lui innesca anche un desiderio di riscatto personale, come accade a un Peter Parker o a un Bruce Wayne. Laddove Dave è la burla, la sua maschera Kick-Ass è il vincente. Il problema però è che quei personaggi sono irreali, esistono solo nella fantasia: nella realtà non si può saltare da un grattacielo all'altro come se nulla fosse o incutere terrore nei criminali solo con il proprio aspetto. Tanto che, alla sua prima sortita, Kick-Ass viene duramente pestato da una banda di criminali e, dulcis in fundo, investito da una macchina. Trasportato d'urgenza in ospedale, dopo alcune settimane di coma indotto, fisioterapia e parziale perdita di sensibilità ritorna in attività e grazie al prezioso aiuto della piccola, spietata vigilante Hit-Girl diventa un punto di riferimento di una nuova comunità supereroistica, la Justice Forever. E alla fine troverà anche il vero amore della sua vita, rinunciando alla sua "maschera".
La prima miniserie, pur con qualche esagerazione, cercava di mantenere un tono realistico. Le successive miniserie invece, compreso lo spin-off dedicato a Hit-Girl, hanno portato all'estremo il concept iniziale, rendendo la violenza mostrata nelle storie alquanto grottesca, improbabile e surreale per chiudersi infine (in maniera un po' strana e in apparente contrasto con le premesse iniziali) con un messaggio buonista del tipo siamo tutti eroi se vogliamo esserlo. Non solo, Kick-Ass è divenuto la pietra angolare di un intero universo narrativo sviluppato da Millar in altre miniserie come Superior, Nemesis, The Secret Service e dove opere come Supercrooks appaiono come film hollywoodiani ad alto budget. Il Millarverse, alla faccia dell'umiltà: un universo narrativo che ha visto nel suo passato una prima generazione di supereroi spazzata via da una società di supercriminali (Wanted), a sua volta eliminata. Dopo anni di silenzio, emerge Kick-Ass, il quale rappresenta la nuova voce di un nuovo supereroismo che porta alla nascita di una nuova comunità supereroistica e una nuova generazione di superesseri. All-New Millar Now.
Un po' strano in effetti, se pensiamo al fatto che la prima scena di Kick-Ass vede un aspirante supereroe sfracellarsi al suolo poiché il suo dispositivo di volo artificiale non funziona. Potremmo anche chiosare però dicendo che è questa la magia del fumetto, capace di sovvertire persino quelle che sembravano essere le premesse iniziali. Eppure... Sì, c'è un elemento insolito in tutto questo e lo troviamo nelle pagine conclusive della terza e ultima miniserie. Come ho detto, nella sua prima, sventurata sortita Kick-Ass viene investito da un'automobile ed entra in un coma da cui esce alcune settimane dopo. Prima di perdere i sensi si vede trascinato su una barella e si accorge di non aver più indosso il costume, al che giunge alla conclusione di essere riuscito a sfilarselo e gettarlo via prima che arrivassero i soccorsi, pur non ricordandosi di averlo fatto. La cosa viene accennata e mai più ripresa. Epilogo di Kick-Ass: Dave trova il vero amore in una infermiera di nome Valerie, è proprio il classico caso di amore a prima vista. Dopo che la banda Genovese è stata definitivamente sgominata, va da lei e le annuncia che rinuncia alla sua carriera supereroistica, ma c'è un cartello alle loro spalle, un cartello che dice che uno dei degenti del reparto si chiama "D. Lizewski".


Nulla di strano, volendo, poiché nella comunità ebraica di New York è un nome comune. Poi però in una vignetta successiva si vede un ragazzo riverso a letto, pieno di fasciature e accudito da una persona, che pare proprio essere il padre di Dave... ucciso nella seconda miniserie!


Quindi la conclusione quale sarebbe, per i fanatici delle teorie del complotto? Chissà, forse Kick-Ass dopo essere stato investito non è mai uscito da quel coma, la sua prima sortita come supereroe è stata anche l'ultima. Tutto quello che è accaduto dopo (Hit-Girl e Big Daddy, Red Mist, Justice Forever) è un sogno di Dave indotto dal coma e Valerie è l'infermiera che lo accudisce tutti i giorni e nella sua immaginazione diventa la sua fidanzata. E quindi il lieto fine buonista, dopo il superamento di mille avversità, è inevitabile per chi legge fumetti di supereroi. Non solo, la fervida fantasia di Dave lo porta a concepire un intero universo supereroistico, con un proprio passato alle spalle e nuovi eroi a prendere il posto dei precedenti in una perfetta tradizione di "legacy".
Un'allucinazione da coma dello sfigato Dave Lizewski, nulla più: ecco cosa sarebbe in realtà il Millarverse. Caro amico scozzese, ah, sarebbe proprio da te. Però non saltiamo alle conclusioni: Millar ama divertirsi e divertire i suoi lettori. Quelle due vignette (che chiaramente non sono casuali) sono state messe lì forse solo per gioco, per parodiare un po' certe situazioni fumettistiche. Ognuno avrà la sua opinione e altre opere del Millarverse usciranno: alcune saranno ambientate in quell'universo narrativo, altre saranno produzioni hollywoodiane ad alto budget. L'importante in ultima analisi (non poteva mancare il mio messaggio buonista) è che siano belle storie.